Una settimana in Trentino, ovvero 8 giorni in Paradiso

Un’indimenticabile traversata dalla Val di Fassa a Cortina

Itinerario

30 Luglio - 7 Agosto 2011
Le nostre auto e i nostri Angeli Custodi, che ci aspetteranno nelle tappe dove è previsto l’albergo, ci salutano a Pera di Fassa e in cinque con tanta voglia di camminare, ci dirigiamo verso il Rifugio Gardeccia con un pulmino-navetta. Siamo in piena stagione, quindi inutile dire che ci troviamo circondati da vocianti gruppi di turisti in ciabatte infradito o scarpine con il tacco che qui sono arrivati con la navetta e qui si fermano. Il panorama è comunque bello in una giornata assolutamente perfetta: cielo sereno, brezza leggera e luce da mille fotografie.
Con i nostri zaini in spalla cominciamo, tramite una larga strada bianca in leggera e costante salita, il nostro percorso che ci porterà dalla Val di Fassa a Cortina attraverso i panorami delle nostre Dolomiti, cioè i panorami più belli del mondo.
E come si fa a non rimanere incantati, quando lo sguardo non sa dove fermarsi, quando le Torri del Vajolet cominciano a giocare a nascondino con le altre pareti rocciose apparendo e sparendo dalla nostra visuale. Improvvisi mazzi di fiori coloratissimi sbucano dagli anfratti rocciosi, curiosi pezzi di legno intagliato, con frasi dialettali incise, sono appesi ad altezza d’uomo. Il Rifugio Preuss ed il Rifugio Vajolet affiancati, ci danno il benvenuto e ci aprono il sipario verso la parte più intensa ed affascinante del tragitto arricchito da opere di vari artisti, il cui intento è di unire arte e natura in un insieme compatibile. Purtroppo non tutti raggiungono il loro scopo.
E’ comunque interessante scoprire il significato dato dagli artisti alle opere, poi sta alla sensibilità ed al giudizio di ciascuno di noi dare le proprie valutazioni. Tutto sommato direi comunque che l’opera d’arte più bella ce la offre la natura con la spettacolarità del panorama e la varietà di colori che la roccia assume ad ogni cambio di luce solare, fino ad una tonalità quasi violacea, quando i raggi si abbassano. L’uomo non può migliorare quello che è già perfetto.
Alla fine del nostro percorso di questo primo giorno, o meglio mezza giornata, arriviamo al Rifugio Passo Principe dove sosteremo per la notte. Piccolo, senza pretese, ma garbato e confortevole, sembra una emanazione della parete rocciosa alla quale si appoggia e mentre gradualmente la luce solare cala di intensità, ci godiamo nell’assoluto silenzio, l’accendersi della notte.

La mattina, freschi e pimpanti, partiamo per il percorso che più di ogni altro mi rimarrà nel cuore e nella mente: Catinaccio d’Antermoia, passo, vallone e lago. Mentre si sale per la traccia di sentiero, il Rifugio Passo Principe diventa sempre più piccolo, quasi assorbito dalla parete rocciosa, poi si arriva alla piccola sella del Passo d’Antermoia e va in scena un vallone dall’aspetto lunare, di colore bianco rosato dove ogni tanto qualche timido fiorellino giallo riesce imporre la propria presenza.
Sembra di entrare in un altro mondo pieno di magia e di fascino. Si scende in silenzio, quasi intimoriti ed improvvisamente compare la macchia azzurra del piccolo lago ancora circondato da lingue di neve e ghiaccio, mentre l’orizzonte è occupato dalle cime della Marmolada. Secondo una leggenda locale il lago è nato dalle lacrime versate da una fanciulla separata a forza dal suo amato.
Sosta al Rifugio Antermoia e poi via verso il Passo Duron e qui altra botta d’emozione quando, raggiunto il passo, si apre davanti a noi a 360° gradi la pura e semplice bellezza, il meglio del meglio. Per citare solo alcuni nomi si passa dalla Marmolada, al Gruppo del Sella, al Sassolungo e Sassopiatto allo Sciliar e scusate se è poco…
Si comincia a scendere e gradualmente ritroviamo la vegetazione consueta di valle, con prati e tantissimi fiori di ogni colore. Siamo ormai nella strada bianca che percorre tutta la Val Duron e che ci porterà, dopo diversi km, fino a Campitello (questa notte si dorme in albergo).
Durante il percorso baite e piccoli rifugi con buffe statue di legno fiancheggiano la strada, immerse nel più classico paesaggio altoatesino da cartolina. Perfino le marmotte sono ormai tanto abituate alla presenza umana che giocano allegramente intorno alle baite.
Tutto bello, ma la mia ombra è ancora lassù nel vallone ed accanto al lago del Catinaccio d’Antermoia.

