NOTA INTRODUTTIVA DELLO STAFF DI CI SONO STATO
Presentiamo con piacere un resoconto di viaggio inconsueto, così come è stata atipica l'esperienza che Giovanni ci racconta. Rispetto agli articoli presenti nell'ampio archivio di Ci Sono Stato, il lettore non troverà l'abituale suddivisione in paragrafi, mirati a fare da traccia per chi voglia, eventualmente, intraprendere un analogo viaggio: troverà invece, dopo un po' di indicazioni "tecniche", il puro diario di venticinque giorni vissuti e narrati di getto con raro coinvolgimento.
Non solo, il viaggio di cui state per leggere la cronaca risale a diversi anni fa: certe notizie pratiche e situazioni riferite possono, quindi, essere state superate dai Tempi. Riteniamo però che esperienze come queste sfuggano a ogni connotazione di ordine cronologico e meritino di essere conosciute, per l'intensità umana che le caratterizza, a prescindere da tutto il resto.
Siamo certi che le tre "puntate" del diario saranno apprezzate (così come è stato per noi nell'allestirle) dal pubblico di Ci Sono Stato, anche se non vi si parla di villaggi vacanze, assortimento del buffet, temperatura del mare e animazione.
O magari proprio per quello, chissà…
PRESENTAZIONE
Alle porte del 2000, quando le fantasie di Verne sono diventate realtà, andare per le strade del mondo può sembrare fuori dal tempo, può essere considerato inutile.
Non è così, almeno non lo è per me che, stanco di una vita soffocata dal consumismo, stanco di tutto ciò che sono le regole, stanco di tutta quella gente che rincorre miti di cartapesta, decide di partire.
Partire, lasciare tutto per seguire un orizzonte che forse riuscirà a darmi la libertà, una libertà vera. Fuggire lontano, fuggire dalla noia cupa che nasce dalla routine di ogni giorno che scorre sempre uguale ai precedenti.
Il bisogno di evadere, il desiderio di avventura è qualcosa che si agita in noi e stimola giorno dopo giorno a scoprire, a conoscere la vita per essere padroni della propria esistenza, essere quindi se stessi, in ogni circostanza, è il vero significato della parola libertà.
A volte ci si limita a sognare ciò che pare irrealizzabile senza osare tradurlo in realtà, sapendo che, spesso, usiamo l’aggettivo “irrealizzabile” soltanto per comodo. Allora ci si infuria con se stessi, si vorrebbe rivoltare il mondo per cancellare un passato che , forse, ha dato assai poco. Nasce così il desiderio di staccarsi dalle solite persone mediocri ed ipocrite, che non hanno gli stessi nostri ideali, che non credono in ciò che crediamo noi, per isolarsi e riflettere ricercando un’identità costituita da altri valori.
Una volta tanto c’è pure il desiderio di abbandonare tutto per cercare una risposta ai nostri intimi perché, che formuliamo osservando certe dure leggi della vita senza comprenderle.
Fatalmente al ritorno da ogni avventura si ritroverà il proprio ambiente, e più che mai sarà difficile reinserirsi nell’atteggiamento della vita di ogni giorno, quindi diverrà arduo accettare un compromesso con se stessi, qualunque esso sia. Fondamentalmente però ci si accorgerà di essere diventati ricchi spiritualmente.
Prima o poi verrà ancora voglia di partire per scoprire spontaneità, semplicità, sincerità; ed il pensiero di poter ripetere queste esperienze ci aiuterà ad accettare la nostra realtà.
Nell’intimo di ognuno di noi si agitano contemporaneamente o si alternano gioie ed amarezze, abbattimento ed euforia, disperazione e freddi ragionamenti logici che anch’io di volta in volta ho provato e provo a seconda della circostanza che vengo ad affrontare.
Molte persone del resto sono soggette ad improvvisi cambiamenti di umore; e d’altra parte che senso avrebbe la vita se tinta completamente di nero o di bianco senza alcuna sfumatura?
Raramente un giovane non ha mai sognato di avventurarsi in località sconosciute e remote, però esiste una sostanziale differenza fra l’avventuriero vero e proprio, che se vogliamo è dotato di vera e propria vocazione, ed il sognatore, il quale di fronte ai sacrifici che comportano questi viaggi si arrende. Spesso è destino dell’avventuriero vedere che il mondo lo raggiunge, ed il bisogno di viaggiare nasce da un’esistenza di spazio in cui muoversi, in luoghi dove non esistono barriere, dove si è liberi o forse si crede di esserlo.
Si dice che non ci sia più nulla di sconosciuto, non esiste più il rischio ignoto, ogni situazione può essere prevista e calcolata ma ci sono luoghi che al solo nominarli, evocano immagini di fascino e mistero.
Il mondo di Livingstone e degli Stanley è finito, ma ripercorrere le loro tracce significa poter cogliere atmosfere perdute ed affascinanti.
È sulla sorta delle considerazioni suddette che ho deciso di percorrere le vie dell’Africa In un raid che si è trasformato quasi in un’odissea. Steppe infuocate, piste e gente misteriosa, costumi, popoli dalle nobili origini che si perdono nel tempo. Il pensiero affascinante di una Africa misteriosa stimola alla ricerca di un’avventura diversa e, piano piano, cresce un entusiasmo tale che si carica sempre di più col tempo fino a quando non può più restare un sogno.
Viaggiare non è solo una vacanza, bensì molto di più; è una scuola di vita che ci porta ad osare per vedere, vedere per conoscere, conoscere per amare. In una società emancipata e progredita, che offre bellissimi testi di geografia e tanti libri, dove le agenzie turistiche ti portano dove vuoi, in qualunque Paese, è forse preferibile guardare con i nostri occhi, se ancora ci appartengono!
Ci sono cose che desideriamo tanto pur ignorandone il motivo profondo; forse cerchiamo forti emozioni, o più semplicemente un contatto intimo con la natura che amiamo. Del resto qualche volta occorre dar vita ai sogni più belli.
