31 ottobre 2010 – 5 giorni fa
Oggi è Halloween, ed è pure domenica; due eventi casuali e forse di poco conto ma che condizioneranno la nostra (più la mia a dire il vero) giornata.
Sono oltre 350 i chilometri oggi in programma quindi ci mettiamo presto al volante e guidiamo per le strade di una Surfers Paradise deserta; per strada incontriamo solo un gruppo di bambini che, indossati i costumi e le cuffie d'ordinanza, gialli e rossi, sta andando alla spiaggia per il loro corso da bagni si deve cominciare presto se si vogliono salvare vite da grandi!
La destinazione è Rainbow Beach, paesino scelto come destinazione per la giornata solo ieri; l'idea iniziale infatti era di arrivare fino a Hervey Bay, capitale mondiale del whale watching (in stagione!) e nota a livello turistico perché punto di partenza per Fraser Island, meta stabilita per la nostra prima escursione australiana.
Viste le scarse attrazioni lungo la strada decidiamo di compiere una deviazione fuori dall'autostrada che porta a nord attraversando lungo la Irwin Way le Glass House Mountains fino a Landsborough e da lì arrivando a Maleny.
Il paese è piccolo e distribuito lungo la via principale, costeggiata da edifici di legno, a due piano con negozi riparati da un porticato interrotto solo dalle strade secondarie. Una libreria, un negozio di artigianato in legno, un piccolo fiorista, una paio di caffè ed un ristorantino, l'uno dietro l'altro, con le vetrine incorniciate di legno e le tinte pastello delle insegne e delle decorazioni, questo è il piccolo centro della cittadina, un luogo dove ancora la semplicità è la regola e l'attrazione principale è quel senso di rilassatezza e quella naturale tranquillità che si vive sbirciando al di là dei vetri e fra le porte aperte.
A rovinare tutta questa bellezza e a metterci ansia per tutto il resto della giornata sono le questioni economiche. Oggi è domenica ed abbiamo finito i dollari; abbiamo molti euro ma siamo fuori dalle rotte turistiche e dalle grandi città quindi oltre a non esserci banche aperte non abbiamo nemmeno la possibilità di trovare qualcuno che ci cambi le nostre banconote. Come se non bastasse i bancomat non leggono le nostre tessere e da un paio di giorni entrambe le nostre carte di credito hanno raggiunto il limite mensile di utilizzo e sono inutilizzabili; abbiamo ancora un po' di contante ma sappiamo di doverlo utilizzare per fare il pieno dell'auto visto che i chilometri da fare per arrivare a destinazione questa sera sono ancora molti. Ma non basta ancora: dobbiamo ancora prenotare l'escursione di domani a Fraser Island e senza carta di credito il call center dell'agenzia che organizza il tour non accetta la nostra richiesta; in somma, per una stupida svista (potevamo cambiare gli euro ieri senza problemi!) e lo strano sovrapporsi di coincidenze (domenica, carte di credito esaurite, bancomat non funzionanti), siamo praticamente al verde!
Anche Montville vale una passeggiata; siamo poco lontani da Maleny, il paesino è poco più grande, l'atmosfera è meno country, negozi e locali si alternano a giardini e viali alberati, l'aria che si respira è la stessa così come la tentazione di fare shopping e portarsi a casa un po' di quella strana “Australia alpina” che non pensavamo di trovare dall'altra parte del mondo.
Per fortuna c'è Debbie.
Le ore al volante (anche oggi sono state oltre 5) si fanno sentire, appesantite dalla tensione per la situazione economica e l'impossibilità di prenotare l'escursione di domani così quando nel pomeriggio arriviamo a Rainbow Beach siamo piuttosto stanchi.
Ma per fortuna ad attenderci c'è Debbie.
Nei giorni scorsi, quando abbiamo deciso di fermarci a Rainbow beach, abbiamo trovato su internet e subito prenotato un b&b, il Debbies Place, che oltre a non costare molto ci sembrava accogliente e proprio quello che cercavamo; non restiamo delusi: una esuberante ed allegra signora, Debbie appunto, accompagnata da Suzie, il fedele piccolo peloso yorkshire, ci fa accomodare in un ampio monolocale arredato benissimo e curato in ogni dettaglio, con cucina a disposizione e veranda esterna con tanto di tavolino e sedie. La bellezza dell'appartamento è amplificata dalla cortesia della padrona di casa che senza battere ciglio e senza pensarci più di un minuto, sentiti i nostri problemi con contanti e carte di credito, non solo non vuole la caparra per i due pernottamenti ma ci anticipa i soldi necessari per l'escursione di domani mattina, senza nemmeno volere in cambio i nostri euro come garanzia! Non potevamo sperare di trovare un'accoglienza migliore di questa!
Ne avevo letto prima di partire ma solo dopo che Debbie ce lo ha consigliato con tanta insistenza, dopo aver comprato qualcosa al supermercato locale ed aver fatto due passi sulla via principale (proprio niente di particolare), superando un paio di famiglie con bambini vestiti da fantasmi e vampiri (è Halloween oggi e qui si festeggia!) arriviamo in auto all'imbocco del sentiero che porta alla Carlo Sand Blow; cinque minuti a piedi fra gli eucalipti e nuovamente ringraziamo Debbie per il regalo che ci ha fatto: quando la vegetazione finisce ci troviamo sulla cima un'enorme duna di sabbia ocra che da un lato domina il paese, da quello opposto si getta in un mare blu intenso. È impressionante quanto la duna sia alta e le sue pareti laterali, si perdano fra la vegetazione fitta cadendo quasi verticalmente; noi passeggiamo un po' a piedi nudi in attesa che cominci lo spettacolo, il tramonto. Sguardo rivolto ad ovest, seduti sulla sabbia insieme ad alcuni ragazzi come noi incantati da quello che stanno ammirando, guardiamo stupiti e felici il mondo che si colora di rosso, giallo ed arancione, un cielo illuminato e disegnato da nuvole e raggi di luce chiara ed i riflessi sugli specchi di mare abitati da delfini e balene che circondano Rainbow Beach. È uno spettacolo incredibile, emozionante, indimenticabile e conclude in maniera senza dubbio sensazionale questa intensa tappa del nostro viaggio.
