Viaggio attraverso un bene quotidiano: il pane!

Il “pane nostrum”: la ricchezza della diversità

Lo scorso 28 marzo Legambiente ha promosso "Voler bene all'Italia", una giornata dedicata ai piccoli comuni. Tra le altre manifestazioni, un consorzio nazionale di 32 Comuni, fondato ad Altopascio (Lucca) nel 2002, impegnato nella tutela del pane tipico e nella valorizzazione dei territori di produzione, ha organizzato una visita guidata ai panifici della zona.
Filoni, freselle, taralli. E ancora bauli, rosette, schiacciatine… Di grano duro, tenero, a base di farine integrali. L'Italia, con i suoi 200 tipi di pane, suddivisi in 1500 varianti, è un esempio unico al mondo di biodiversità alimentare. Un patrimonio censito dall'"Atlante del Pane" (Agra editore, 2002), con tanto di cartografia e schede di approfondimento, che fino a qualche tempo fa, sotto la spinta dell'omologazione alimentare, sembrava spacciato.
Invece, a quasi sei anni dall'introduzione del DPR n. 502 del 30/11/1998 che prevede l'adeguamento delle norme di panificazione italiane a quelle comunitarie, la specificità della panificazione italiana non sembra affatto a rischio. Anzi. L'interesse dei consumatori verso il "pane nostrum", con il patrimonio di cultura e di sapori che lo ricollega a quello degli altri popoli del Mediterraneo, sta letteralmente lievitando. Mentre si moltiplicano le certificazioni, i consorzi locali, i gruppi di ricerca che scommettono sul pane tipico e biologico.
Le statistiche del resto confermano che, nonostante sia stato messo all'indice da alcune diete, il pane resta l'alimento più amato, specialmente se prodotto in maniera artigianale.
"In Italia il 90% della produzione di pane annua, su circa 3 milioni e mezzo di tonnellate totali, è artigianale. Siamo il Paese europeo con il più alto consumo pro capite: quasi 20 kg. a persona in più della Francia, seconda classificata - racconta Maurizio Marchetti, assessore del Comune di Altopascio e presidente dell'Associazione Città del Pane - Crediamo che la difesa della tradizione sia la chiave di volta per un successo duraturo. Oggi l'autoreferenzialità nell'attestazione dei requisiti qualitativi non è più ammissibile, perciò abbiamo deciso di approntare un progetto che indirizzi gli associati verso la tutela e il riconoscimento del pane tipico".
Come? Regolamentando l'identificazione dei prodotti che, non avendo alle spalle disposizioni certe e riconoscibili, rischiano di aumentare il grado di confusione. E adottando forme di controllo rigorose e imparziali. Non per nulla l'adesione al progetto impone il rispetto di un determinato disciplinare: la descrizione del metodo impiegato, delle materie prime e delle caratteristiche fisiche, chimiche e organolettiche del prodotto. "Vogliamo fare in modo - riprende Marchetti - che i panificatori operanti in ogni singola realtà vadano nella direzione di riconoscimenti seri: la Denominazione d'origine protetta e il marchio collettivo.

Pagnotte da Oscar
Intanto c'è già chi sta seguendo questo orientamento. E' il caso del Comune di Genzano, nella zona dei Castelli Romani, socio fondatore delle Città del Pane, che è anche il primo ad avere ottenuto una IGP dall'Unione Europea.
"La qualità del nostro pane, che è un alimento "vivo", dipende anche dalla qualità dei cereali impiegati e del lievito madre, ricco di fermenti" racconta Roberto Licciani, titolare di uno dei più antichi forni a legna dei Castelli Romani e socio del Consorzio volontario di produttori del pane di Genzano. La tipicità sta anche nel processo di lavorazione, che ha origini lontane: durante la lavorazione le pagnotte e i filoni vengono sistemati in cassoni di legno con i teli di canapa. "Subito dopo l'ingresso dell'Italia nell'Unione Europa alcune autorità preposte ai controlli sostenevano che i pannelli di tela e le tavole non erano adeguati agli standard europei. Ma noi abbiamo insistito, perché proprio l'ausilio di questi materiali contribuisce alla genuinità del nostro prodotto" spiega Sergio Bocchini, titolare di un altro forno di Genzano, Oscar qualità Gambero Rosso 2004.
Ma perché i forni a legna vanno scomparendo? "Per una questione di concorrenza industriale. Basti pensare che un forno indiretto, il vapoforno, produce tre quintali di pane in sole tre ore, mentre il forno tradizionale a legna ne produce 80 chili ogni tre ore e mezza - dice Licciani - Ma è una fatica che vale la pena compiere, per un riscontro di qualità ma anche di richiesta da parte dei consumatori".
E così i forni di Genzano continuano ad essere alimentati da fascine di castagno, raccolte nei boschi circostanti. Attività, anche questa, tradizionale e capace di sopravvivere al tempo.

