Scarpinando in Val Badia - 2

L’altopiano di Fanes, il Settsass, il grandioso gruppo di Sella: come dire, l’eccellenza dell’escursionismo dolomitico!

 

 

Il resoconto che segue è la continuazione della prima parte, già presente in questo stesso sito con il medesimo titolo.
A quella parte rimando per quanto riguarda la logistica (alloggio, spostamenti, impianti di risalita) che ovviamente non sto a ripetere.
Le tre escursioni descritte vogliono essere, come le precedenti, un suggerimento di magnifici itinerari dolomitici nella splendida Val Badia e aree circostanti. Pur avendo tenuto Corvara come base, l’ottima rete stradale e sentieristica nonché la diffusione degli impianti di risalita consentono una combinazione pressoché illimitata di gite che possono essere intraprese con partenza da località di una vallata e arrivo in un’altra adiacente, con lo stimolante arricchimento di poter improvvisare, perché no, varianti all’itinerario in corso d’opera.

Da non perdere

L’ALTOPIANO DI FANES DA SARÉ A PEDERÙ
Il territorio attraversato da questa magnifica escursione è definito “le Dolomiti delle leggende”: con piena ragione direi, anzi ci sarebbe da stupirsi del contrario, che cioè luoghi di tale suggestione non avessero ispirato un vasto ciclo di saghe popolari, prima fra tutte quella del Regno dei Fanes. Per approfondimenti, consiglio l’esauriente sito riportato nei links.
La gita prende le mosse da Saré (m.1663, fermata autobus), circa 4 km da San Cassiano in direzione del Passo di Valparola. Una carrareccia che costeggia il Rù (torrente) Sciaré porta in poco più di un chilometro al Rifugio Capanna Alpina (m.1726), davanti al quale spicca una variopinta mappa della zona dipinta su una grossa lastra di pietra: dall’adiacente pianoro, si tralascia sulla destra il sentiero n. 26 diretto al Rifugio Scotoni e al Lagazuoi prendendo invece il n. 11 che sale al Col de Locia (m.2069).
L’ambiente si fa in breve molto attraente, con il massiccio delle Cunturines sulla sinistra e il percorso che con ripetuti tornantini - nel tratto finale protetti con ringhiere in legno - prende quota inoltrandosi in una gola sempre più stretta e cupa.
Lo scollinamento è uno dei punti più affascinanti dell’escursione, con l’improvvisa apertura verso un lungo pianoro che prende l’eloquente nome di Gran Plan: ci aspetta un tratto di circa 4 km pressoché pianeggiante e a dir poco idilliaco, con vasti prati percorsi da ruscelletti e popolati di mucche al pascolo. Il Piz dles Cunturines e il Piz de Lavarela a sinistra e le cime di Campestrin a destra fanno da quinte rocciose, mentre uno sguardo all’indietro regala una vista insolita sulla lontana ma ben riconoscibile Marmolada che spunta dietro il Settsass.
Il Rifugio Malga Fanes Grande (m.2097), più o meno metà escursione, sorge nel cuore di uno scenario incantevole, con l’allineamento delle Cime di Furcia Rossa ai cui piedi scorre con numerosi meandri e laghetti il Rio de Fanes, le cui acque cristalline reggerebbero il confronto con un mare caraibico. Raccomandatissima una passeggiata fuori sentiero in questo meraviglioso ambiente di roccia, erba e acque: ci se ne stacca a malincuore, ma c’è ancora parecchio cammino da fare.
Il tratto successivo si sviluppa un po’ monotono su sterrata (è la strada di servizio per i fuoristrada dei rifugi), ma prelude a un altro gioiello che si raggiunge in una ventina di minuti, il cristallino Lago di Limo (m.2158), circondato da pendii erbosi e rocce montonate. Intanto cambia gradualmente il paesaggio, che è quello più caratterizzante dell’altopiano di Fanes: elevazioni fatte di particolarissime stratificazioni e montagne dai profili più dolci le cui rocce dalle numerose tonalità di colore sono una lezione di geologia a cielo aperto.
La carrareccia prosegue in leggera discesa fino a rivelare all’improvviso uno scenario mozzafiato: un centinaio di metri più in basso si estende la conca verdeggiante dei rifugi Lavarella e Fanes (m.2060), che spiccano fra le anse del rio San Vigilio, con animali al pascolo, malghe, fienili e baite tradizionali. Anche se ho già usato l’aggettivo “idilliaco”, non posso non impiegarlo nuovamente: una sosta prolungata è d’obbligo per ammirare un luogo che in quanto a bellezza ha ben pochi rivali nell’area dolomitica, indugiando sugli innumerevoli scorci fra ruscelletti, piccoli specchi d’acqua e ponticelli, girando intorno al Lec Vert (mai nome fu più ben scelto!) e concedendosi un po’ di relax a un tavolino dei rifugi in compagnia di uno strudel e di una birra fresca.
Ma occorre accantonare gli afflati poetici e intraprendere la discesa verso Pederù, che non è esattamente dietro l’angolo ma richiede non meno di altri 5-6 chilometri di cammino. Si segue per una mezzora la sterrata di servizio (segnavia n. 7) sul fondovalle del Vallone di Rudo fino a pervenire a un bivio, punto in cui la scelta dipende dalle preferenze personali: o continuare sulla sterrata, un po’ monotona ma con pendenza costante, o sul sentiero che si stacca sulla sinistra e traversa lungamente con diversi saliscendi fra i mughi per perdere tutta la quota nel finale con un tratto molto ripido - che a fine giornata può essere stancante - per ricongiungersi alla carrareccia poche centinaia di metri prima della meta finale.
Più che una località, Pederù (m.1548) è la vasta radura circostante l’omonimo rifugio, meta gradita anche di gite automobilistiche e luogo particolarmente indicato per i bambini, che vi possono scorrazzare senza pericoli. Chi abbia fatto l’escursione descritta dovrà, come sempre quando si parte da una vallata e si termina in un’altra, informarsi preventivamente sugli orari dei servizi pubblici: in questo caso, le corse giornaliere per la Val Badia sono poche, l’ultima delle quali alle ore 18 (luglio 2010).

