Barka, Burkina! - Parte prima

Tre settimane di solidarietà, polvere e… sorrisi in Burkina Faso

Tre settimane in Burkina Faso per sette strani personaggi, con età e caratteri diversi ma accomunati dalla convinzione che – rima a parte – con la solidarietà si possa sconfiggere la siccità! Tre settimane a visitare i progetti di sviluppo dell’associazione Mani Tese, ma anche a girovagare tra bellezze naturali e architettoniche, per un Natale e un Capodanno da ricordare. Barka (grazie), Burkina!Giovedì 18 dicembre 2008
Eccomi qui, di nuovo in volo sul Sahara, di nuovo verso un altro pezzo d’Africa.
Da qualche ora siamo partiti da Parigi, destinazione Ouagadougou. Sta per incominciare un’altra “avventura” africana, in uno dei paesi più poveri e più... sconosciuti del mondo: il Burkina Faso. La quasi totalità delle persone con cui ho parlato in questi mesi, dicendo loro del viaggio, spalancavano gli occhi e chiedevano dove fosse il Burkina Faso! Anche questo è un o dei tanti “valori aggiunti” di questo viaggio: trascorrere il Natale e il Capodanno in un paese che la gran parte della gente non sa dov’è... e salvarsi così da alberi luccicanti e babbi natale!
Alle 18 poco più (ora locale) arriviamo a Ouagadougou, dopo uno scalo a Niamey, nel Niger. Siamo al tramonto, ci sono un sacco di nuvole, anzi di foschia.. .e appena mettiamo i piedi giù dall’aereo sentiamo il caldo soffocante! Proprio come temevo... Noi poi abbiamo tutti il pile e il piumino e cerchiamo di spogliarci di gran lena, anche perchè stare in fila per sbrigare le pratiche di sbarco è un’operazione lunga e lentissima. Se Dio vuole ce la facciamo, recuperiamo i bagagli e usciamo in strada. Il solito spettacolo che toglie il fiato... centinaia di persone vestite di tutti colori e di tutte le fogge che attendono le persone arrivate in aereo, ambulanti dei generi più disparati, povere, terra rossa che vola qua e là, cartacce sollevate dal vento... E’ la terza volta che arrivo in Africa uscendo da un aeroporto di notte ed anche se è una scena già vissuta mi emoziona sempre tanto.
Ci guardiamo in giro cercando con lo sguardo Paul, il nostro autista, che non conosciamo: ma quando vediamo un giovanottone dalla faccia simpatica che agita la bandiera di Mani Tese capiamo di averlo trovato! Paul ci carica sul suo pulmino e ci porta alla Maison de l’Amitié, nel quartiere periferico di Tampuy, dove dormiremo per i primi giorni. Siamo distrutti, così dopo un frugale spuntino con pane, banane e arance, e soprattutto un’autentica “doccia” di Autan (qui il rischio malaria è altissimo...), ce ne corriamo tutti a letto.

Venerdì 19 dicembre 2008
La nostra prima notte burkinabè è andata benone... anche perchè eravamo stremati. Comunque il posto è carino, una grande sala da pranzo, tre camere molto spartane ma con letti tutti dotati di zanzariera, bagni semplici ma non manca nulla... la pulizia è accettabile, anche perchè siamo praticamente affacciati sulla strada, il che significa che la terra rossa è ovunque, anche nella doccia e negli armadi!
Alle 9 Paul ci viene a prendere per fare un giro della città. Buffissimo vedere come siamo bardati... soprattutto i giovanissimi del gruppo, Annalisa, Luca, Francesco e Carlo, hanno seguito alla lettera le indicazioni anti-malaria e sono tutti vestiti in bianco e beige, maniche lunghe, cappello a falde calcato in testa, Autan a fiumi. Sembrano una via di mezzo tra un missionario e l’uomo Del Monte! Così usciamo per la prima volta dal cortile della Casa dell’Amicizia e aldilà del muro... troviamo l’Africa! Per chi di noi è in Africa per la prima volta, ma anche per me, è davvero emozionante. Una lunga strada rossa gremita di persone, a piedi, in bici, in motorino, con centinaia di negozietti o bancarelle su ogni lato della strada. Un’esplosione di colori sotto il sole.
La nostra prima tappa è la banca, naturalmente per cambiare gli euro in franchi CFA. Così Paul ci porta nel cuore della Ouaga “che conta”, ovvero nella zona dei ministeri, dei palazzi del potere, delle banche, delle televisioni. Il contrasto non è così forte come in altre metropoli dei paesi del sud del mondo: i palazzi non sono così belli, c’è sempre qualcosa di sconnesso, di fuori posto, e comunque ai lati dell’asfalto c’è sempre la terra rossa che prende il sopravvento, con i venditori ambulanti di ogni genere (soprattutto carte telefoniche) ad ogni metro. Sembra un potere ben “amalgamato” col popolo, e chissà se qui nel paese di Sankara è davvero così.
Dopo la banca (e dopo la lentezza e-s-a-s-p-e-r-a-n-t-e del cassiere nel contare le banconote) andiamo in un piccolo supermarket a fare spesa per i prossimi giorni. Dopo avere faticato non poco ad allontanare alcuni venditori ambulanti di articoli natalizi (buffissimo vedere venditori di babbi natale gonfiabili e alberi di Natale già decorati con fili argentati... a fianco dei baobab e delle bouganville!!) torniamo a casa, dove ci raggiunge Theophile Kaborè, ovvero il volto e la mente di Mani Tese in Burkina, persona in gambissima che da 20 anni coordina la nostra cooperazione qui nel paese. Ci dà il benvenuto e l’arrivederci al 4 gennaio, quando ci accompagnerà in giro a vedere i progetti nella capitale.
