Giovedì, 9 gennaio 2014
Era da tempo che il mio amico Francesco, fiorentino trasferitosi a Vilnius, Lituania, intorno al 2011, mi invitava ad andarlo a trovare. Una decina di giorni prima di natale mi mandò una mail in cui m’informava che c’era un volo economico a 35 euro Bergamo-Vilnius il 9 gennaio e che lui aveva intenzione di prenderlo: se volevo potevo andare con lui. All’epoca infatti si trovava a Firenze per una delle sue frequenti puntate in Italia. Accettai con entusiasmo, ma iniziò un periodo di ansia che durò fino al giorno stesso della partenza. E’ nel mio carattere, prima di una partenza sono sempre ansioso. I viaggi verso l’ignoto mi hanno sempre attratto e al tempo stesso terrorizzato: se avessi dato retta alla mia ansia non avrei mai fatto nessun viaggio, invece le mie mete sono state molte anche se – per ora – circoscritte all’Europa.
Proposi di fare il viaggio con me anche ad Italo, al Martino e a Iuri. Quest’ultimo non poteva però lasciare il lavoro, il Martino addusse la scusa del freddo: solo Italo accettò con entusiasmo. Chiesi a Francesco di fare i biglietti dell’aereo anche per noi (3 andate e 2 ritorni, visto che lui sarebbe poi rimasto là, ospite di Evelina, la sua ragazza lituana), online con la Wizzair.
Fissai io stesso l’ostello a Vilnius, consigliatomi da Francesco, con uno scambio di mail in inglese, e quello a Bergamo per il pernottamento al ritorno (visto che non c’erano treni per Firenze successivi alla nostra ora di arrivo – le 19.40).
Feci anche dei preparativi “culturali”: alla biblioteca del Palagio di Parte Guelfa presi in prestito una guida della Lituania “Lonely Planet” (che comprendeva anche le altre due repubbliche baltiche: la Lettonia e l’Estonia) e me la studiai diligentemente. Mi comprai anche un manuale di conversazione di lituano della Vallardi. Il lituano è una lingua indoeuropea molto conservativa, con molte affinità col latino e col sanscrito, decisamente affascinante.
Pensai bene di contattare gli esperantisti locali. Mi rispose per primo Marijus, presidente della gioventù esperantista, seguito poi da Irena, segretaria dell’organizzazione esperantista lituana. Mi risposero entrambi con molta cortesia e disponibilità. Fissammo di trovarci venerdì 10 alle 15 presso la statua equestre di Gediminas, primo re lituano, davanti alla Cattedrale.
Arrivò infine il momento di fare i bagagli. La compagnia aerea poneva dei limiti ben precisi sulle dimensioni: presi perciò il trolley di mio padre e ci misi dentro:
- un paio di cambi di vestiti
- il pc portatile piccolo
- le medicine
- un paio di libri da leggere: “Inferno” di Dan Brown (uscito qualche mese fa, regalatomi da mio cugino Silvio) e “Le veglie alla fattoria di Dikanka” di Gogol’ (trovato nello scaffale del libero scambio alla casa del popolo di Settignano)
- un paio di ciabatte
- spazzolino da denti, dentrificio, pettine, ecc.
Altre cose le misi nelle tasche di una giacca a vento prestatami da mio padre. L’idea me l’aveva suggerita Francesco, ormai esperto di viaggi: siccome non c’è limite a ciò che si può indossare, aveva un paio di gilet pieni di tasche dove infilava di tutto e che si metteva giusto il tempo del controllo in aeroporto. Un modo intelligente per aggirare il sistema.
Il nostro treno era quello delle 14. Era una giornata soleggiata, insolitamente calda per essere gennaio. Prendemmo posto e partimmo già con un ritardo di 15 minuti, che sarebbero poi diventati 20 all’arrivo a Milano.
Appena partiti mi telefonò il mio editore, la Tetto, per salutarmi. Arrivammo a Milano in ritardo ma comunque in tempo per prendere il regionale delle 16.10 che arrivò a Bergamo verso le 17. Il treno era piuttosto squallido e grigio, più o meno come il paesaggio oltre i finestrini. Quando arrivammo alla stazione di Dalmine pensai al mio amico Matteo, che avremo poi incontrato al ritorno il martedì successivo. Arrivammo a Bergamo che era già notte. La piazza davanti alla stazione mostrava ancora luminarie natalizie. Andammo subito a fare i biglietti per il bus che ci avrebbe portati all’aereoporto (2,30 euro).
Il nostro era il volo per Vilnius delle 20.10: arrivammo con largo anticipo, ma non fu un male.
Nell’attesa feci un salto al bar. Infine salimmo sul bus che ci avrebbe portato al nostro aereo, e lì ci separammo una prima volta da Francesco che rimase indietro, poi si andò a sedere accanto ad una bionda con cui chiacchierò per tutto il viaggio, lontano da noi. Io tornavo finalmente a volare dopo quasi sette anni (esattamente dal viaggio in Norvegia del 2007): il momento in cui l’aereo prende velocità sulla pista e si stacca da terra è sempre emozionante. Al decollo le luci si abbassarono per darci modo di vedere il panorama della città vista dall’alto prima che ci infilassimo nelle nubi e tutto diventasse nero dietro i finestrini. Ogni tanto l’altoparlante diffondeva notizie sul volo in inglese e in un’altra lingua che non riuscii ad identificare. Nelle due ore abbondanti passate in volo lessi Dan Brown, ascoltai musica col lettore mp3 (gli Asia) e scrissi anche una breve poesia, appuntata sul blocchetto che mi porto dietro sempre in viaggio per prendere appunti:
IN VOLO
Le luci si abbassano come a teatro.
In basso la città come una rete luminosa.
In alto la luna piena incorniciata dalle nubi.