1 novembre 2010 – 4 giorni fa
Non so bene ancora come chiamarlo, se camion, furgone o pulmino, sta di fatto che quando arriva alla pompa di benzina dove lo stavamo aspettando ci incute un po’ di timore; rosso e nero, con i vetri scuri e soprattutto con quelle enormi ruote dagli pneumatici tanto scolpiti da sembrare artigli e le sospensioni talmente alte da rendere quasi complicato salire a bordo. Quando si ferma a scendere è Tim, scarponi e calzettoni, pantaloni e camicia a maniche corte, immancabile cappello kaki in tinta con tutto il resto e pancia prominente; sarà lui il nostro “ranger/guida/autista” per la giornata e non potevamo sperare di meglio: simpatico, chiacchierone, innamorato della sua terra e del suo lavoro, attento alle nostre esigenze e alle mille richieste di tutti. Fortunatamente per lui (e per noi!) questi “tutti” non sono poi molti, una ventina di persone in tutto, provenienti da ogni parte del mondo e di ogni età.
Una decina di minuti di strada asfaltata e sprofondiamo le ruote sulla sabbia, morbida della spiaggia dell’Inskip Passage dove ad aspettarci c’è una chiatta che permette a noi ed al nostro mezzo di superare in pochi minuti il braccio di mare che separa dalla costa la nostra destinazione: Fraser Island, isola di sabbia più grande al mondo, un parco naturale dove ancora vivono allo stato brado i dingo, dove non esistono strade e l’arteria di movimento più importante è la spiaggia, lunga 75 miglia, dove una foresta fittissima consente alla natura di fare il suo corso indisturbata nascondendo ancora sorprese e specie vegetali o animali sconosciute!
Siamo seduti in cabina, a fianco di Tim, e godiamo la magnifica visuale del mare e delle onde che si infrangono sulla spiaggia con il sole che le illuminano e le fa scintillare; corriamo veloci sulla rena compatta lasciata dalla bassa marea, facendo attenzione alle profonde fenditure lasciate sulla sabbia dai piccoli ruscelli che sfociano in mare. Ci sono altri mezzi come il nostro e qualche jeep utilizzano questa strana autostrada naturale, ma la sensazione di trovarsi in un piccolo paradiso terrestre ancora non toccato dalla mano dell’uomo è evidente, e lo è ancor più quando avvistiamo la sagoma di un dingo che ci trotterella incontro. Tim ci spiega che è difficile avvistarli (infatti sarà l’unico di tutta la giornata) visto che hanno abitudini notturne dal momento che quello è il miglior momento per cacciare e che quindi siamo piuttosto fortunati nel poterne osservare uno alla luce del sole; la falsa fama di predatore famelico rende questo magro cagnone più attraente di quanto in realtà sembri a vederlo trotterellare sulla sabbia in questo momento. Certo che l'eleganza ed un naturale portamento non gli si possono negare.
L'Eli Creek non è altro che un piccolo ruscello che raccoglie l'acqua dolce dell'isola e la porta fino al mare; la limpidezza delle acque e la natura che lo circonda vale bene non solo una sosta di qualche minuto nel nostro correre lungo la lunghissima spiaggia, ma anche un contatto più diretto. Così, con l'acqua fino alla vita camminiamo controcorrente guardando da un punto di vista ben diverso dal solito la vegetazione che ci circonda; l'esperienza non dura che una decina di minuti ma è molto affascinante ed il senso di libertà e di comunione con quello che sta intorno a noi è così forte che anche una volta a casa ne parleremo sempre con trasporto ed entusiasmo!
Ben diversa è la fama del Maheno Wrek. Se si prova a chiudere gli occhi e a pensare ad un relitto di nave spiaggiato sulla sabbia di qualche isola tropicale molto facilmente verrà in mente proprio questa nave, ormai da decenni ferma su questa costa, rotta in più pezzi e ridotta allo scheletro metallico che , un po' macabramente, viene continuamente corrosa dalle onde e dall'acqua. Il tempo di scattare un po' di fotografie e siamo di nuovo in viaggio, questa volta verso il centro dell'isola e qui comincia l'avventura alla Indiana Jones: non appena si lascia la spiaggia la strada diventa un sentiero dove il nostro mezzo passa a mala pena fra ripide pendenze, buche enormi rami e che sbarrano la via. Anche con le cinture di sicurezza ben allacciate ogni dosso è accompagnato da un salto di tutti noi e qualche urlo misto di stupore e preoccupazione.
Jurassic Park. È questa la descrizione migliore della foresta che copre la totalità dell'isola, e non a caso le scene in esterna del film di Spielberg sono state girate proprio qui! Felci enormi, palme ed alberi dal fusti scuro che si sollevano per molti metri verso il cielo per lasciar cadere verso terra liane spesse che il vento agita leggermente; la foresta è così fitta che difficilmente si riesce a vedere a più di qualche metro di distanza e a pensarci bene proprio questa caratteristica dell'isola, insieme con l'onnipresente sabbia, rende così affascinante il viaggio: a pochi metri da noi ma nascosto nel fitto di questa foresta c'è un mondo fatto di natura che nessuno conosce davvero, ci sono magari occhi che ci osservano incuriositi, ci sono leggi che da sempre governano gli equilibri di questo angolino di mondo e che, uomo permettendo, continueranno fino alla fine dei tempi.
L'isola non perdona nessuno, nemmeno chi la conosce da una vita, e l'imprevisto è sempre dietro l'angolo, dietro la prossima duna di sabbia scavata nel fitto della vegetazione; e così, dopo il buon barbeque preparato per tutti da Tim e un'oretta di riposo al Lake McKenzie, solitamente dai colori spettacolari ma oggi, a causa delle nuvole, grigio come il cielo, tornando verso la spiaggia per riprendere l'“austostrada di sabbia” verso casa, ci imbattiamo in un altro pullman, della nostra stessa compagnia, in panne davanti a noi. Qui non ci sono corsie di sorpasso o d'emergenza e superare è impossibile; non ci resta che fermarci a nostra volta e provare a soccorrere il mezzo senza avere però successo; si decide allora di trainare lui ed i suoi passeggeri fin dove possibile ma il risultato non è quello sperato ed alla prima salita ripida restiamo entrambi insabbiati!
