Le Svalbard: più a nord non si può!

Viaggio nell’arcipelago più remoto, dove la grandiosità del “Grande Nord” lascia senza fiato

L’idea di questo viaggio, o forse è meglio chiamarla spedizione, mi solleticava la fantasia da tempo, le Svalbard per me rappresentavano una di quelle mete che si sognano a occhi aperti, troppo lontane, inimmaginabili e “estreme”, per poter essere realisticamente pensate e progettate. Poi una sera la sorpresa: papà aveva ricevuto un dvd da un amico, che le aveva visitate in estate, e ne era rimasto talmente affascinato da propormi questa avventura. I preparativi hanno richiesto ore passate al pc, innumerevoli scambi di e-mail, e qualche cambiamento di programma in merito alle date, tanto che inizialmente avevamo pensato a marzo, per poi rimandare a causa di festività, ponti vari, e non ultimi i collegamenti aerei non proprio agevoli. Arrivati alla metà di aprile tutto era finalmente pronto, equipaggiamento compreso.
Dove sono le Svalbard? Quando mio padre mi portò a Capo Nord, a 8 anni, mi disse “vedi Vittoria, l’Europa finisce qui”, ora non so se lo disse per semplificare le cose, o se anche lui era rimasto ingannato dal fatto che le Svalbard spesso rimangono nascoste sotto il perno del mappamondo… sta di fatto che quando circa tre anni fa l’occhio mi cadde su questo magnifico arcipelago, così solitario in mezzo al’oceano Artico, mi sentii un po’ presa in giro e pensai “Ma come?! Non aveva detto che più a nord non c’era nulla??”; quindi, le Svalbard sono a nord, ma molto molto a nord… esattamente a cavallo del 78° parallelo, distano circa 900km dal polo nord geografico…

DOCUMENTI, PERMESSI, MONETA
Le Svalbard sono territorio internazionale, di conseguenza chiunque può recarvisi e anche stabilircisi senza nessun tipo di restrizione. Sono amministrate dalla Norvegia, che più di tutti gli altri paesi ha sfruttato l’opportunità di “colonizzare” le isole, e di conseguenza la moneta è la Corona Norvegese (tasso di cambio maggio 2009 1€/ 8 NOK circa).Il Clima? Altra domanda strettamente collegata alla latitudine del luogo. Ovviamente fa freddo, ma bisogna premettere che in nessun altro posto al mondo, a quelle latitudini, si può vivere. La corrente del Golfo mitiga il clima artico, che è comunque rigido. Le temperature variano dai – 40° nei mesi invernali (e bui), ai 10° sopra lo zero, in estate. Per quanto riguarda le precipitazioni c’è da aspettarsi di tutto, a parte forse la pioggia! Un cielo azzurro e limpido può trasformarsi in una coltre di nubi nel giro di una mezz’ora, e il white out è un pericolo sempre in agguato.Cosa portare? Ovviamente le esigenze variano a seconda di cosa si vuole fare, noi che avevamo programmato diverse gite in motoslitta abbiamo portato con noi tute da sci, calzamaglie di lana, maglioni e indumenti pesanti in quantità. Tenete comunque presente che per le escursioni con la slitta vi verranno forniti gli indumenti necessari: tuta termica, passamontagna, guanti, stivali imbottiti ecc.3 maggio 2009
Finalmente il conto alla rovescia è terminato, siamo pronti a partire per le Svalbard!! Siamo riusciti a combinare i voli in modo da raggiungere l’arcipelago nell’arco di una sola (lunga) giornata, evitando di passare la notte a Oslo.
Partiamo da casa la mattina presto, e alle 5 prendiamo il treno da Bologna, per essere a Milano Malpensa verso mezzogiorno. Il volo parte in perfetto orario, e iniziamo ufficialmente il nostro viaggio verso il Nord. Papà è emozionatissimo, io non sto nella pelle e sono al settimo cielo. Quando atterriamo in Norvegia realizzo finalmente che è tutto vero, siamo a circa a metà strada; quella terra antica e maestosa si stende sotto di noi, anche vista da lassù è fantastica.
Il volo che da Oslo ci deve finalmente portare a Longyearbyen parte con un paio d'ore di ritardo, quindi invece che alle 20.40 ci imbarchiamo alle 22.30 circa. Ci vorranno circa tre ore per arrivare alle Svalbard; in volo vediamo il sole tramontare, e sarà l'ultima volta che vediamo le stelle, infatti verso mezzanotte, quando ormai siamo in volo sull'oceano artico, il cielo ricomincia a schiarire, e all'arrivo a Longyearbyen, circa all'una e mezzo, è completamente giorno. Siamo piuttosto stanchi, siamo in viaggio da circa 20 ore, ed è stata una lunga giornata di aeroporti, ma appena messo piede fuori dall'aereo la prima boccata di aria polare mi fa tornare il buonumore e l'entusiasmo! Sul nostro stesso volo abbiamo incontrato tre ricercatori romani del CNR, diretti alla base di NY Alesund, ora centro di ricerca internazionale, e punto di partenza della spedizione Nobile.
All'aeroporto troviamo ad aspettarci… un orso! Sta lì a fissarci vicino al nastro bagagli, e poi scopriamo che voci dicono si tratti dell’orso che 15 anni fa aggredì due ragazze nei pressi della città, impagliato e messo all’aeroporto a monito dei turisti. Troviamo Ester, sorella di Stefano Poli, un milanese trapiantato alle Svalbard, che qui gestisce un piccolo tour operator. Nel breve tragitto dall'aeroporto al nostro appartamento passiamo accanto alla banca dei semi, della quale si vede solo l'ingresso del "bunker"in cemento che sporge dalla montagna, e io ammiro con occhi avidi le prime suggestive immagini che le Svalbard mi offrono...