Lasciamo Campitello e in auto ci spostiamo verso il “Lupo Bianco” baita ristorante da cui parte un largo sentiero che ci porterà al cospetto dei famosissimi Sassolungo e Sassopiatto.
Anche oggi ci aspettano scenari straordinari, purtroppo sono zone facilmente raggiungibili con auto e impianti, per cui la presenza umana è notevole. D’altra parte dal Rifugio Passo Sella c’è una strada bianca larghissima che conduce all’altopiano nel quale si contano ben 5 Rifugi, due dei quali sembrano alberghi di lusso. La giornata non è limpidissima e tanti banchi di nubi si rincorrono. Ma proprio queste nubi creano scenari insoliti e a volte misteriosi e il paesaggio cambia aspetto molto velocemente. Mentre si sale verso il Sassolungo, le nubi coprono completamente il massiccio, poi un’apertura lascia intravedere alcuni pezzi di cresta che sembrano uscire dal nulla, come sospese nell’aria, come piccole isole che navigano nel mare di nebbia. Poi il vento spazza via tutto e la montagna si offre in tutta la sua magnificenza.
“Domani scenderemo da là, da quel canalone” dice Luca mostrandomi la discesa che dal Rifugio Demetz porta alla strada per il Passo Sella; “Ma tu sei matto” rispondo io guardando la ripidità del sentiero.
Intanto con calma facciamo il giro di tutti i Rifugi, vediamo lanciarsi in volo alcuni deltaplani che sorvolano tutto il comprensorio trasportati dalle correnti d’aria, mentre sotto di loro si srotola un insieme unico al mondo. I nostri passi ci portano fino al Col Rodella. Saliamo sulla sua terrazza con vista mozzafiato sul Gruppo del Sella e sulla Valle che da questo nido d’aquila sembra così lontana, quasi una ferita verde tra le onde delle catene montuose.
Nerissimi nuvoloni si addensano e coprono tutto e tutti, scaricando in pochi minuti tra tuoni e fulmini scrosci di acqua.
Facciamo appena in tempo a scendere nel sottostante salone del Rifugio aspettando che il temporale passi consolandoci con uno strudel. Dopo poco tutto finito, il sole e il cielo sereno riprendono il sopravvento e nel dopo temporale con la luce lavata dalla pioggia, tutto è più limpido e i colori più forti.
Che spettacolo! Davanti ci sono il Sassolungo e il Sassopiatto, a destra il Gruppo del Sella che visto da qua è, se possibile, ancora più imponente.
Riprendiamo il cammino imboccando il sentiero Friedrich August e dopo aver superato il Rifugio omonimo e il Rif. Pertini, proseguiamo costeggiando ora il Sassopiatto. Bel sentiero praticamente piano, ma sempre con un panorama superbo, non è possibile procedere velocemente, ci si deve per forza fermare ad ammirare gli straordinari scorci fotografici che immagazziniamo nella nostra memoria.
Quando il sole inizia ad abbassarsi, raggiungiamo il Rifugio Sassopiatto dove pernotteremo, mentre un cielo nero temporale si scontra con l’azzurro profondo che circonda ancora il massiccio del Sassopiatto che ci sta di fronte, in un intenso ed alterno gioco di luci e colori. Bella giornata rilassante e divertente, nella quale i continui mutamenti climatici ci hanno offerto la possibilità di vedere cielo e luce in continuo movimento rendendo gli elementi mai uguali a se stessi.