Nelle mie esperienze di viaggio ho potuto constatare un notevole miglioramento nel mio carattere; ho acquistato una certa sicurezza anche nelle valutazioni più difficili e poi, perché no, sono riuscito ad avere un giudizio più sereno sull’esistenza ed a riconciliarmi con la vita.
Mi vengono inculcati tanti falsi valori, quali valori reali, per cui spesso finisco per credere che la felicità sia un dono del successo e del denaro. Poi qualcosa in me si ribella ed arrivo alla conclusione che c’è ben altro da vedere e da scoprire. È per questo che ogni tanto decido di partire, sempre alla ricerca di qualche particella di verità.
QUANTA STRADA
Quanta strada ho percorso: ricordo il mio primo viaggio.
Nel 1981 con una FIAT Ritmo compio l’intero giro della Francia (km 3500); un anno dopo, sempre con la stessa auto, percorro le strade di Svizzera, Germania, Lussemburgo, Belgio e ancora Francia (km 4000).
Nel 1983 a causa del servizio militare sono costretto a rinunciare; non importa, l’anno prossimo mi rifarò con qualcosa di interessante.
Infatti nel 1984 il primo vero raid: Casorezzo-Nordkapp. In soli 18 giorni percorro l’intero giro della Scandinavia macinando quasi 10000 chilometri. Le renne, i lapponi, il camping di Fakse (Danimarca), le grosse bistecche cosparse di marmellata, il salmone affumicato (molto buono) hanno lasciato un ricordo indelebile nella mia mente. Dimenticavo le belle ragazze nordiche, quante emozioni.
1985: il 2 Agosto m’imbarco da Venezia sull’Espresso Egitto: "Destination Lake Nasser".
Dopo tre giorni di navigazione con breve sosta in Grecia, sbarco al porto di Alessandria d’Egitto. Dopo lunghe pratiche burocratiche devo subito darmi da fare per sostituire il cavo della frizione della mia A112. L’impatto con il continente nero è tremendo. Sinceramente non mi sarei mai immaginato un caos di questo tipo.
Alessandria è un continuo andare e venire di carretti, gli automobilisti guidano tutti come pazzi, appena mi fermo per chiedere informazioni sono circondato da una miriade di bambini, i quali, allungando una mano, mi chiedono il “bakshish” (mancia). Sembra quasi un incubo, ma voglio andare avanti.
Nella capitale egiziana i prezzi degli alberghi sono proibitivi e decido di accamparmi nei pressi delle Piramidi. Pian piano mi abituo a questo tipo di vita e, nonostante il caldo, percorro in media 500 km al giorno. Ad Assyut sono ospite della polizia, finalmente posso lavarmi. Assisto a scene di vita quotidiana che non mi sarei mai immaginato. Come sono diversi da me.
Il giorno successivo raggiungo l’oasi di El Karga percorrendo per 600 km. le piste del deserto libico. La sera di nuovo al “Police club”. Oggi è giorno di festa al club, sta per essere celebrato un matrimonio. Voglio curiosare un po’, ma finisco per farmi beccare dal capo del club, il quale è felicissimo di invitarmi alla grande festa. Sono emozionato, tutti mi guardano, forse attratti dal mio look non certo adatto ad una festa del genere. I bambini mi toccano continuamente, mi invitano a ballare, è quasi un sogno.
I sogni finiscono presto e con un pizzico di malinconia lascio Assyut per imboccare la strada che costeggia il Nilo. Nel primo pomeriggio sono a Luxor. La colonnina del termometro sfiora i 50°, sono a pezzi, a volte mi chiedo se valeva pena continuare. Non è da me arrendermi, voglio arrivare fino in Sudan, solo là sarò in pace con me stesso.
12 Agosto, ore 12.30: è fatta, dopo un viaggio di 350 km. in un deserto di roccia mista a sabbia sono ad Abu Simbel, davanti a me appare grandioso il tempio, sulla mia sinistra il lago Nasser. La gioia è immensa, forse indescrivibile. Come poter raccontare ciò che hanno visto i miei occhi.
La via del ritorno corre veloce, Aswan, Luxor, sono felice, canticchio, fischio, quanta gioia! A Qena decido di seguire la pista per Bur-Safaga, sulla carta è segnata con un incoraggiante "very good". Mamma mia che strazio, è un continuo traballare, le buche si contano a migliaia, inoltre la strada continua a salire verso le montagne del deserto arabico. Il paesaggio è incantevole, ma i miei nervi e la piccola A 112 sono quasi al limite.
Dopo ben 17 ore di guida sono a Hurghada, il vento soffia forte, le onde spumeggianti del Mar Rosso accarezzano la bianca spiaggia; per un po’ rimango ad ammirare questa meraviglia, poi mi tuffo dove l’acqua è più blu. Da Hurghada al Cairo, ancora deserto, ma contrariamente al primo, il paesaggio non è gran che.
Il Cairo con i suoi 15 milioni di abitanti è la più grande città dell’Africa. Percorrere le sue vie è come percorrere un formicaio, gente che va, gente che viene. Nelle vie del mercato di El Khalili c’è di tutto: dal bambino che allunga la mano e che chiede il solito “bakshish”, al vecchio che fuma il narghilè, alle donne che con forza trascinano il carretto. Nonostante questa miseria noto una certa fierezza nella gente che vive in questo quartiere.
Cosa dire dei miei 4700 km. percorsi nella terra dei Faraoni, in questa terra che ha visto nascere una civiltà ormai perduta, ma tanto grande da affascinare i miei sogni di bambino e da lasciarmi meravigliato ancora adesso, a più di 4000 anni di distanza?
Sarebbe inutile tentare di descrivere le sensazioni che ho provato visitando delle meraviglie archeologiche degli antichi egizi, sono state talmente contrastanti, ma sicuramente molto simili a quelle di chi, fra di voi, ha già visitato questi luoghi. Ciò che invece mi ha colpito di più in questo viaggio è qualcosa che in partenza non avrei mai pensato di trovare, la stupenda, accattivante umanità che la gente egiziana possiede.