4 maggio 2009
La prima mattina alle Svalbard è esattamente uguale alla sera precedente, nel senso che la luce non è cambiata di un millimetro. Quando mi sveglio trovo il caffè pronto, e papà che è già andato in perlustrazione dei dintorni.
Abbiamo la mattinata libera, e nel pomeriggio una breve gita alla Grotta di Ghiaccio; Ester infatti ci ha sconsigliato di partire subito per una gita di un'intera giornata, visto che il viaggio ci ha un po' provato. Ben coperti usciamo diretti in paese. Longyearbyen è la capitale delle Svalbard, anche se chiamarla capitale fa sorridere, considerando che conta poco più di duemila abitanti, e si esaurisce in due strade. C'è neve dappertutto, ma non fa molto freddo, saremmo intorno allo zero. Le case sono piccoli prefabbricati di legno, coloratissime (più tardi Stefano ci spiegherà che non costruiscono edifici in cemento, poiché non è possibile gettare le fondamenta essendoci il permafrost che non fa assorbire l'acqua, che in inverno ghiaccerebbe pochi centimetri sotto la superficie, spaccando in terreno e rigettandole fuori; lo stesso vale per il cimitero: ci sono appena 30 croci, tutte risalenti a prima del '59, quando ancora non c'erano i collegamenti aerei; oggi i morti vengono sepolti in Norvegia).
Il centro di Longyearbyen è pieno di negozi di articoli sportivi, bar e ristoranti. E' una cittadina molto vitale, grazie sopratutto alla presenza dell'UNIS, l'università artica della ricerca, uno dei principali motori dell'economia locale, insieme alla miniera e al turismo.
In tutto ci sono tre strade che escono dal paese: una va al porto e poi all'aeroporto, mentre le altre vanno alle miniere 5, 6 e 7, l'ultima ancora aperta, ma tutti hanno la macchina (suppongo perché in inverno, quando fa veramente freddo, sarebbe altrimenti impossibile spostarsi!).
Verso la fine dell'abitato troviamo una centrale elettrica, e in seguito scopriremo che è alimentata appunto dal carbone della miniera n.7, e produce energia elettrica e acqua calda per tutta Longyearbyen.
Per strada incontriamo moltissimi giovani, e vediamo tanti bambini giocare nella neve fuori dalle scuole. Le Svalbard non sono più un posto solo per "uomini duri", e Longyearbyen sta diventando una normale comunità.
Altra curiosità è che qui tutti girano armati, il pericolo orsi è reale, anche se poi ci diranno che difficilmente attraversano il paese quando c'è gente in giro; l'unico posto dove non è possibile entrare armati è la banca! Anche ai turisti che volessero affrontare escursioni da soli è permesso affittarne, senza bisogno di porto d’armi.
Dopo pranzo Ester ci viene a prendere a casa, e ci porta all'officina di Stefano, punto di partenza di tutte le gite, e qui facciamo la conoscenza Ingunn, che sarà la nostra guida per tutti questi giorni. E' norvegese, di Bergen, dice che sta si meglio alle Svalbard, dove non piove così tanto! Parla benissimo italiano, con grande gioia mia e soprattutto di papà. Scopriamo che ci sono anche un ragazzo di Milano, Davide, che è arrivato un giorno prima di noi, e anche lui sarà un compagno di avventura per tutti i giorni successivi, una coppia norvegese e un'amica di Ester.
Partiamo per la grotta, io e papà abbiamo una slitta sola, e dietro si sente più il vento... fa un po' freddo. Il cielo è coperto e cade qualche fiocco di neve. Risaliamo la montagna fino ad arrivare al ghiacciaio, incontrando qualche sciatore e un gruppo di motoslitte di ritorno da Barentsburg. Arrivati all'imbocco della grotta Ingunn da qualche informazione su ciò che vedremo e sulla grotta stessa, e scopriamo che in verità si tratta di un canale formatosi in estate con lo scioglimento del ghiacciaio, che in inverno si richiude diventando un tunnel sotterraneo lungo circa 200 metri. Ingunn ci spiega che ogni anno è diverso, e siamo fortunati perché quest'anno è molto alto e suggestivo. Per entrare dobbiamo calarci per qualche metro con una corda assicurata al terreno. Sul casco abbiamo le torce da speleologo, e devo ammettere che non mi piaceva moltissimo l'idea di calarmi sottoterra in quel buco... ma appena arrivata in fondo mi sono dovuta ricredere, perché lo spettacolo era unico. Le pareti di ghiaccio scintillavano e man mano che ci addentavamo abbiamo potuto osservare delle formazioni di ghiaccio meravigliose, e anche qualche fossile. La gita è durata un'oretta, e quanto siamo usciti nevicava abbondantemente.
Tornati all'officina abbiamo conosciuto Stefano, che ci ha dato preziose e interessanti informazioni sulla vita alle Svalbard. Abbiamo così scoperto che ci sono zone dove ai turisti non è permesso recarsi, e altre ancora alle quali non hanno accesso nemmeno i residenti senza il permesso del governatore, il Sysselman. Le Svalbard sono regolate da un trattato del 1920, che ne fa territorio internazionale, che tutti gli Stati possono colonizzare e sviluppare, ma sono amministrate dalla Norvegia. Ciò non ha tuttavia impedito il formarsi di comunità di molti altri paesi, soprattutto russi, ma anche tailandesi (che noi inizialmente avevamo scambiato per Inuit...).
Torniamo a casa entusiasti di questo primo giorno polare, e dopo la cena e una telefonata a casa andiamo a letto (chiedendoci perché in un posto dove c'è luce perenne sei mesi all'anno non abbiano gli scuri alle finestre... mah, i misteri del nord!)