Le proviamo tutte, anche a spingere tutti insieme il nostro mezzo fino a che le enormi ruote da fuoristrada riprendono presa sulla sabbia, ma nulla possiamo per il mezzo guasto e quindi attendiamo che arrivino i soccorsi prima di rimetterci in marcia. Il tempo perso con questi inconvenienti, però, ci fa accumulare un ritardo pesante sulla tabella di marcia e qui più che mai questo non è un dettaglio da sottovalutare, così come la pioggia che comincia a scendere insistentemente dalle nuvole grige che oscurano il cielo.
Il viaggio di rientro verso Inskip Point è molto diverso da quello dell'andata; a causa della marea e del meteo il mare si è fatto grosso ed ha inghiottito la maggior parte della spiaggia usata come strada. Ora corriamo veloci rasenti le onde da una parte e la foresta dall'altra, saltando quando incontriamo scanalature nella sabbia nascoste dalle onde e man mano che il tempo passa ci accorgiamo che sempre più spesso il mare stesso ci raggiunge ed arriva a metà delle ruote; addirittura alcuni tratti del percorso siamo obbligati a farli con gli pneumatici completamente immersi in acqua e le onde che si infrangono sulla carrozzeria mentre la pioggia fitta limita la visibilità come non mai. Un incubo se non sapessimo di essere in buone mani e vedessimo un Tim concentratissimo sulla guida ma che nonostante tutto riesce a trovare il tempo per farci vedere un paio di aquile pescatrici che stanno cominciando a cacciare la propria cena.
Le emozioni di questa giornata sono state tante ma non sono ancora terminate; ad Inskip point la pioggia lascia il posto ad un sole rosso che cala dietro l'orizzonte e mentre con una chiatta superiamo il braccio di mare che ci separa dalla terra ferma un paio di delfini ci accompagnano per qualche minuto facendosi vedere fra le onde scure. Non potevamo sperare di meglio!
2 novembre 2010 – 3 giorni fa
Il bello dell'Australia?
Che quando non cerchi sorprese, è lei che te ne offre, e di piacevoli!
Oggi è una giornata di trasferimento, dobbiamo tornare a Brisbane per prendere nel primo pomeriggio un aereo per arrivare alla nostra prossima avventura a testa in giù e quindi ce la prediamo comoda con tanto di colazione sotto la veranda del nostro appartamentino e guida rilassata lasciandoci alle spalle la bellezza selvaggia di Fraser Island e l'affascinante magia dell'enorme duna di sabbia di Rainbow Beach. Unica tappa pianificata è fermarci da qualche parte sulla strada per poter pranzare con uno degli ananas che vengono coltivati nelle enormi piantagioni che abbiamo visto un paio di giorni fa dalle parti di Landsborough.
Il caso ci porta un po' più in là, nei pressi di Glass House Mountains, in una delle piccole costruzioni a lato della Steve Irwin Way. E qui l'Australia ci regala un'altra delle sue storie.
Dalle ceste di frutta fresca prendiamo banane, mango e soprattutto ananas chiedendo al titolare la cortesia di sbucciarcele in modo da poterle mangiare direttamente ad uno dei tavolini messi a disposizione nel patio; con nostra sorpresa in risposta alla nostra richiesta ci arriva in italiano! Scopriamo che il nostro fruttivendolo ha trascorso cinque anni in Italia, lavorando come barista, e che oltre alla lingua si è poi portato a casa ritornando in Australia anche... la moglie, che chiama e ci presenta! Mentre mangiamo una delle più buone macedonie della nostra vita ascoltiamo la signora raccontare di come l'amore l'abbia portata dalla Campania fino a qui, in questo sperduto paesino del Queensland, senza però riuscire a dimenticare la casa “al paese”: abituarsi a questa nazione, dice lei, non è difficile, anzi, tutt'altro, anche entrare nell'ordine delle idee di avere in giardino iguane, serpenti e canguri invece di lucertoline ed al massimo conigli non è impossibile, ma staccarsi completamente dalle proprie radici e dalla propria famiglia lasciata dall'altra parte del mondo è completamente diverso.
Stiamo ancora chiacchierando quando sull'ingresso del piccolo negozio appare una signora in abiti decisamente eleganti e con tanto di cappellino piumato in testa; al nostro stupore replica la nostra ospite spiegando che oggi è un giorno speciale per tutta l'Australia: oggi si corre il Melbourne Cup Trophy, LA corsa di cavalli per eccellenza, e per l'occasione non solo l'intera nazione si ferma, ma la giornata diventa occasione per tutte le donne, anche se lontane migliaia di chilometri dal luogo della corsa, anche se sono in un paesino sperduto come questo, per abbigliarsi elegantemente, con un occhio di riguardo per il copricapo.
Solo tornando in auto per rimetterci in marcia verso Brisbane notiamo la colorata insegna del negozio: “Vecchio's”. In effetti potevamo anche immaginarci un'accoglienza italiana, no?!
Proserpine ci accoglie nel buio della sera, tutto intorno a noi le piantagioni di canna da zucchero contribuiscono a rendere il paesaggio ancora più cupo. Il furgone-taxi, condiviso con altri turisti, ci sta portando ad Airlie Beach, dove abbiamo prenotato un appartamento per la notte ma fuori dai finestrini scorre un paesaggio fatto di ombre, forme poco definite ed insegne di fast food che, complice la stanchezza del viaggio forse, non suscitano particolare interesse.
L'effetto della corsa di cavalli del pomeriggio è evidente anche qui; Airlie Beach si rivela un paesino vivo attorno alla strada principale, quasi a ridosso della marina, sulla quale si aprono ostelli e locali; dall'interno si sente forte la musica dal vivo e le urla divertite di centinaia di ragazzi e ragazze, raccolti qui da tutte le parti del mondo per godersi uno dei luoghi più belli della Terra, le Whitsunday, il gruppo di isole che si intravedono al largo.
L'atmosfera è evidentemente riscaldata dall'alcool e fra ragazzi che cantano e ragazze che cadono rotolando sul marciapiede (ridendo di se stesse) riusciamo a raggiungere l'info center e prenotare, con un po' di fortuna visto l'orario, una escursione alla scoperta delle bellezze delle isole per l'indomani.
3 novembre 2010 – 2 giorni fa
Anche il Paradiso può trasformarsi in un Inferno; ma a volte vale la pena di correre il rischio.
