Sifnos e Tinos, Cicladi da amare

Due meravigliose isole greche nella magia del “fuori stagione”

Dopo due anni di assenza dalla Grecia, desideravo assolutamente passare del tempo su una delle sue isole e, in mancanza di altre possibilità, ho deciso di scegliere la settimana in concomitanza con la festa del 2 giugno, anche se timorosa di trovare tempo ancora incerto e temperature poco estive.
Invece il tempo è stato splendido, in realtà più caldo nei primi giorni che non negli ultimi, sempre soleggiato, in quasi totale assenza di meltemi ma piacevolmente ventilato. La temperatura dell’acqua non era l’ideale per una persona freddolosa come me ma sono riuscita anche a fare dei piacevoli bagni senza soffrire molto, complice il mare splendido.
Abbiamo scelto Sifnos per via di alcune descrizioni scovate nei pochi articoli e resoconti trovati. In particolare ci piaceva il fatto che i suoi centri abitati venivano descritti come uno dei migliori esempi dello stile cicladico più puro.
Tinos era invece da tempo nella mia lista di isole greche da vedere e quando è stato necessario trovare un’isola a breve distanza da Atene, e che non avessi ancora visto, mi è venuta subito in mente. Sì, perché inizialmente il viaggio prevedeva un soggiorno a Sifnos più un’isola lì vicino (Serifos o Paros), ma quando Ivo, mio marito, a due giorni dalla partenza, mi ha comunicato che lui non sarebbe potuto partire, i miei piani si sono un po’ complicati.26/5/2006
Usufruisco di un’ottima tariffa della Olympic (circa 50,00 euro + tasse) per raggiungere con il volo serale Atene. Dopo una calda attesa, vista la temperatura ateniese che anche a mezzanotte è decisamente elevata, salgo sul comodo bus che dall’aeroporto porta al Pireo e in circa un’ora raggiungo l’hotel prenotato, il Piraeus Dream (50€ la singola, 60€ la doppia): si tratta di un vecchio hotel recentemente ristrutturato e semi-nascosto tra i palazzi anni ‘70 di questa città portuale. Il nome è decisamente ridondante per quello che è ma è pratico, pulito e con personale gentile. Non che abbia molto tempo, purtroppo, per apprezzare tutto ciò.

27/5/2006
Dopo poche ore di sonno, constato con gioia che anche la vicinanza con il porto è quella che mi era stata descritta, anche se dalla porta E9, che dista circa 200 metri dall’hotel, non parte la speedboat che devo prendere io. Tempo di raggiungere quella parte del porto e comprare il biglietto che sono già sulla Highspeed in partenza alle 7,30 esatte. E’ una splendida giornata di sole e passo l’intera traversata seduta sul ponte per cominciare ad assaporare l’aria dell’Egeo.
Ci vogliono tre ore per raggiungere Sifnos: unica tappa intermedia è Serifos, di cui posso ammirare la splendida Hora che sembra arrampicarsi sul colle che sovrasta il porto.
Arrivata a Sifnos, mi capita una cosa che solo in un’altra occasione si è verificata nei miei soggiorni greci: all’uscita del porto non c’è assolutamente nessuno ad offrire alloggi e sistemazioni.
Poco oltre il molo, in realtà, c’è un ufficio che viene preso d’assalto dai pochi turisti che come me non hanno prenotato nulla. Non capisco se si tratti di un’agenzia privata o un ufficio turistico pubblico ma preferisco evitare la coda e prendere immediatamente il bus in partenza per Apollonìa, dove avevo già deciso che mi sarei sistemata.
La strada che da Kamares, il porto, sale ad Apollonìa è lunga 6 km e si snoda sul lato destro del canalone che separa i due rilievi principali di Sifnos e che prima di raggiungere il mare, si apre in una piana e bella conca di sabbia, Kamares appunto. Apollonìa, in cima, è invece il crocevia di tutte le (poche) strade dell’isola e l’ho scelta proprio per motivi pratici. Inoltre dovrebbe offrire un buon numero di sistemazioni ma non mi è dato di scoprirlo visto che anche qui non c’è nessuno interessato ad affittare stanze. Le due agenzie locali sono chiuse; una delle due lo è in seguito ai danni subiti per un incendio, ma uno dei proprietari è lì per un sopralluogo dei lavori in corso e gentilmente mi consiglia l’Hotel Sofia, poco più avanti. Vista la posizione, sulla strada principale, in coincidenza di una curva e di una strettoia, lo giudico (giustamente) troppo rumoroso per i miei gusti e mi incammino nella direzione opposta dove ricordo di aver intravisto un cartello “Affittasi”. Chiamo il numero telefonico indicato e nel giro di cinque minuti mi viene offerta per 30 € al giorno una bella e ampia stanza al primo piano, con balconcino e terrazza: rilancio a 25 e la stanza è mia.
Dieci minuti dopo sono in strada alla ricerca di un mezzo di trasporto. Ci vuole quasi un’ora prima che il pullman per Kamares passi ma è lì che voglio andare perché lasciando il porto ho visto parecchi noleggi di scooter, e visto lo scarno orario dei mezzi pubblici (ancora quello invernale), mi rendo conto che l’unico modo di vedere bene l’isola è rendermi indipendente.
Mi incammino lungo la strada, gustando con calma il panorama: gli ulivi, i muretti a secco un po’ ovunque, piccoli orti curati, qualche immancabile cupoletta bianca, le macchie gialle, qua e là, delle ginestre, alcune colombaie. Si tratta di piccole costruzioni in pietra, a volte intonacate, più o meno decorate, destinate al ricovero delle colombe: famosissime quelle di Tinos, lasciate in eredità dai veneziani e poi abbellite e arricchite dagli isolani, si possono trovare anche qui a Sifnos, anche se meno elaborate.
L’arrivo del pullman mi sorprende che non sono neanche a metà strada: l’autista rallenta, mi fa cenno se voglio salire e gentilmente si ferma, anche se non mi trovo in corrispondenza della fermata. E’ questa la Grecia che amo (e di cui avevo bisogno): piccole cortesie di gente di paese nel tranquillo scorrere della vita di tutti i giorni. La signora carica di borse della spesa viene lasciata sotto casa sua, tutti aspettano senza mugugni se qualcuno ritarda a scendere e l’autista si barcamena tra il cambio e il bicchierone di nescafè in equilibrio precario vicino al volante, dove fanno sfoggio di sé anche l’immaginetta di una santa e un caratteristico “tomboloi”. Forse mi sbaglio ma credo che qui non sappiano cosa sia lo stress.
Probabilmente contagiata da questa atmosfera, non sto a complicarmi la vita nella ricerca dello scooter: da Nikos mi chiedono 6 euro al giorno e mi sembra un prezzo ragionevole, che accetto senza contrattare. Sono già motomunita quando mi godo il mio primo caffè shakerato in terra greca: 2,50 euro sono tanti rispetto a quanto spendevo 10 anni fa, ma sono in riva al mare, c’è il sole, Ivo al telefono mi dice che mi raggiungerà giovedì e io sono felice.
Esploro la spiaggia di Kamares, che nella parte opposta rispetto alla strada del porto si chiama Agia Marina, per via di una bella chiesetta che adorna l’estremità nord della baia. Vengo attratta da un cartello che indica Ag. Simeon e mi ritrovo a percorrere una tremenda sterrata che si inerpica sulla montagna. Poco per volta, passando tra ovili, case isolate e una vecchia torre di avvistamento, il panorama diventa sempre più coinvolgente: di fronte a me, in lontananza la piana su cui si distendono Apollonìa e i paesi attigui, con il loro bianco abbagliante e le tante cupole; alle mie spalle, in basso, Kamares sembra una miniatura con un traghetto giocattolo che attracca proprio in quel momento; sopra di me, la brughiera e, finalmente, Ag. Simeon, fresco di imbiancatura. Nel sole delle tre del pomeriggio, solo alcune capre assistono alla mia perlustrazione: sembra di essere su un’isola deserta.
Nella discesa lo scooter si spegne e non ne vuol più sapere di ripartire: capirò poi che stando obliquo, il motore s’ingolfa, ma questo piccolo inconveniente sarà sufficiente per convincermi a evitare ulteriori off-road con un mezzo così poco indicato; quanto meno da sola, visto che di motori e affini capisco ben poco e rimanere a piedi in mezzo al niente non rientra nel mio quadro di una vacanza all’insegna del relax. Per l’avventura, meglio aspettare l’arrivo di Ivo.
Decido che è ora di cercare una spiaggia: quella del porto, incantevole se vista da lontano, lo è molto meno ad un esame ravvicinato, così, armata di cartina, decido per quella di Faros, la più vicina tra le alternative. Si tratta di una delle baie che si aprono sul versante sud dell’isola, in un punto in cui la costa è particolarmente frastagliata e caratterizzata da alcuni sentieri che collegano tra loro le varie insenature. In una di queste si trova l’isola della chiesa di Crissopigi, la cui veduta è un po’ il simbolo stesso dell’isola di Sifnos, e da Faros se ne gode la vista in lontananza. Obiettivamente la spiaggia di Faros non è molto bella: la sabbia è scura e piena di ciottoli e di conseguenza anche il mare non mi pare particolarmente invitante, ma va benissimo per passare un paio d’ore a prendere il sole. Cioè, in pratica, a dormire un po’.
L’unica attività evidente della spiaggia è quella che si svolge all’ombra di alcuni alberi sotto cui sono posizionati i tavolini della locale taverna. Alle cinque del pomeriggio, la gente, greca ovviamente, indugia ancora nelle chiacchiere dopo un tardo pranzo. Oggi è sabato e sul traghetto era evidente che molti erano in partenza per il week-end. Non ho ancora appetito e non ho modo di provare la cucina locale ma a giudicare dalle espressioni soddisfatte, deve trattarsi di un posto da raccomandare.
La spiaggia di Faros è abbastanza piccola, in quanto la baia è parzialmente occupata anche da un molo di approdo per le barche dei pescatori, e alle sue spalle si apre un ampio parcheggio. Sul promontorio che la divide dalla spiaggia di Glyfo, ci sono vari alloggi molto carini e un bar, il tutto in fase di preparazione per la stagione turistica che evidentemente non è ancora cominciata. A ridosso della spiaggia di Glyfo, stanno invece costruendo dei nuovi edifici, rovinando, a mio parere, un angolo di costa molto pittoresco.
Dopo una bella doccia per ritemprarmi dalle fatiche di questa lunga giornata, sono pronta per dedicarmi a un altro must di ogni mia vacanza greca: il gyropita. Trovo un ottima gyreria proprio di fronte all’hotel Sofia, a breve distanza dal mio alloggio e concludo il mio primo giorno di vacanza all’insegna del mio fastfood preferito, il gyro, appunto, unito a un bel piattino di tzatziki e una birra Mythos fresca. Per la cronaca, qui viene effettuata anche la consegna a domicilio: il corpulento proprietario, a cavallo di un quad, non fa altro che andare e venire con sacchetti pieni di gyropita avvolti nell’alluminio.