5 maggio 2009
E' il mio compleanno, fuori la solita luce, e il cielo è ancora coperto. oggi la destinazione è il Tempelfjord, a nordest di Longyearbyen, un percorso di circa 120 km che ci terrà impegnati tutto il giorno, attraversando due valli, per poi scendere sul fiordo che attraverseremo guidando sul ghiaccio, fino a giungere al fronte del ghiacciaio Tunabreen.
Dopo esserci vestiti di tutto punto (maglioni, calzamaglia, pantaloni di lana, tuta termica e stivali imbottiti) partiamo dalla base Poli Artici, ci guida Ingunn, e insieme a noi c'è una coppia di ragazzi danesi, l'amica di Ester e Davide. Io e papà abbiamo una motoslitta sola, e abbiamo stabilito che all'andata guiderà lui, e io al ritorno (dietro si sentono di più il freddo e gli scossoni...).
Uscendo dall'abitato Ingunn ci indica il vecchio aeroporto (una pista al centro della lunghissima valle), e una stazione che studia le aurore boreali, sulla cima della montagna alla nostra destra.
Attraversando la valle vediamo alcune renne; le renne delle Svalbard hanno una costituzione più massiccia di quella delle norvegesi, per difendersi meglio dal freddo polare. Essendo costrette a nutrirsi della rada vegetazione che cresce tra la sabbia e le rocce, subiscono la rapida usura dei denti, che causa loro una forte denutrizione già all'età di 10 anni. Mentre giungiamo in vista del fiordo il cielo comincia a schiarirsi, e il sole ci regala il primo vero spettacolo: la valle si stende ai nostri piedi, larghissima e scintillante sotto i raggi del sole, e degrada dolcemente fino al mare. Sulla riva del fiordo ghiacciato ci sono tre piccole baite, che sono state abitate per trent'anni da un cacciatore e sua moglie. Non riesco a immaginarmi come possa essere la vita in questa estrema solitudine, ma mi affascina. Sostiamo un po', e vediamo passare altri gruppi di motoslitte, e anche uno di slitte trainate dai cani; viaggiano in un silenzio surreale, ben diverso dal rumore provocato dai motori delle nostre motoslitte, che è forse l'unico neo di questo modo di muoversi.
Sul ghiaccio avvistiamo molte foche; vorremmo avvicinarci, ma Ingunn ce lo impedisce, spiegandoci che le foche nascondono i cuccioli che ancora non sanno nuotare sotto la neve, vicino al buco che le mette in comunicazione con il mare: se ci avvicinassimo troppo le spaventeremmo e scapperebbero abbandonadoli.
Giungiamo sotto il fronte del ghiacciaio, e ci fermiamo per il pranzo; la muraglia di ghiaccio azzurro si staglia davanti a noi, a tratti illuminata dai raggi del sole che sta cominciando a fare capolino tra le nuvole.
Il pranzo consiste in una poltiglia liofilizzata, e in una barretta di cioccolato, ottima per spazzare via quel saporaccio! Ingunn ci avverte che se dovessimo avvistare un orso dobbiamo salire sulle motoslitte senza perdere tempo e partire veloci; lei è armata, ma ovviamente è consentito sparare solo se non si hanno altre possibilità, prima si deve cercare di fuggire, o spaventare la bestia con una pistola lanciarazzi, e solo se ciò non dovesse servire la si può ferire (successivamente si deve chiamare il governatore che avvia un’indagine).
Ripartiamo, puntando verso l'imboccatura del fiordo, diretti al veliero Norderlicht, imprigionato tra i ghiacci e usato in inverno come base per le escursioni di più giorni; qui ci fermiamo a scattare qualche foto, e durante la sosta il cielo si rasserena completamente. Al ritorno guido io, dando così la possibilità a papà di filmare questo paesaggio mozzafiato, con la neve che scintilla e il ghiaccio che si perde fino ai confini dell'orizzonte... e oltre.
E' stato il primo vero assaggio delle Svalbard, e io me lo sono gustato fino in fondo, con occhi avidi; le sensazioni sono quasi indescrivibili, il senso di libertà e allo stesso tempo di pace che questa atmosfera può darti.
Ritornati alla base ci concediamo una serata mondana nel pub del Radisson sas, l'hotel più grande di Longyearbyen.