É necessaria un'oretta di motoscafo per arrivare alla prima tappa del nostro tour ma nonostante qualche onda di troppo, la navigazione passa svelta, accompagnata dalle descrizioni e dalle informazioni dell'equipaggio, tre simpaticissimi fratelli che si alternano fra l'intrattenimento dei passeggeri e la gestione della barca. Sono loro che ci descrivono le isole che superiamo con la nostra barca, che ci danno le necessarie informazioni di sicurezza e che, inconsciamente, attraggono la nostra curiosità: tutti e tre mentre parlano mostrano senza volerlo braccia o gambe coperte di cicatrici, alcune superficiali, altre profonde, ma che dalla forma non lasciano ombra a dubbi. Squali.
Riusciamo a trattenere la domanda fino a che non siamo un po' più in confidenza con uno di loro ma, alla fine, la curiosità ha la meglio sulla discrezione e così veniamo a sapere che qui è la normalità! Semicerchi quasi perfetti incisi sulla pelle da file di denti aguzzi o interi polpacci portati via fra chissà quali dolori non sono l'eccezione ma l'ordine del giorno in queste acque e chiunque sia nato e viva qui non si stupisce di sentire storie di incontri ravvicinati con pesci dalle dimensioni sempre esagerate dalla fantasia di chi è fortunato da poter tornare a terra e raccontarle. Fortunatamente, ci dicono, l'uomo, soprattutto se con una muta indosso, non è il piatto preferito dai re dell'oceano e quindi la maggior parte delle volte l'attacco si limita ad un “assaggio” di prova, una verifica di gusto e qualità per poi abbandonare il piatto a se stesso schifato dallo strano sapore. Non possiamo non cominciare a guardarci intorno per individuare quale sarà la pinna che avrà l'onore di fare un aperitivo con un mio braccio o una gamba, ma questo non ci tiene lontano dall'acqua: quello che vediamo attorno a noi è troppo bello per essere rovinato dalla paura (e poi ci sono altri turisti più grassi e teneri di noi: gli squali assaggeranno di certo loro prima!)
Al punto di osservazione si arriva, dopo esser scesi a terra con un gommone, percorrendo un breve sentiero fra la foresta; una volta in cima, però, lo spettacolo è di quelli che restano impressi.
Dominiamo Whitehaven Beach, una delle spiagge più belle ed emozionanti dell'intero pianeta, sei chilometri di spiaggia bianchissima ed un mare che grazie alla luce del sole che sbuca fra le nuvole che lo velano, si tinge di infinite tonalità di azzurro e blu; un quadro di impressionante bellezza, il prototipo (e lo stereotipo) di Paradiso in Terra, uno di quei panorami che si pensa esistano solo nelle fotografie del National Geographic. Da togliere il respiro, davvero!
Il luogo è talmente bello che è scelto come destinazione per le proprie vacanze anche da altri turisti: le cubomeduse, esserini gelatinosi e quasi trasparenti, che devono il loro nome alla loro particolare forma e che scelgono ogni anno queste coste (così come quelle di buona parte di questa zona del Queensland) per trascorrere i mesi estivi. Peccato che siano uno fra gli animali più velenosi del pianeta, talmente tanto che pochi mesi fa il fatto che una bambina non sia morta dopo essere stata urticata ha fatto notizia su tutte le maggiori testate giornalistiche del mondo!
Non ci sono ancora stati avvistamenti ma la stagione sta cominciando e per sicurezza prima di buttarci in acqua, chi dalla piattaforma posteriore della barca, chi dal secondo piano un tanto di tuffo da votazione, vestiamo una muta leggera, di stoffa ma completa, per evitare eventuali incontri poco graditi; nuotare a riva, qualche chilometro oltre la zona protetta di quella Whitehaven Beach ammirata dall'alto qualche decina di minuti fa, non è molto semplice impediti ed appesantiti dalla stoffa, ma la sicurezza tutto sommato ci fa godere meglio il bagno e la nuotata.
Accompagnati da un'enorme iguana abbiamo pranzato con l'immancabile barbeque per poi rimetterci in viaggio verso la terza ed ultima tappa del nostro tour. Siamo sulla punta di un'altra delle isole dell'arcipelago, anche questa come la maggior parte protetta come parco nazionale, in una piccola insenatura dove ci immergiamo con pinne e maschera per godere le bellezze di questo tratto iniziale della Grande Barriera Corallina, l'insieme organico più grande e spettacolare che la Natura ci abbia mai donato. Sotto di noi fra enormi spugne ed anemoni colorate nuotano indisturbati pesci grandi e piccoli, dai mille colori, intenti a sgranocchiare pezzettini di corallo o a rincorrersi in questa foresta sottomarina. Poco più in là due tartarughe danno spettacolo con la loro grazia e leggerezza. Inutile descrivere l'emozione di questo spettacolo, non credo di essere in grado di trasmettere nemmeno una piccola parte della bellezza e della magia di quello che attraverso il vetro appannato della maschera abbiamo goduto.
Con la testa sott'acqua non ce ne siamo quasi accorti, ma nel frattempo le nubi che già questa mattina hanno a tratti oscurato il sole, si sono addensate ed hanno cominciato a scaricare una pioggia fitta e sottile. Facciamo solo in tempo a salire a bordo dopo il nostro viaggio nell'acquario naturale della Grande Barriera che il mare si ingrossa, le goccioline diventano una doccia insistente e pesante, il grigio del cielo si unisce a quello del mare improvvisamente ostile e pericoloso. Il ritorno ad Airlie Beach è un'ora di agonia per chi soffre il mal di mare, fra spruzzi che inzuppano vestiti e salviettoni, pioggia che bagna fino alle ossa ed il vento che rende ancora più intensa la sensazione di freddo percepita. Un vero e proprio incubo fatto di salti fra le onde e nausea.
Il peggior finale per una giornata altrimenti magnifica.
Ma ne è valsa la pena!
4 novembre 2010 – ieri
Oggi comincia la parte più libera ed avventurosa del nostro viaggio; non abbiamo prenotato nulla, sappiamo soltanto che fra sei giorni dovremo prendere un volo da Cairns per Tokyo, per il resto siamo liberi di muoverci in autonomia e non perdiamo tempo: colazione con vista mare e siamo già al volante verso nord, direzione outback, ovvero quella vasta landa disabitata che per migliaia di chilometri porta verso l'interno rosso del continente, fra erba alta e bruciacchiata dal sole, alberi dalle foglie sottili e terra rossa!