DAL PASSO DI VALPAROLA AL SETTSASS E A PRALONGIÀ
Ci troviamo nel cuore di una delle aree più strategiche del fronte dolomitico durante la guerra del 1915-18. Nomi come Lagazuoi, Castelletto di Tofana, Cinque Torri, Forte Tre Sassi, Sas de Stria, Col di Lana, Settsass hanno un forte potere evocativo di vicende belliche e umane che videro il sacrificio di milioni di soldati degli opposti schieramenti.
Ho già trattato questo tema nel resoconto “Un tempo percorsi di guerra, oggi percorsi di pace”, al quale rimando chi voglia approfondire. A quegli itinerari mancò la salita al Settsass, che era quindi rimasto fra i miei “debiti”: a distanza di sette anni è quindi tempo di saldarlo!
Punto di partenza è il Passo di Valparola (m.2168), raggiunto dalla Val Badia e ubicato un paio di chilometri prima del Passo Falzàrego. Prima di intraprendere l’escursione, è raccomandata una visita del vicino Museo della Grande Guerra allestito nei locali del Forte Tre Sassi: c’è da dire che la denominazione è fuorviante (non è che esistano tre sassi, magari di forma particolare, che abbiano suggerito il nome), ma è deformazione popolare dell’espressione ampezzana "intrà i Sàss” - cioè “fra i sassi” - riferita alla natura pietrosa del terreno. Vi sono esposti numerosi reperti provenienti dagli immediati dintorni: armi bianche e da fuoco, mine, divise, indumenti, equipaggiamenti, parti del corredo dei soldati in certi casi curiose, quali le stoviglie, le lattine delle razioni o le confezioni dei medicinali.
Dal Passo si scende in breve al piccolo Lago di Valparola, meritevole di una passeggiata lungo il perimetro, dopodiché ci si innesta sul sentiero n. 24 che sale dolcemente per prati e mughi. Guadagnati un centinaio di metri di quota, si raggiungono i ruderi di una postazione della Grande Guerra, un punto che merita una sosta per il vasto panorama verso le Cunturines a nord e il Lagazuoi a est.
Si prosegue su un lungo falsopiano, avendo sulla sinistra (sud) le rocce stratificate del Monte Castello e il già ben distinguibile Settsass, mentre a destra (nord) la visuale si amplia abbracciando via via anche il Sass de Putia, il Sass d'la Crusc, il Sassongher e le lontane Zillertaler Alpen innevate.
Uno strappo più pronunciato lungo un pendio erboso contaddistinto da un grosso masso squadrato sul quale sono abbarbicati alcuni pini porta a un bivio a quota 2330 segnalato da un cartello: qui si svolta bruscamente a sinistra puntando alla cima del Settsass, prima lungo una spalla erbosa, poi aggirando alcune anticime e infine risalendo un po’ faticosamente un dedalo di roccioni franati che nascondono la vetta fino agli ultimi passi.
Il panorama dai 2571 metri della sommità è estesissimo: oltre ai gruppi dolomitici già ammirati durante l’escursione, si dominano ora il Gruppo di Sella a ovest e, al di là del solco di Livinallongo, la Marmolada a sud.
La discesa è obbligata fino al bivio, dal quale si riprende in direzione ovest il sentiero n. 24 che si sviluppa per circa un chilometro attraverso grossi massi di frana fino a congiungersi con il n. 23, proveniente anch’esso da Valparola dopo avere aggirato il Settsass lungo il versante sud e confluito a sua volta nel n. 21 dal Col di Lana.
I prati di Pralongià sono ormai ben visibili, ma occorre ancora una buona mezzora per scendere al vecchio e nuovo rifugio omonimo (m.2109). Gli impianti di risalita qui affluenti funzionano solo nella stagione sciistica, cosicché è d’obbligo sobbarcarsi un’altra quarantina di minuti per scendere a Braida Freida (m.2002) e da lì in seggiovia alla frazione Arlara (m.1673): siamo a circa 3 km da Corvara, raggiungibile a piedi o in autobus (tenere sempre gli orari nello zaino!).

