Le radici del mistero: riti demoniaci e leggende

Tra culti esoterici e città misteriosamente scomparse!

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I culti esoterici erano frequenti e diffusi a Roma, soprattutto con l’estendersi dell’Impero e l’annessione di popoli e credenze di ogni provenienza, non soltanto mediterranea. Di molti tra questi si sono perse le tracce.
Si può solamente tentare di indagare alla ricerca del ricordo di alcune di queste cerimonie, che a volte comportavano il sacrificio di esseri umani.
Per esempio, nelle viscere della città, sul Campidoglio -nel punto in cui si innalza il Palazzo Senatorio- si trovano le fondamenta del TEMPIO DI VEIOVE: una divinità temutissima che aveva il suo regno nelle tenebre ed era il naturale antagonista di Giove, per antonomasia dio del sole e della creazione. Veiove (chiamato anche Vedove o Vediovis) era una divinità demoniaca dei Sabini, che si venerava per timore che facesse del male. Si tratta di un dio di natura assai controversa, poiché era considerato anche come uno degli aspetti di Giove vendicatore. Infatti, secondo Ovidio, questo nome significherebbe appunto Giove fanciullo. Per disposizione di Romolo, chiunque avesse scacciato di casa la moglie doveva compiere un sacrificio in onore di Veiove. Questa tenebrosa divinità veniva rappresentata anche con gli attributi di Apollo ed in compagnia di una capra, animale che gli era sacro. Il suo culto era stato introdotto a Roma dal sabino Tito Tazio e col tempo gli erano stati dedicati due templi, uno sul Campidoglio ed un altro sull’Isola Tiberina. Era pur sempre un dio romano, quindi, per alcuni, era considerare con sacro terrore e da venerarsi perché non portasse sfortuna; per altri era addirittura uno spirito salvatore.

Un altro culto è fatto risalire ad un fatto prodigioso che si verificò nel 362 a.C., quando improvvisamente si aprì nel Foro Romano un’enorme voragine, che risucchiò uomini e cose. Gli àuguri (sacerdoti che secondo il volo degli uccelli predicevano il futuro), immediatamente consultati spiegarono che la voragine si sarebbe presto riempita di acqua e che si sarebbe richiusa quando i romani vi avessero gettato,a titolo di sacrificio, quello che avevano di più prezioso. Mentre le autorità pensavano ad una colossale colletta cittadina, si fece avanti il giovane ed intrepido patrizio Marzo Curzio. Questo, ad un certo punto, proclamò a voce alta che quel che Roma aveva di più prezioso erano i suoi guerrieri. Detto ciò, armatosi di tutto punto, balzò a cavallo e si lanciò al galoppo dentro la voragine in cui scomparve con urla guerresche. La voragine si richiuse subito dopo. Per maggiore sicurezza l’area fu coperta da una piattaforma di lastre di tufo ed in omaggio all’eroe, il luogo fu da allora identificato come LACUS CURTIUS.

Sempre nel Foro Romano, nel mese di maggio avevano luogo le LEMURIA, una serie di riti magici così denominati poiché il loro nome deriva dai Lèmuri, cioè gli spiriti erranti dei morti.
Per diffusa opinione del tempo, le anime dei cattivi vagavano in cerca di pace, che a volte trovavano durante alcune cerimonie (le Lemuria) celebrate il 9, l’11 ed il 13 maggio. I cerimonianti evocavano gli spiriti a voce alta, invocandoli ed attirandoli con il lancio di fave nere, anche se poi la loro vera intenzione era quella di allontanarli delle loro case. Tanto è vero che la formula verbale era: “ spiriti paterni, andatevene!” e veniva ripetuta mentre si percuoteva ogni oggetto dal quale si potesse ricavare rumore.
Si organizzava una processione che giungeva al Ponte Sublicio, un ponte sacro costruito in legno. Era il ponte reso famoso dall’eroismo di Orazio Coclite, l’uomo che da solo durante la guerra contro Porsenna, aveva difeso il ponte lottando contro gli etruschi, permettendo così ai romani di tagliarlo in modo che i nemici non potessero entrare in città.
A questo punto la cerimonia entrava nel vivo: vestali e sacerdoti precedevano sul ponte alcuni uomini legati (condannati a morte per parassitismo –che era considerata una grave colpa). Molta gente accorreva con morbosa curiosità. I cosiddetti parassiti venivano gettati nel fiume e lasciati affogare, poiché il cerimoniale esigeva che non si spargesse sangue. Il macabro rito aveva lo scopo di convogliare gli spiriti verso i nuovi morti, affinché lasciassero in pace i vivi. Probabilmente non si era riflettuto sul fatto che così facendo si creavano nuovi lèmuri e si ampliava il problema!
Col tempo i sacrifici umani cessarono ed al posto dei condannati si utilizzavano dei fantocci di paglia.

Un’altra vicenda ammantata di mistero, se per tale si intende la totale assenza di elementi storici, è quella legata alla CITTA’ DI ALBA LONGA. E’ fuori dubbio che sia esistita; ciò che sconcerta è il fatto che di una città capitale della Lega Latina, che s’era vantata di essere la rivale di Roma, non sia rimasta alcuna traccia.
La città laziale sorgeva sul Monte Cavo, nei pressi della moderna Castelgandolfo e secondo le leggende più accreditate, venne fondata da Ascanio –figlio di Enea- circa quattro secoli prima di Roma. Non è ancora chiaro il motivo, dal momento che suo padre volando in cielo gli aveva lasciato sia una regno, sia una capitale (Lavinio). Alba Longa, comunque, fu una città molto più bella, grande e potente di quella paterna, distrutta dai romani al tempo di Tullo Ostilio, a causa del tradimento del dittatore di Albano Mezio Fuffezio. Che successe? A Mezio non andava troppo a genio dover essere alleato di Roma, così quando Tullo Ostilio dovette vedersela di nuovo con quelli di Veio, andò a dar man forte agli Etruschi. Dopo la vittoria, Tullo agguantò Mezio e lo fece squartare con le membra legate ad un paio di cavalli, poi se la prese con la città. Alba Longa fu rasa al suolo, gli abitanti che non riuscirono a scappare nella vicina Boville furono trasportati a Roma.

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