Sono partito, infatti, prevenuto dall’Italia perché le notizie che da noi circolano sull’Egitto non sono delle migliori, tanto da mettere sempre in luce la tremenda sporcizia del paese e dei suoi abitanti, l’incuria e l’arretratezza di questi ultimi.
Che la sporcizia ci sia è inutile negarlo, ma non è spaventosa come si vuol far credere e, quanto agli abitanti, secondo me sono sempre un mondo tutto da scoprire, che va toccato con mano, giorno per giorno, per riuscire ad avere una immagine veritiera.
Non ho mai scelto il tipo di viaggio organizzato perché è triste vedere come spesso anche chi viaggia con le agenzie più specializzate vive un viaggio quasi come un documentario che va guardato, ammirato, fotografato, ma senza mai calarsi nella realtà di chi si ha davanti. Così si finisce per tornare a casa con la convinzione che tutto ciò che si pensava prima di iniziare il viaggio, fosse l’esatta realtà. Ma è così che si può giudicare con obiettività?
Invece è facile lasciarsi andare agli usi locali, alla passeggiata serale lungo il Nilo con i negozietti locali pronti ad offrirti un thè per il solo piacere di parlarti, al ristorantino tipicamente egiziano, alla caffetteria dove è piacevole stare a conversare mentre i locali fumano il narghilè. Insomma basta vivere la loro vita per accorgersi che la realtà egiziana è completamente diversa da come pensavamo che fosse. La gente è felice di vederti, di incontrarti, di ospitarti, è felice di farti vedere la propria casa ed il modo di vivere, è felice di aiutarti. Spesso bastano i soliti petulanti ragazzini con la loro ossessionante richiesta della mancia per convincerti che gli egiziani sono tutti pezzenti e mendicanti.
È facile cadere in errore, ma proprio questi bambini, che solitamente fanno la corte ai turisti, mi hanno accompagnato per le viuzze di Giza rifiutando poi, la mancia che gli offrivo. Questa gente allora è pronta a sfruttare il turismo perché con esso vive, ma quando hai bisogno di aiuto, quando cerchi la loro amicizia, quando cerchi di essere uno di loro e non un turista, allora potrai accorgerti di quanto siano gentili e di quanto siano semplici, con tutto quanto di buono questa parola può significare.
PERCHÉ "OLTRE IL SAHARA"
L’Africa ha il potere di trasformarmi completamente, facendomi diventare un’altra persona.
È una terra così affascinante che appartiene ad ogni uomo; è veramente dentro di me e quando sono lì, quando la vedo, ho come la sensazione di conoscerla da sempre, di esserci già stato, tutto mi sembra diverso, oppure antico, in qualche modo già conosciuto.
Nel deserto sono riuscito a gustare questo paesaggio sconfinato, quasi crudele, in parte inesplorato.
Qualche ciuffo d’erba, qualche cespuglio ingiallito dal sole, qualche lucertola, i dromedari che corrono all’orizzonte, il paesaggio è lunare, ma non riesco a vedere oltre l’infinito, qui sta il vero motivo dell’inquietudine che ho dentro, l’inconscia spinta alla ricerca di novità, il desiderio di andare al di là delle cose e bucare il muro dell’invisibile.
Andare verso l’Africa vuol dire cercare un contatto diretto con la natura e con l’uomo che lo abita, contatto che, in una società soffocata dal consumismo e stimolata solo dalla sete di progresso, non è più possibile avere, perché qui tutto è calcolato, tutto è programmato, il tempo, i minuti, i secondi sono diventati degli “idoli” da rispettare.
In Africa la proporzione della natura è dominante; è la natura che vince su tutte le tentazioni di sostituirla con qualcosa d’altro, rimane l’unica interpretazione possibile per un contatto che qui rimane esclusivo tra gli elementi naturali e l’uomo.
Grandi i fiumi, grandi le savane, grandi gli animali: grande quindi il senso di subalternità che avvince, sgretola ogni velleità porta a godere nel totale abbandono di ogni certezza e riferimento abituale.
Al tramonto, quando la natura si placa, il vento, che ha accompagnato tutta la giornata, cessa il suo urlo e la sua rabbia, il caldo si mitiga, e tutto si distende; ovunque regna una grande pace come se elementi e uomini volessero rifarsi dopo la grande battaglia del giorno e del sole.
Il tempo passa non turbato dalla fretta né dall’orologio. Nessun impegno mi assilla, nessun rumore mi disturba. Mi sazio così, in silenzio, mentre nel cielo si accendono le stelle. Chi non ha visto non può credere cosa siano le stelle nel deserto, per il deserto. Pochi spettacoli della natura sono così come un mare di dune sotto il cielo, sabbia e cielo separati da un tratto di linea orizzontale: nient’altro.
Questa sabbia che mi scivola tra le mani è ciò che resta della storia passata, delle civiltà che vissero qui. Camminare sui granelli di sabbia che non temono né il leone né la pantera, mi rende felice. Questa terra deserta e sconfinata fugge veloce al mio sguardo come carezza impalpabile.
La prima impressione che mi ha lasciato questa avventura fra le dune è stata quella della libertà. Una libertà nuova, ampia, autentica, gioiosa. L’aver scoperto che sono nulla che non sono responsabile di nessuno, mi ha dato la gioia del bambino in vacanza e… nonostante il sole del mattino, ho visto ancora le stelle e come il deserto me le aveva avvicinate. Sulla terra è il silenzio che ha la voce più bella per parlarci. Molti viaggiatori partono perché intuiscono queste sensazioni, tornano in Africa perché non possono più farne a meno: il mal d’Africa li porta a cercare una situazione emotiva inimitabile.