Atterrammo puntuali alle 23.30 ora locale (ossia un’ora in avanti rispetto all’Italia). Ci accolse una pioggerella leggera, ma faceva meno freddo di quanto mi immaginassi. Perdemmo di nuovo di vista Francesco e vagammo per qualche minuto nell’aereoporto alla sua ricerca, un po’ preoccupati, finché non lo trovammo all’uscita. Ci aspettava la sua compagna con la macchina. Ci salutammo in inglese e montammo in macchina tutti e quattro. Ci portò all’ostello, il Paupio Namai (Paupio Gatve 31A, “gatve” vuol dire “via”, “namai”, “della casa”). Facemmo una breve sosta in una piazzetta panoramica vicino all’ostello. Demmo cinque euro a testa ad Evelina come contributo per la benzina.
L’ostello era in un quartiere tranquillo, a circa un chilometro dal centro. Quando ci arrivammo la zona era buia e deserta: c’erano solo le luci dei lampioni e quelle che provenivano dall’interno dell’ostello. C’era un tizio ad aspettarci per darci le chiavi e mostrarci rapidamente il luogo. Nonostante fosse mezzanotte passata c’era ancora vita all’ostello; ragazzi a chiacchierare nel salottino col camino. Alle stanze si accedeva digitando una combinazione segnata su un biglietto consegnatoci dal tizio: un sistema un po’ scomodo, visto che non sempre si apriva al primo tentativo.
Avevamo preso due camere singole (16 euro a testa a notte). La mia era la 102, al piano terreno (in Lituania il piano terreno è il primo piano): era piuttosto spaziosa, aveva due letti, un armadio ed un paio di comodini. Era insomma piuttosto spartana ma confortevole. Il riscaldamento funzionava a pieno regime, tanto che faceva quasi troppo caldo. Ero stanchissimo ma quella notte ebbi grosse difficoltà ad addormentarmi e feci sogni stranissimi.
Venerdì, 10 gennaio 2014
Mi svegliai presto ma rimasi a letto nel dormiveglia fino alle nove circa. Dalle 9 alle 11 l’ostello offriva una spartana colazione a base di caffè, latte e tè (gratuiti) con delle brioche (3 litas l’una, il “litas” è la moneta locale – un euro equivale a circa 3,45 litas). Presi una tazza di caffellatte e andai a bermela in cucina. Una crostatina datami da Italo, che si era alzato più o meno quando me, completava la colazione.
L’ambiente era accogliente. C’era il camino acceso e sulla mensola sopra il camino c’era il “book exchange”, con una ventina di libri in varie lingue, lasciati suppongo dai vari ospiti. C’era anche un libro in italiano, un certo Luca Goldoni.
Verso le 10.30 eravamo pronti per la nostra prima passeggiata in città. Francesco ci aveva anticipato che non ci saremo visti quella mattina perché doveva cambiare le gomme dell’auto, e comunque vista la notte insonne aveva da recuperare. Ci saremmo arrangiati da soli, con la cartina fornita dall’ostello e con la guida Lonely Planet.
Paupio Gatve si trova nel quartiere degli artisti, la famosa Repubblica di Užupis. Il palazzo davanti all’ostello era fatiscente e faceva pensare all’epoca sovietica (la Lituania fu il primo paese delle repubbliche baltiche a sganciarsi dall’Unione Sovietica, nel 1990, ed è ora ormai una nazione europea a tutti gli effetti, ma l’eredità sovietica è ancora pesante), tuttavia dopo pochi passi si aprivano scenari pittoreschi. Lungo un muro erano appese targhe metalliche in diverse lingue, italiano compreso, che riportavano la costituzione della Repubblica di Užupis:
1. Tutti hanno diritto di vivere vicino al fiume Vilnia e il fiume ha diritto di scorrere 2. Tutti hanno il diritto all’acqua calda, al riscaldamento d’inverno e a un tetto 3. Tutti hanno il diritto di morire ma non è un obbligo 4. Tutti hanno il diritto di fare errori 5. Tutti hanno il diritto di essere unici 6. Tutti hanno il diritto di amare 7. Tutti hanno il diritto di non essere amati 8. Tutti hanno il diritto di essere mediocri e sconosciuti 9. Tutti hanno il diritto di oziare 10. Tutti hanno diritto di amare un gatto e prendersi cura di lui 11. Tutti hanno il diritto di badare al cane fino a quando uno dei due muore 12. Il cane ha diritto di essere un cane 13. Il gatto non è obbligato ad amare il suo padrone, ma deve essere di aiuto nei momenti di necessità 14. A volte si ha il diritto di essere inconsapevoli dei propri doveri 15. Tutti hanno il diritto di avere dei dubbi, ma non è obbligatorio 16. Tutti hanno il diritto di essere felici 17. Tutti hanno il diritto di essere infelici 18. Tutti hanno il diritto di stare in silenzio 19. Tutti hanno il diritto di avere fede 20. Nessuno ha il diritto di usare violenza 21. Tutti hanno il diritto di apprezzare la propria scarsa importanza 22. Nessuno ha il diritto di avere un progetto per l’eternità 23. Tutti hanno il diritto di comprendere 24. Tutti hanno il diritto di non capire 25. Tutti hanno il diritto di appartenere a qualunque nazionalità 26. Tutti hanno il diritto di celebrare o non celebrare il proprio compleanno 27. Tutti devono ricordare il proprio nome 28. Tutti hanno il diritto di dividere ciò che posseggono 29. Nessuno può dividere ciò che non possiede 30. Tutti hanno il diritto di avere fratelli, sorelle e parenti 31. Tutti possono essere indipendenti 32. Tutti sono responsabili della propria libertà 33. Tutti devono poter piangere 34. Tutti hanno il diritto di essere fraintesi 35. Nessuno ha il diritto di dichiarare colpevole il prossimo 36. Tutti hanno il diritto all’individualità 37. Tutti hanno il diritto di non avere diritti 38. Tutti hanno il diritto di non avere paura 39. Non deludere 40. Non combattere 41. Non cedere
In una piazzetta c’era una statua che rappresentava un angelo di metallo scuro. Più avanti si arrivava alle chiese gotiche, attaccate l’una all’altra, di Sant’Anna e San Bernardino: furono le prime chiese che visitammo.