28/5/2006
Meta della perlustrazione odierna è il nord dell’isola, la sua zona più remota. La spiaggia qui è in una profonda insenatura alla base della penisola che dà il nome alla località: Cheronissos, che infatti significa “penisola”. Fino a qualche anno fa, questa località era raggiungibile solo via mare e pare che solo grazie al successo politico di un deputato originario di Sifnos, questa strada e quella per Vathy siano state costruite.
Ragion per cui, Cheronissos è ancora relativamente poco sviluppata e resta un’incantevole baia di pescatori, sovrastata da un alto rilievo spoglio dominato dalla chiesetta di Agios Georgios.
La strada per raggiungerla si snoda alle spalle del monte Agios Simeon, visitato ieri: una piccola deviazione appena uscita dall’abitato di Artemonas, mi permette di vedere i primi mulini a vento: sapevo della loro esistenza ma ancora non ne avevo visti. Attorno ad uno di questi, in particolare, è stato costruito un complesso turistico con tante costruzioni in pietra tradizionale e una vista eccezionale: quella su Kastro, che sicuramente resterà il ricordo della veduta più bella di Sifnos. Un po’ oltre, sulla strada che diventa sterrata, la veduta è ancora più bella, comprendendo il promontorio sul mare aperto con l’immancabile chiesina dalla cupola blu. Per semplificare si può descrivere Kastro come una fortezza veneziana con il villaggio circostante costruito a ridosso delle mura medioevali. Kastro significa infatti “fortezza”: mi riprometto di visitarlo al più presto. La sterrata prosegue verso Panagia Poulati, che intravedo e mi attrae molto, vicina a una baietta azzurrissima come la sua cupola, ma non oso mettere alla prova lo scooter in un luogo dove è più che evidente che non passa assolutamente nessuno (scoprirò poi che ai piedi di Kastro parte un sentiero pedonale che, parallelo alla costa, porta comodamente a Poulati).
Il resto della strada lo percorro in assoluta tranquillità, lasciandomi ben sperare in una giornata all’insegna di una sonnacchiosa solitudine. Arrivo a Cheronissos per le 11 circa e in effetti c’è ben poca gente: intenzionata a far colazione, mi accomodo alla prima psarotaverna, omonima alla baia, sulla sinistra, molto carina, che si affaccia su un molo, e ordino quello che stanno mangiando gli altri avventori : pomodori e mizithra, il formaggio locale. Intanto cerco di acclimatarmi all’ambiente. La spiaggia è piccolissima, con sabbia scuretta e piuttosto compatta, con un paio di provvidenziali alberi; oltre la spiaggia, una scalinata si arrampica tra le casine bianche che si affacciano sul porticciolo e che conduce alla fermata dell’autobus, su, in cima alla collina, visto che qui in basso non c’è asfalto ma solo l’ennesima sterrata.
Ci ho tenuto a precisare in quale taverna mi trovo in quanto sono costretta a sconsigliarla vivamente: per il mio “povero” piatto arrivano a chiedermi ben 6 euro, e due signore ateniesi sedute al tavolo di fianco al mio hanno parecchio da ridire su queste tariffe. Mentre poi mi allontano scoppia una grossa lite con altri clienti che hanno preso un caffè e qualche stuzzichino: insomma, evidentemente i proprietari cercano di cominciare alla grande la stagione, “pelando” i primi turisti. Da evitare assolutamente. Tanto più che comunque c’è un’ottima altra possibilità a pochi metri di distanza, il ristorante Da Ammoudia, proprio sulla spiaggia, dove verso le 16 ho consumato un’insalata greca e ho avuto modo di controllare menù, prezzi e cucina.
Il mio programma di passare una giornata tranquilla viene turbato da altri eventi: in primis, l’arrivo di un grosso camion con cassone, che si piazza in piena spiaggia (confermando che la sabbia è proprio molto compatta!) e da cui viene scaricata una barchetta in legno, sullo stile di quella di Braccio di ferro. Appena ritrovata un po’ di tranquillità, ecco l’invasione da parte di un folto gruppo di bambini, impegnati nell’operazione “Puliamo la spiaggia”. Armati di guantini e sacchi della spazzatura, si danno da fare a raccogliere anche i più piccoli pezzetti di plastica lasciati dalla marea e da gente poco rispettosa dell’ambiente. Inutile dire che la mia tranquilla spiaggia si trasforma ben presto nel cortile della scuola all’ora della ricreazione, con le maestre che cercano di tenere uniti i bambini, e la forte aggravante delle tante mamme armate di macchina fotografica che urlano per richiamare l’attenzione dei novelli operatori ecologici ed immortalare l’evento.
Insomma, non riesco a leggere neanche una pagina del mio libro ma sicuramente non ho di che annoiarmi!
Tra un evento e l’altro, cerco anche di fare un bagno: tutti si buttano tranquillamente, anche per più volte, per non parlare dei bambini che ci passano delle ore. Ma io, giusto per una questione di orgoglio personale, arrivo ad immergermi fino alle spalle per circa 10 secondi e poi riguadagno rapidamente il tepore del mio telo mare ampiamente riscaldato dal sole a picco in un cielo senza la minima nuvola.
Stranamente, quando inizia a regnare la calma, mi viene voglia di ripartire: dopo un tardo pranzo, consumato più per rinfrescarmi che per effettivo appetito, eccomi di nuovo a cavallo del mio fido scooter a ripercorrere la lunga (!) strada del ritorno. Faccio una breve sosta per qualche scatto alla piccola cappella di Agios Charalambos, veramente spettacolare per il modo in cui si staglia nell’azzurro del mare e del cielo, e faccio poi rotta per Kastro: la sua vista, questa mattina, mi ha troppo incuriosito, e oramai non vedo l’ora di visitarla.
Lungo la discesa che dalla strada principale porta al promontorio su cui si arrotola la cittadella di Kastro, le soste sono varie e di rigore: man mano che ci si avvicina, si mettono a fuoco i particolari e si aggiungono dettagli. Chiese, cupole, un mulino a vento, un cappella che si affaccia sul mare, la spiaggia di Seralia, alle spalle del promontorio, le mura medioevali ancora ben evidenti: e poi ci si incammina tra i vicoli e si passa sotto i due passaggi che un tempo costituivano la porte della fortezza. Il tutto in un misto di cicladico e di antico con sarcofaghi ellenistici usati come vasche per l’acqua, colonne doriche a sostegno di ballatoi di case, altre colonne “scoperte” all’interno di muri di case sapientemente restaurate, lo splendido camminamento lato mare con vista mozzafiato su quello che per me è il blu più bello del mondo: l’Egeo.
Kastro non si visita: ci si aggira nei suoi vicoli; la si scopre dietro a piccole gallerie che sostengono altri edifici; si apprezza nei piccoli lavori di un restauro sempre in corso; e poi ci sorprende con azzardatissime soluzioni architettoniche, come quella della piazza principale che altro non è che il tetto di una serie di altri ambienti a cui si accede da un viottolo sottostante; oppure l’orto annesso ad una casa, ricavato colmando di terra un breve spazio tra un lato della casa e il muro di contenimento della struttura.
Insomma, un luogo un po’ incantato che porta indietro nel tempo, complice l’assenza di negozietti e la quasi mancanza di attività commerciali in genere. Trovo un solo ristorante aperto, l’Asteria, da dove avevo visto allontanarsi poco prima un gruppo di clienti evidentemente soddisfatti, e mi concedo un Nescafè Frappè: la mia Grecia è fatta anche di questi riti.
Per la sera decido di approfondire un altro motivo della fama di Sifnos: la culinaria. Pare che alcuni dei più apprezzati chef greci siano nativi di qui e l’isola è famosa per alcuni piatti tipici: stasera tocca alla skepastaria, cioè zuppa di ceci cotta, anche per l’intera notte, in tipici recipienti di terracotta, in forno a legna. Pare fosse il piatto della domenica perché dopo le funzioni religiose della mattina la donna di casa poteva passare al Forno a ritirare la skepastaria pronta.
In effetti, neanche a farlo apposta, oggi è domenica, e trovo dove consumarla a Kamares, in una taverna di fianco a Nikos. Lo avevo adocchiato già il primo giorno per via della sua semplicità e per la sua evidente “tipicità”: senza scritte vistose (tant’è che non ne ricordo il nome), la mancanza della pizza nel menù (altrimenti onnipresente), la zona “grill” davanti all’ingresso e le vetrinette in cui di solito vengono messi in mostra i piatti del giorno per permettere la scelta “a vista”. Insomma, rispondeva a tutti i miei criteri di scelta del ristorante in terra greca e infatti non mi ha tradito: per 7 euro mangio la mia splendida zuppa accompagnata da una immancabile birra Mythos. Il dolce melone finale è un omaggio della casa.
Soddisfatta, passeggio per un’oretta curiosando nei vari negozietti di ceramica di Kamares (alcuni veramente belli ma piuttosto costosi), osservo un paio di yacht ormeggiati al porto e tiro l’ora di risalire alla mia accogliente casetta.