Africa come pianeta, con le sue genti e l’impenetrabilità delle abitudini; chilometri e chilometri di solitudine per entusiamarsi in un incontro apparentemente insignificante, e poi, spingersi di nuovo verso la nullità del deserto, il silenzio, l’assenza di tutto. Africa delle piste: tagli profondi nelle foreste, interminabili solchi che si esauriscono chissà dove, oltre la mappa ufficiale; Africa dalle immagini improvvise: acqua, vegetazione molle, terra secca, roccia piatta e orizzontale e pietra gotica nelle montagne bizzarre; Africa della velocità per il ghepardo, Africa dal ritmo lento per le piroghe sui fiumi.
Accanto alle ferite del suo cuore più povero, c’è anche lo spazio per viaggiare e capire: c’è l’Africa da inghiottire mentre ci si lascia sopraffare; ha il prepotente senso di appartenenza alle più grandi forze della natura.
Dall’Atlantico al Mar Rosso corre il Sahara, un immenso rettangolo di acqua e pietra, il deserto che ha occupato con prepotenza una grossa parte del continente africano.
Imboccare le sue piste significa perdersi in un mare infinito, un mare che non ti darà pace, finché non sarai là, "oltre il Sahara".
L’ATTESA
Organizzare un viaggio come il nostro potrebbe anche essere semplice per chi dispone di una certa somma di denaro, ma non per noi.
I problemi incontrati nella sua preparazione sono stati molti, forse troppi, ma quando la voglia di partire arriva ad assillarti, giorno dopo giorno, allora, non ci si arrende così facilmente; si vorrebbe rivoltare il mondo pur di vedere le cose andare per il verso giusto.
Il chiedere aiuto agli sponsor diventa sempre più difficile, soprattutto per due nomi come Pietro e Giovanni che, forse, potrebbero dire qualcosa solo ad un sacerdote. Quindi, tanto impegno e tanta faccia tosta sono le prime doti richieste per la ricerca di qualche soldino o di qualche accessorio.
Molte volte ho sentito denigrare il mio lavoro, molte volte ho incontrato gente pronta ad approfittare della mia situazione; non importa, la mia battaglia continuerà e non sarà certo quel sig. Grillo, che con le sue frasi diplomatiche ha tentato di prendermi per i fondelli e di far naufragare il mio vascello. Fortunatamente le persone non sono tutti "Grilli" e, anche se le mie mete possono sembrare un’utopia, Ambra, Adelino, Donata, Carla e tanti altri, hanno saputo apprezzare la mia iniziativa. Se il mio lavoro sta diventando sempre più interessante devo ringraziare anche loro che, nonostante i loro molteplici impegni, hanno sempre trovato un po’ di spazio anche per me.
Durante i preparativi ho avuto occasione di conoscere molta gente, gente di ogni tipo; dall’industriale all’avventuriero. Ricordo tutte le frasi dette, tutti i consigli, i rimproveri, ma ricordo in modo particolare l’incontro con Giorgio Caeran. Giorgio, 34 anni, comasco, è forse un esempio da seguire. Il suo coraggio, la sua tenacia, la sua umanità, lo hanno portato ad imprese indimenticabili ed invidiabili. Nell’ormai lontano 1977 percorse con la sua Vespa le strade dell’India; quasi 23000 km tra mille disavventure e popoli sconosciuti. Sempre tenace e sempre con una gran voglia di conoscere, ha poi percorso le vie dell’Africa occidentale. Ascoltare Giorgio è incantevole; le sue frasi, il suo modo di parlare, i suoi sentimenti, non possono non far riflettere chi ama l’avventura.
Problemi, problemi, ancora problemi, non ne posso più. A volte il morale non è dei più carichi, d’altro canto era prevedibile anche questo, altrimenti che gusto ci sarebbe se tutto filasse liscio come l’olio. Anche per i lavori più belli e più amati, occorrono dei momenti di riposo e di riflessione, ormai sono cinque mesi che, giorno dopo giorno, senza soste percorro questo cammino.
Ho bisogno di riposo, di evadere, di dimenticare tutto per qualche giorno. Via dal lavoro che ormai mi sta dando molto poco, via dalle solite persone ipocrite. Un pullmino, qualche amico vero, quattro soldi in tasca e tre giorni ad Amsterdam riescono a regalarmi la giusta carica per gli ultimi preparativi del viaggio. A parte qualche giorno di riposo che mi permetto di prendere, c’è ancora molto da fare per la preparazione di questo raid, ma tutti questi sforzi saranno sicuramente ricompensati da emozioni indimenticabili che vivrò in prima persona in quella magnifica terra che chiamiamo il "Continente Nero".
FORMALITA’ E INFORMAZIONI GENERALI
Disposizioni sanitarie
Prima di partire per un raid africano, è necessario informarsi bene riguardo le norme profilattiche volte a prevenire le infezioni. In alcuni paesi africani è necessario il certificato internazionale di vaccinazione contro la febbre gialla e contro il colera. Per queste vaccinazioni è necessario rivolgersi all’ufficio d’igiene. La validità legale di questi certificati si differenzia a secondo del tipo di vaccino effettuato. Per il vaccino contro il colera la validità è di sei mesi a partire dal sesto giorno dopo l’iniezione del vaccino. Per quanto riguarda il vaccino contro la febbre gialla, la sua validità è di dieci anni a partire dal decimo giorno dopo la prima vaccinazione o dal giorno stesso di una rivaccinazione fatta prima dello scadere di dieci anni dalla precedente. Oltre a questi due vaccini obbligatori non bisogna dimenticare le altre precauzioni sanitarie altrettanto importanti. Per quanto riguarda la profilassi antimalarica, è necessario analizzare con cura le zone da attraversare. Nel mio caso ho ritenuto opportuno effettuare una profilassi a base di clorochina e metakelfin. La profilassi antimalarica dovrà essere iniziata una settimana prima dell’attraversamento delle zone infette e prolungata fino a sei settimane dopo il rientro. La dose di mantenimento da me presa in considerazione è la seguente:
- clorochina: due compresse al giorno, una volta alla settimana sempre nello stesso giorno. (lunedì);
- metakelfin: una compressa alla settimana sempre nello stesso giorno, in un giorno diverso da quello di assunzione della clorochina (giovedì).