Dopo pranzo il caldo si fa sentire assai... meglio accantonare l’idea della passeggiata sulla strada brulicante di negozi e riposare un po’ sotto le zanzariere e i ventilatori. Ma resisto inattiva solo fino alle 16.30... dopo di che vado a fare una passeggiata su e giù lungo la nostra “avenue”. Una vera e propria nuvola di polvere tra terra e gas di scarico dei centomila motorini! Però è molto bello mescolarsi alla gente, leggere la curiosità negli occhi dei bambini che ci vedono, rispondere “no, merci” all’infinità di persone che vogliono venderci qualcosa, qualunque cosa. Cerco anche di telefonare a casa, anzi di comprare una carta telefonica (cosa che faccio, per poi scoprire alla sera che era perfettamente inutile, anzi inutilizzabile) e poi alla fine vado in un telefono a scatti.
Resisto stoicamente alla tentazione di comprare un “poulet télévisé”, cioè un galletto alla griglia conservato in una specie di scatola quadrata che ricorda la tv. Lo vendono ovunque lungo le strade e mi attira molto, ma Theophile lo ha sconsigliato vivamente, così come tutto il cibo di strada. Peccato! Comunque mi rifaccio alla sera al ristorante Tam Tam, dove prendo un poulet grillé! Buono, ma secco secco e duro duro, proprio un pollo ruspante, altro che i nostri, imbottiti di schifezze negli allevamenti industriali!

Sabato 20 dicembre 2008
Oggi lunga escursione verso sud. Prima però il problema è uscire da Ouaga!! Infatti, appena il nostro pulmino si affaccia fuori dal cortile vediamo la strada tutta bloccata, con capannelli di gente ai lati... c’è una gara ciclistica in corso! Ma questo detto così non sarebbe degno di nota, infatti va spiegato che si tratta di gara di donne con biciclette assolutamente normali, ciascuna diversa dall’altra, fanno una fatica boia a pedalare sulla strada piena di buche, hanno magliette bianche con maniche arancioni e dalla vita in giù le loro gonnellone tradizionali... mitiche! Ma la cosa è evidentemente seria, visto che c’è fior di polizia municipale a regolare il traffico per consentire lo svolgimento della gara.
Con un po’ di fatica riusciamo quindi a prendere la strada che va verso sud, verso i paesi dell’etnia Gouronsì Kassenà. Dei predoni di cui ci parlava Paul, per fortuna, nemmeno l’ombra... così come degli elefanti, che in teoria dovremmo incontrare, visto che attraversiamo una riserva naturale. E invece niente.
Arriviamo a Po, dove però non ci fermiamo, ma già dallo sguardo che diamo dal pulmino si capisce che non c’è molto da vedere. La zona che attraversiamo è comunque molto bella, grandi distese d’erba ormai secca, ma con alberi maestosi e verdissimi, manghi, karité, acacie... e poi naturalmente i giganti, i baobab, che anche se spogli sono sempre di grande fascino. Naturalmente da alberi e cespugli “sbucano” deliziose creature: caprette, asinelli, maialini secchi secchi e ovviamente tanti tanti bambini sorridenti e “salutanti” con la manina!
Così facendo ciao ciao dai finestrini del pulmino arriviamo a Tiebelé, dove ci aspetta l’attrazione della giornata, le case dipinte dei Kassenà. Qui una guida locale, un baldo giovanotto che sostiene di essere principe e discendente del re del villaggio, ci spiega le particolarità delle case dipinte e ce le fa visitare. Visitiamo la “corte reale”, un agglomerato di case basse, costruite in argilla dipinta, il cui edificio principale è la vera e propria sala della giustizia, dove il re decide sulle controversie tra gli abitanti del villaggio. Davanti ci sono la tomba dell’antenato (che io fotografo un attimo prima che il principe-guida dicesse che era assolutamente vietato...) ed un enorme fico rosso, albero sacro agli antenati. Ci addentriamo poi all’interno del dedalo dei cortili e scopriamo le tre tipologie di case: le case con pianta “a 8”, riservate ai nonni e ai bambini della famiglia, le case a pianta quadrata riservate alle giovani coppie e le case tonde col tetto di paglia riservate ai giovani uomini celibi. I disegni con cui le case sono decorate sono diversissimi tra loro e tutti fortemente simbolici: dal serpente boa alla zappa, dalla lucertola a due teste alla pipa, dal miglio alla tartaruga... ognuno di essi è un riferimento alla vita del villaggio ed al suo rapporto con gli antenati, che devono proteggere e dare forza. Qualche casa si può visitare anche all’intero, ma occorre abbassarsi tanto fino ad entrare carponi: per chi soffre di claustrofobia non è il massimo, ma vale la pena vedere gli interni...e scoprire quanto sono freschi anche in una giornata così torrida.
Dopo Tiebelé andiamo a visitare anche il piccolo villaggio di Tangassokò, che presenta case simili ma con decorazioni meno curate e più “dilavate” dal tempo, perchè più povero.
In entrambi i villaggi non mancano i bambini piccolissimi col moccio al naso che ti fanno intenerire prendendoti per mano, i ragazzini insistenti che ti chiedono l’elemosina, i grandi petulanti che cercano di venderti di tutto... insomma, nulla di nuovo! Ma è bello così.
A nanna presto sotto la fidata zanzariera. Domattina si parte per i sei giorni di “avventura” a Tangaye...

Domenica 21 dicembre 2008
Stamattina ci alziamo con tutta calma... ci voleva, dopo il lungo viaggio e gli sballottamenti di ieri. Facciamo colazione col pane fresco (qui in ogni dove si trova una boulangerie che sforna deliziose baguettes!) e prepariamo i bagagli per sei giorni.