29/5/2006
Oggi è il mio compleanno e comincio la giornata con una bella dormita oltre misura, tanto ho in programma puro riposo sulla spiaggia di Vathy. Se non fosse che, lungo la strada, a circa due km da Apollonìa, mi incuriosisce il cartello che indica gli scavi di una antica acropoli micenea e decido di fermarmi a dare un’occhiata: ovviamente l’acropoli si trova in cima ad una collina che si dimostra molto più erta di quanto avessi sperato. Inoltre il vento tira esattamente dalla parte opposta e perciò l’intera ascesa risulterà sotto un sole già cocente e in totale assenza d’aria, dandomi quindi la possibilità di riflettere a fondo, e amaramente, su questioni quali mancanza di allenamento e anni che passano. Del resto, per questo argomento, mi sembra proprio il giorno giusto. Fortuna che la meravigliosa vista, e la ancor più fantastica brezza in cima alla collina, mi rinfrancano abbastanza rapidamente, insieme all’ombra di uno dei pochi alberelli che offrono un qualche scarno riparo. Riprendo fiato seduta sui muretti che delimitano l’immancabile chiesetta che dà il nome alla collina stessa, Agios Andreas. E faccio anche in tempo a domandarmi se esista in tutta la Grecia un’altura non coronata da una cappella o un monastero: qualunque pensiero è ben accetto per darmi il tempo di recuperare.
Sotto il sole bruciante, un gruppo di archeologi (o muratori, visto il tipo di attività svolta) stanno passando al vaglio tutta la terra che ricopre una serie di muretti, la cittadella micenea, appunto, con pazienza certosina e armati solo di palettine e pennelli: una immagine decisamente molto lontana da quella di Indiana Jones o anche soltanto da quella romantica di Schliemann, lo scopritore di Troia.
Mi trattengo ancora un po’ ad ammirare il panorama: come sempre, gli antichi avevano occhio nella scelta dei luoghi su cui costruire. Da qui con lo sguardo si abbraccia un ampio tratto della costa sud-est, inclusa la zona in cui spicca il biancore di Kastro: splendido.
Ritorno sui miei passi e riprendo la via per la spiaggia: anche questa strada è recente tanto che la mia vecchia Lonely Planet non la menziona e reputa Vathy la meta ideale per una gita in barca. La baia in effetti è un ottimo approdo per qualsivoglia imbarcazione, un perfetto porto naturale con acque profonde, come pare indicare il nome stesso. In realtà, mi rendo conto che i nomi delle località di mare, in Grecia, sono praticamente sempre dei derivati della descrizione oggettiva della conformazione geografica: porto, penisola, baia, promontorio. Ecco perché in ogni isola si ritrovano sempre gli stessi nomi, creando, a me, non poca confusione quando tento di non sovrapporre i ricordi dell’uno o dell’altro.
L’apertura della strada ha portato alla costruzione di un grande lussuoso resort, di cui si può ammirare la struttura dall’alto: si affaccia praticamente al centro della baia, mentre Vathy occupa l’estrema parte sud, in corrispondenza con un ampio molo e la Chiesa di “Taxiarchis” e “Evanggelistrias”.
I mezzi vanno lasciati fuori dal villaggio, in un piccolo parcheggio con scarsa possibilità d’ombra, ma in questo modo a Vathy si gode di una calma assoluta, interrotta soltanto dall’arrivo di qualche imbarcazione, come nel caso del peschereccio che arriva contemporaneamente a me e che dà vita ad un ampio mercanteggiare di pesce per tutti gli abitanti della zona.
In questo periodo dell’anno, c’è una sola taverna aperta. Direttamente sul mare, con i tavolini sulla sabbia e ombreggiata da un paio di alberelli, la taverna tò TΣIKAΛI mi offre tutto ciò di cui ho bisogno in questo momento: acqua fresca, una colazione/pranzo ampiamente guadagnato con la scalata, ombra e una brezza leggera. E uno splendido panorama, ovviamente.
Oggi il piatto tipico da degustare è l’insalata di capperi (KAΠΑΡΟΣΑΛΑΤΑ) cioè un battuto di capperi, cipolla, olio, aceto, sale e pepe, che accompagno a freschi pomodori con la mizithra. Adoro questi pasti freschi, leggeri e naturali, tanto che non sento alcuna mancanza della colazione tradizionale, che non consumo mai in questi giorni.
Me la prendo comoda, osservando la vendita del pesce, il colore dell’acqua, i riflessi del sole tra i rami dei pochi alberelli e un paio di papere che si sono aggiudicate il posto migliore della spiaggia: all’ombra dell’unico albero degno di questo nome.
Questo tratto di spiaggia è quello con la sabbia più soffice, anche se di colore scuro. Nella parte percorsa a piedi dal parcheggio era molto più compatta, quasi fosse terra battuta e non mi aveva molto invogliato a sistemarmi per la giornata. I profumi che provengono dalla cucina sono estremamente interessanti e alcuni avventori cominciano già a consumare il pesce acquistato poco prima dal peschereccio, che i proprietari della taverna cucinano per loro. Evidentemente si tratta di ospiti delle casine e degli appartamenti dei pochi nuovi complessi costruiti in prossimità della chiesa. Passare dei giorni qui, in questo periodo, poi, ha più del romitaggio che della vacanza, ma ha indubbiamente dei lati positivi, se si è alla ricerca dello stacco totale dalla vita convulsa di tutti i giorni.
Trascorro così il resto del mio pomeriggio, condividendo un po’ d’ombra con le papere e la pace e il silenzio con gli altri pochi turisti.
Verso le cinque, riemergo dal mio letargo per via dell’imbarcazione di un paio di ragazzi tedeschi che ha appena attraccato: chiassosi ed esibizionisti, si cimentano in uno spettacolino facendo il bagno nudi e attirando col baccano l’attenzione anche di chi non aveva alcun interesse a vederli. La Grecia è anche questo: tutti sono liberi di fare quello che vogliono, anche rendersi ridicoli, peraltro, senza ottenere altro che qualche sguardo, in certi casi, estremamente eloquente.
Al mio rientro ad Apollonìa mi aspetta uno spettacolo molto più interessante: un congruo numero di donne del paese sono impegnate a ridisegnare i contorni bianchi delle pietre che lastricano la piazzetta principale. Si tratta di una abitudine tutta greca, questa di tracciare con un pennello, i contorni irregolari delle pietre che costituiscono il selciato: e farlo tutti assieme assume un po’ i toni di una festa. Anche se le signore impegnate nell’attività devono considerarla una festa un po’ faticosa.
Una breve sosta all’internet bar di Apollonìa per ringraziare tutti degli auguri ricevuti nel corso della giornata, e per bermi un bel nescafé frappé (5 euro l’ora + 3 euro di nescafé - decisamente caro), fa da interludio al festeggiamento che mi riservo per la serata: cena al ristorante più carino di Artemonas, tò ΛΙΟΤΡΙΒΙ (non azzardo la traslitterazione in caratteri latini quando non la trovo già fatta, per evitare gaffes)
Impossibile non vederlo, nella piazza principale di Artemonas, di fianco alla chiesa di Agios Costantinos, ai limiti della zona pedonale: ben curato, coi tavolinetti blu e le tipiche scomode sedie in paglia, bouganvilles e alberelli a decorare l’insieme. E’ decisamente un po’ più caro di altri ristoranti dell’isola ma questa è una sera speciale, anche se in solitudine. E pensare che questo viaggio era il regalo di Ivo per il mio compleanno!
Il piatto tipico scelto per questa serata importante è il Mastelo: si tratta di agnello o capretto cotto in forno a legna con vino anice e aromi, e, a giudicare dalla morbidezza, anche questo per ore. Lo condivido con un simpatico avventore a quattro zampe, che pare essere un esperto di mastelo, a giudicare dai miagolii di approvazione che gli riserva. Quando mi distraggo, una zampetta mi richiama amichevolmente alla muta conversazione in atto tra noi, che è certamente più interessante di quella in corso tra un altro avventore solo e il suo interlocutore: seduto al tavolo di lato al mio, per i trenta minuti della sua cena questo individuo non ha mai smesso di parlare al cellulare, tra un boccone e un sorso di vino.
Il mio compagno di cena mi saluta quando mi portano il dolce: l’“amigdaloto”, dolce tipico dell’isola. Mi dicono che sia a base di noci, miele e qualche altro aroma, ma il nome amigdala mi richiama piuttosto la mandorla (secondo le mie scarne conoscenze della lingua greca). Si tratta del tipico impasto supercalorico tipico dei vari dolci greci, eredità della tradizionale pasticceria mediterranea e turca, in particolare, che ti danno sazietà con un semplice boccone. Insomma, buono ma non di mio gusto. Pare che i sifnioti siano famosi pasticceri, ma condivido il giudizio del mio amichetto: meglio il mastelo.
Il vinello che ha innaffiato la cena e il forte vento che nel frattempo si è scatenato, mi portano a decidere di porre fine ai festeggiamenti: ancora auguri, Bea.