Altrettanto importante è il "neotyf", è un vaccino per l’immunizzazione contro la febbre tifoide. La dose vaccinante è costituita da nove capsule da ingerire, suddivise in tre giorni alterni. La sua validità è di due anni. Considerato che la sostanza è sensibile agli antibiotici, sulfamidici e antimalarici, la profilassi antimalarica va effettuata non prima di una settimana dall’ultima somministrazione di "neotyf". Inoltre anche se può sembrare esagerato, sarebbe opportuno ricorrere al "globuman", si tratta di un paio di iniezioni da 2ml ognuna, efficaci contro l’epatite virale per un arco di tempo di sei, sette settimane.
Prima della partenza è bene farsi visitare dal dentista; il Sahara non è certo il luogo ideale per farsi togliere i denti…
FARMACIA DI VIAGGIO E PRONTO SOCCORSO
Un paio di forbici - laccio emostatico - una “coperta spaziale” di sopravvivenza - compresse o bustine di polvere per disinfettare l’acqua: euclorina, steridiolo a rapida idrolisi oppure micropur - amuchina - bende ,garze sterili e cotone idrofilo - retine tubolari - 20 gr. di mom (polvere antiparassitaria) - disinfettanti intestinali e antidiarroici (bimixin, bassado, mexaform) - disinfettante per uso esterno (mercuro-cromo, acqua ossigenata) - reintegrante salino (polase) - aspirina e antinevralgici - pomate per scottature – collirio - un prodotto polivitaminico (enervit) - autan e spirali fumogene (vulcano)
LA PREPARAZIONE DELL’AUTOMEZZO
E' una cosa molto importante per chi deve affrontare un viaggio nel Sahara.
Chi ha la fortuna di possedere una Land-Rover o una qualsiasi fuoristrada, non deve fare un gran lavoro per affrontare le piste. Per quanto riguarda le normali vetture da turismo e in particolare “Cartizia”, occorreranno una serie di modifiche molto importanti prima di affrontare il deserto. La prima modifica effettuata è stata l’applicazione di una slitta di protezione sotto la coppa dell’olio e sotto la scatola del cambio. Questa slitta è stata ricavata da un foglio di lamiera dello spessore di 1,5 mm opportunamente sagomata e applicata con bulloni ai longheroni della vettura.
Questo accorgimento permette oltre ad una maggior protezione degli organi sopraccitati un minor sforzo per il disincaglio della vettura in caso di insabbiamento. Un’altra modifica importante ma non effettuata, sarebbe stata l’applicazione di un filtro dell’aria a bagno d’olio in sostituzione al normale filtro a cartuccia, il quale potrebbe essere insufficiente data l’eccessiva polvere presente nell’aria.
Un filtro (quelli in carta sono ottimi) posto tra la pompa della benzina e il carburante è sufficiente a trattenere le impurità presenti nel carburante. Questi tre accorgimenti sopracitati sono essenziali per poter affrontare le piste del Sahara con un minimo di sicurezza.
Prima della partenza sarà bene effettuare un attento controllo alle bullonerie degli organi principali della vettura. Quando si parte per un viaggio come “oltre il Sahara” si vorrebbe portare ogni pezzo di ricambio e ogni accessorio; purtroppo il carico disponibile è sempre limitato e l’eccessivo carico della vettura potrebbe provocare guasti irreparabili. Occorrerà quindi, fare una scelta molto attenta, nei paesi africani i concessionari non forniscono certo il meglio del servizio. Con un po’ di fortuna e un po’ d’impegno, si potrà reperire il materiale da uno sfasciacarrozze.
I principali pezzi di ricambio portati durante il viaggio sono stati i seguenti:
un filo di frizione e filo acceleratore - un ammortizzatore anteriore e uno posteriore - una pompa acqua e pompa benzina - manicotti e tubetti vari - bulloni, dadi, viti e fascette di vario tipo - filtro benzina - serie di lampadine - due ruote di scorta - due camere d’aria - quattro candele.
Per il disincaglio della vettura nei casi di insabbiamento, è necessario disporre di due piastre da sabbia; queste sono ottenibili da un foglio di lamiera opportunamente sagomato e forato, in modo da renderle leggere e nello stesso tempo robuste.
Da non dimenticare la pompa a pedale, sulla sabbia molle è necessario ridurre la pressione dei pneumatici, a volte anche del 60%.
SCHEDA TECNICA DI "CARTIZIA"
Tipo di auto: RENAULT 12 TS
Motore a 4 cilindri di 1289 cc, cambio a 4 marce.
Potenza max: 62 Cv (DIN) a 5500 giri/m
Velocità max: 150km/h
Peso a vuoto: 915 kg.
Consumo: 10 litri ogni 100 km.
Anno di immatricolazione: 1976
Prima di partire per questo raid, il tachimetro indicava 116.480 km.
Il viaggio è stato realizzato nel 1986.Diario di viaggio
1° Novembre
È il primo Novembre, fra qualche ora arriveranno i miei amici per l’ultimo saluto prima della partenza.
Ormai da qualche ora mi giro e rigiro nel letto, senza riuscire a prender sonno, ciò che mi aspetta questa mattina mi preoccupa moltissimo, non ho mai avuto tanta gente attorno.
Alle 7 non posso più rimanere nel letto, mi alzo e sveglio anche Pietro.
Una semplice colazione e poi arriva il momento di indossare la tuta da battaglia: mi guardo allo specchio con un pizzico di narcisismo, mi sistemo i capelli e mi guardo negli occhi forse un po’ preoccupati. Il campanello suona, sono i miei amici, mi fanno una grande festa, ma io non riesco a dire una parola.