Partiamo per Tangaye e lungo la strada ci fermiamo al vivacissimo mercato della cittadina di Koupela. Qui gironzoliamo tra i banchi, riuscendo a fare foto, a scambiare parole con i bambini (che qui non sono nemmeno troppo insistenti nel chiedere l’elemosina o cercare di vendere qualcosa) e con le loro mamme, tutte carine e sorridenti. Dopo avere comprato cavoli, pomodori, patate, melanzane e anche un tuberone gigante che Paul ci consiglia e si chiama igname, decidiamo di fermarci a mangiare lì, nel piccolo ristorante Koubila. Il menu non offre tante cose, per non sbagliare prendo il solito poulet grillé. Ma l’evento è che mentre siamo a fine pranzo arrivano dei danzatori... davvero spettacolari. Copricapi da stregone, costumi coloratissimi, bracciali, cavigliere, cinture e collane fatte di coperchi di alluminio...fanno un casino pazzesco con ghigni feroci e banconote infilate tra i denti: come non cedere alla “paura” dando loro qualche soldo?!
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Tangaye ed è davvero emozionante. Ci si arriva dopo vari “sgripponamenti” nella savana, in mezzo ai baobab ed ogni persona che incrociamo sorride e ci saluta con la mano. Il nostro “campement” dove alloggeremo questi giorni si chiama “Sougri Nouma” che in lingua mooré significa “il perdono è buono”, ed è davvero bellissimo. Si trova ai piedi di un baobab meraviglioso, è formato da 5 piccoli tukul circolari dal tetto di paglia, in ognuno dei quali ci sono 2 o 3 letti. Il posto è veramente mooooolto spartano (specie la capanna con la turca e quella con secchio d’acqua per lavarsi, senza porta ma con tenda a righe... rispettivamente toilette e doccia... non sarà semplice passare qui sei giorni e sei notti!) e richiede grande spirito di adattamento, ma ne vale davvero la pena.
Ci accoglie Prosper, cuoco e uno dei “saggi” del villaggio, che sarà con noi in questi giorni. Dopo avere appoggiato le nostre cose e soprattutto sistemato le zanzariere facciamo un giro fino al “centro” del villaggio con una ventina di deliziosi bimbetti che si accodano a noi come i topini del pifferaio di Hamelin! Poi veloce cena e andiamo tutti in mezzo al campo (illuminando bene dove mettiamo i piedi... per non disturbare eventuali cobra...gulp!) ad ammirare le stelle. Altro tipico cielo africano: costellazioni a non finire, sciami di stelle così vicine da poterle toccare...tra montagna e viaggi in paesi lontani (“poveri” di energia elettrica) ormai ho visto vari cieli stellati, ma è vero che l’emozione è nuova ogni volta.
La sera si chiude scrivendo i rispettivi diari sotto il grande gazebo, con le lampade a petrolio, sulle poltrone di legno... il che sarebbe tanto suggestivo se non ci fossero MILIARDI di zanzare, formiche alate di ogni misura e finanche mantidi religiose attirate dalla luce delle lampade!

Lunedì 22 dicembre 2008
La prima nottata nella stanza-loculo è passata alla meno peggio, anche se effettivamente stare in tre lì dentro, sotto le zanzariere e con il buio pesto dentro e fuori non è stato semplice anche per chi non soffre di claustrofobia.
Stamattina restiamo qui a Tangaye e andiamo a visitare alcune realtà finanziate dal Comitato d’Amicizia di Faenza. Prima però andiamo a vedere una “dolonnière” cioè un posto dove fanno il “dolo”, la birra artigianale di miglio, che qui è molto bevuta. È preparata grazie ai cosiddetti “fuochi migliorati”, una sorta di sistema di cottura con piccoli cilindri di cemento che evitano la dispersione del calore e dunque lo potenziano al massimo, consentendo un notevole risparmio nella legna da ardere. Qui a Tangaye ne sono stati fatti parecchi grazie ad un progetto di Mani Tese.
Altro progetto che visitiamo è quello della maternità, sempre del Comitato d’Amicizia. È un appoggio al reparto maternità dell’infermeria di Tangaye, gestito da una robusta e simpatica ostetrica che lo manda avanti tutto da sola con grande energia. Qui le donne preferiscono partorire a casa, o comunque altrove, con conseguenti rischi per la salute loro e del bambino... ma non in una struttura esterna. Allora si è pensato di dare un contributo in denaro (circa 2000 franchi CFA, cioè più o meno....euro) ad ogni donna per incentivare il loro ricovero in ospedale (anche se dire “ospedale” è una parola grossa, vista la condizione – anche igienica – delle stanze...) per il parto. L’ostetrica e la tesoriera (che ci chiede una donazione) dicono che l’idea funziona e che sono molte, anzi sempre di più, le donne che si rivolgono a loro anche dai villaggi vicini.
Torniamo al campement per pranzo e mentre Prosper cucina (ottimo risotto con cipolla e pomodoro), noi donne adempiamo al nostro compito principale della giornata e andiamo alla pompa a prendere l’acqua. Ovviamente suscitiamo l’ilarità delle donne presenti, anche perchè loro si allontanano camminando con grande grazia con le taniche piene d’acqua sulla testa, mentre noi arranchiamo trascinando i nostri secchi riempiti a metà!
Dopo pranzo, nonostante la temperatura torrida, non so come trovo il coraggio di andare di nuovo alla pompa a riempire un altro secchio per fare un po’ di bucato, che poi appendo con un filo tra due capanne. Il mio viaggio alla pompa è accompagnato da una quindicina di bambini che vogliono portarmi il secchio. Idem mentre lavo in mezzo all’erba le mie mutande sono l’attrazione di alcuni vecchietti che ridacchiano ma per fortuna parlano in mooré e non capisco un accidente!