La giornata era grigia ma non eccessivamente fredda. In pochi minuti eravamo già in pieno centro. La parte vecchia di Vilnius è soprattutto barocca, inserita nel patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, è una città incantevole: le strade sono pulitissime, non una cartaccia o una cicca (pochissimi fumatori a giro), quelle del centro spesso con un acciottolato caratteristico che richiede un buon paio di scarpe (io per sicurezza mi ero portato quelle da montagna, nell’eventualità di neve e ghiaccio). I mendicanti sono pochi e non invadenti, niente brutte facce a giro. Nella pittoresca Pilies Gatve si aprivano vari bar e gelaterie: cambiati un po’ di soldi in banca ci infilammo in un locale di specialità italiane (ma non parlavano italiano), Soprano, dove prendemmo una fantastica cioccolata calda. Là scrissi la mia prima poesia lituana:
LA CAPITALE
La capitale mostra un volto composto,
dignitoso.
A nevoso inoltrato sopravvive il natale.
Lennon risuona in un sax nella Cattedrale.
Mi chiedo come sarebbe vivere qui.
L’ingombrante eredità sovietica
traspare in certe vie periferiche,
in certi palazzi fatiscenti.
Nella città vecchia tutto cambia,
qui è tutto più nuovo.
Fantastiche morbide nubi
scorrono sulla torre inaccessibile.
Forse nevicherà.
Completai la poesia nella Cattedrale, a due passi dal locale. La grande piazza ospitava la chiesa principale, un maestoso palazzo di rappresentanza ed una torre (chiusa per lavori) che sembrava un razzo pronto a partire. Nella cattedrale gli altoparlanti diffondevano canzoni natalizie e brani di musica pop come “Immagine” di John Lennon. Ci sedemmo per riprendere fiato e quindi proseguimmo per Gedimino Prospektas, un grande viale dove si trovava il ristorante consigliatoci da Francesco (che non si era ancora fatto vivo se non per sms): “La crepe”. Locale interessante, non troppo caro, dove si possono mangiare cose tipiche e non solo. Si trovava davanti al Novotel. Prendemmo il piatto del giorno e spendemmo 13 litas a testa. La cucina lituana è molto calorica, probabilmente per combattere gli inverni gelidi, e la durata media della vita è bassa (66 anni per gli uomini) a causa di alcol, incidenti e suicidi. Tornammo quindi nella cattedrale per aspettare Marijus, con cui avevamo appuntamento alle 15. Intanto era cominciato a piovere ed il tempo era uggioso, inoltre si era alzato anche il vento: ma era una pioggerella leggera ed intermittente. Era il vento che dava soprattutto fastidio e che mi piegava l’ombrello. Notai di sfuggita che ero l’unico ad avere un ombrello: i locali non lo usano, preferiscono girare incappucciati. D’altra parte la pioggia quassù è sempre leggera. Seduto su una panca di legno nella cattedrale, nell’attesa, iniziai a leggere Gogol’.
Marijus arrivò con qualche minuto di ritardo: ci incontrammo all’ingresso, davanti al negozietto di souvenir. Subito si rivelò un tipo simpatico ed accogliente. Ci propose di farci fare un giro nei dintorni, iniziando dalla torre di Gediminas, che svettava sulla collina adiacente alla cattedrale. Ben tre lingue si intrecciarono nella nostra conversazione a tre: l’esperanto, l’inglese e l’italiano. Italo comprendeva un po’ l’esperanto, pur non avendolo mai studiato, ma Marijus parlava un buon inglese e persino qualche parola d’italiano.
Dal piazzaretto in cima alla collina si vedeva un buon panorama della città vecchia da una parte e di quella nuova dall’altra, con l’inconfondibile profilo della torre della televisione (teatro di un massacro da parte dei russi, avvenuto nel 1991 proprio in quei giorni), i grattacieli e il fiume Neris che attraversa serpeggiando la città. Marijus era molto preparato sulla storia della Lituania: una storia fatta soprattutto di invasioni e sangue. Russi, tedeschi e polacchi si sono di volta in volta spartiti il territorio lituano, inglobandolo nei rispettivi imperi, fino all’indipendenza della nazione all’inizio degli anni ’90 e il rapido processo di europeizzazione. In Lituania si vive bene, pur con i problemi di disoccupazione che interessano ormai molte nazioni europee in quest’epoca di crisi, e lo stile di vita è molto europeo anche se sopravvivono tradizioni antichissime, addirittura pagane (il popolo lituano è stato l’ultimo in Europa ad essere cristianizzato, alla fine del ‘300). Marijus ci raccontò anche di sé, di quando faceva il soldato nell’armata sovietica, in Siberia e in Afghanistan. Ci parlò dei suoi figli e di come incontrò il movimento esperantista, e di come avesse guidato gli esperantisti lituani nella partecipazione alla catena umana che collegò Vilnius a Tallinn (capitale dell’Estonia) nel ’91. Quell’uomo era una vera miniera di informazioni che forniva destreggiandosi tra esperanto ed inglese, lasciando a me il compito di tradurre per Italo.