30/05/2006
Alle 9 sono già a Kamares a comprare il biglietto del traghetto di domani per il Pireo. Quello che avevo visto io su siti internet vari non esiste e l’unico modo per raggiungere Atene è una barca veloce alle 21,00. Significa che Ivo dovrà aspettarmi un po’ all’aeroporto.
Il programma di oggi prevede una breve sosta a Kastro per visitare il museo archeologico: mi fermo a un supermercato lungo la strada per comprare una confezione di cibo per gatti, ed eccomi a passeggiare di nuovo per le sue viuzze. Una sola scatola risulterà un po’ poca per la popolazione felina di Kastro ma prometto a tutti di ritornare domani.
Il Museo non è ricco ma gradevole e ben sistemato. Del resto si sa che il patrimonio archeologico greco è tutto concentrato in musei primari, molti dei quali, purtroppo, sono stranieri.
Mentre mi reco alla meta odierna, incappo nell’ennesima tappa imprevista: scorgo in lontananza una chiesa in corrispondenza di un’ampia sterrata e mi incuriosisco. Si tratta del monastero di Panagia Vounou: non solo è in attività, ma è anche possibile visitarne gli ambienti interni. Una simpatica monaca mi dà accesso alla cappella riccamente decorata e riusciamo a scambiare due parole nel mio scarso greco. L’intero complesso deve aver subito un recente restauro, a giudicare dagli ambienti perfetti, le piante curatissime, il bianco abbagliante di tutte le costruzioni e i comignoli di terracotta nuovi di zecca: inoltre una monaca, costretta evidentemente a scontare qualche peccatuccio, si sta occupando, armata di pennello, dei contorni bianchi delle pietre del selciato nel cortile esterno, da cui si gode di una vista veramente emozionante della spiaggia e del mare sottostanti: un panorama che ti instilla nel cuore calma e pace. Me ne vado non senza qualche rimpianto.
Oggi è la giornata di Chrissopigi, uno splendido monastero simbolo di Sifnos, dedicato alla Vergine Maria della Sacra Croce, patrona dell’isola. Mentre il grosso della struttura si trova sulla terraferma, la chiesa è strategicamente collocata su un isolotto, detto “nave di pietra” e collegata al resto da un bellissimo ponticello di pietra. Scopro che proprio domani si terrà la festa del monastero, con tanto di traslazione in barca di un’icona molto venerata che arriverà qui in serata. Dubito purtroppo di fare in tempo ad assistere all’evento. Probabilmente è per questo motivo che la chiesa è interamente bardata a festa: lunghi festoni di bandierine greche rumoreggiano nel vento teso di oggi, mentre dietro alla chiesa enormi vessilli ellenici e della Chiesa ortodossa si gonfiano in maniera veramente spettacolare. Nella cucina del monastero fervono i preparativi per i festeggiamenti, anche se per il momento pare consistano semplicemente nel pelare intere tinozze di patate.
Mi vado ad installare in spiaggia: da lontano non mi ispirava molto ma da vicino è molto meglio: tanta sabbia soffice, un filare di piante e un mare veramente di un colore spettacolare.
Dopo un paio d’ore di sabbiature e peeling (giustamente trovo una spiaggia effettivamente sabbiosa il primo giorno di vento!), mi concedo un rapido pasto al ristorante della spiaggia, visto che oggi tocca alle polpette di ceci: il ristorante è il più caro che abbia provato finora e le polpette non mi soddisfano. Certo la vista è eccezionale, così in prima fila davanti al complesso di Chrissopigi e se non mi entusiasma la cucina, quanto meno mi godo lo spettacolo.
Per il dopopranzo, mi sposto a rosolarmi al sole sulla scogliera che contorna il monastero e tiro sera. Purtroppo le polpette si rivelano decisamente nocive per il mio sistema digestivo e così salta il mio programma di cenare a Kastro. Mi ritiro perciò in buon ordine nella mia camera, armata di un paio di lattine di coca, l’alka selzer delle emergenze e un buon libro.