Dopo una nottata in camerata non propriamente tranquilla, riprendiamo il sentiero intorno al Sassopiatto avvolti da un velo di nuvole basse che gradualmente si diradano, per lasciare il posto ad una bella giornata di sole, che tuttavia mantiene una leggera velatura sufficiente a coprire la vista dello Sciliar. Il panorama cambia ed ora siamo alla presenza di una vasta area ondulata adibita a pascolo e punteggiata da malghe e tutta circondata e protetta dalla corona di queste imponenti catene montuose.
Torniamo gradualmente verso il Sassolungo, saliamo al Rifugio Vicenza dove facciamo sosta prima di iniziare la salita del vallone che ci porterà al Rifugio Demetz posto esattamente sulla cresta.
Una fila di formiche umane scendono il vallone dopo essere saliti al Rifugio tramite ovovia dal Passo Sella, mentre noi naturalmente andiamo in senso contrario, saliamo lungo il vallone che subito si presenta abbastanza dolce, poi cambia e alla fine diventa abbastanza ripido con un bel nevaio finale. Ma al Rifugio ci aspettano i nostri Angeli Custodi che ci coccolano e ci tengono compagnia mentre ricarichiamo le batterie delle nostre energie e come sempre succede in montagna, vale la pena fare un po’ di fatica per salire, perché poi si viene ripagati da paesaggi che solo dall’alto si possono ammirare.
Luca non scherzava ieri, dobbiamo veramente scendere lungo quella “cosa” che sembrava così ripida (e lo è davvero), poi mi faccio coraggio, abbandono l’idea dell’ovovia e con prudenza affronto la discesa sotto il vigile controllo di Luca. Il sentierino scende a zig-zag e taglia il pendio scendendo gradualmente di quota fino ad immettersi in un sentiero più ampio e dolce facilmente percorribile.
Passiamo un gruppo di rocce chiamato “La città dei Sassi” e, ormai sul piano, andiamo velocemente verso il Rifugio/Albergo Passo Sella che ci ospiterà per la notte. Al tramonto ci appostiamo, mentre la temperatura si abbassa notevolmente, per attendere l’“Enrosadira” cioè l’affascinante fenomeno per cui la dolomia, di cui sono formate le Dolomiti, colpita dai raggi del tramonto o dell’alba, assume una delicata colorazione che dal rosa sfuma verso il viola e l’arancio. Secondo una leggenda dobbiamo questo spettacolo al Re Laurino e alle sue bellissime rose che si possono vedere solo all’alba o al tramonto.