6 maggio 2009
Oggi finalmente il cielo è azzurro e limpido (e di conseguenza fa più freddo dei giorni scorsi). Nella mattinata non ci sono gite in motoslitta, quindi Ester ci ha prenotato per una gita con i cani, convincendoci a provare quest'esperienza, che in effetti si rivela una divertente e interessante alternativa alla motoslitta.
Prima di partire ci viene spiegato come allestire la muta, composta da cinque cani (due leader, uno dietro, e altri due in fondo, più robusti, che si accolleranno lo sforzo del traino), e poi ci consegnano la lista dei cani che dobbiamo prendere dalle cucce e preparare per la partenza. Dopo qualche difficoltà e soprattutto molte risate nell’allestire la muta, siamo pronti a partire; ogni squadra è composta da due persone, una guida la slitta e l'altra si gode tranquillamente in panorama seduta dentro... per la precisione, all'andata papà guida e io mi godo il panorama! I nostri cani ci sembrano un po' pigri... ma forse siamo noi che non siamo molto esperti!! Il musher ci precede, in tutto il gruppo è formato da 5 slitte, e tutto sommato sembra piuttosto semplice (i cani seguono la slitta che hanno davanti, ma se dovessimo essere noi a guidarli non sapremmo come fare, anche perché ce lo hanno spiegato in inglese, quindi io ho capito poco e papà niente).
Tra risate e divertimento passa così la mattinata, ma siamo un po' demoralizzati perché nel pomeriggio non sappiamo cosa fare, e abbiamo talmente pochi giorni a disposizione che non vorremmo perdere tempo; per fortuna quando torniamo a Longyearbyen ci arriva un sms di Ester: nel pomeriggio si può fare una gita alla valle delle renne, ma dobbiamo prendere una moto ciascuno, altrimenti non riusciamo a formare il numero minimo di partecipanti. Accettiamo entusiasti (io in particolare, visto che papà vuole sempre guidare e dietro ci si diverte molto meno).
Partiamo alle due del pomeriggio, io, papà, Davide e Ingunn. Percorriamo una pista meno battuta di quelle del giorno precedente, e si guida da favola. Sto prendendo confidenza con la moto, e mi sento sempre più sicura, tanto che quando Ingunn ci propone di salire su una montagna per gustarci il panorama dall’alto, affronto la salita (che dal basso era impressionante) senza problemi. Noto anche che da soli si guida molto meglio, forse perché papà pesa più di me, quindi quando sta dietro mi sbilancia e fa sbandare un po’ la slitta. Dopo una breve sosta riprendiamo la marcia, seguendo dall’alto il corso di un canyon, che sbocca nella valle. Quando ci fermiamo, in una terrazza che affaccia sulla valle, rimango senza parole. Sotto di noi, per decine di km in lungo e in largo, si stende la Valle delle Renne, e non posso che pesare che è il panorama più bello che abbia mai visto. I raggi del sole arrivano obliqui sulla superficie, e creano strani giochi di luce sulla neve ghiacciata. C’è un faro a gas, che serve d’inverno per indicare l’imbocco della valle.
Ci fermiamo qui per quasi un’ora, e non riusciamo a smettere di stupirci di tutta questa bellezza. Da est arriva un vento gelido, la temperatura è notevolmente sotto lo zero, e si fa fatica a stare senza guanti e passamontagna. Prima di tornare a casa Ingunn ci fa attraversare la valle, e qui ci rendiamo conto di quanto sia ampia: tutto questo bianco non permette di valutare bene le distanze, ma per attraversarla ci mettiamo circa 10 minuti, a velocità piuttosto sostenuta.
Rientrati a Longyearbyen chiamiamo a casa, e poi andiamo a cena con Davide, scambiandoci impressioni su questa avventura.