L'inizio dell'outback è, non so quanto volontariamente, nitido ed evidente, sottolineato da un cambio di colore dell'asfalto della strada che da Townsville ci porta verso l'interno, verso la città mineraria di Charters Towers; la solita e classica striscia di bitume nero improvvisamente diventa rossa uniformandosi alla tonalità della natura che tutt'attorno dimostra la propria forza con uno strano deserto tutt'altro che spoglio ma che fa facilmente intuire quanto difficile possa essere viverci.
Charters Towers sembra quasi una di quelle cittadine create ad hoc per un film western americano. Una infinita strada quasi senza curve dove lunghissimi road train da tre o quattro rimorchi collegati fra loro ci superano incuranti dell'alta velocità e dell'ingestibilità degli ultimi carri merci finisce in un viale attorno al quale, al di là delle auto parcheggiate, sorgono negozi di legno e muratura, con nome ed insegna dipinta o scolpita; dentro si vendono stivali, camicie a scacchi e jeans, cappelli di pelle, pizzi e stoffe o selle e speroni.
Oppure c'è un pub.
La pellicola western-moderna continua anche dentro uno di questi locali che, a scapito delle intenzioni del proprietario non riesce proprio a sembrare “irlandese” nonostante un paio di quadrifogli verdi attaccati ad un muro. Dentro ci sono solo cowboy o, meglio, cattlesmen, uomini delle stazioni di bestiame, gente dura che ancora poco tempo fa guidava a cavallo mandrie enormi di bestiame attraverso questa immensa terra. E proprio come nel più classico dei film, fra cappelli e cinturoni dalla fibbia in metallo, occhi neri chissà se per colpa di una rissa o per un colpo ricevuto da una mucca, boccali di birra rigorosamente australiana (ma non era un locale irlandese?!) c'è Christine, la cameriera bionda, giovane e sorridente.
Si capisce subito però che c'è qualcosa di strano e lo veniamo a sapere quando, dopo averci servito le nostre birre, si ferma un po' a parlare con noi.
Christine è belga, arrivata qui a Charters Towers da circa un mese; lavora qui nel locale per raccogliere fra stipendio e mance i soldi necessari per continuare il suo viaggio verso nord; come tanti ragazzi, ci racconta, anche lei è arrivata da turista a Sydney con poche risorse economiche ed un visto turistico ma con l'idea di capire questo strano ed enorme Paese. Innamorata della terra rossa ha cominciato a spostarsi prima verso Melbourne e poi lungo la costa per Brisbane e poi ancora più su; all'inizio il viaggio è stato facile ma una volta finiti i fondi iniziali ha dovuto rallentare, cercando lavoro in bar e ristoranti per raccogliere i soldi necessari a proseguire per la tappa successiva. Quale? Quella che capita, quella che ispira. E ad un certo punto si è accorta che quelli che all'inizio erano “contrattempi” o “rallentamenti” nel suo viaggio, il dover lavorare, cercare un impiego ed un appartamento dove vivere per un po', si sono trasformati nel viaggio, nel vero piacere, nella possibilità di conoscere persone, di capire come vivono, di apprendere le loro storie, le loro abitudini e le loro vite. Così l'obiettivo non è più “arrivare a nord, a Darwin” come era all'inizio ma, molto più semplicemente, “andare da qualche parte” ed imparare a conoscere l'Australia.
Dicono che l'angus sia una delle carni più buone del mondo, seconda solo ai tagli di manzo argentino. Personalmente non lo so, ma da vegetariano (da oltre 20 anni!) vi posso dire che non ho mai mangiato qualcosa di così buono!
Avevamo visto su internet prima di partire il Cattlesman's Rest, un “Motor Inn” nel centro della cittadina e visto che non abbiamo prenotato nulla per la notte, una volta in città lo abbiamo cercato e riservato una stanza; per la cena nessun dubbio: oltre alle camere del motel la struttura offre anche una steak house e quindi la scelta è praticamente obbligata. “L'insalata non fa amici”, questo il motto scolpito in una tavola di legno all'ingresso, non lascia spazio a repliche, tanto che quando il cameriere viene a prendere la nostra ordinazione mi sento in dovere di chiedere scusa per essere vegetariano (facendolo ridere per tutta la sera!).
Inutile dire quanto la carne sia buona, impossibile descrivere bene gusto e sapore; basti solo sapere che se mai dovessimo tornare in Australia un giorno, ci siamo già ripromessi di tornare, anche solo per cena, a sederci ai tavoli della Cattlesman's Steak House!
5 novembre 2010 – oggi
Finalmente spunta un po' di sole fra le nuvole che ci hanno accompagnato fino ad ora; carichiamo i bagagli nel baule della macchina parcheggiata fuori dalla porta della nostra stanza (bella la prima esperienza in motel!) e siamo pronti a partire imboccando la strada che punta a Nord. Sulla Lonely Planet abbiamo letto di una fattoria lungo la strada che oltre ad offrire pernottamento e pasti dà anche la possibilità di provare la vita da cattlesman guidando a cavallo il bestiame, mungendo le mucche di prima mattina e cenando attorno ad un fuoco all'aperto.
Con il senno di poi non l'avrei mai fatto, ma si sa, l'emozione e l'euforia dell'attimo ti fanno sentire onnipotente e non hai paura di nulla, nemmeno di … una pozzanghera!
Raggiungere Bluff Downs, la fattoria che tanto ci attrae, significa deviare dalla strada principale seguendo una pista, ampia e ben tenuta, in terra battuta; una strada rossa dalla quale, grazie alla pioggia dei giorni scorsi, la nostra piccola auto non alza nemmeno un granello di polvere.
Quello che troppo tardi realizzo è che alcuni tratti hanno assorbito l'acqua piovana trasformandosi in fango rosso e con erba alta oltre mezzo metro ai lati l'unica cosa che possiamo fare è incrociare il possibile, prendere con slancio queste sabbie mobili in modo da non restare impantanati; se le cose non andassero bene e restassimo bloccati non ho idea di come ce la caveremmo visto che qui non passa mai nessuno per poterti soccorrere!