31/5/2006
E’ l’ultimo giorno su quest’isola e decido di dedicare un paio d’ore a fare una camminata. In realtà, in un viaggio a Sifnos, non dovrebbero assolutamente mancare delle belle passeggiate lungo i sentieri lastricati che collegano tra loro i vari centri abitati della piana di Apollonìa: sono talmente connessi tra loro che è quasi impossibile distinguerli. Uno dei sentieri scende addirittura fino a Kastro. Per non parlare dell’infinità di sentieri che ho intravisto in giro per l’isola, percorsi perennemente da instancabili trekkers, che costituiscono la maggioranza dei turisti in questa epoca dell’anno.
Impossibilitata a dedicarmi a questa attività per mancanza di tempo, non voglio però perdermi l’occasione di passeggiare nelle vie di Artemonas, con il suo stile cicladico frammisto al neoclassico di bellissime residenze estive di cittadini facoltosi. Quest’ultime, in particolare, sono ora oggetto di restauri importanti, a partire dai lussureggianti giardini che le circondano. Mi inoltro nei vicoli, andando a caso, entrando a visitare una cappella e fotografando qualche particolare, soffermandomi ad ammirare begli orti curati e perdendomi nel dedalo bianco: incappo in un piccolo supermarket e il mio acquisto di tre scatole di cibo per gatti viene accolto dal proprietario e dagli altri clienti con un bel sorriso: che strani, questi turisti.
Ovviamente la tappa successiva è Kastro, dove i miei amici mi aspettano pazientemente: li saluto, augurando loro che qualche altro amante di queste piccole creature pelose arrivi ad arricchire la loro dieta come ho fatto io in questi giorni. Alcuni di loro sono decisamente magrolini.
La giornata di mare vede protagonista Platys Gialos, che significa “spiaggia ampia”: e in effetti la baia è molto ampia e la spiaggia profonda una decina di metri. Anche qui c’è una bella sabbia soffice e ne approfitto per un bel pisolino: la giornata sarà lunga.
Anche il mare è molto bello: appena superata la battigia, lunghe rocce lisce evitano il tipico intorbidarsi dell’acqua e mi godo lo spettacolo da uno dei pochi ristoranti aperti, che ha una bellissima terrazza sulla spiaggia. Il fatto che la stagione non sia ancora iniziata è particolarmente evidente qui: lungo la spiaggia ci sono solo una decina di turisti e la maggior parte degli esercizi pubblici è chiusa o in fase di manutenzione: è quasi impressionante.
Lascio abbastanza presto Platys Gialos, previa sosta in un fornitissimo negozio di ceramiche all’ingresso del paese: fornitissimo ma scandalosamente costoso. Ho tempo ma le partenze mi rendono sempre molto ansiosa. La padrona di casa mi lascia l’appartamento fino a sera, in modo da potermi godere la giornata fino in fondo, ma desidero essere a Kamares con adeguato anticipo: inoltre la discesa in motorino carica dei miei zaini e degli acquisti che inevitabilmente ho accumulato in questi giorni, mi preoccupa non poco. Sarò un vero spettacolo, all’arrivo da Nikos per la riconsegna dello scooter.
Lungo la strada, mi permetto una sosta a Chrissopigi, dove si stanno radunando decine di persone: macchine ovunque e pullman stracarichi preannunciano l’arrivo dell’icona ma non si sa esattamente a che ora, ragion per cui procedo verso casa. Una rapida doccia e per le sette e mezza sono da Nikos e pronta per cenare alla taverna lì di fianco: non è il giorno giusto per la Skepastaria purtroppo ma la cucina non mi tradisce neanche con il piatto del giorno, dei peperoni stufati.
Arrivo con ampio anticipo al molo insieme a pochi altri turisti mentre il resto dei passeggeri arriva con discreto ritardo: forse loro sono a conoscenza del fatto che essendo Sifnos l’ultima tappa di un lungo vagabondare su altre isole, la Highspeed sarà molto in ritardo.
Arrivo al Pireo che Ivo è già atterrato da tempo e ora che lo raggiungo è passata l’una. Troppo tardi per cercarsi un ricovero notturno: passiamo quindi la notte sulle scomode poltroncine dell’aeroporto, tirando le 6, ora in cui parte il primo pullman per Rafina, l’altro porto ateniese da cui si parte alla volta di Tinos e Mykonos.

1/6/2006
Alle 7 siamo a Rafina, compriamo i biglietti della Highspeed per Tinos e ci accomodiamo per la traversata: con puntualità svizzera alle 9,30 siamo già sul molo e un gentile signore carica i nostri bagagli sulla sua macchina: ci propone un alloggio in prossimità del porto e a ridosso della strada principale di Tinos, per 30 euro al giorno.
La casa non è nuova ma pulitissima e con vista sul mare: sembra ricavata dalla canonica di una delle tante chiese cristiane dell’isola. Pur essendo uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti della religione ortodossa, sono infatti moltissimi i cattolici a Tinos, per via della lunga tradizione del dominio veneziano.
Per le 10,30 abbiamo già affittato uno scooter a 12 euro al giorno da Vidalis e partiamo ad esplorare l’isola. E’ una giornata bellissima, il sole picchia ma l’isola è un’esplosione di colori di primavera, con fiori e piante al loro massimo splendore.
Prendiamo a caso una delle strade che partono da Tinos e ci ritroviamo ad arrampicarci sui verdi rilievi alle spalle della città. Vecchi mulini e piccionaie sono in fase di restauro, per lo più trasformati in dimore e alloggi per turisti, con vista su Tinos, e con Mykonos proprio di fronte.
Troviamo le indicazioni per il Monastero di Kechrovouni, uno dei luoghi di maggior interesse dell’isola. Si tratta di un monastero di monache ortodosse, dove visse la santa Pelagia, i cui sogni portarono alla scoperta della sacra icona nel luogo in cui ora sorge il Santuario della Vergine Maria, a Tinos. In pratica si tratta di una cittadella medioevale arroccata sulla montagna omonima, che ebbe le sue origini circa 900 anni fa. Non ha una struttura regolare: è costituita da una serie di alloggi, cappelle, ambienti comuni, sorte nei secoli in base alle esigenze delle sue abitanti, che nel periodo di massimo splendore arrivarono a 100. Pare che oggi siano 50; noi ne abbiamo viste ben poche ma sono bastate a vietare l’ingresso a Ivo per via dei suoi pantaloni corti al ginocchio. Faccio io un giro veloce e decido che il posto merita una visita approfondita. Torneremo coi pantaloni giusti.
Dopo una rapida consultazione della cartina, decidiamo di cercare la baia di Livada. Ne ho letto una bella descrizione in una rivista e pare che meriti: non che trovarla risulti semplice, vista l’assoluta mancanza di indicazioni e l’estrema “sintesi” della nostra cartina. Livada si trova nell’estremo punto nord est dell’isola e si raggiunge attraverso una serie di sterrate mal segnalate, tanto che ci ritroviamo a fare un inutile giro vizioso alle spalle di un bacino artificiale, in mezzo a capre dall’aria poco amichevole. Ritroviamo la strada e finalmente “intuiamo” la discesa: la collina è scoscesa, con pochi arbusti e molti fiori, una cappella semiabbandonata in distanza e finalmente un’ampia baia dal mare azzurrino. Vi si arriva costeggiando un fiumiciattolo in cui si bagnano parecchie papere e al nostro arrivo disturbiamo un grosso gruppo di gabbiani che si levano immediatamente in volo. C’è anche un ristorante, chiuso per il momento, ma sicuramente aperto per la stagione, visto che questa risulterà una delle baie più belle di tutta l’isola: sul lato sinistro un’immensa scogliera disegnata dal mare e dal vento, propone ardite forme geometriche, con strane rocce arrotondate e bucherellate; altre formazioni chiudono il semicerchio della spiaggia, costituita da grossi ciottoli rotondeggianti, con un grande ovile alle spalle. L’acqua è puro color Egeo al suo meglio e malgrado la temperatura non proprio ottimale, non riesco a evitare di bagnarmi in questo posto magico. Siamo noi, il mare, qualche papera e poche capre: il vento, che in questa zona si fa sentire, annulla ogni altro eventuale rumore.
Un vero incanto.
Rimaniamo un’oretta su questa spiaggia isolata a goderci il sole e a giocare con le papere, che per nulla intimorite dalla nostra presenza, cercano cibo, arrivando ad infilare il becco nei nostri zaini: non avendo programmato la gita, non abbiamo neanche portato dell’acqua; così, all’avvicinarsi di un’altra coppia di turisti, decidiamo di lasciargliela godere come l’abbiamo goduta noi: deserta.
Ritornati al punto in cui la strada si biforca per scendere a Livada, invece di tornare sui nostri passi, continuiamo lungo la sterrata che intuitivamente aggira il Monte Tsiknias (su alcune cartine chiamato Profitis Elias, ma credo sia errato), fino al faro e poi indietro in direzione di Tinos: la strada è pessima ma il panorama spettacolare, così a picco sul mare. Peccato che proprio qui abbiano messo una discarica (che fortunatamente non influisce sulla vista) ma è anche vero che probabilmente la strada viene mantenuta accettabile proprio per permettere il passaggio dei camion.
Il sole picchia con violenza, su queste lunghe sterrate che percorriamo, e le prime case che incontriamo ci sembrano un miraggio, dopo il “deserto” delle ultime ore. Chiudiamo il cerchio attorno allo Tsiknias e ci ritroviamo al villaggio di Mesi, dove ricordavamo di aver visto una taverna con un giardino rigoglioso che prometteva bene. Mai scelta fu più azzeccata. Con immensa pazienza, vista l’ora (le 15), la proprietaria del “Pentostrato” ci mostra i suoi piatti e si rivela un’ottima cuoca: a parte la solita insalata greca, stuzzichini e formaggi tipici vari, non dimenticherò mai la splendida insalata di baccalà che ci serve.
Sono quasi le 16 quando ci rimettiamo in moto: la meta è la spiaggia di Kolimbithra, dove contiamo di fare una piccola siesta, vista la nottata in bianco e le intense ore di scooter che abbiamo vissuto. Senonché, lasciando Mani, sbagliamo strada e ci ritroviamo, dopo Falatados, a percorrere l’ennesima pessima sterrata deserta. La direzione è giusta ma invece di tagliare l’isola nel suo centro, ci troviamo più a nord e in una zona molta più alta. Capre stupite ci osservano passare in mezzo a ovili e a chilometri di muretti di contenimento, di cui l’isola è interamente ricoperta costituendo una sorta di splendido ricamo. Appena lasciata Falatados, le rocce si presentano nelle più strane conformazioni: sembra di essere sul campo da gioco di un gigante che si è divertito a giocare a biglie. Le rocce sono tonde, alcune spezzate, disseminate alla rinfusa sul terreno. E’ la zona alle spalle di Volax, un villaggio che visiteremo domani, famosa proprio per queste stranissime rocce.
Non siamo particolarmente dispiaciuti di aver perso la strada maestra. Il paesaggio estremo ci ripaga con splendide vedute e un’innaturale tranquillità e i bivi che incontriamo conducono solo a cappelle e chiesette disperse nella campagna. Unico rimpianto è non avere il tempo di seguirle tutte e perderci ulteriormente in questo affascinante nulla. Recuperiamo la strada principale scendendo ad Agapi e poi alla pianura che conduce al mare di Kolimbithra, un’enorme spiaggia creata sulla foce di un fiume, parzialmente in secca al momento, che rende la pianura ottima per l’agricoltura e crea, nel suo centro, una palude di enormi canne di bambù.
Kolimbithra è selvaggia, sabbiosa e solitaria ma per il nostro riposino preferiamo la baia successiva, Apothikes, con la sua bella spiaggia attrezzata, con tanto di doccia a disposizione di tutti. Non che a noi serva, visto che crolliamo immediatamente addormentati, senza neanche riuscire a goderci un bagno nell’acqua che anche qui ha un colore estremamente invitante.
Poco prima del tramonto, rientriamo a Tinos. Per cena scegliamo una gyreria in centro e finiamo la serata in uno dei tanti bei locali coi tavolini all’aperto che si trovano in prossimità del nostro alloggio: è una sera feriale ma tutti i locali sono pieni di compagnie di giovani e meno giovani. Direi che il livello della qualità della vita a Tinos è piuttosto elevato.