Intanto si era fatto buio. Prima delle quattro è già notte lassù al nord, in più la giornata era grigia e ventosa. Salimmo fino in cima alla torre per una serie di scale di pietra, dopo aver pagato l’ingresso di 5 litas anche per il nostro amico esperantista: in cima la vista era ancora più spettacolare. La bandiera lituana, a bande orizzontali (verde, giallo e rosso) sventolava in alto, come ad affermare l’orgoglio nazionale. Riscendemmo poco dopo, ricacciati dal vento gelido, e visitammo il palazzo accanto alla cattedrale, distrutto da Napoleone e ricostruito in tempi recenti. Prendemmo poi la macchina per fare un giro in periferia. Ci fermammo presso un punto panoramico a cui si arrivava tramite delle scale nel bosco, a P??kori? Atodanga (mi sono fatto poi scrivere il nome da Marijus). Marijus ci indicò delle luci in lontananza, giù al Belmonto Parkas, dove si trovava una vecchia fabbrica di cannoni: purtroppo non c’era tempo per visitarla.
Riscendemmo al buio (io mi ero portato una pila tascabile, su suggerimento di Italo che poi si è dimenticato di portare la sua) e ci fermammo a prendere un tè nero in un barrettino vicino alla strada. Era un posto molto pittoresco, con un bel fuoco scoppiettante e l’infuso del tè servito in modo particolare. Anche la toilette era pittoresca; fuori dal bar, nel bosco, un capanno di legno.
Alle 18 avevamo appuntamento all’Università di Pedagogia, in Student? gatve, con gli esperantisti (giovani e meno giovani) per la riunione in nostro onore e per darci il benvenuto. Arrivammo giusto in tempo (qui tengono molto alla puntualità) e trovammo una decina di persone, tra cui tre ragazze. Irena ci fece accomodare ai banchi di legno, che avevano un che di scolastico, ed iniziò a parlare in esperanto dell’attività del movimento in Lituania, rimproverando di tanto in tanto Marijus quando interveniva in inglese o in italiano per far capire anche a Italo (“krokodili” in esperanto, ossia parlare in lingua nazionale) che comunque capiva abbastanza. Fui invitato a parlare anch’io della situazione dell’esperanto in Italia e a Firenze: non mi ero preparato nulla, così improvvisai. Alla fine mi fu regalato un libro, un’antologia lituana tradotta in esperanto, e festeggiammo con cioccolatini, dolcetti tipici e vino italiano. Durante la riunione conobbi anche Aleksejus (Alex per gli amici), un mio fan: conosceva infatti Segreti di Pulcinella e i rispettivi redattori e aveva letto i miei racconti e poesie. Fu una bella sorpresa!
Un’altra bella sorpresa fu vedere, sul tavolo, un numero recente di “Literatura foiro” (la più importante rivista letteraria esperantista) con un mio raccontino. Una coincidenza ben augurante. Dopo la riunione accettammo l’invito a cenare insieme in un centro commerciale tipo Gigli ma molto più grande, in periferia. Eravamo una bella tavolata di amici vecchi e nuovi: io e Italo ordinammo le tagliatelle (discrete). Le lingue si mescolavano (inglese, italiano, esperanto e lituano) al tavolo; io stesso non facevo che passare da una all’altra (ad eccezione del lituano) a volte confondendomi. Conoscemmo in quell’occasione una ragazza diciottenne, molto carina anche se un po’ troppo seria, di nome Jolanta: si offrì gentilmente di riaccompagnarci all’ostello visto che viveva lì vicino. Quando scendemmo nel parcheggio sotterraneo, gigantesco, Marijus si accorse di non riuscire più a ritrovare la macchina (dove avevo lasciato delle cose): dopo aver girato invano per un bel po’ ci avviammo alla macchina di Jolanta. Fuori pioveva piuttosto forte, tirava vento e faceva un freddo boia. Infine il nostro amico riuscì a trovare la macchina e tutto andò a posto.
Prima di andare a letto guardai internet col wi-fi gratuito dell’ostello. Scoprii tra l’altro che Bia?ystok, città natale di Zamenhof, nel corso della sua storia travagliata ha fatto parte del territorio lituano e che non sono pochi i legami tra la Lituania e il creatore dell’esperanto. Me ne andai infine a letto verso mezzanotte ma non riuscii a dormire bene neanche stavolta. Prima di riuscire infine ad addormentarmi scrissi una poesia:
RIFLESSIONI PRIMA DI DORMIRE (INSONNIA)
Gli ultimi schiamazzi si spengono a poco a poco nel corridoio.
La notte è matura.
In mutande sul letto di un ostello a Vilnius
mi pongo domande
troppo grandi per un uomo.
Sabato, 11 gennaio 2014
Mi svegliai alle 9. La temperatura era calata durante la notte, era piacevole starsene a leggere un po’ sulla poltrona davanti al camino acceso, dopo la solita colazione a base di caffellatte. Nell’ostello si diffondeva un buon odore di legna bruciata. Scrissi una poesia:
ACCANTO AL CAMINO
Qua il natale dura a lungo:
le luminarie in strada e nelle case,
un allegro fuoco lituano,
un cielo grigio
e qualche fiocco di neve
che scende volteggiando.
Io e Italo decidemmo di uscire per conto nostro verso le 11. C’era un po’ di nevischio, ma la neve vera e propria doveva ancora arrivare. Facemmo un giro al parco Bernardino, vicino alla chiesa di S.Anna, presi un caffè (che spacciavano per espresso italiano) e una brioscia in Pilies gatve e quindi andammo a vedere la collina delle Tre Croci, di fronte a quella di Gediminas. In Lituania, come negli altri paesi baltici, non ci sono montagne, al massimo basse colline che non superano i 200 metri. Vilnius si trova a 156 metri di altitudine, le tre croci (erette in onore di tre frati martirizzati nel medioevo) si trovano a 168 metri. Ci si arriva dopo una bella camminata che trovai un po’ faticosa (sono terribilmente fuori forma). Da là si godeva un bellissimo panorama della città.
Riscendemmo dopo poco. Notai i lampioni attorno alla collina di Gediminas rivestiti di maglie di lana colorata. Visitammo il palazzo presidenziale, imponente ed austero (e chiuso), e poi l’università in Universiteto gatve. Non avevo mai visto un’università a cui si accede pagando un biglietto (5 litas) e con una chiesa al suo interno. La cosa più interessante era però una sala tutta affrescata con immagini piuttosto macabre.