A complicare le cose ci sono gli animali.
Mucche e manzi all'inizio, che nella loro stupidità di bovini quando vedono un'auto che li punta suonando il clackson, sfanalando con gli abbaglianti e rumoreggiando alzando i giri del motore pensano che la cosa migliore da fare sia fissarti con quello sguardo profondo che solo una mucca sa fare e restare immobile in mezzo alla strada fino a quando non si è a pochi metri quando, impauriti, i bovini scappano, ovviamente tagliando la strada davanti al cofano per poi, risentiti, accennare per qualche secondo un vendicativo inseguimento contro la lattina bianca con le ruote che li ha disturbati.
Poi cominciano gli abitanti selvatici dell'outback: emù, con tanto di piccolini in fila indiana che passeggiano poco lontano dalla strada, un branco di cervi che scappa impaurito dal rumore del nostro motore e soprattutto canguri. Ce ne sono ovunque, nascosti nell'erba alta. Ci sentono arrivare e allora si alzano, mostrando le orecchie sopra il livello della vegetazione, e quando siamo più vicini saltellano lungo la strada, ci accompagnano per un po' e poi decidono tutti insieme di tornare a nascondersi nel loro ambiente naturale (ovviamente anche loro tagliandoci la strada come saluto!).
L'adrenalina del rischio di restare bloccati in mezzo al nulla scompare davanti a questo spettacolo. Siamo nella natura, siamo davvero in un luogo dove l'uomo è un optional, non la regola, dove gli animali non sono solo liberi di fare quanto il loro essere gli impone ma sono loro a dettare legge e a governare su questi spazi infiniti. È fantastico, solo questo vale il rischio ed il viaggio fin qui!
In compenso Bluff Downs è un totale fallimento. Dopo oltre 20 chilometri di strada rossa e sudori freddi arriviamo alla fattoria per scoprire dalle parole della vecchia proprietaria che per questioni di assicurazione non possono più offrire attività a cavallo e che la dependance degli ospiti ha gli scarichi intasati e non funzionanti da un mese. Non siamo i benvenuti, non ci vuole molto a capirlo, quindi ci rimettiamo in marcia e torniamo sui nostri passi sfidando strada, animali e tempo (nel frattempo per fortuna il cielo si è ulteriormente aperto: con la pioggia sarebbe stato impossibile tornare sulla strada senza un 4x4!) delusi dalla mancata esperienza ma felicissimi di immergerci nuovamente in questa natura incontaminata!
Pantaloncini corti, verde kaki, camicia in tinta, a mezze maniche e cappello a tesa larga sempre in testa; questo è Michael, un tipo non lontano dalla sessantina che quando sollevo il cofano della nostra auto si avvicina offrendomi il suo aiuto.
Siamo a Greenvale, l'unico paese che incontriamo fra Charters Towers che abbiamo lasciato questa mattina ed il Parco Nazione di Undara, nostra nuova destinazione vista la delusione di Bluff Downs; “paese” è in realtà una parola enorme per il posto in cui siamo. Una pompa di benzina con annesso piccolo store e un paio di case prefabricate poco lontano; Greenvale è tutta qui, ma è fin troppo quando sia dietro le spalle che davanti non c'è altro per centinaia di chilometri!
Abbiamo fatto il pieno e ne approfittiamo per controllare i livelli di olio e acqua un po' preoccupati per un sasso troppo grosso per passare sotto il veicolo senza urtarlo e che qualche minuto fa ci ha fatto un po' preoccupare. Lo stesso Michael conferma che la goccia che vediamo cadere da sotto il motore è la condensa dell'impianto di climatizzazione e quindi, rincuorati, ne approfittiamo per pranzare all'ombra di un grande albero insieme con lui.
Fra un boccone ad un panino ed una tortina al cocco e cioccolato facciamo due chiacchiere insieme e scopriamo che lui è nato e cresciuto nel bel mezzo di quel nulla che è l'outback; se ne è andato più di una volta per cercare lavoro lungo la costa ma alla fine è sempre tornato là dove il suo cuore lo portava, in mezzo all'erba bruciata dal sole dove una cena dal vicino di casa richiede un paio d'ore di macchina. Ora lavora per l'azienda che si occupa della manutenzione di queste strade percorse da poche auto e camion giganteschi (da cui ci mette in guardia) e si lascia andare per un po' nel raccontarci quanto sia dura ma allo stesso tempo emozionante la vita qui nell'outback, una vita fatta di spazi aperti e natura ma allo stesso tempo di solitudine e sacrificio.
Per arrivare qui ad Undara abbiamo ancora oltre due ore di auto. Per lunghi tratti la Gregory Developmental Road si restringe fino a diventare a corsia unica e quando incontriamo altre vetture o un road train dobbiamo spostarci e scendere con un paio di ruote fuori dall'asfalto della strada (ancora più in là quando ad incrociare la nostra strada è un camion con i suoi rimorchi!). Attorno a noi, incessabile ed immutabile, lo stesso paesaggio fatto di erba, rade piante, mucche lasciate libere di pascolare dove preferiscono e carcasse di canguri disseminate al bordo della carreggiata; per loro le luci dei fari dei road train che di notte sfrecciano lungo questa striscia di cemento rosso sono, purtroppo, una mortale attrazione.
Undara Volcanic National Park, è questo il luogo dove ci troviamo ora e da dove sto scrivendo.
Il parco nazionale protegge una foresta infinita di eucalipti dove vivono indisturbati canguri, wallaby e altre migliaia di animali; sotto terra invece una vasta area sotterranea dove la lava in tempi remoti ha creato gigantesche grotte. Ma non siamo qui per questo.
In mezzo a questa natura c'è un treno di fine 800, completamente in legno e riadattato a lodge con tutti i comfort che si possono desiderare; mentre scrivo sono qui, in questa camera dal gusto retrò, rossa e bianca, fra scricchiolii e la sensazione di essere in un luogo più onirico che reale. Tutto intorno a noi, sui rami degli alberi, milioni di cicale grosse come nostri passerotti hanno lasciato le loro crisalidi, armature ormai inutili attaccate ai tronchi degli eucalipti e ora dalle chiome lanciano il loro canto, un grido incessante ed alienante, infinito, acuto, irreale. Facciamo fatica a capire dove siamo, l'emozione di essere così immersi in questa natura surreale ci lascia allibiti, un po' come anni fa successe quando ci rendemmo conto di essere nel bel mezzo della savana, in Sudafrica e che gli intrusi, gli stranieri eravamo noi in quel mondo fatto di animali, piante e leggi millenarie che noi ormai abbiamo dimenticato.