Torniamo sulla terra e partiamo per una due giorni sul Gruppo del Sella.
L’impianto di risalita ci porta al Rifugio Maria al Sass Pordoi insieme ad una fiumana di persone la maggior parte delle quali, per fortuna, si ferma lì. Dopo aver vuotato la memoria dalle suggestive immagini dei giorni precedenti, iniziamo a riempirci gli occhi con i pinnacoli gotici, i torrioni da Far West e l’abbagliante luminosità di ciò che ci circonda. Poi scendiamo verso il rifugio Forcella Pordoi che ci ospiterà per la notte, alleggeriamo un po’ gli zaini e partiamo per il Rifugio Boè e la Capanna Fassa. Una curiosa formazione nuvolosa riempie tutto il corridoio della Forcella Pordoi passando tra due altissime pareti di neve e rimane ferma, mentre il Rifugio a pochi metri di distanza, è inondato di sole. Prendiamo il largo sentiero che porta alla piattaforma rocciosa su cui sorge il Rifugio Boè, sembra una zattera che naviga tra appuntite isole e profondi burroni. Tutto è talmente abbagliante che sembra coperto di neve. Dall’alto del suoi 3152 mt. la Capanna Fassa ci fa l’occhiolino e si mostra in pieno sole promettendoci 360° di panorama spettacolo. Sosta obbligata al Rifugio Boè, attacchiamo la spina al sole e ricarichiamo le pile e poi via verso la Capanna salendo dal canalone (un cartello lo indica per la discesa) che con circa 300 mt. di dislivello ci porta “ripidamente” al cospetto della Capanna Fassa. E dopo aver fatto tutto questo bel percorso… dov’è la Capanna? Le nuvole avvolgono tutto, non si vede nulla, il grandioso paesaggio che ci aspettavamo è scomparso in un mare grigio e freddo. Resta solo la soddisfazione di essere arrivata quassù. Bevande calde, foto di rito al cartello che indica l’altitudine e poi indispettiti e delusi, mentre iniziano a cadere piccoli chicchi di ghiaccio, iniziamo la discesa dalla parte opposta alla salita, prima che la situazione peggiori ulteriormente. Gli agenti atmosferici e alcuni sgretolamenti della roccia friabile, hanno modificato il percorso di discesa che in alcuni punti si presenta ostico e crea qualche problema, poi pian piano arriviamo in presenza dei cavi di acciaio e, dopo aver ringraziato San Cavo (e San Luca), riguadagnano la zona piatta di questo altopiano lunare. Naturalmente ora rispunta il sole !
Comunque soddisfatti ci dirigiamo di nuovo verso il nostro Rifugio per il meritato riposo. Durante la notte un violento temporale ci fa preoccupare per il giro dell’indomani.

La mattina ci sveglia con un sole splendente ed un cielo terso, non una nuvola, respiriamo a pieni polmoni l’aria fresca e pulita, un ultimo saluto al pezzo di luna caduto sulla terra “a miracol mostrare” e con garbo ci avviamo in discesa lungo il sentiero zigzagante che scende dalla Forcella Pordoi, un po’ meno ripida del Demetz, ma di tutto rispetto.
A metà discesa imbocchiamo un sentiero alla nostra sinistra che ci farà circumnavigare una parte dell’immenso gruppo roccioso e ci porterà verso il Rifugio Kostner e poi a Corvara.
E’ un bellissimo e panoramico sentiero che sta sempre ai piedi della parete rocciosa, là dove inizia lo sfaldamento, mai molto esposto, si allarga e si stringe tra piccoli sassi, grandi massi e graziosi fiori di ogni colore che tentano di colonizzare e di dipingere la tela bianca della roccia. Tutto è già stato detto e scritto di questo immenso panorama al cui cospetto ci si sente così piccoli ed inutili, ma quasi protetti da questa enorme massa di forza pura. Mentre si cammina ho come l’impressione di fare solletico ai piedi di questo gigante buono. Poi il sentiero gira decisamente a sinistra portandoci verso l’ondulato altopiano che ospita il Rifugio Kostner, per poi scendere agli impianti che ci porteranno a Corvara. Intanto iniziamo a vedere il Sasso della Croce con la sua forma particolare e tutta la catena di cime, selle e passi ad esso collegate, ma ci penseremo domani. Un’ultima sorpresa, un piccolo lago alla base di un cerchio di alte pareti e accanto, protette dal verde intenso dell’erba, spuntano le stelle alpine in tutta il loro timido, ma sensuale candore.
Ciliegina sulla torta! Questa sera albergo e… luuuuuuungo idromassaggio nel Centro Benessere.