Francesco ci raggiunse infine a “La crepe” alle 14.15. Era la prima volta che lo rivedevamo dopo il nostro arrivo all’ostello, la notte di giovedì. Aveva finalmente messo le gomme da neve, ma aveva ancora le gomme vecchie in macchina ad ingombrare. Andai con lui nel suo loft, in periferia, a lasciare le gomme e a riprendere poi Italo che intanto era arrivato a piedi al piazzaletto panoramico sopra all’ostello. L’appartamento, in un palazzone moderno, era ancora spoglio: aveva un soffitto alto ed era usato al momento come una specie di magazzino. Nonostante il riscaldamento fosse spento, c’era un certo calduccio, segno del buon isolamento delle case lituane.
Francesco ci portò al Puškinas Park, dove viveva il celebre scrittore russo Puškin. Al centro del parco, in mezzo al bosco, c’è la casa-museo di Puškin, visitabile ad un prezzo modesto. Quando arrivammo era già buio e procedemmo un po’ a tentoni. Io avevo con me la mia pila. La casa-museo è davvero carina, tutta di legno e in stile antico, piena di oggetti e ritratti dello scrittore, vale la pena visitarla. Arrivammo verso le 16.30 e dovemmo così visitarla tutta in mezz’ora scarsa, visto che chiudevano alle 17.
Francesco ci portò poi a Belmontas, non lontano dal suo loft. Là c’erano un sacco di locali caratteristici. Ci fermammo in uno di questi, tutto di legno, per prendere un tè nero.
Prima di andare a cena in un ristorante vegetariano che conosceva Francesco (lui non mangia carne) facemmo un salto in un ostello lì vicino (il Filaterai) dove lavorava una sua amica che voleva invitare a passare con noi la giornata successiva. L’amica non c’era, in compenso c’era un’altra tizia con cui si misero a chiacchierare. Ci disse che Jolita, questo il nome dell’amica di Francesco, sarebbe arrivata al lavoro alle 21.
Andammo al Vecafé. Il locale aveva qualcosa di orientale ed era molto tranquillo. Per entrare occorreva togliersi le scarpe. Io e Italo prendemmo tra le altre cose un piatto tipico tibetano, il “momo” (o qualcosa del genere).
Quando uscimmo pioveva piuttosto forte e faceva freddo. Tornammo al Filaterai e finalmente Francesco poté riabbracciare la sua amica Jolita: una trentenne carina, piuttosto vispa. Chiacchierammo fino a tardi, in inglese visto che non conosceva l’italiano. Anche Italo partecipava con interesse alla conversazione, io invece ero un po’ in disparte, sia perché il mio inglese non è così buono (specialmente a mezzanotte) sia perché non sapevo cosa dire. Alla fine comunque mostrai Segreti di Pulcinella e il sito dei PoetiKante a Jolita e lei mi chiese l’amicizia su Facebook.
Verso mezzanotte e mezza non ne potevo più, cascavo dal sonno. Chiesi a Francesco se mi poteva riaccompagnare in ostello, loro poi avrebbero continuato la nottata. Avevano in mente di andare in una specie di discoteca in centro, col nome evocativo di “Pantera”. Avrei poi saputo che Italo sarebbe tornato in ostello alle quattro di notte, dopo una pizza in centro.
L’insonnia continuava a perseguitarmi, mi addormentai tardi tra mille pensieri e feci tanti sogni strani.
Domenica, 12 gennaio 2014
Mi svegliai come al solito alle 9, l’ora in cui veniva servita la colazione. Pioveva ancora. Rividi Italo non prima delle 10.30. Ormai era chiaro che il progetto di andare a Trakai con Francesco era saltato, ma Italo era determinato ad andarci comunque. Telefonai quindi a Marijus chiedendogli se ci poteva accompagnare lui. Accettò volentieri. Mi feci una doccia (le docce sono in comune ma per fortuna la porta si può chiudere col chiavistello) e mi preparai. Il nostro amico esperantista venne a prenderci in macchina all’ostello verso le 12.
Quando partimmo pioveva: lungo la strada iniziò decisamente a nevicare! Marijus continuava a ripeterci che quello era un inverno davvero strano in Lituania, che la neve arrivava di solito a dicembre con temperature di -10 o -15. Trakai (pronunciato “trachéi”) si trova ad una trentina di chilometri dalla Capitale: è una pittoresca cittadina presso un lago con varie isolette collegate da ponticelli di legno. Su una di queste isolette sorge un castello di mattoni rossi, molto visitato dai turisti. Lungo la strada si affacciano vecchie case di legno, molto colorate, col tetto a timpano. Marijus ci spiegò che le case con tre finestre che guardano verso la strada sono case tartare, una minoranza tutelata in Lituania. Ci infilammo in un ristorante tipico tartaro mentre fuori infuriava una vera tempesta di neve. Il caldo del locale di legno fu molto piacevole. C’era molta gente, ma non confusione. Marijus ci consigliò un piatto tipico tartaro, le “kabinai” (specie di grossi involtini ripieni di carne bollente, nel nostro caso di maiale) accompagnate dalla “gira” (pronunciata “ghìra”), una tipica bevanda scura analcolica. La cucina esotica non ci dispiacque. Nell’attesa dell’ordinazione Italo e Marijus chiacchieravano in inglese mentre io scrivevo qualche verso:
TRAKAI
Sorseggio la gira
per mandare giù il cibo tartaro.
Fuori un turbinio di neve.
Un inverno strano quassù a nord
quest’anno, afferma l’amico esperantista.
“Anche a Firenze” dico.
Paghiamo poi il conto e scompariamo
nel bianco colorato.