Archeologia di sapori
Ma esiste un identikit del pane DOC? "E' quello di produzione rigorosamente locale, cotto nel forno a legna e con farine biologiche locali - dice Avelio Marini di Legambiente Rural Network, che connette gli agricoltori che aderiscono all'Associazione - è questa l'eccezionalità alla quale aspirare". Ma, attenzione: biologico non sempre è sinonimo di tipico. Quest'ultima caratteristica sta anche nel tipo di farina: una farina può essere biologica ma provenire dal di fuori del circuito locale. Perché un prodotto biologico slegato dal territorio perde di "tipicità", così come un prodotto locale non biologico non è sempre sicuro per la salute.
E poi un autentico prodotto tipico non può che valorizzare, insieme alla cultura, anche l'ambiente. In alcuni casi, come nelle "zone areali limitate" di 5-10 comuni, l'eccesso di produzione potrebbe generare delle conseguenze negative. Un esempio? Quello del pane di Altamura, nel barese, che ha ottenuto il marchio DOP. Ma con l'intensificarsi della panificazione questo fazzoletto della Murgia è stato interessato dal fenomeno dello "spietramento", la frantumazione meccanica delle rocce affioranti per rendere coltivabili i terreni. Nonostante questo, il circuito del pane di Altamura rappresenta un ottimo esempio di gestione locale.
Ma la scommessa su cui sta puntando il Rural Network del Cigno riguarda la rinascita di un antico pane di Sicilia, vale a dire quello della Val Dittaino, nella zona di Caltagirone. "Stiamo cercando, insieme alla Stazione sperimentale di granicoltura di Caltagirone, di immettere nuovamente nel mercato alcune varietà di semi tipici del calatino - spiega ancora Avelio Marini - Almeno quattro varietà saranno seminate il prossimo autunno, tra due estati sarà perciò possibile ottenere la farina. E riscoprire il sapore di un pane che sembrava scomparso per sempre".

Campioni d'arte bianca
I pani della pianura padana? Sono per palati delicati. Quelli del Trentino Alto Adige invece hanno un gusto "forte" e predispongono a una sana passeggiata in montagna. Ogni regione italiana, anzi ogni territorio, ha le sue tradizioni in fatto di "arte bianca". E scoprirle significa avventurarsi in un viaggio fra le mille anime del Bel Paese.
Da Cortina d'Ampezzo proviene per esempio la cosiddetta "puccia", una piccola pagnottella arricchita con semi di cumino e origano selvatico locale. In Val Venosta si mangia invece il "paarl" (coppia), un "otto" schiacciato, talvolta aromatizzato ai semi di finocchio o al cumino. Entrambi rappresentano la colazione ideale, accanto a formaggi e salumi affumicati, prima di avventurarsi in alta quota. Più a valle ecco spuntare i "bauli", le "riccioline" e le "schiacciatine", a pasta dura e di grano tenero. Mentre Milano sfoggia la "francesina" e la "michetta", più delicate e cittadine. Alcuni tipi di pane poi fanno bene alla linea: è il caso del pane di Cibago, uno dei pochi prodotti da forno reggiani senza strutto. O ancora il classico pane toscano, dal gusto essenziale, con pochissimo sale. Un altro prodotto della terra di Dante è il "marocco", un pane davvero ricco: all'impasto di farina di mais e grano tenero vengono aggiunti olio, olive intere in salamoia, aglio, rosmarino, salvia e peperoncino. Tipico della Garfagnana è invece il pane di patate.
Nella Capitale spicca la tradizionale "ciriola", adatta in particolare per crostini al forno alle alici, formaggio e burro. Dalle zone limitrofe, il pane dei Castelli Romani, come quello di Lanuvio o di Genzano, dove tiene banco anche la gustosa pizza bianca al forno. Nelle Marche, e più precisamente nei Monti Sibillini, esistono ancora forni che producono il pane al mais dall'intenso odore di polenta. In Campania si trovano i popolari "taralli" (a ciambella o a bastoncino) e le "freselle", condite con pomodorini freschi, olio e basilico. E poi il celebre pane "cafone", in tutte le sue espressioni: la "cocchia", la "pagnotta" e il "palatone" (dal peso di un chilo circa).
La Puglia vanta il pane di Altamura (l'unico pane italiano DOP, vedi sopra) e tante altre specialità, come il pane di Monte Sant'Angelo (Foggia). E' calabrese invece il pane di Cerchiara, dalle grandi dimensioni (fino a tre chili) e dal gusto unico. Il segreto? Una buona dose di crusca e pura acqua di montagna. Nel cosentino troviamo il pane alle castagne. Dalla Sicilia provengono "vastedda" e "piccidiatu", pani scuri e dall'intenso profumo di olivo. Infine, in Sardegna mangiano il "foglio da musica", croccante e sottile.

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