Alle 9,15 è ora di recarsi nella piazza del mio paese per la presentazione del viaggio e per la partenza. Salgo sul sedile posteriore della macchina di Maurizio e partiamo. Maurizio inizia a suonare il clacson a festa, la cosa mi da molto fastidio e, dopo averlo pregato di smetterla, sono costretto a mollargli qualche pugno sulla spalla; inutile, continua a suonare senza sosta fino alla piazza. Non c’è molta gente e la cosa mi rende un po’ felice.
Illusione, pura illusione, perché i curiosi non tardano ad arrivare. Mi avvicino a Cartizia, nome che Carla e Patrizia hanno dato alla nostra vecchia R12; la guardo per l’ennesima volta e penso:" come potrà arrivare alla meta?”, ma vengo subito distolto dai miei pensieri dalle domande della gente che, incuriosita, si fa sempre più numerosa. Verso le 10 Antonietta si avvicina al microfono; sono emozionantissimo, richiama la folla all’attenzione e inizia un discorso formato da semplici parole ma il tono e la convenzione con cui le pronuncia mi portano alla commozione.
Non sono l’unico, anche Pietro ha la testa china e non dice nulla; la gente è sempre perplessa, non riesce a capire il perché di una cosa simile, ma mentre si interroga io, sto solcando la frontiera tra il sogno e la realtà.
Ore 11, è ora di partire; un ultimo saluto a papà e a mamma che non riescono a trattenere le lacrime e poi, come scrissero i miei amici sul loro biglietto di auguri: "è giunto il momento di alzare le vele, prendere i venti del destino ovunque spingano la barca; dare un senso alla vita può condurre alla follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio, è una barca che anela al mare oppure lo teme…".
Scortati dai motociclisti del Motoclub Azzurra di Casorezzo, sfilo tra le vie del paese dando l’ultimo saluto ai miei paesani; percorro questi ultimi metri nel mio paese con un nodo alla gola come mai prima d’ora.
I motociclisti ci fanno strada fino all’imbocco dell’autostrada ad Arluno... un ultimo saluto ai centauri, qualche foto e poi il ritiro del biglietto autostradale dà inizio ad una corsa festaiola sulla Milano-Fiori. Siamo in anticipo e sfruttiamo questo ultimo tempo disponibile per far sosta in un’area di servizio.
Dopo circa mezz’ora ripartiamo, dietro di noi, sulle auto dei miei amici, c’è gran festa.
Alle 14.30 siamo a Genova, attraverso la città e dopo qualche chilometro facciamo ingresso al porto. Subito sbrigo le pratiche burocratiche poi rimango in compagnia dei miei amici. L’attesa è snervante, non ne posso più, vorrei correre sul traghetto e poter partire subito, ma c’è ancora un’ora da aspettare prima dell’imbarco.
Mi guardo attorno, non vedo altro che Land Rover, Toyota e motociclette superattrezzate; penso a lungo alle piste del deserto, alla sabbia, alla savana e alle altre mille difficoltà che dovremo superare, guardo Cartizia, chissà se riuscirà ad arrivare fino in fondo.
Finalmente alle 16.30 annunciano l’imbarco; è ora di salutare gli amici. Tutti mi incoraggiano, anche Patrizia con le lacrime agli occhi mi vorrebbe dire qualcosa, ma come al solito non parla. un ultimo abbraccio e poi fuggo verso la rampa d’imbarco.
Per circa mezz’ora dobbiamo vedercela con personale di bordo per il posto in cabina, poi possiamo uscire sul ponte, i miei amici non mollano, sono ancora lì, alle 18 in punto il traghetto Habib alza gli ormeggi: si parte! Saluto gli amici dal finestrino e poi eccomi qua, da solo, a cercare di ricostruire questa giornata.
2 Novembre
ci svegliamo molto presto, mangiamo qualcosa e facciamo subito conoscenza con cinque ragazzi di Firenze; la loro meta è Agadez. La giornata è lunga e noiosa, vorrei già essere sulle piste del Sahara e invece… Finalmente alle 16.30 in un orizzonte offuscato, appare la costa africana, fra poco si sbarca e inizierà la grande galoppata; dopo circa un anno eccomi qua, di nuovo sul continente africano alla ricerca di sensazioni forti e momenti irripetibili.
Sbarchiamo velocemente e anche il controllo dei passaporti è veloce, ma come prevedevo il controllo doganale è lungo e noioso, per di più rallentato da quel maledetto sacco di occhiali portato con noi per poterne fare dono alla gente del posto. Dopo qualche discussione fatta col capo della dogana, mi viene annotato sul passaporto l’importazione di 100 paia di occhiali; peccato, vorrà dire che i tunisini rimarranno ancora abbagliati dal sole.
Usciamo dal cancello del porto alle 19, ad attenderci c’è Janel, un mio carissimo amico di vecchia data. Con lui raggiungiamo la sua abitazione che dista dalla capitale tunisina una cinquantina di chilometri. La strada è buia e l’asfalto sembra un gruviera: è molto difficile guidare in queste condizioni.
Alle 21 arriviamo a Tebourba, il piccolo paese di Janel; ad attenderci c’è l’intera famiglia, ci fanno una gran festa e ci offrono una bella cena. Passiamo poi la serata parlando con i famigliari di Janel.
3 Novembre
La sveglia suona presto, sono le 5.45. Un’abbondante colazione dà il buongiorno al mattino, qualche foto ricordo e poi… subito in macchina; alle 9.30 ho un appuntamento a Kairouan con i cinque ragazzi di Firenze.
Il cielo è nuvoloso e soffia un forte vento; nei pressi di El Fahs inizia anche a piovere. Percorro questa strada con un impulso irrefrenabile che mi porta verso il deserto più avventuroso.
Alle 10.30, con un’ora di ritardo, sono a Kairouan; cerchiamo gli amici fiorentini e poi corro subito alla ricerca di una banca per poter cambiare qualche dinaro tunisino. Prima di lasciare la città facciamo rifornimento e poi, con il deserto nei pensieri, corro veloce lungo le piste facili della Tunisia dei turisti, per poter sfiorare oasi celebri come quella di Gafsa.