2/6/2006
Vestiti in maniera adeguata, ci presentiamo nuovamente alle porte di Kechrovouni e possiamo finalmente visitare con calma l’intero monastero. La caratteristica che colpisce maggiormente è l’estrema cura dei particolari: vasi di fiori ovunque decorano sobriamente i cortili e i davanzali delle casine che si intuiscono essere le abitazioni delle monache. E’ un vero villaggio, con piazza principale, scalinate, camminamenti, piccoli giardini, gallerie e balconate: tutti inseriti senza un piano preciso, proprio in funzione delle esigenze di sviluppo della comunità; qua e là, una cappella, una chiesa, una terrazza con vista su Tinos città e sulla dirimpettaia Mykonos. Alcune parti della cittadella sono già state sottoposte a restauro; altre sono in fase di ristrutturazione, altre ancora mostrano evidenti i segni dell’età avanzata. Al centro, fa da cuore dell’insieme la recente chiesa che custodisce i resti della Santa Pelagia e, appena sotto, la cella in cui ella visse le sue visioni. Il Monastero di Kechrovouni è un gioiellino da non perdere assolutamente, fonte di decine di foto e di scorci indimenticabili.
Dopo la visita, ci dirigiamo ancora una volta verso l’interno dell’isola. Giriamo attorno a Exomburgo, il massiccio di granito su cui sorgeva il capoluogo di Tinos all’epoca dei veneziani. Non resta nulla al di fuori di una fonte romana, tuttora funzionante, e di poche rovine della fortezza che proteggeva l’isola: quando i turchi riuscirono finalmente a prendere Tinos, tutto venne raso al suolo. Anche il monastero cattolico all’inizio del sentiero che porta in cima al massiccio è sottoposto a blando restauro, contribuendo ad aumentare l’atmosfera di abbandono della zona. Per mancanza di tempo, non ci cimentiamo nella scalata ma pare che dai 600 metri che si raggiungono la vista sia impagabile.
Proseguiamo in direzione di Volax (o Volakas), villaggio famoso per le sue rocce e per i suoi cestai: in questo paesaggio insolito, gli abitanti hanno restaurato perfettamente tutte le abitazioni, in perfetto stile cicladico, rendendo Volax quasi troppo bello e curato per essere vero. In un certo senso, sembra creato apposta per i turisti che infatti arrivano addirittura con pullman e guida. Noi ci concediamo la solita via di mezzo tra la colazione e il pranzo nella taverna all’ingresso del paese, dopo averlo visitato e aver fatto un po’ di shopping nel negozio di prodotti tradizionali, prima del loro arrivo.
Ci lasciamo rapidamente alle spalle il gruppo vociante e tagliamo l’intera isola in direzione nord-ovest: destinazione Panormos. Si tratta di un porticciolo molto pittoresco e tranquillo, pieno di interessanti taverne, incastrato in una bella insenatura protetta da un’isolotto. Ci concediamo qualche ora sulla spiaggia di Rochari, nella baia successiva: sabbia, bel mare, qualche immancabile paperella, alberelli e poche case.
Ma la voglia di esplorare ci spinge abbastanza presto a lasciare anche questa spiaggia: sulla via del rientro ci aspetta la cittadina di Pyrgo. Si tratta di un centro di discrete dimensioni, sorto attorno alle due chiese principali, la cattolica e l’ortodossa, che, l’una a destra e l’altra a sinistra del centro del paese, e separate da un fiumicello, si fronteggiano con un impressionante dispiego di marmo. Pyrgo è infatti il centro principale dell’isola per la lavorazione del marmo. Qui si producono per esempio tutte le lunette che sovrastano ogni singola porta e finestra di Tinos: i delicati trafori nel marmo permettono il passaggio di luce ed aria nelle case altrimenti arroventate dal sole che qui, ce ne rendiamo conto anche noi, picchia senza pietà. E intanto decorano e arricchiscono le facciate con i motivi più vari e differenti.
A Pyrgo ci sono ben tre musei, che non visitiamo, visto che pochi minuti prima di noi sono arrivati gli stessi turisti di questa mattina, che evidentemente stanno facendo il nostro stesso giro. Li precediamo pertanto nella visita di questo nuovo angolo di Tinos, con i suoi bar, le pasticcerie, le botteghe degli intagliatori, i negozi di souvenir e di oggetti d’arte (tutti parecchio cari): le stradine, interamente lastricate in marmo, si aprono all’improvviso su piccole piazze ombreggiate da un albero antico o da rigogliosi pergolati; i kafenìon accumulano decine di tavolini blu e seggioline in paglia in ogni angolo e ogni minimo spazio disponibile, creando scorci da cartolina; un po’ ovunque vasi di gerani o orci con piante dalle strane fogge indicano l’attenzione degli abitanti per i particolari; piccoli inserti nella pavimentazione raffigurano ora un veliero, ora un pesce; gallerie segnalate da una bouganville rigogliosa portano a rampe di scale e camminamenti verso altre zone del villaggio; in piccoli viottoli ricavati tra giardini fioriti, gatti sonnacchiosi spiano il nostro passaggio; fanno da corona, in distanza, sulla altura alle spalle dell’abitato, quello che resta di antichi mulini a vento. Pyrgo è un villaggio che esprime benessere e ricchezza, in un’isola che è decisamente benestante e molto curata. Tinos, del resto, fonda la propria fortuna su quello che è un turismo senza tempo e senza stagioni: il turismo religioso dei pellegrinaggi e della devozione. E gli effetti benefici di questa fonte inesauribile si vedono.
Rientriamo lasciandoci alle spalle la strada che porta all’estrema punta ovest dell’isola: è segnalata come strada panoramica, nella cartina che abbiamo appena comprato, ma la mancanza di tempo non ci permette di percorrerla se non per un breve tratto, con qualche casa isolata, molte arnie colorate, lo scheletro di un'auto abbandonata e le immancabili capre le cui sagome si stagliano nel colore rosato del tramonto che comincia ad accennarsi.
Ci affrettiamo a rientrare: stasera la temperatura è molto più fresca dei giorni scorsi, soprattutto appena superiamo il crinale segnato dai mulini di Isternia e dalla chiesa che domina il versante sud. Per cena ci accontentiamo di qualche piatto tipico consumato in uno dei tanti ristoranti di Tinos città. E lo facciamo anche molto rapidamente, visto che a metà del pasto il ristorante viene letteralmente invaso da una folta comitiva di rumorosi dodicenni in gita scolastica.