7 maggio 2009
E’ il nostro ultimo giorno alle Svalbard, ma prima di farci cogliere dalla malinconia abbiamo ancora una splendida giornata davanti; la destinazione di oggi è Barentsburg, una cittadina mineraria russa. Ingunn ci spiega che è stata aperta ai visitatori solo negli anni ’90, e che durante la Guerra Fredda, benché i norvegesi abbiano sempre mantenuto una linea neutrale, i russi erano piuttosto sospettosi nei loro confronti. Oggi la miniera di Barentsburg è praticamente esaurita, e la popolazione ridotta a 200 persone, la maggior parte addette alla manutenzione della suddetta miniera.
Per raggiungere Barentsburg attraversiamo in ghiacciaio Longyear, per poi scendere nella valle sottostante. Dopo circa un’ora di viaggio ci troviamo a costeggiare l’oceano; qui il ghiaccio si è già ritirato, e noi ci fermiamo a ammirare lo splendido contrasto dell’acqua blu contro il bianco abbacinante della neve. A qualche metro dalla rive c’è una baita, che serve da rifugio in caso di tempesta, simile a molte altre che abbiamo incontrato in questi giorni lungo le piste. Riprendiamo la marcia, e l’arrivo a Barentsburg ci lascia senza parole: sembra di fare un balzo indietro nel tempo, e tornare in Unione Sovietica. Qui tutto ci parla del passato non troppo lontano: le costruzioni in stile sovietico, con i murales colorati alle pareti, le insegne scritte in cirillico, e il busto di Lenin, che ci osserva accigliato.
Pranziamo nell’unico hotel della cittadina, e anche il pranzo è decisamente “russo”, ma comunque buono. Mentre chiacchieriamo una guida amica di Ingunn ci informa che nelle vicinanze è stato avvistato un orso, e questo se possibile ci emoziona ancora di più! Dopo pranzo passeggiamo per la cittadina, e incontriamo un gruppo di minatori, che ci propongono di scambiare whisky con un cellulare.
Riprendiamo le nostre motoslitte, e ci lasciamo Barentsburg alle spalle per rientrare a Longyearbyen, che raggiungiamo verso sera. Quando scorgiamo la città, con le sue casette colorate, ci coglie un po’ di malinconia. Prima di partire eravamo incerti su quanto tempo trattenerci, intimoriti dal fatto di non aver mai guidato le slitte, e temevamo di stancarci troppo… ora ci fermeremmo volentieri ancora qualche giorno, ma il nostro aereo partirà stanotte alle 3, per riportarci a Oslo.