Unica possibilità per riprenderci è uscire da qui, dal nostro vagone, e fare due passi lungo uno dei sentieri che attraverso la foresta ci permettono di conoscere meglio il parco; non facciamo più di una decina di metri che ci viene in contro un canguro, saltellando per poi chinarsi sulle zampette anteriori per mangiare qualche cosa trovata a terra. E quando è così chinato vediamo spuntare dal marsupio un piccolino che imita la mamma per poi rintanarsi nuovamente nella sua calda casa materna! L'incontro ci emoziona tanto da lasciar svanire il senso di smarrimento e così anche quando perdiamo le tracce del sentiero che stiamo seguendo e ci inventiamo una strada alternativa in mezzo alla vegetazione e a chissà quali e quanti animali, non ci facciamo scoraggiare e viviamo l'esperienza come un'avventura memorabile.
6 novembre 2010
Colazione, Millaa Millaa, autolavaggio Cairns
Non è stato facile dormire tranquilli questa notte, soprattutto per Vicky che impaurita dall'assenza di serrature e dalla presenza invece fuori dalla porta della nostra stanza-vagone di canguri e altri animali, ha faticato a chiudere occhio; in realtà la maggior preoccupazione erano gli insetti ed i rettili dal momento che le zanzariere non certo integre e le enormi fessure nelle pareti di legno non erano di certo un ostacolo degno di nota per animali che, piccoli e flessibili, avessero voluto venire a farci visita.
La sveglia all'alba, quindi, ci trova poco riposati ma già attivi ed entusiasti di cominciare la giornata, anche perché oggi si inizia con una colazione indimenticabile!
In una piccola radura in mezzo alla foresta, un paio di minuti a piedi dalla nostra stanza, troviamo due fuochi, di quelli da campo, accessi per terra con tanto di pietre tutt'attorno ad isolarli un po'; acqua e caffè bollono in contenitori di latta anneriti dalle fiamme e dalla fuliggine. A fare gli onori di casa c'è Lucy, un signora sulla cinquantina, capelli argento e fisico atletico, che questa mattina ha allestito i falò e si sta dando da fare per cuocere uova e bacon per la tipica colazione inglese; è lei che ci saluta, ci dà il benvenuto e ci invita a... arrangiarci! Sì perché oggi se vogliamo mangiare dobbiamo imparare a cucinare utilizzando il fuoco vivo e gli strumenti di metallo che avrebbero potuto avere a disposizione i coloni di un tempo. Il gioco ovviamente ci incuriosisce e nonostante il fumo negli occhi e qualche bruciacchiatura di troppo sui nostri toast, il risultato è ottimo, tanto che una volta presa la mano mangiamo anche solo per avere la scusa per tornare a giocare con il fuoco!
Un paio di wallaby si avvicinano al nostro campo attirati probabilmente dai profumi o semplicemente curiosi ma scappano dopo poco all'arrivo di altri ospiti; noi ne approfittiamo per chiacchierare con la nostra “padrona di casa” che ci racconta di essere inglese ma fin da piccola abituata ad avere il mondo come casa visto che il padre viaggiava molto per lavoro. Dopo aver vissuto in Australia per alcuni anni, essere tornata in Inghilterra per poi partire per gli Stati Uniti, alla fine, una volta adulta, ha deciso di tornare qui nel Continente Rosso, “l'unico luogo dove mi sento libera davvero”; ad Undara è arrivata da qualche anno per soddisfare il suo bisogno di natura e per trovare un contatto ancora più diretto con la vera essenza di questa terra. Senza radici ma con l'esperienza di chi ha visto e vissuto il mondo ci impressiona il contrasto fra la sua determinazione e la sua sicurezza e l'entusiasmo che si vede nei suoi occhi quando parla della sua nuova casa, di quell'Australia che le ha fatto smettere di cercare un luogo dove fermarsi (per ora almeno!).
Dopo le oltre 5 ore di strada di ieri (i chilometri sono poco più di 350 ma il tempo passato al volante su queste strade e l'attenzione che deve essere prestata alla guida nell'outback cambiano parecchio le cose!) ci rimettiamo in viaggio; l'idea è di arrivare prima o poi a Cairns (fra altre 4 ore al volante) ma prima vogliamo provare a seguire le indicazioni di un piccolo volantino trovato chissà dove nei giorni scorsi: in un paesino chiamato Millaa Millaa (con gusto tutto australiano per i nomi!) c'è una fattoria che produce latte, yogurt e formaggi ed offre degustazioni dei propri prodotti. Perché non provare allora?!
Il contrasto con l'outback appena visitato è enorme; la piatta distesa di erba bruciata dal sole e terra rossa lascia bruscamente il posto a monti dalla vegetazione rigogliosa dove il verde dei prati contrasta con l'azzurro intenso del cielo. Millaa Millaa non è nulla di particolare, un paesino piuttosto anonimo che trova nella (discutibile) statua di un contadino che spinge una mucca il suo centro ideale; non ci perdiamo più di un minuto prima di andare a cercare la fattoria del volantino. Lasciamo le strade principali per seguire quelle secondarie, più lente ma più scenografiche; siamo immersi completamente nel verde della natura, fra prati e piccole foreste tropicali che si aprono all'improvviso e solo qualche silenziosa pala eolica rompe la sensazione di essere in territori ancora completamente vergini. I panorami sono mozzafiato e la vista che si gode una volta arrivati alla fattoria è di quelle che non si dimenticano e ripaga anche il fatto che alla fine i suoi prodotti non fossero nulla di speciale.