LO SPETTACOLO DEL SELLA, DAL SASS PORDOI AL RIFUGIO BOÉ E ALL’ANTERSASS
Chi ha avuto la bontà di leggere gli altri articoli di questa sezione dolomitica “Un passo dal cielo”, che curo in esclusiva dall’ormai lontano 2002, già sa della mia spiccata predilezione (a parte il mio primo “grande amore” per il Brenta) per il gruppo di Sella: una sorta di gigantesca fortezza di roccia che, da qualunque angolazione la si osservi, dà la sensazione di un labirinto di pietra di difficile decifrazione.
Queste difficoltà accomunano anche le vie di accesso dal fondovalle: che siano la Val Lastìes, la Val de Mezdì, la Risa de Pigolerz, la Forcella Pordoi, la Val Culea o la Val Setùs, l’approccio è comunque lungo e faticoso. Per non parlare delle vie ferrate dai vari versanti: cito quella del Vallon, la Liechtenfels, la Tridentina, le Mèsules, la Piazzetta (più o meno in ordine crescente di difficoltà).
Per immergersi nelle suggestioni dello sterminato altopiano sommitale, su quote fra i 2800 metri e i 3152 del Piz Boé, c’è però… il trucco, cioè mi riferisco alla funivia del Sass Pordoi. Certo, un impianto che in pochi minuti “ci spara” su dai 2239 del Passo Pordoi ai 2950 della stazione a monte semplifica non poco la vita!
Il rovescio della medaglia consiste nella specie di Disneyland sviluppatasi sul Passo (credo che dalla stele a lui dedicata Fausto Coppi ancora oggi scuota la testa al pensiero degli infiniti colpi di pedale dati per arrivare lì…) e nell’incongrua varia umanità, non di rado in bermuda e sandali o comunque in tenuta da passeggio, riversata ininterrottamente sulla terrazza panoramica sommitale. Lo so, business is business, e consoliamoci pensando alla selezione naturale che il “popolo dei sandali” subisce mano a mano che ci si dirige ai vari sentieri.
L’escursione qui descritta è l’ideale per una “prima volta” sul Sella, il che non esclude sempre nuovi stupori ad ogni ripetizione: percorso ottimamente segnalato, dislivello quasi irrilevante, panorami strabilianti, lunghezza contenuta che favorisce il piacere dello “slow walking”.
Prima di mettersi in marcia, vale però la pena scendere di qualche decina di metri fino alla grossa croce metallica che - pur non essendo la quota maggiore - contrassegna convenzionalmente il Sass Pordoi. Da qui il panorama è immenso e comprende il Col Rodella, il Passo Sella con il gruppo Sassolungo / Sassopiatto, il Sass Beccé, il Colàc, la Marmolada con il Gran Vernel, le Creste del Padòn, il vicinissimo Piz Ciavazes, più in lontananza il gruppo del Catinaccio, le Creste di Costabella con la Cima dell’Uomo, le Pale di San Martino, il Pelmo, l’Antelao, la Civetta… insomma, l’eccellenza dei gruppi dolomitici!