3/6/2006
Oggetto dell’esplorazione odierna è la fascia costiera meridionale, da Tinos a Isternia, con una sola piccola deviazione nell’interno per visitare due villaggi.
La prima tappa è vicinissima alla città: seguiamo la strada dopo il porto, che a un tratto diventa sterrata e attraversa varie baie, genericamente considerate le spiagge di Tinos città, per poi arrivare a Kionia dove visitiamo i resti archeologici del tempio di Poseidone e Anfitrite. Si tratta di ben poche rovine di quello che doveva essere un magnifico tempio a pochi passi dal mare, delle terme annesse e di qualche altra struttura. Ora restano le fondamenta e poco altro perciò ci fermiamo per una rapida visita e per fare colazione con un paio di ottime brioches acquistate in panetteria a Tinos. Malgrado tutto, così presto la mattina e col rumore del mare che si infrange sulla grande spiaggia sassosa lì di fronte, il luogo ha una sua atmosfera.
Seconda tappa è la zona delle colombaie, i peristiones. In realtà le colombaie sono ovunque a Tinos, ma quelle fotografate per le riviste di viaggi e per le cartoline si trovano a Tarabados. Non è possibile visitarle, ma qui, in una piccola vallata, poco scoscesa, ben curata e verdeggiante, si possono fotografare insieme più edifici ravvicinati, tutti molto frequentati: evidentemente questa località piace alle colombe e ai piccioni, e non si può dar loro torto.
Dopo aver ripreso e fotografato i peristiones da tutte le possibili angolazioni, ed aver anche esplorato attentamente i dintorni temendo che ci sfuggisse qualche inquadratura, proseguiamo nell’interno verso Tripotamos. Si tratta di un piccolissimo villaggio caratterizzato da scalinate, fontane e gallerie, cresciuto aggrappato alla parete un po’ scoscesa della vallata, con il valore aggiunto di sembrare ancora “vivo” e non un insieme di edifici restaurati per compiacere il desiderio di cicladico di turisti in visita o residenti. Anche qui le case sono ben tenute e per lo più ristrutturate, ma, per ora, sembra più vero di altri villaggi visitati.
Salutiamo il gattino curioso che ci ha accompagnato nella visita di Tripotamos e torniamo sulla costa, alla ricerca di una spiaggia di nostro gradimento per qualche ora di relax. Dall’alto, si intravedono varie spiaggette dai colori invitanti: mare azzurrino e sabbia (o sassi) chiari. Meno invitante è la sterrata che, in assenza di qualunque indicazione stradale, si suppone conduca a quella spiaggia piuttosto che alla cappella che la sovrasta. Si tratta di baie piccole e deserte, ma noi preferiamo proseguire fino a lasciarci alle spalle il piccolo centro di Kardiani, posto sotto la strada principale da cui dominiamo la chiesa e le viuzze biancheggianti, per raggiungere Isternia, che sovrasta la strada principale nel punto in cui poi questa svolta nell’interno per raggiungere il centro dell’isola.
Ormos Isternia è il distaccamento marittimo del villaggio e si raggiunge grazie a una bella strada con continui tornanti che termina su un ampio molo nuovo. L’impressione è quella di un qualche grosso progetto di sviluppo edilizio non ancora terminato o semplicemente non andato a buon fine. Dopo il molo, alcune casine segnalano il vecchio approdo, con un paio di psarotaverne, una spiaggia sassosa e qualche barca tirata in secca. Proseguiamo nella piccola conca successiva, sabbiosa e ombreggiata, dove troviamo il posto ideale per la nostra sosta odierna: il mare è bellissimo e riparato, grazie alla posizione che questa parte della spiaggia occupa all’interno della baia, molto più battuta da vento e corrente nelle altre zone. Mentre faccio il bagno, osservo l’entroterra e il panorama è emozionante: dietro alla spiaggia, nel verde della vallata scoscesa e tra gli immancabili muretti di contenimento, ampie macchie di oleandri segnalano i punti di raccolta dell’acqua. Domina il tutto il candore di Isternia.
Oggi è sabato e mi pare di notare una maggior quantità di turisti, ma qui in spiaggia siamo in 6 persone in tutto e c’è un’atmosfera rilassatissima. All’ora di pranzo ci avviciniamo alle taverne ma mi sembrano un po’ troppo affollate, perciò decidiamo di cercare da mangiare in paese, a Isternia. Troviamo una taverna nell’unica strada carrabile del paese, che corre parallela alla strada principale. Gli altri avventori sono muratori che si occupano della ristrutturazione delle case dei dintorni e i pochi, semplici tavolini hanno tutti una splendida vista sull’intera baia, permettendo di individuare, in distanza, l’isola di Syros e alle sue spalle un accenno di Serifos e Sifnos. Il pasto è memorabile in particolare grazie a degli spettacolari peperoni ripieni. Ci prende una certa malinconia al pensiero che i nostri giorni qui stanno finendo e che a breve le nostre pause pranzo saranno di ben altro tenore.
Proviamo a favorire il processo digestivo arrampicandoci lungo le stradine e sulle scalinate del paese, fino a raggiungere la chiesa principale e la sua ampia terrazza con vista: il bianco della calce e del marmo, ampiamente utilizzati, combinati con il sole accecante, creano un’atmosfera quasi irreale, e solo delle improvvise cascate di bouganville e qualche gatto girovago, richiamano alla realtà dall’incanto di queste prime ore del pomeriggio.
Lasciamo Isternia, tornando verso Tinos, ma seguendo un percorso tortuoso di sterrate che si dipanano al di sotto della strada principale: spesso ci ritroviamo di fronte a cantieri di casette in costruzione, altre volte a grandi ville con accesso privato al mare; una volta ci ritroviamo in una strada chiusa di fronte a una chiesa molto suggestiva ma semi abbandonata, a picco sul mare. Stanchi di vagabondare, troviamo una baietta sassosa e ci concediamo un po’ di riposo.
Alla sera, Tinos città ci sorprende con i negozi aperti fino a tardi, vie ancora più animate del solito, ristoranti estremamente affollati: è sabato ed è l’occasione per lo shopping e per concederci un rapido gyros. Purtroppo, in questi ultimi giorni, il clima serale si è notevolmente rinfrescato, altrimenti affronteremmo volentieri ulteriori chilometri di scooter per recarci nei villaggi del nostro vagabondare quotidiano: le varie taverne sono decisamente più interessanti dei tanti ristoranti del capoluogo, anche se riconosco che alcuni assomigliano molto ai locali glamour di Mykonos (anche come prezzi, però).
Un drink al nostro solito bar (Fevgatos, “Il gatto randagio”) e via, a nanna. Poche ore ci separano dal nostro rientro e vogliamo sfruttare la mattinata di domani al massimo.