Quando uscimmo la neve non solo aveva attecchito, ma era anche piuttosto alta. Andammo a vedere il castello sul lago, passando davanti a delle bancarelle di souvenir. C’erano molti oggetti fatti di ambra baltica, materiale tipico del luogo. Arrivammo al castello tramite un ponte reso insidioso dalla neve e dal vento fortissimo che mi piegava l’ombrello. Non c’era nessuno. Vedemmo il cortile interno e tornammo indietro, senza pagare l’ingresso (di 15 litas) per vedere le sale e le varie collezioni di oggetti del passato.
Accantonata l’idea di andare a Kaunas, originariamente proposta da Marijus, tornammo sui nostri passi verso Vilnius. Strada facendo ci fermammo a vedere tre “bienoj” (che in esperanto vuol dire “tenute”, “possedimenti rurali”) ormai abbandonate dai tempi dell’invasione sovietica della seconda guerra mondiale, site in luoghi incantevoli presso laghi o fiumi. La prima fu quella di Lentvaris. Marijus ci spiegò che una volta c’erano cavalli nelle scuderie e tanti artigiani e contadini al lavoro, poi andò tutto in malora ed ora erano rimasti solo edifici vuoti lasciati a sé stessi. Una volta esistevano tremila luoghi del genere in tutta la nazione.
Intanto scendeva lentamente la notte. La neve rendeva luminoso il paesaggio, altrimenti grigio e buio come nei giorni precedenti. In città c’era molta meno neve, le strade erano per lo più libere. Marijus ci propose di venire con lui al Parlamento, nella parte nuova della città, per assistere alle celebrazioni in ricordo del 13 gennaio 1991, giorno della strage presso la stazione televisiva. Nell’attesa prendemmo un tè in un ristorante cinese davanti alla piazza del Parlamento. Qui scrissi un’altra poesia:
CHI L’AVREBBE DETTO?
Parlare con un ex soldato sovietico
bevendo tè nero in un ristorante cinese
alla periferia innevata di Vilnius.
Non l’avrei detto un mese fa.
Le celebrazioni iniziarono alle 18 e comprendevano discorsi ufficiali e musica sul palco, con schermo gigante, nel suggestivo scenario creato dai falò presidiati da ragazzini in uniforme militare. Entrammo poi nel moderno palazzo del Parlamento lituano, dove era stata allestita una mostra fotografica e, in una sala si sarebbe tenuto un concerto di cori di lituani in abito tradizionale. Incontrammo anche gli altri esperantisti, compreso il presidente del movimento esperantista lituano (un signore distinto, di una certa età, con i baffi). C’era anche Alex, che mi regalò un paio di libri in russo scritti da sua moglie (apprezzai il dono ma mi gustai solo le foto, visto che a malapena conosco l’alfabeto cirillico e non so quasi nulla di russo). Per una curiosa coincidenza tra le foto c’era anche quella alla casa di Puškin.
Al Parlamento ci raggiunsero poi anche Francesco ed Evelina. Ascoltammo un po’ di canti tradizionali (“dainos”) e quindi salutammo tutti e ce ne andammo a cena in una squallida pizzeria del centro. Il locale era orrendo: pareti spoglie, tavolo basso che costringeva a piegarsi per mangiare, poltrone sfondate. La pizza inoltre faceva schifo, senza un filo d’olio (che non usa da quelle parti) e fredda. In compenso era economica: una margherita costava 9 litas (meno di tre euro).
Dopo la pizza ce ne andammo in un altro locale, “La Bohème”, decisamente migliore. Nell’ampio salone, con candele e luci soffuse, c’era un’atmosfera rilassante e suggestiva. Qui presi una bottiglietta di gira, che però non era così buona come quella bevuta a Trakai. Francesco prese una cioccolata calda che però era a suo dire disgustosa (“sembra l’uovo di pasqua dell’anno scorso sciolto”).
Io e Italo scrivemmo insieme una poesia:
SINESTESIA
La musica colorava il locale.
Altrove l’occhio sfiora la danza delle candele.
Rimanemmo al tavolo fino a mezzanotte passata, mentre via via il locale si svuotava. Quando uscimmo nevicava forte.
Andai a letto verso l’una. A quell’ora c’erano ancora ragazzi e ragazze nel salottino a far casino. Persi la pazienza e andai a protestare. Dopo poco ci fu silenzio e riuscii a dormire più o meno bene, meglio delle notti precedenti. Mi stavo abituando.
Lunedì, 13 gennaio 2014
Al mio risveglio trovai una gradita sorpresa: la neve alta! Durante la notte era venuta giù ed aveva coperto di un manto candido il paesaggio urbano. Dopo colazione diedi un’occhiata ad internet, postai qualcosa su Facebook sul mio viaggio (il mio piccolo “diario di viaggio” su FB era seguito e commentato da vari amici), quindi io e Italo uscimmo verso le 11. Ripassammo in banca per cambiare altri 25 euro e poi al Soprano per una sostanziosa merenda (preso una crepe alla nutella). Siccome Francesco ci aveva bidonato anche stavolta, avevo trovato sulla guida delle idee su cosa vedere nel nostro penultimo giorno in Lituania: qualche chiesa in centro, in Didžioji gatve (tra cui una chiesa greco-ortodossa in rovina), e soprattutto la casa-museo di Mikalojus Konstantinas ?iurlionis, il più importante compositore e pittore lituano, famoso per la sinestesia che lo portava a percepire i suoni come colori. Le due attività sono infatti strettamente collegate in questo artista. Prima di partire avevo visto i suoi quadri e ascoltato le sue sinfonie, trovando entrambi interessanti.