Inevitabilmente l’inizio dell’escursione è più simile a una processione verso un santuario mariano, ma per fortuna una buona parte degli allegri gitanti si limita a “dare un’occhiata” o a fare la foto in posa “eroica” sul ciglio di un burrone che-quando-la-faremo-vedere-alla-nonna-ci-dirà-che-siamo-matti. Si aggiunga il fatto che in questo inizio di luglio 2010 ci sono ancora consistenti lingue di neve che tagliano in più punti il sentiero ed ecco che la decimazione del “popolo dei sandali” è ancora più repentina.
Primo punto significativo è la Forcella Pordoi (m.2829) con l’omonimo rifugetto da cui inizia una vertiginosa discesa al Passo Pordoi e viene la pelle d’oca nel vedere un gruppetto di sconsiderati in scarpette da ginnastica calarsi lungo il nevaio che sovrasta il pendio ghiaioso: non commento, se no finisco per trascendere…
Un lungo traverso su neve ben pestata porta a un bivio: sulla destra si sale al Piz Boé, massima quota del Sella, mentre a sinistra si prosegue verso il Rifugio Boé: il percorso è pressoché pianeggiante, a parte un minimo impegno richiesto in un paio di passaggi facilitati da un ponticello e assicurati con cavo di protezione. Si giunge ben presto in vista dell’inconfondibile edificio del rifugio che spicca su una vasta lastronata rocciosa, che si raggiunge con un tratto in leggera discesa.
Lo scenario circostante è grandioso: punto di arrivo della gita, il rifugio Boé (m.2871) può infatti anche essere punto di partenza (magari dopo un pernottamento) per molteplici escursioni di ogni livello di difficoltà, quali ad esempio la salita al Piz Boè o alla Cima Pissadù, la discesa a Pian Schiavaneis lungo la Val Lastìes, la traversata fino al Rifugio Cavazza al Pissadù, la discesa lungo la grandiosa Val de Mezdì o il sensazionale anello della Grande Cengia del Sella.
Per questa volta, ci limitiamo a due brevi ma remunerative digressioni: in un quarto d’ora dal rifugio si raggiunge la sommità dell’Antersass, un “panettone” poco appariscente che regala però il fantastico allineamento delle tre cime del Sass, Bech e Daint de Mezdì. Tornando al Rifugio, si può contornare (prestare attenzione, anche se il tratto iniziale quasi verticale è assicurato con corde fisse) la testata della val de Mezdì: sulla nostra destra si estende, dando la sensazione di sorgere dalle ghiaie del fondovalle, la formidabile muraglia del Piz da Lec, Sasso delle Dieci e delle Nove (Sas dles Diesc e Sas dles Nu in ladino), i Pizes di Valun al di là dei quali si riconoscono il Passo di Valparola e il Settsass. Dalla “finestra” fra i due versanti della Val de Mezdì si estende la Val Badia con l’inconfondibile Sassongher e il più lontano Sass d'la Crusc.
Non resta che intraprendere la via del ritorno, che avviene sullo stesso percorso dell’andata ma non è affatto monotona, grazie alle mutate condizioni di luce che regalano prospettive sempre nuove di questo spettacolare altopiano.

 

 

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