4/6/2006
Abbiamo riservato all’ultimo giorno la visita al maggior polo di attrazione dell’isola: la Chiesa di Maria Vergine o Panagia. Lo abbiamo fatto per vederla nel momento di massima attività, quello della funzione della domenica mattina.
Questo importante santuario cristiano ortodosso fu costruito sul luogo del ritrovamento dell’icona sognata da Pelagia, la monaca del convento di Kechrovouni, ed è oggetto di pellegrinaggi continui che hanno il loro apice al 15 agosto quando, per via delle celebrazioni per la festa della Madonna, l’isola diventa pressoché impraticabile.
In questa domenica qualsiasi, la chiesa è comunque molto affollata sia nella parte in cui è contenuta l’icona ed altre icone antiche molto venerate, sia nella parte in cui viene celebrata la funzione. La struttura è composta da un edificio a due piani, circondata da un ampio cortile contenuto da un giro di mura ed edifici vari che la isolano completamente dal resto dell’isola e da Tinos città, che il santuario domina dall’alto. Mi soffermo ad osservare le persone e la venerazione, più che il Santuario in sé: lungo la strada dritta che sale dal mare - una salita di più di 500 metri -, una passerella rossa è stata allestita per delimitare la zona di risalita dei pellegrini che giungono fino alla chiesa in ginocchio. E non sono pochi (o sarebbe meglio, poche) quelli che lo fanno.
Gli altri si accontentano di portare in dono dei grossi ceri che vengono raccolti poco dopo l’ingresso, in un ambiente apposito.
Si passa poi alla chiesa bassa, quella che contiene le icone e dei grossi antichi battisteri: qui nella cella tipica di tutte le chiese ortodosse, un pope benedice i pellegrini e distribuisce del pane benedetto (preparato e tagliato in un edificio annesso). Altri raccolgono l’acqua da una fonte o toccano del terriccio contenuto in una grossa ciotola: presumibilmente terra della zona di ritrovamento dell’icona.
Nella chiesa attigua, costruita su due piani, si svolge invece una di quelle lunghissime funzioni ortodosse, con folla assiepata, rigorosamente in piedi, un certo numeri di sacerdoti che parlano, si allontanano, ritornano, seguendo schemi a me ignoti e incomprensibili; e ci sono poi tanti bambini che lasciano i genitori alla funzione e giocano tra loro, si nascondono dietro le colonne o escono direttamente a rincorrersi in giardino, trascorrendo la mattinata in questo insolito parco giochi senza però fare schiamazzi.
Il tempo è splendido e oltre alle litanie che riempiono l’aria, ricorderò sempre il bianco abbagliante della chiesa e del campanile inondati dal sole di una meravigliosa domenica mattina greca.
Lasciamo il Santuario ai devoti e ci dedichiamo alla ricerca di un benzinaio: opera non da poco, visto che su tutta l’isola solo un paio di pompe sono di turno. Dopodiché eccoci pronti per le nostre ultime ore di mare: ci lanciamo all’esplorazione della zona orientale dell’isola, che solo il primo giorno avevamo sfiorato.
Nelle varie piccole baie che si susseguono e sui vari promontori che le separano, sono state concentrate parecchie nuove strutture di ricezione turistica. Pur non trattandosi di grandi centri, è la parte meno genuina dell’isola e ci piace meno. Anche il mare, qui, non ci entusiasma, complice forse la marea che ha riempito le varie spiagge di uno spesso tappeto di alghe.
Seguendo strade secondarie e le ormai solite sterrate, ci allontaniamo sempre più da questa zona a favore di una parte più impervia e isolata: anche qui, a tratti, fervono i lavori ma la mancanza di una strada propriamente detta ritarderà per qualche tempo un effettivo sviluppo. Incontriamo solo qualche casa con magnifici giardini, ampi campi incolti macchiati dalla ginestra e dagli oleandri, ulteriori stradine che si perdono nel nulla e qualche cappella votiva. Fino a quando giungiamo al bivio con una strada che risale a un grande edificio bianco, da poco ristrutturato, che saliamo ad osservare: dei ragazzi tedeschi si sono installati qui e si dedicano alla pittura e alla scultura. Uno è seduto molto scostato dagli altri, dando a tutti le spalle, con un blocco e una matita: avvicinandomi a lui, scopro “la mia spiaggia”.
Si tratta di un’insenatura di sabbia chiara delimitata da formazioni rocciose modellate dal vento. Alle spalle un ovile ben popolato e, tra i terrazzamenti, una piccola cappella bianca nascosta tra enormi, rigogliosi oleandri. Ecco il posto giusto per passare le nostre ultime ore elleniche. Inutile negarlo: la malinconia ci ha già vinto.
Grazie al confronto combinato di varie cartine, giungiamo alla conclusione che questo piccolo scorcio di Grecia si chiami Santa Margarita, ai piedi del monte Tsiknias, attorno al quale avevamo girato il primo giorno. E sempre in base a questo studio, riteniamo che la grande costruzione bianca trasformato in laboratorio artistico dei ragazzi tedeschi si chiami Panagia Angelon (Kiourià). Ma queste nostre supposizioni sono supportate soltanto da un singolo cartello stradale di incertissimo orientamento.
Rientriamo a Tinos passando, per un ultimo pranzo, nella taverna del primo giorno, che ci era rimasta nel cuore, e “festeggiamo” la fine di questa breve ma intensa vacanza con insalata di baccalà e di piovra, oltre ad altri manicaretti e a un dolce tipico offerto dai proprietari. Impossibile esimersi dal riflettere su quanto migliore potrebbe essere la qualità della nostra vita se ci fosse possibile passare sempre la domenica così.
Grazie al proprietario della nostra casa che ci ha lasciato a disposizione la stanza anche per il pomeriggio, dopo una rapida doccia, chiudiamo gli zaini e ci avviamo all’imbarco: il traghetto è puntualissimo e in circa tre ore ci porta a Rafina. Qui passiamo la notte nel primo hotel che troviamo risalendo dal porto (50 € la doppia), e dopo uno spuntino e una passeggiata, proviamo a prepararci psicologicamente al rientro in Italia previsto con un volo EasyJet nella tarda mattinata di domani.
Arrivederci, Grecia. Spero di rivederti presto.

6 commenti in “Sifnos e Tinos, Cicladi da amare
  1. Avatar commento
    Alberto
    24/05/2008 19:27

    Francamente, datti una regolata !! DIECI pagine piene di particolari assolutamente inutili. Mi sono perso dopo qualche riga. Peccato

  2. Avatar commento
    occhidigatto
    21/05/2007 13:35

    Letto... ed apprezzato!

  3. Avatar commento
    Hal
    21/02/2007 22:36

    Da diverso tempo non leggevo qualcosa di così interessante , scritto bene ed utile per un viaggio, di questo resoconto. Complimenti davvero

  4. Avatar commento
    bea
    25/01/2007 12:17

    Grazie, Linda. Sei molto gentile. E' bello avere dei riscontri ai propri resoconti!

  5. Avatar commento
    lindaelle
    24/01/2007 22:47

    Complimenti Bea! Ancora una volta mi hai fatto sognare di essere là a godere delle due "tue" ultime isole greche come mi è già successo con i tuoi viaggi in Malaisya e Oman. Bellissime anche le fotografie. Ciao e a risentirci al prossimo viaggio. Linda

  6. Avatar commento
    Ba
    12/11/2006 12:10

    Adoro la Grecia, appena torno da un'isoletta mi assale subito la nostalgia, il "mal di grecia". i suoi paesaggi, la gente la rendono una nazione unica che te la fa sentire come patria natia ideale e non te la fa dimenticare mai!

Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento, contattaci per ottenere il tuo account

© 2024 Ci Sono Stato. All RIGHTS RESERVED. | Privacy Policy | Cookie Policy