Purtroppo all’attraversamento dell’oasi siamo bloccati da uno strano rumore della vettura, sembra provenire dal cambio. La cosa non ci preoccupa più di tanto, ma strada facendo il rumore si fa sempre più assordante.
In compagnia di questo rumore e di una forte tempesta di sabbia, alle 16.30 arriviamo a Nefta; non siamo tranquilli e io preferisco cercare subito un meccanico. Dopo aver vagato per tutta la città, troviamo un meccanico… ci si potrà fidare? Sembra molto sicuro di sé; avvia il motore, dà un’occhiata sotto l’avantreno e dopo qualche secondo di riflessione dice: "Italiano, sei fortunato! Manca solo l’olio nella scatola del cambio". Accidenti, possibile che Renzo, il mio meccanico, si sia dimenticato di rabboccare il livello?
Con qualche dinaro riusciamo a sistemare l’inconveniente e ci mettiamo subito alla ricerca di un posto dove passare la notte. Mentre giriamo per Nefta alla ricerca di un camping, incontriamo quattro motociclisti di Rimini e con loro passiamo la serata in una capanna posta al centro dell’oasi.
Dopo aver sistemato i bagagli all’interno della vettura ci accorgiamo di avere una ruota sgonfia, la sostituisco immediatamente e poi mi affretto a preparare la cena. Mangiamo all’interno della capanna illuminata da una lampada a petrolio e trascorro l’intera serata con gli amici di Rimini: decidiamo di partire assieme.
Alle 22 stendo il saccopelo sul pavimento in cemento all’interno della capanna e, mentre scrivo le ultime righe di una dura giornata sul mio diario, mi addormento senza nemmeno accorgermi.
4 Novembre
Vengo svegliato dal raglio di un asino, per un po’ rimango nel mio saccopelo poi, verso le 6 mi alzo e vado a svegliare Pietro che ha preferito dormire all’interno della vettura. Alle 7.30 partiamo, una strada breve porta fino alla frontiera di Algeri situata appena dopo Hazoua, l’ultimo controllo tunisino. Il paesaggio è ormai cambiato, il poco verde della Tunisia è ormai un ricordo, ora è steppa arida e la sabbia del deserto comincia a mostrarsi.
Una barriera, la prima, interrompe la continuità del paesaggio. L’uscita della Tunisia è una frontiera facile, un breve controllo ai documenti, agli occhiali, e poi ci danno il via libera. Ora viaggiamo nel silenzio, lungo una striscia d’asfalto, su una terra che è di nessuno fino all’inizio dell’Algeria.
Le cicatrici del Sahara hanno la forma e le voci dei doganieri e poliziotti che proteggono una frontiera innaturale, difendendola con timbri e controlli.
Avanti, con nella testa Abidjan e la Costa d’Avorio lontane ancora migliaia di chilometri e già diventate mitiche. Purtroppo la dogana algerina è un intoppo; questioni burocratiche interrompono l’abbrivio di un viaggio già entrato nel vivo. Sono le 9, un doganiere ci ritira i passaporti: non importa, sarà una mattinata nella terra di nessuno infuocata dal sole. Finalmente alle 11.30 riusciamo a sbrigare le ultime pratiche burocratiche, cambiamo i 1000 dinari secondo le norme algerine e ci dirigiamo verso El Oued.
Percorriamo questo nastro d’asfalto in brevissimo tempo e alle 13.30 arriviamo a El Oued; riforniamo la vettura e ci mettiamo alla ricerca dell’ufficio dove poter stipulare l’assicurazione. Quasi per caso passiamo sulla strada dove si trova l’ufficio e vediamo parcheggiate le moto degli amici riminesi; parcheggiamo l’auto e ci affrettiamo a compilare il modulo per l’assicurazione della vettura.
I due impiegati sono stati molto veloci e così possiamo ripartire subito. La strada si mantiene sempre buona e possiamo tenere una media abbastanza elevata. Dirigersi verso Ouargla significa fare l’incontro atteso; il mare di sabbia, le dune che sono le onde di un oceano di una bellezza quasi sensuale, di un colore morbido e uniforme, caldo e pastoso senza mai un momento di squallore. Non è neppure polveroso finché non ci si va in mezzo, il paesaggio è stupendo, sembra un’immobile glassa spalmata da un pasticcere.
Intanto si presenta pian piano il Sahara, come un mare che si fa grosso lentamente passando dalla piatta ai marosi.
La strada taglia la steppa e affonda nel giallo chiaro delle dune che a volte ricoprono la strada. Ci sono lingue longitudinali che sfiorano il bordo della strada, poi mucchi sempre più consistenti; in alcuni tratti la sabbia impedisce il passaggio su metà carreggiata, bisogna scivolare a sinistra per trovare il solido con le ruote.
Si vedono i cartelli spuntare semi sommersi dalle dune. Un deserto bello e gentile, tanto perfetto da sembrare quasi fasullo, ma anche il deserto più abusato nelle immagini e più sognato quando se ne ascoltano i racconti. Eccolo mi dico, l’ho sognato per molto tempo, ho fatto di tutto per poterlo attraversare… ma sarà sempre così?
I Fellahin, i contadini che portano la gondura a strisce, che si vedono in lontananza, sembrano comparse di cartapesta, tanto sono suggestivi in questo palcoscenico immaginario. Ma sotto questa apparente serenità si nasconde una realtà ben più difficile; qui siamo nel Souf, che significa "fiume" in berbero, una regione percorsa da una falda acquifera sotterranea nascosta sotto la sabbia venti, trenta o quaranta metri. Per riuscire a ricavarci da vivere… "si deve scavare fino all’acqua, piantarvi il seme della palma da dattero e passare il resto della vita a combattere contro il vento che giorno dopo giorno annulla l’opera dell’uomo…"
Passano i km e mi abituo alle dune. In questo deserto da cartolina, bello e liscio, incontriamo un solitario delle piste; è un milanese sulla quarantina, solo il tempo per una stretta di mano ed una foto e ci rimettiamo subito in marcia verso Touggourt. Prima di raggiungere la città, il paesaggio cambia improvvisamente, le dune finiscono e con loro finisce anche la suggestione fiabesca della sabbia arabesca.