Oggi siamo costantemente assistiti e accompagnati, al campement e fuori, da decine di bambini di ogni età. Evidentemente sono quelli che non vanno a scuola, chissà per quale ragione, e vorremmo chiederlo a Prosper. Ma quel che colpisce di questi bambini non è tanto il fatto che non vadano a scuola quanto la loro immobilità, forse la loro apatia. Non parlano una parola di francese, e va bene, ma non sorridono alle nostre sciocchezze, alle canzoncine, ai battimani. Giusto qualche sorriso quando Luca fa il giocoliere con le arance e nulla più. Sono veramente laceri, qualcuno seminudo, qualche sorellina grande che ha legato sulla schiena il fratellino piccolissimo. Tutti hanno una panciona enorme e gli occhi spenti. Ci rimaniamo veramente male... da sempre rifuggo le immagini trite e ritrite dei bambini africani col pancione, anche perchè l’Africa non è SOLO questo. Ma certo l’Africa è ANCHE questo e non lo si può dimenticare.
Nel pomeriggio andiamo con Paul a visitare un barrage (diga) qui vicino. È un progetto di Mani Tese realizzato qualche tempo fa, lo sbarramento di un fiume per non disperdere le acque nella stagione secca e per creare un invaso da cui attingere acqua tutto l’anno (fino alla stagione della pioggia dell’anno successivo) con cui irrigare una serie di orti. È una tipologia di progetto molto diffusa in Burkina e la vedremo di certo anche nei prossimi giorni.
Dopo di che Prosper ci accompagna in una esperienza formidabile: andiamo a piedi a poche centinaia di metri dal campement, a Pitogodò, una piccola collina sacra, ai piedi della quale si viene a chiedere consiglio o favore agli antenati, depositando un piccolo bastone come omaggio: con questi bastoni gli antenati potranno fare il fuoco con cui preparare la cena ai figli e quindi essere riconoscenti a chi ha donato il bastone. Ma il clou è quando Prosper ci conduce in cima alla collina, in mezzo a grossi massi neri e tondi, regno di salamandre (vero! ne vediamo un sacco!). Per arrivare in cima c’è un passaggio strettissimo in cui dobbiamo letteralmente strisciare per terra sui gomiti come rettili...in mezzo alle tane delle salamandre! Ma quando si arriva in cima il panorama è mozzafiato e i colori del tramonto sono splendidi. È stato davvero emozionante.
Ma la sera ci riserva un’altra esperienza indimenticabile: il mercato notturno di Tangaye! Prima di cena (alle 18.15 è buio pesto) ci incamminiamo verso il centro del villaggio, anche se a dire il vero potremmo essere ovunque perchè nonostante le nostre torce elettriche non vediamo un accidente, mentre loro si aggirano come gatti nel buio, a piedi o in bici lungo piste sabbiose o nel mezzo della macchia...come se nulla fosse. Per fortuna ci fa strada Paul, che ci invita a guardarci bene intorno per capire qual è il “segreto del mercato” ed il motivo per cui lo si fa di notte. Iniziamo ad aguzzare la vista... e considerato il buio “aguzzare” è una parola grossa!
Comunque ci sono un sacco di venditori di cibo, per lo più donne accovacciate a terra con catini pieni di cose strane: ci sono una specie di castagnole fritte, che Paul ci dice essere fatte coi fagioli e che per noi sono out. Ci consente invece di assaggiare le patate dolci fritte (delizia!) e una specie di anello/tarallo fatto di pasta d’arachidi. Dice che noi bianchi siamo troppo deboli e questo è il massimo che il nostro stomaco può reggere! Poi ci fa assaggiare il frutto della cola, francamente schifoso! Ci sono poi i venditori di spezie, di ciabatte, di minuterie varie, insomma di tutto un po’. Arrivati sotto un grande mango vediamo un gran giro di gente...persone anziane sedute ai piedi del tronco e tanti ragazzi e ragazze intorno... siamo proprio nel bel mezzo del cosiddetto “segreto” del mercato, ovvero la ragione della scelta della notte. Ci arriviamo da soli ma Paul ce lo conferma: è un luogo di incontro e soprattutto di corteggiamento tra giovani. Alla luce del giorno non potrebbero farlo con facilità, ancora le famiglie contano molto nella scelta del partner. Ma la sera del mercato è zona franca: i vecchi devono starsene in disparte e non intromettersi, i ragazzi corteggiano le ragazze con la... torcia elettrica, puntandogliela in viso con due-tre rapidi lampi e lei deve avvicinarsi... dopo di che, dopo avere visto il ragazzo e chiacchierato con lui, decide se dargli appuntamento o meno per il giorno dopo. Troppo carino! Dopo averlo saputo ci accorgiamo che anche a noi qualcuno nelle tenebre aveva puntato la torcia nei nostri occhi accendendola e spegnendola... ma non lo sapevamo! Grrrr... ci siamo perse un corteggiatore burkinabé!

Martedì 23 dicembre 2008
Giornata tranquilla...dopo le emozioni di ieri. Inizia con la solita capatina alla pompa per prendere l’acqua per doccia e wc, attività tutta femminile che quindi espletiamo noi femmes. Incredibile, quante meraviglie fa la capacità di adattamento: al nostro arrivo la camera-loculo con tetto di paglia e mille fessure da cui entravano animali ci faceva un po’ impensierire... così come la “doccia” fatta con una mezza zucca vuota riempita d’acqua da tirarsi addosso dietro una tenda. Dopo due giorni ci laviamo con grande tranquillità, anzi è così bello starsene nudi in mezzo agli insetti tirandosi addosso l’acqua del bidone! E nella camera-loculo si dorme benissimo, nonostante il fruscio dei gechi e di chissà che altro sul tetto. La prima notte avevamo sentito uno strano verso provenire dal tetto, simile a quello di una tortora. Quando ieri lo abbiamo riudito sulla collina “magica” abbiamo detto “oh, ecco il verso di quell’uccello che ieri era nella capanna... cosa sarà?” e Prosper “ no, quello è il verso delle salamandre.” Sipario. E nostro sguardo di panico. Comunque ogni giorno ci sentiamo più africani!