Il museo, ad ingresso libero, si trova in Suba?iaus gatve, in un anonimo palazzo. Entrando si viene accolti dalle guide, nel nostro caso una ragazza locale graziosa e gentile che parlava inglese. Ci mostrò le riproduzioni dei quadri (gli originali si trovano a Kaunas) mentre gli altoparlanti diffondevano in sottofondo dei brani pianistici di ?iurlionis. Italo, da pittore dilettante, fu molto colpito dalle opere visionarie di cui l’autore non aveva fornito nessuna spiegazione, lasciando allo spettatore la sua libera interpretazione. ?iurlionis, ci disse la guida, morì di freddo dopo una passeggiata nella foresta. Alla fine acquistammo un paio di dvd a testa con i quadri e le musiche di ?iurlionis, ringraziammo e ce ne andammo.
Intanto era venuto un po’ di sole, il primo visto lassù, anche se durò poco. Tanto per cambiare pranzammo in un ristorante tipico in Didžioji gatve con zuppa e “cepelinai” (enormi involtini di patate ripieni di carne). I cepelinai erano talmente abbondanti e nutrienti che non ce la facemmo a finirli. Il pane, poco usato in Lituania, era nero e speziato: i lituani (come ci avrebbe confermato Evelina) trovano strano il pane semplice italiano. Quando uscimmo il freddo era aumentato; ci riscaldammo con una passeggiata fino alla chiesa di S.Paolo e Pietro, a circa un chilometro di distanza dalla collina di Gediminas, all’inizio di Antakalnio gatve. Ci arrivammo per un vialone dove passava la tranvia, con edifici moderni da entrambi i lati. La chiesa, barocca, era interessante soprattutto all’interno.
Proseguendo poi per Antakalnio gatve arrivammo ad un certo punto in Saules gatve. C’era un pittoresco cimitero in collina, affollato di croci e lapidi varie. Lo visitammo e lì mi venne in mente una poesia che avrei scritto poi quello stesso giorno in ostello:
SILENZIO
Avrei voluto scrivere una Spoon River lituana
passeggiando in un vecchio cimitero alla periferia di Vilnius,
ma la collina irta di lapidi coperte di neve
resta muta
come suoni di una lingua che non so.
Le case di Saules gatve erano molto pittoresche, molto nordiche, fatte di legno e col tetto a timpano. Il paesaggio mi ricordava vagamente il viaggio in Norvegia. Intorno c’era silenzio. Non c’era nessuno. I lampioni si accendevano gettando luce arancione sulla neve immacolata sui marciapiedi. Alle 18 avevamo appuntamento con gli esperantisti in un locale in Gedimino prospektas, così non ci avventurammo oltre. Tornando indietro mi ascoltavo un vecchio album dei Renaissance in mp3, lungo il viale notturno percorso dalle macchine.
Arrivati alla Cattedrale ci fermammo un po’ visto che era presto. C’era una funzione in memoria delle vittime del 13 gennaio 1991, con tanto pubblico, cardinali e la tv.
Alle 18 eravamo puntuali al Cili Kaimas: lì c’era già una ragazza esperantista ad aspettarci, poi arrivarono a poco a poco anche gli altri. Arrivarono anche Francesco con Evelina e la figlia adolescente di lei. Alla fine eravamo in dieci a tavola. Cenammo presto. Chiacchierammo in inglese, esperanto, italiano e lituano (Francesco capisce ma non parla molto bene la lingua del luogo, nonostante il suo soggiorno sia ormai di due anni abbondanti). Alex aveva tradotto in esperanto alcune poesie mie e di Italo, tratte da Segreti di Pulcinella, in nostro onore. Le lesse prima in italiano, con una pronuncia terribile, poi in esperanto. Alla fine gli esperantisti mi regalarono un cucchiaio di legno come ricordo della Lituania. Jolanta ci riaccompagnò in macchina all’ostello. Siccome era ancora presto mi misi un po’ a leggere e a guardare internet, mentre Italo aveva attaccato bottone con una bulgara. Verso mezzanotte me ne andai a letto, un po’ dispiaciuto che l’avventura lituana andasse inesorabilmente verso la conclusione.
Martedì, 14 gennaio 2014
L’ultimo giorno in Lituania iniziò come gli altri, con la colazione consumata in cucina e qualche lettura vicino al camino. Alle 11 dovevamo liberare la camera: mettemmo i bagagli in una stanzina vicino alla reception ed uscimmo per un’ultima passeggiata in centro. Lungo la strada ci fermammo in un laboratorio dove erano esposti disegni ed incisioni interessanti. L’autrice ci accolse e ci mostrò le sue opere.
Ripassammo al parco di S.Bernardino, che rivedemmo stavolta con la neve. Il laghetto era ghiacciato, mentre il Vilnele scorreva placido. Risalimmo poi fino alla torre di Gediminas per vedere un panorama della città innevata e puntammo infine al museo del denaro in Gedimino prospektas (gratuito). Ce lo aveva suggerito la sera prima Jolanta. Valeva la pena. Presto anche i lituani avranno l’euro (di cui si potevano vedere già delle prove nel museo) e allora temo che i prezzi, ora così bassi, saliranno inesorabilmente…
Pranzammo a “La crepe”. Io ero di pessimo umore: un po’ perché la vacanza era alla fine, un po’ perché prima di una partenza sono sempre in ansia. Anche Italo era diventato improvvisamente silenzioso. Prima dell’arrivo del conto scrissi una poesia:
IL SENSO DELLA VITA
Neanche qui ho trovato il senso della vita
o risposte alle mie domande esistenziali:
la solita malinconia di me trentatreenne
mi prende prima di ogni ritorno.
Mi sento vecchio.
A tavola c’è silenzio,
c’è attesa,
là fuori la vita prosegue.
Riuscimmo infine a beccare Francesco e lo seguimmo ad un altro ristorante vegetariano indiano lì vicino, il Radharane (al numero 32 di Gedimino prospektas). Lui doveva ancora pranzare. Italo prese un tè mentre io una fetta di torta al cioccolato, alla faccia della mia dieta (che ho dovuto sospendere per le festività natalizie e che ho poi ripreso al ritorno a Firenze). Io ero in ansia per la partenza e guardavo continuamente l’orologio; Francesco ed Italo invece erano del tutto tranquilli e rilassati.