Touggourt è uno dei segni dell’Algeria moderna che si sta ricostruendo. E così dopo un’altra corsa al volante di Cartizia, arriviamo a Ouargla. Il sole è già tramontato; decido con Pietro e gli amici di Rimini di pernottare in un alberghetto, ne vale la pena, tanto in Algeria dovrò spendere i 1000 dinari del cambio obbligatorio.
Dopo essermi fatto una salutare doccia posso saziarmi con l’ottima cena preparata dal mio compagno di viaggio. Qualche chiacchera in compagnia e poi… subito a nanna.
5 Novembre
La sveglia suona, sono le sei; sveglio Pietro e con lui faccio un’abbondante colazione.
Alle 7 siamo pronti per partire; attraversiamo la città e imbocchiamo la strada che porta a Ghardaia. Cartizia corre veloce sulla buona strada; di tanto in tanto ci fermiamo per scattare qualche foto e con questo ritmo arriviamo quasi a Ghardaia senza accorgerci che la benzina sta per finire.
Purtroppo rimaniamo a secco, fermiamo subito una Peugeot sulla quale viaggiano tre simpatici algerini che ci offrono qualche litro di benzina, rifiutando poi i soldi. Ci salutiamo con una stretta di mano e sulla strada che si snoda fra le montagne oscure giungiamo a Ghardaia, centro della regione del M’zab algerino e città di puritani mozabiti. Facciamo subito il pieno della vettura e riempiamo anche una tanica da venti litri; con questa benzina dovremmo tranquillamente raggiungere El Golea. La strada è ancora buona e tra una marcia e l’altra, posso permettermi di mangiare una bella scatola di carne. Incontriamo molti automezzi pesanti che risalgono da El Golea o forse da Tamanrasset; Berliet, Mercedes, ma tutti a trazione integrale.
Alle 14:30 siamo ad El Golea, rabbocco il serbatoio e decidiamo di proseguire alla volta di In Salah. La sensazione del vero deserto, delle distanze infinite, di un mondo di sabbia, della solitudine, degli spazi enormi, delle difficoltà, comincia qui, dopo El Golea, una città che convive con le dune, dove la sabbia fa parte della vita quotidiana, entra nelle case, si respira con l’aria, modella l’aspetto umano.
Il road book segna una buona strada fino a In-Salah, corriamo senza preoccupazione ma, quando il sole sta per tramontare, la strada si apre in una spaccatura. Una piccola voragine sembra inghiottire Cartizia, che pur molleggiata sembra sfasciarsi in una serie di colpi e contraccolpi che fanno vibrare ammortizzatori e carrozzeria; bisogna rallentare, a volte fermarsi e scendere nei “crateri” con attenzione e risalire dall’altra parte. È meglio, nei tratti più disastrati, abbandonare i resti dell’asfalto e correre solcando la striscia ai lati della strada, se così la possiamo chiamare. Dietro di noi stanno sopraggiungendo i quattro motociclisti riminesi, sembrano volare sulla sabbia ma improvvisamente il vecchio Aldo cade a terra. Ci fermiamo subito, ma non è nulla di grave; risale subito sulla sua Honda e riparte con un pizzico di prudenza.
Il sole è ormai scomparso all’orizzonte e la luce pian piano se ne va. Dopo poco è buio pesto, facciamo molta fatica a scorgere le tracce che portano a In Salah, in più siamo costretti a continue deviazioni a causa delle rocce che sporgono dalla sabbia. Abbiamo sbagliato; dovevamo fermarci prima, questa pista percorsa al buio potrebbe diventare una trappola, ma è troppo tardi per i rimpianti.
Continuiamo, ma le tracce si fanno sempre più esili; guardo la bussola… impossibile, mi allontano dall’auto per non influenzare l’ago, inutile! Abbiamo preso la direzione sbagliata. Non sappiamo cosa fare, ci fermiamo qui, nel buio dell’altopiano Tademait. Non possediamo una carta topografica, quindi la bussola diventa inutile.
Rimango all’interno della vettura, attorno a me il nulla; non ho paura, cerco di pensare ai consigli ricevuti, ma non c’è nulla da fare, forse conviene aspettare il sorgere del sole. quando oramai rassegnato accendo una sigaretta vengo abbagliato da una luce fortissima, accendo subito i fari della nostra vettura per segnalare la nostra presenza. Il mezzo si dirige verso di noi e si ferma. È un camion algerino; a bordo, oltre all’autista c’è un autostoppista spagnolo. Fortuna vuole che siano diretti anche loro a In Salah.
Ci mettiamo in marcia, il camion è stracarico, ma nonostante questo viaggia a velocità sostenuta. All’interno della vettura è un continuo traballare di zaini, borracce e altro; così per un centinaio di chilometri che sembrano non finire mai. Ormai stravolti, alle 22 arriviamo a In Salah, non ho nemmeno la forza di mangiare, cerco subito un posto per la notte e senza neppure togliermi le scarpe, mi addormento in un lungo sonno fino al sorgere del sole.
Il seguito del resoconto di viaggio nell'articolo "Oltre il Sahara - Parte seconda", sempre su Ci Sono Stato!
cerco un amico: Giorgio caeran, più volte citato nei vostri commenti. Ho fatto un viaggio a capo nord con lui trent'anni fa e vorrei rivederlo. Grazie a tutti!
Un viaggio d'altri tempi ricco di fascino, peccato che adesso anche l'Africa e soprattutto il modo di affrontare il deserto sia cambiato. Attendo le prossime puntate con ansia e curiosità.