Stamattina si va a Fada’n’Gourma, a qualche decina di km di distanza, dove c’è un grande mercato. Qui gironzoliamo e curiosiamo, purtroppo senza fare foto perchè tante persone non vogliono e ce lo fanno capire in malo modo. È un mercato vivacissimo e coloratissimo, come tutti i mercati africani. Molto bella soprattutto la parte alimentare, con frutta, verdura e spezie di ogni colore, mentre non vi è assolutamente nulla di artigianato, ed abbastanza deludente è il settore abbigliamento, tutto assolutamente tutto made in China, ed anche della peggiore specie. Eh, sì, è proprio vero che la Cina ha invaso l’Africa.
Andiamo a pranzo al Ristorante dell’Est, molto consigliato dalle guide per l’ottimo cibo e l’ottimo prezzo. Infatti mangiamo molto bene per circa 5 euro a testa in media. Prendo un buon couscous alla carne di montone e anche un assaggio di ottimi spiedini di manzo. Dopo la “sagra del carboidrato” di ieri, oggi ci voleva qualche proteina!
Dopo pranzo andiamo a visitare una cooperativa (governativa) che produce miele. Il miele di Fadà è molto rinomato ma a dire il vero non lo degniamo più di tanto... anche perchè ci lanciamo con gridolini di gioia sul sapone al karitè contro le rughe e sulle creme per il viso!!!
Torniamo presto al campement e quindi passeggiamo e giochiamo un po’ coi bambini. Anzi, un gran bel po’...almeno un paio d’ore di lancio del cestino al di qua e al di là del tavolo, con bambini che da 5 diventano 8 e poi 11 e poi 15 e poi 20...! e tutto col calar delle tenebre, in cui NOI non vedevamo nulla, escluso il candore dei loro sorrisi!
Per cena due eventi assolutamente “clou”: ci viene a trovare Maman Bernardette, tipica anziana un po’ inquietante e un po’ stregona... e una fantastica cena a base di lepre!! Eh, sì, ieri pomeriggio Prosper è andato nella savana a cacciare per noi e ha ucciso una lepre. Ce la mostra tutto contento e orgoglioso e le tre ragazze vegetariane hanno già un mancamento. Io e i tre maschietti, assolutamente onnivori, siamo invece ben felici di assaggiarla, anche perchè è un autentico privilegio riservato a noi ospiti! Prosper (poveretto, pur non capendo affatto le ragioni) differenzia la cena cucinandola a parte e prepara per tutti uno zuppone di igname e piselli, cui poi chi vuole aggiunge la carne (che è duretta...ma ha una “sauce” speziata che è l’autentica prova dell’esistenza di Dio!!!).
Ovvio che la digestione e la nottata non si presentano bene...

Mercoledì 24 dicembre 2008
La nottata post-lepre è andata piuttosto bene, almeno per me, perchè invece la povera Claudia non ha dormito quasi per niente e ha udito un tremendo sciame d’api ronzare furiosamente aggirandosi all’alba tra le nostre capanne e il baobab!
Dopo colazione partiamo per Djoassin, piccolo villaggio ad una dozzina di km di pista completamente dissestata da Tangaye. Qui sono stati realizzati vari progetti di Mani Tese. Visitiamo subito la scuola elementare, realizzata circa 5 anni fa. Oggi naturalmente è chiusa ma il direttore/maestro vive qui, precisamente nel magazzino con la sua famiglia, quindi ci accoglie e parliamo insieme. Si chiama Clemant, ha 35 anni ed è molto in gamba, visto che affronta l’impegno di insegnare -insieme ad un altro collega- a 170 bambini dai 5 agli 11 anni. Ci fa un lungo elenco di cose che non vanno e per cui chiede aiuto, vista la mancanza di appoggio da parte dello Stato che o non ha i soldi o non li vuole dare ma di fatto non fa il possibile per la scuola. Qui ad esempio mancano insegnanti, il cibo per chi resta a mangiare a scuola, il motorino con cui il maestro può andare ai corsi di aggiornamento a Fadà e soprattutto i soldi per la prima classe, che ora praticamente lo Stato ha “cancellato” per mancanza di fondi. E, in conclusione, ci chiede di non dimenticarci della sua scuola, contribuendo per le sue necessità al nostro ritorno in Italia, eventualmente anche con adozioni a distanza.
Subito dopo andiamo a vedere il “forage” ossia un pozzo con relativa pompa, realizzato da Mani Tese pochi anni fa. Anche qui si sprecano ringraziamenti, applausi e sorrisi... ci ringraziano per il progetto ma non mancano di sottolineare cos’altro c’è da fare. E precisamente la formazione per la manutenzione, visto che ora ogni volta che si rompe qualcosa devono fare venire un tecnico (costoso!) da Fadà. E poi pezzi di ricambio. E poi a dire il vero ci vorrebbe anche un secondo pozzo con pompa...visto che questo ormai è troppo sfruttato sia per le persone che per gli animali, con conseguente danno per il terreno, sempre più degradato. Ci mostrano anche dove andavano a prendere l’acqua prima del pozzo... ovvero in alcune pozze di acqua putrescente che si trovano vicino al letto (ora completamente prosciugato) di un fiume. E quindi tutti ribadiscono che urge un secondo pozzo.
Poi andiamo anche in chiesa, una piccola chiesetta di fango e paglia, dove organizzano una breve preghiera in musica con vari tamburi e dove il capo catechista (non c’è parroco, un sacerdote viene di tanto in tanto) ci illustra le esigenze della chiesa, ovvero un nuovo tetto. E anche per questo contano su di noi e sulle offerte al nostro rientro.