Il nostro aereo partiva alle 18.10, ma ci tenevo ad essere all’aereoporto non più tardi delle 16.30. Arrivammo alle 16.40, dopo essere ripassati all’ostello a prendere i bagagli. Ci fu qualche momento di suspense quando il navigatore non funzionava bene. Alla fine arrivammo e ci salutammo calorosamente. Passati i soliti controlli ci ritrovammo nella zona dei bar e dei negozi duty free. Spesi gli ultimi spiccioli per un succo di frutta alla mela: dei 75 euro cambiati in questi giorni mi restavano giusto 3 litas che conservo ancora per ricordo.
Il viaggio di ritorno in aereo filò liscio come quello d’andata. Se all’andata avevamo però “perso” un’ora a causa del fuso orario, quell’ora la recuperammo al ritorno. Arrivammo a Bergamo alle 19.40, puntuali. All’aereoporto ci attendeva Matteo, che avevo avvisato del nostro arrivo con molto anticipo.
Ci portò in macchina ad una pizzeria dove facevano il “giropizza”, una cosa che non avevo mai provato. Per 12 euro si poteva mangiare tutta la pizza che si voleva. I camerieri passavano di tavolo in tavolo con fette di vari tipi di pizza: sul tavolo c’era un biglietto con scritto da un alto “Sì, ne vogliamo ancora” e dall’altro “No, non ce la facciamo più”. Se il cartello era girato sul sì i camerieri continuavano a proporci vari tipi di pizza che potevamo accettare o rifiutare. Mangiammo quindi abbondantemente e terminai la cena con un sorbetto al limone.
Andammo poi all’ostello a registrarci e a lasciare i bagagli. Si trattava del Nuovo Ostello di Bergamo (Via Ferrarsi, 1), in una zona periferica denominata Monterosso. Avevo prenotato due camere singole per una notte. Il prezzo, rispetto all’ostello lituano, era decisamente più alto: 35,40 euro a testa. In compenso era compresa un’abbondante colazione, c’era il bagno in camera ed era tutto più curato. A me toccò la camera 204, al secondo piano (con ascensore).
Concludemmo la serata con una passeggiata a Bergamo Alta, la parte più antica ed interessante della città. Ci arrivammo in macchina fino alle mura, poi continuammo a piedi. Non c’era nessuno a giro, c’era un silenzio suggestivo. Italo e Matteo si trovarono subito in sintonia ed iniziarono subito a chiacchierare. Io osservavo le strade, le chiese, i luoghi turistici. Bergamo è una città che vale la pena visitare, soprattutto di giorno però. Io e Italo non c’eravamo mai stati.
Ritornammo in ostello verso mezzanotte. Io ero piuttosto stanco, ma faticai comunque ad addormentarmi. L’ostello mi fece tornare alla mente i tanti ostelli visitati quand’ero nella gioventù esperantista italiana e mi sentii vecchio.
Mercoledì, 15 gennaio 2014
Avevamo stabilito di svegliarci verso le 8.30, fare colazione e andare subito in stazione. Quella mattina c’era un nebbione pazzesco a quell’ora, ma poi venne perfino un po’ di sole. La colazione fu abbondante.
Comprati i biglietti alla reception (1,25 euro – le tariffe degli autobus bergamaschi vanno in base alla zona) scendemmo la lunga scalinata fino alla fermata. Il 6 ci portò a Porta Nuova: da lì la stazione era a due passi, alla fine di un largo viale. Il cielo era tornato nuvoloso ma rispetto alla Lituania non faceva freddo. Il nostro regionale era già al binario. Ci salimmo e aspettammo leggendo la partenza alle 11.02. Arrivati a Milano alle 11.50 ebbi la malaugurata idea di pranzare con un primo in un bar della stazione. Lì litigai con la titolare che mi aveva addebitato cose che non avevo preso. Non ci rimetterò più piede.
Il Frecciarossa per Firenze partì puntuale alle 13.15. Poco dopo la partenza successe un imprevisto che poteva costarci una multa salatissima. Una signora affermava di avere lo stesso posto di Italo, il quale tirò fuori il biglietto e si accorse che aveva ragione lei: solo che il nostro biglietto era quello del 14 gennaio! La bigliettaia a Firenze aveva fatto casino. Ci guardammo in modo significativo: Italo mostrò le dieci dita, come a dire che minimo avremo dovuto tirare fuori un centone. Io ero senza parole. Passammo la successiva ora in preda all’ansia, almeno io, col terrore che passasse il controllore. Mi venne un’idea: se il controllore non passava prima della prossima fermata, a Bologna alle 14.17, potevamo scendere lì e raggiungere Firenze col regionale. Sempre meglio che tirare fuori cento euro sicure.
Italo accettò la proposta, così scendemmo nella stazione nuova di Bologna, adiacente a quella vecchia dove transitano i treni più lenti. Trovata infine la biglietteria in quel dedalo di corridoi e scale mobili, facemmo il biglietto: 8,85 euro con scambio a Prato. Il nostro treno partiva alle 15.10. Aspettammo al binario. Nell’attesa scrissi una poesia:
TEMPI ANDATI
Bologna mi fa pensare ai giovani esperantisti,
a un amore infelice, a un treno affollato, di notte.
Mi fa pensare che ho troppi ricordi alle spalle.
Arrivammo a Prato alle 16.19. Mi tornarono in mente i tempi in cui lavoravo alla biblioteca del Gramsci-Keynes, con un po’ di nostalgia. Il treno per Firenze partiva alle 16.30. Io scesi a Rifredi alle 16.44 e salutai Italo che invece proseguiva fino a Santa Maria Novella. Alle 17 ero a casa.
Calcolai che il viaggio in Lituania, compreso il soggiorno a Bergamo, mi era costato circa 400 euro. Ne valeva la pena.
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