Ritemprati nel fisico e dopo un’abbondante colazione, i nostri insostituibili Angeli Custode ci accompagnano fino in loc. La Villa (Alta Val Badia), all’imbocco del sentiero che ci condurrà, tramite la Forcella de Medesc, alla nostra meta odierna che sarà il Rifugio Fanes nel Parco Naturale Fanes Braies.
Si inizia con un bosco fresco ad alto fusto che gradualmente lascia il posto a bassi arbusti, poi sarà solo pietra sgretolata, quasi sabbia di color ocra. Una traccia di sentiero ci indica la direzione più facile da percorrere per vincere la ripidità del canalone, ampio e piacevole da percorrere in un primo momento, poi decisamente arduo man mano si sale verso la forcella. Alle nostre spalle il Gruppo del Sella ci saluta e ci mostra per l’ultima volta i suoi gioielli che spiccano dal verde intenso della sottostante Val Badia.
Dopo qualche problema negli ultimi metri di salita, arriviamo alla Forcella de Medesc e davanti a noi si estendono vallate ricche di marmotte in uno splendido panorama in quota (2584 mt.) formato da un vasto anfiteatro ricoperto di basso strato erboso, circondato da formazioni rocciose dai colori che passano dal grigio all’ocra e che a volte sembrano enormi onde di roccia. Davanti a noi il Sass de la Crusc. Si cammina ora su un saliscendi continuo e man mano si scende di quota la vegetazione cambia e ricompare il bosco. Ricompaiono anche le nuvole e per la prima volta in questa traversata, ci prendiamo un’ora di pioggia battente. Arriviamo finalmente a valle e al Rifugio Lavarella mentre rispunta il sole. La nostra meta è vicina e la si vede a poca distanza, ma il Lavarella è molto confortevole e decidiamo di fermarci per un thè caldo. Peccato non aver prenotato qui per il pernottamento.
Dopo una breve sosta riprendiamo la strada bianca che costeggia un anfiteatro naturale di sassi curiosamente squadrati, sembra di essere in un teatro greco o romano. Siamo al “Parlamento delle Marmotte”.
Eccoci al Rifugio Fanes, o meglio all’Albergo Fanes: del Rifugio rimangono solo due piccole camerate da 12 posti letto, mentre tutto il resto, atmosfera compresa un po’ fredda e distaccata, è da albergo che ospita più volentieri i turisti, che magari si fermano qualche giorno, che gli escursionisti di passaggio.

La mattina partiamo baldanzosi, ormai siamo allenati alle lunghe camminate e i muscoli non si lamentano più.
Oggi ci aspetta una lunga strada quasi piatta che attraversa il Parco del Fanes per finire nel Parco naturale delle Dolomiti d’Ampezzo, tra torrenti, alte pareti di roccia, pascoli e boschi ad alto fusto.
Non c’è presenza umana, dopo l’ultimo piccolo e graziosissimo Rifugio Utia Gran Fanes che profuma di strudel e caffè fatto con una grande moka sulla stufa a legna, la natura la fa da padrona. L’abbondanza d’acqua ovviamente rende prorompente la vegetazione in un paesaggio bucolico e rilassante.
Ma ad un certo punto, verso la fine del percorso, la montagna riprende il sopravvento e il torrente per trovare la sua via ha dovuto scavare nei secoli profonde forre con salti d’acqua improvvisi e piccoli canyon (percorribili con l’imbragatura). Una di queste cascate è particolarmente bella, perché l’acqua nel suo balzo scorre sopra un ampio sperone di roccia sotto al quale ci si può rifugiare e vedere per una volta il muro spumeggiante da dietro. E’ come entrare in una casa (un po’ umida) ed essere isolati dal mondo esterno.
Dopo questa ennesima bella esperienza, ci dirigiamo pieni di allegria verso la meta finale e cioè Fiames, mentre già ci raccontiamo gli aneddoti della settimana appena trascorsa. Ci attendono per l’ultima sera insieme i nostri Angeli, che con molta pazienza ci lasciano raccontare le nostre esperienze, gli scherzi, le stupidaggini e le piccole paure di una settimana che difficilmente potremo dimenticare.
Anzi, cominciamo già a progettare il futuro e i luoghi dove andare nella settimana che nel prossimo anno ci ripromettiamo di trascorrere ancora insieme.

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