Insomma, oggi siamo col morale sotto i piedi. Vediamo situazioni di povertà estrema, veramente le pance e gli occhi dei bambini, insieme agli abiti laceri che indossano, parlano da soli. E capiamo che questa gente ha riposto in noi enormi aspettative. Come potremo reggerle, sostenerle e soprattutto attuarle? E poi a risollevarci il morale ci sono le decine e decine di bambini che ci accompagnano per tutta la mattinata, con sorrisi contagiosi ed una incredibile voglia di giocare. Sono molto più vivaci dei loro coetanei un po’ timidi e un po’ tristi di Tangaye, e quando corrono tutti dietro il nostro Toyota al momento della partenza ci dispiace davvero.
Dopo pranzo andiamo a Djabo, altro paese ad una ventina di km, tutti da fare saltellando fino a sbudellarsi tra le mille buche della savana. Facciamo un giro al mercato, molto meno “occidentale” rispetto a quello di Fadà che sembrava quasi uno dei nostro mercati. Qui a Djabo le bancarelle sono abbastanza improvvisate, molti ambulanti hanno le proprie mercanzie a terra, è tutto molto più semplice e povero. Il centro del mercato è un enorme baobab colmo di frutti e di... avvoltoi! ce ne sono davvero tanti, tutti appollaiati in cima e sono davvero molto scenografici, tanto che ci mettiamo tutti sotto ad ammirare e fotografare fino a che... splash!, una bella cacca di avvoltoio, ingigantita dalla mole dell’uccello e dalla forza di gravità, cade sulla maglietta di Claudia!!
Dopo un rapido giro andiamo al CREN, un centro nutrizionale per neonati e bambini denutriti (orfani, malati, o figli di donne senza latte) gestito da alcune suore. Insieme ad una di loro, una robusta ed energica burkinabè vestita laicamente (che ci offre una specie di pizza con sardine e capperi e dei biscottini fritti... tutto delizioso!) ci fa fare un giro e ci spiega come funziona. Un ottimo lavoro, sia per la cura dei bambini che per insegnare un minimo di igiene alle madri.
Ceniamo al Campement con un pastone di riso e fagioli, che sarebbe anche buono ma dopo il sostanzioso spuntino offerto dalla suora è davvero insostenibile. Stasera in chiesa c’è la veglia della vigilia di Natale: Prosper ci dice che inizia alle 22, quindi mangiamo alla svelta, festeggiamo il compleanno di Paul col nostro regalino e con il suo spumante ed alle 21.45 ci incamminiamo verso la chiesa... e vediamo frotte di persone uscire dicendo “c’est fini!”. E allora capiamo che Prosper ha sbagliato orario, infatti la funzione era iniziata alle 20! Così passeggiatina e poi sbadigli sotto il gazebo... siamo così stanchi che non aspettiamo neppure la mezzanotte per augurarci buon Natale e alle 23.45 spegniamo la torcia e bonne nuit!

Giovedì 25 dicembre 2008
Joyeux Noel! È il primo Natale che non trascorro a Rimini... e francamente ancora non mi rendo conto che dalla parte del mondo dove solitamente mi trovo, oggi trionfano freddo e panettoni, il babbo natale arrampicato alle finestre e la canzoncina “oh happy day”! Qui invece ci sono almeno 35 gradi, una savana polverosa attorno a me, tante capanne dal tetto di paglia e una grande chiesa di lamiera con almeno 1000 persone cha ballano e cantano per festeggiare la nascita di Gesù. La Messa di stamattina è stata veramente un’esperienza forte. Durata più di due ore e mezza, con una ventina di bimbi da battezzare, e canti, tamburi e balli ad OGNI passaggio della liturgia! Una meraviglia. La gente poi è splendida, tutti hanno indossato i loro abiti migliori: le donne hanno abiti tradizionali dai colori sgargianti, con abbinamenti strepitosi, acconciature originalissime e curatissime, bigiotteria coloratissima, brillantini sul viso; gli uomini hanno quasi tutti le scarpe (mentre di solito portano solo le infradito), jeans nuovi e magliette di gusto occidentale, spesso delle squadre di calcio, qualcuno ha dei camicioni tradizionali (addirittura di pizzo...fatti con la stoffa delle tende!) e qualcuno ha nientepopodimeno che completi giacca e cravatta di gessato! Come al solito noi facciamo la figura dei pezzenti... anzi lo siamo proprio, tutti sporchi di terra rossa, con abiti sdruciti e certamente non di bucato. Qui sanno che una volta all’anno gli amici di Michele vengono a Tangaye, per cui non si stupiscono della nostra presenza... ma certo ci guardano con curiosità e secondo me anche con un po’ di compassione. E purtroppo hanno ragione!
Insomma, due ore e mezza di bellezza, cha fa sopportare anche il caldo infernale della chiesa di lamiera.
Il programma della giornata non prevede molto, sia perchè è Natale e anche il valente autista Paul ha diritto ad un po’ di riposo, sia perchè girare per la strada oggi è pericoloso perchè qui Natale significa festa e festa significa bere “dolò” e quindi: ubriacarsi! Oggi sono tutti brilli, dai 5 ai 90 anni! Quindi meglio evitare strade e viaggi lunghi.
Rimaniamo al Campement a fare un po’ il punto della situazione sui progetti visitati in questi giorni, in modo tale da essere preparati quando avremo modo di incontrare Theophile gli ultimi giorni: abbiamo un sacco di dubbi da chiarire!