Il viaggio nell'outback e soprattutto la deviazione-delusione a Bluff Downs hanno segnato la nostra auto che da bianca che era quando l'abbiamo ritirata ad Airlie Beach, ora ha una magnifica colorazione bicolore con sfumature arancio ed ocra; suggestiva e da consigliare alla casa produttrice ma che preferiamo cancellare prima di riconsegnarla per evitare possibili discussioni con l'autonoleggio. Ci fermiamo fuori Cairns in un autolavaggio self-service e scopriamo che la polvere rossa che ricopre metà del veicolo è molto più difficile da togliere del previsto: servono tre passaggi di lancia ad alta pressione, due insaponature ed altrettanti risciacqui per far tornare al colore originale la carrozzeria seppure lasciando ancora un alone arancione lungo le portiere e sul muso: nemmeno un'auto riesce a non portar via i segni tangibili dell'outback, figurarci una persona.
Unica differenza è che per noi i segni sono interni, non solo esteriori, e per fortuna non bastano acqua e sapone per lavarli via.
7, 8 e 9 novembre 2010
Cairns non ha molto da offrire; utilizzata come punto di partenza per le escursioni al nord, verso la Daintree Rainforest o per la Grande Barriera Corallina, la maggior parte della vita gira attorno al lungo parco verde che si stende sul lungomare ed alla piscina pubblica che si affaccia direttamente sull'Oceano ed è aperta a chiunque senza recinzioni o biglietti d'ingresso. Tutta la città si raduna qui attorno; chi per rilassarsi, chi per prendere il sole, chi per ascoltare gruppi che si esibiscono o ammirare artisti di strada, indistintamente turisti e cittadini si radunano qui ogni giorno e molti ne approfittano per utilizzare uno dei numerosi barbeque pubblici per cucinare per la famiglia o per gli amici, socializzando con “i vicini di piastra” in un'atmosfera di completa armonia.
Il resto, invece, sono ristoranti, negozi per turisti ed hotel. Niente di particolare, insomma, tanto che decidiamo di prendercela comoda e godere il meritato riposo al termine del nostro viaggio; così ci concediamo un paio di giorni di completo relax, fra sole e piscina, libri e riposo.
Dopo così tanti giorni di viaggio, i chilometri macinati in auto o in aereo ed in vista della brve visita a Tokyo prima di rientrare in Italia, ce lo meritiamo proprio!Sono tante le strutture utilizzate durante questo viaggio, alcune prenotate prima della partenza, altri direttamente in Australia attraverso diversi siti internet locali o generalisti. Di seguito alcuni commenti:
Sydney: Pension Hotel Sydney
Buona sistemazione ricavata fra i piani di un vecchio edificio un tempo privato. Stanze piccole ma pulite, all'inizio di China Town ma tutto sommato tranquillo.
Sydney: Hotel Stellar
Strategicamente posizionato ad uno degli angoli del parco di Sydney, è comodo ed ha un costo accettabile. La stanza è ampia ed i servizi buoni.
Ayers Rock: Lost Camel
La più costosa, la più deludente fra le strutture utilizzate durante il nostro viaggio. Godendo del monopolio il resort di Ayers Rock è libero di imporre i prezzi che più gli fanno comodo sapendo che vista la fama del luogo e la mancanza di concorrenza i turisti non hanno altra scelta se non piegarsi a pagare cifre enormi per servizi a dir poco insufficienti. Nulla da dire sulla piscina o gli spazi comuni, ma la camera è sporca, piccola e mal tenuta... e per fortuna non abbiamo scelto quello di qualità inferiore!
Brisbane: Portal Hotel
Bell'hotel, in posizione strategica poco lontano dal centro e dalla stazione dei treni. Stanza un po' piccola ma pulita e bar – ristorante al piano terra.
Surfers Paradise: Quality hotel Mermaid Water
Hotel della catena Quality, un buon 4 stelle (prenotato grazie ad una offerta trovata in internet) con stanze ampie e piscina a disposizione.
Rainbow Beach: Debbies Place
In assoluto la più bella struttura dove abbiamo soggiornato, trovato su un sito internet dedicato a Rainbow Beach. L'appartamento non è grandissimo ma ben arredato, pulito ed ha a disposizione una veranda con tanto di tavolino che utilizziamo per la colazione. Il vero punto di forza, però, è la proprietaria, Debbie, che con la sua cordialità e disponibilità ci ha conquistati. Lo consigliamo vivamente!
Airlie Beach: Water View Airlie Beach Apartments
altro appartamento, anche questo trovato via internet ma prenotato prima della partenza; spazioso, pulito, ma il vero pregio è la posizione: fuori dal rumore e dalla folla del centro di Airlie Beach, sorge in posizione sopraelevata tanto da consentire di godere una vista spettacolare sulla marina. Anche questo da consigliare!
Charters Towers: The Cattlesman's Rest Motor Inn
Motel di quelli classici, con tanto di auto fuori dalla porta di ingresso e dedicato espressamente ai lavoratori della zona. La stanza è pulita ed ordinata forse un po' cara per la tipologia della sistemazione. Da provare assolutamente la steak house annessa: la miglior bistecca di angus del mondo, garantito!
Undara: Undara Lodge
Dormire in una stanza ricavata da una carrozza di legno parcheggiata in mezzo ad un foresta con tanto di canguri che saltellano fuori dalla porta non è cosa da tutti i giorni! I costi sono elevati ma si paga anche il fascino dell'ambientazione.
Cairns: Southern Cross Atrium Apartments
Prenotato qualche giorno prima, questo appartamento a poca distanza dalla stazione della città è stato un ottimo compromesso fra costi, posizione e servizi. Pulito e con tutti i comfort necessari, il residente offre anche una piscina e vasche idromassaggio che erano proprio quello che ci serviva per rilassarci un po' dopo il lungo viaggio!L'Australia è grande, grandissima e quindi o si macinano chilometri su chilometri in auto, oppure si prende un aereo e si accorciano i tempi dedicati agli spostamenti.
Noi abbiamo scelto una via di mezzo, utilizzando per i lunghi spostamenti dei voli interni e poi localmente organizzandoci diversamente con automobili a noleggio; senza considerare i due voli per arrivare nella terra dei canguri e gli altrettanti per tornare a casa, abbiamo quindi dovuto prendere il volo 5 volte e stare al volante per oltre 1.500 km!
Nelle città invece sono stati i piedi a farla da padrone: i centri cittadini di Brisbane, Sydney e Cairns si visitano senza problemi passeggiando e non c'è un reale bisogno di utilizzare mezzi pubblici.