Siamo stati alle Svalbard quattro giorni; troppo pochi per soddisfare la nostra voglia di Grande Nord, ma sufficienti per farci apprezzare la magia che solo l’artico può regalare. Torniamo a casa affascinati, ma anche in qualche modo intimoriti, dalla grandezza di ciò che abbiamo vissuto, con la sensazione di aver assaporato qualcosa di unico, in questa terra che tollera appena la presenza dell’uomo, ma lo vuole discreto e rispettoso della sua maestosità, e soprattutto, torniamo con la promessa di volare di nuovo alle Svalbard… prima o poi.Dove dormire? Le opportunità non sono moltissime, ma sufficienti a soddisfare tutte le esigenze: un paio di hotel, appartamenti messi a disposizione dai vari tour operator, e infine un ostello. Noi abbiamo optato per un piccolo appartamento, messoci a disposizione da Stefano Poli, della PoliArctici.Come arrivarci? Dopo aver scoperto dove si trovano, direi che questa domanda sorge spontanea, e la risposta è piuttosto semplice: solo ed esclusivamente in aereo. Da Oslo o da Tromso, da Febbraio a Novembre la SAS effettua un volo al giorno, che dura circa 3 ore (da Oslo). La questione si complica se le si vuole raggiungere in un solo giorno (come volevamo fare noi), visto che molto spesso è previsto uno scalo di una notte a Tromso, tuttavia con un po’ di flessibilità su date e orari di partenza e arrivo, e con un po’ di pazienza per spulciare i siti in cerca della combinazione migliore, si può fare.
Come spostarsi? I pochi villaggi dell’arcipelago non sono collegati da strade, che si trovano solo all’interno dei paesi. In inverno l’unico modo per spostarsi è la motoslitta, mentre in estate, quando la neve si scioglie, si può uscire dall’abitato solo a piedi: il delicatissimo ecosistema non tollera il passaggio di nessun veicolo, che lascerebbe tracce pressoché indelebili. Un’alternativa per chi non volesse cimentarsi in lunghi trekking è la crociera, che circumnaviga l’arcipelago (ghiaccio permettendo), nei mesi estivi.

3 commenti in “Le Svalbard: più a nord non si può!
  1. Avatar commento
    Vittoria
    25/10/2009 17:42

    ciao! la mia mail è vikhymercatali@hotmail.it, scrivi pure, sarò felice di aiutarti per quello che posso!!

  2. Avatar commento
    Rudy Giovannini
    20/10/2009 15:06

    Ciao Vittoria, ho letto il tuo racconto che mi ha letteralmente affascinato! Ricco di dettagli, mai monotono e ben scritto, l'ho stampato perchè spero in futuro di poter seguire le tue orme, magari anch'io con mio padre. Se puoi farmi avere la tua e-mail ti vorrei fare qualche domanda nello specifico del viaggio, in caso contrario complimenti per la bella esperienza che hai narrato!

  3. Avatar commento
    tito
    16/10/2009 19:13

    mi hai entusiasmato peccato che sia durato cosi poco

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