Ma prima che faccia buio dobbiamo mantenere la promessa di andare a fare visita alla famiglia di Prosper. Ci andiamo a piedi e dietro di noi vengono 5 o 6 bambini che diventano 10 poi 15 poi 20 ecc.ecc. man mano che attraversiamo i vari agglomerati di capanne dove abitano i vari membri della sua famiglia allargata. E ad ogni tappa, un sorso di “dolò” offerto a noi. Quando arriviamo alla casa della madre e della moglie, col bimbo battezzato oggi, abbiamo un numero folle di bambini e ragazzi UBRIACHI dietro di noi! Impressionante, qui davvero ad ogni festa bevono tutti come pazzi, ci sono donne che cantano e ballano urlando sguaiatamente, e bambini esagitati che fanno dannare perchè ti chiedono insistentemente tutto ciò che ti vedono addosso. Mah. Sarà anche caratteristico della loro cultura... ma questa ubriacatura collettiva non mi fa impazzire.
Ovviamente non ci “salviamo” dai bambini neanche al nostro ritorno al Campement e così anche stasera mentre aspettiamo la cena una ventina di piccoli burkinabè (questi per fortuna non ubriachi) stanno a giocare, cantare e ballare con noi. Una presenza costante molto bella ma anche impegnativa: sono capaci di stare lì per ore, anche solo a fissarti se tu non li guardi o cerchi di ignorarli, ma pronti ad illuminarsi se improvvisi un gioco o uno scherzo. Chiedono davvero poco, molto poco: non l’attenzione, quella l’accettano se gliela dai ma non la chiedono... il più delle volte chiedono solo una bottiglia di plastica vuota, che andranno poi a vendere.
A cena cous cous alle verdure e poulet grillé: oggi sono venuti gli anziani di Djoassin a ringraziarci per la nostra visita di ieri donandoci due polli. Quando Prosper si è allontanato nell’erba coi due polli vivi in una mano e il machete nell’altra... le nostre vegetariane sono sbiancate!

Venerdì 26 dicembre 2008
Oggi lasciamo Tangaye. Cosa triste perchè certo qui abbiamo avuto un contatto diretto e davvero “familiare” con la comunità locale, e al tempo stesso cosa bella perchè stiamo iniziando a sentire il peso della turca dietro la tenda, della camera-loculo e dei bambini onnipresenti...
Questa mattina finiamo il lavoro comune di riflessione sui progetti visitati che abbiamo iniziato ieri, poi pranziamo presto e velocemente, visto che alle 12.30 dobbiamo partire per rispettare la nostra tabella di marcia. Torniamo verso la capitale in un viaggio tutto liscio e tranquillo, ma allucinante perchè si svolge dall’una alle tre del pomeriggio, con il sole che batte dalla parte del pulmino dove mi trovo io! Oggi poi è una giornata fetida... caldissima e polverosissima. Il cielo è addirittura grigio ed il sole offuscato per la polvere! Te la ritrovi davvero ovunque, una sottilissima patina rossastra che ti ricopre dalla testa ai piedi. Sfinente.
Avvicinandoci a Ouagadougou ci fermiamo a Laongo, un bel sito di arte contemporanea aperto negli anni novanta. Ci sono molte sculture, tutte ricavate dalle rocce di granito che si trovano già nel parco sede del sito. Ogni due anni il Ministro della Cultura indice un concorso e vengono qui scultori da tutto il mondo. Sono sculture ultra moderne e molto molto belle, davvero da vedere... anche se sono immerse tra erba e piante che in questa stagione secca sono color paglia... chissà che meraviglia nella stagione umida quando è tutto verde!
Arriviamo a Ouaga nel tardo pomeriggio, sporchi da fare paura... e scopriamo che nel nostro quartiere non c’è acqua! Sarà così per un’ora?due ore?tre ore? On ne sait pas! Nooooo!! Siamo praticamente tutti marroni! Per non pensarci mi infilo nel centro internet vicino alla nostra Maison dove telefono e dove ci metto 40 minuti per spedire una sola mail... connessione lenta da fare paura! Non so se avrò il coraggio di riprovarci in futuro.
Ceniamo in casa con spaghetti al pomodoro e piselli. Tutti molto stanchi... Carlo ha la febbre e passa la sera con la tachipirina. È un po’ presto per la malaria, siamo qui da una settimana. Mah, speriamo bene!

Sabato 27 dicembre 2008
Lasciamo Ouaga appena alzati per andare verso nord, direzione Mali. Ma non ci arriveremo, passeremo due giorni a Ouahigouya, dove visiteremo i progetti del movimento contadino NAAM.
Prima però andiamo a casa del pittore di batik Blaise Ouedraogo in modo tale da potere vederli e “ordinarli” per il 6 gennaio. Blaise ci accoglie nel suo cortile dove alcuni pittori sono al lavoro e dove alcuni batik già asciugano all’aria. Ci mostra il catalogo fotografico... ed è davvero difficile scegliere! Tra l’altro costano pochissimo ed è quasi impossibile resistere alla tentazione di prenderli tutti.
E poi via, verso la nostra meta, insieme al nuovo pulmino (ancora più scassato del precedente...ma almeno parte senza doverlo spingere!) e al nuovo autista Faustin. Ci fermiamo a mangiare a Yako, al ristorante “Jardin de l’Amitiè”, dove con lentezza forse eccessiva anche per l’Africa ci servono cous cous con carne e verdure per poco più di un euro a testa.
Poi ripartiamo con la solita calura del primo pomeriggio e dopo un’ora e mezzo arriviamo a Ouahigouya. Qui ci aspetta Francois dell’associazione NAAM che ci accompagna all’hotel; si tratta della Pension La Colombe,che si trova in una via dissestata di un quartiere disastrato di una città che lo è ancora di più. Ouahigouya è una grande città, la quarta del paese, ed è vivacissima, con un grande mercato, tante botteghe, tantissime sedi di associazioni e ONG... ma sembra bombardata ieri. Non c’è un solo tratto di strada asfaltata, neppure nel viale principale del palazzo municipale; ovunque è terra rossa e sporcizia e mondezza e scarichi aperti in mezzo alle strade. In tutto questo “disastro” spicca l’hotel La Colombe, tranquillo edificio bianco con le porte di lamiera azzurra e con tante camere...divertentissime. Ce le mostrano tutte perchè possiamo sceglierle e dobbiamo rigorosamente prenderne una a testa anche se sono tutte matrimoniali perchè dalle loro risate e proteste capiamo che è inconcepibile che due donne o due uomini dormano nello stesso letto. Quindi prendiamo una matrimoniale ciascuno... il che dopo tanta “convivenza” non è affatto spiacevole! Ma l’aspetto divertente è l’arredo: non mancano fiori di plastica, ventilatori decorati con conchiglie color oro, poster di Britney Spears o altre popstar, addobbi natalizi, tv e vangelo, fronzoli e ricami in ogni dove. Poi certo mancano le zanzariere, i bagni buttano acqua, le porte non si chiudono, le piastrelle sono rotte...ma va bene così!
Facciamo un giro al mercato che è quasi buio e molti banchi sono chiusi, ma è ugualmente vivace e pieno di colori. Il nostro accompagnatore ci porta poi in una latteria/bar dove ci offrono – ed è impossibile dire no – un bicchierone di latte fresco ed una tazzona di yogurt naturale zuccherato. Sono assolutamente deliziosi e chissenefrega delle conseguenze sulla panza, tanto più che dopo la mia diarrea iniziale mi sono per così dire sigillata. E allora compriamo anche dei dolcetti tipo plumcake e continuiamo il nostro giro, passando davanti ad un cinema che pure sembra bombardato ieri, dove proiettano “Seven” e davanti al quale un ragazzetto steso a terra si masturba vigorosamente!
Per la cena abbiamo prenotato al ristorante dell’Hotel Dounia, consigliatissimo da Michele e dalle guide di ogni editore. E infatti è veramente un’esperienza da non perdere! Gestisce il tutto una gentilissima signora siriana che vive qui da più di 30 anni; la cucina è tipicamente mediorientale ed è sublime...e ci commuove veramente il poter mangiare un’insalata con un tripudio di verdure tagliate a julienne! Accidenti, da quanto tempo non mangiamo verdura cruda! A guardare come ci avventiamo sui piatti quasi gridando (dinanzi agli altri compassatissimi clienti europei) sembriamo davvero da “Isola dei famosi”! Che vergogna...
A letto prestissimo, attendendo “demain”!

Domenica 28 dicembre 2008
Altra polverosa giornata rossastra. Ci alziamo presto per andare a visitare la radio dei NAAM, “La voix du paysan”. Qui ci aspetta Francois, che lavora qui come tecnico e ci mostra la consolle, lo studio di registrazione ecc. E’ ovviamente tutto molto “ruspante” ma pur nella semplicità non manca nulla. È una radio piccolina, la si sente nel raggio di 5 km! Però oltre a musica e notiziari fa anche sensibilizzazione su temi sociali, sulla salute, ecc.ecc. Claudia ha anche i suoi cinque minuti di notorietà... visto che due tipi la intervistano in qualità di “chef du group” per sapere chi siamo e da dove veniamo! Troppo divertente!
Poi andiamo in pulmino a Tiou, dove la comunità locale ci aspetta. Viaggiamo ancora un po’ lungo strade sempre più rosse, andiamo ancora più a nord, sempre più verso il Sahel, a pochissimi km dal confine col Mali e si inizia a sentire aria di deserto.
A Tiou in effetti troviamo il sindaco, il responsabile dei NAAM locali e alcune donne responsabili dei progetti. Iniziamo col mulino per cereali e arachidi, poi visitiamo la “cave” dove si stoccano, al fresco, le verdure in sovraproduzione, e infine il saponificio dove le donne fanno il sapone col burro di karitè e l’olio di palma. Poi ci sediamo tutti all’ombra ed iniziamo una lunga chiacchierata con tutti i rappresentanti del villaggio. Molto molto interessante, sia perchè ci dicono cosa fanno, sia perchè sono sinceramente ansiosi di sapere cosa si fa in Italia, se è freddo, quanti africani ci sono, quanta agricoltura c’è...che tenerezza, veramente il loro unico parametro per valutare l’economia di un paese è l’agricoltura. Ci parlano della loro attività... una piccola realtà ma vivacissima e organizzatissima. La presenza dei NAAM è capillare e con tanto di struttura gerarchica e organi elettivi. Importantissimo l’impegno dell’alfabetizzazione degli adulti (che parlano solo moorè o quasi, soprattutto quelli che non sono andati a scuola) e quello della lotta alla desertificazione, con attività come quella dei fuochi migliorati (che fanno risparmiare legna) o quella delle “dighette”, sbarramenti con le pietre per rallentare il corso dei fiumi durante la stagione delle piogge e far sì che l’acqua penetri meglio nel terreno.
Lasciamo gli amici di Tiou con la sincera promessa di mantenere i contatti. È bello vedere questa organizzazione, questa voglia di fare e di fare INSIEME in questo angolino di mondo sulla soglia del Sahel, dove anche strappare un pomodoro al deserto è una conquista.
À midi si torna a Ouahigouya per il pranzo al ristorante Caiman, dopo di che ripartiamo per Ouagadougou, dove facciamo la spesa... per cena ha vinto la linea-insalatona! Mi impegno personalmente a inondare tutto di Amuchina...e così ceniamo con pomodori-carote-cipolla-cetrioli-olive-tonno! Evviva! Qualcosa di diverso dalla solita “sagra del carboidrato”!

Il seguito del racconto di questo straordinario viaggio sarà disponibile prossimamente, sempre sulle pagine virtuali di Ci Sono Stato.

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