Acqua,Terra, Fuoco... Lanzarote!

Exploring the Elemental Beauty of Lanzarote

Lanzarote, dagli scenari quasi irreali, allucinanti e dolci nello stesso tempo…mi è piaciuta tantissimo.
E’ l’isola più orientale dell’arcipelago delle Canarie, sorge nell’Atlantico a 120 chilometri dalla costa africana. E’ lunga 58 Km e larga 21. Deve il suo nome a Lanzarotto Malocello, un navigatore genovese che per primo la scoprì nel 1312.
E’ particolare: non è stata deturpata da speculazioni edilizie come Tenerife grazie al mitico César Manrique, artista poliedrico,  architetto, ecologista,  disegnatore urbanistico e paesaggistico, considerato quasi un eroe, che ha lottato per salvaguardare l’ambiente. E il rispetto del paesaggio è continuato anche dopo la sua scomparsa.
 Lanzarote è davvero bella ed interessante, selvaggia. L’isola dei vulcani per antonomasia, ve ne sono più di trecento. Ho trovato spettacolare il paesaggio lunare offerto dai coni vulcanici, dall’inquietante mare di lava, dalle rioliti multicolori, ma mi ha incantato anche la frastagliata costa occidentale dove l’oceano è sempre “incazzatissimo”. Io e N. abbiamo girato l’isola in lungo e in largo. E quanti sentieri da trekking ci sono! Mi sono divertita ad andare per crateri, un’esperienza inusuale, affascinante.
 Mi sono concessa anche due bagni, ma l’aspetto balneare è quello che ho trovato meno attraente. Su questo piano, a mio parere, non c’è gara con la Grecia, pur trovandosi anche a Lanzarote alcune belle spiagge.
E vogliamo parlare del clima? Ancora pienamente estivo a fine settembre, una meraviglia. Siamo stati fortunati e abbiamo imbroccato un’intera settimana di calma di vento. Alla sera si stava da dio, seduti ad un ristorantino all’aperto a sorseggiare Malvasia o Sangria...
Si parte!
Martedì 24 settembre 2013
Aeroporto Marconi di Bologna. Alle ore 13.40 siamo sull’aeromobile della Ryan in attesa del decollo. C’è una discreta confusione: l’hostess annuncia al microfono che il volo è al completo e raccomanda a tutti di prendere rapidamente posto. Stipato a più non posso, alle 14.10 l’aereo prende quota. Quattro ore non sono poche per me, ma ci pensa la santa Ryan all’animazione e tra la vendita di biglietti della lotteria, gioielli, sigarette elettroniche, di tutto e di più... il tempo vola. Tocchiamo il suolo di Lanzarote alle 17.05, in virtù del cambio di fuso orario un'ora in meno rispetto all’Italia. Rapido ritiro del bagaglio nel piccolo aeroporto funzionale di Arrecife poi ci affrettiamo al banco della Hertz. Abbiamo prenotato ai primi di gennaio volo + offerta speciale per l’auto e, senza rifletterci troppo su, inesperti in questo campo, ci è sembrata una pacchia questa occasione, da prendere al volo: solo 93 euro per una settimana di noleggio.
Occhio alla franchigia, però! La Hertz chiede 850 euro, non poco… per tranquillità è meglio optare per una copertura assicurativa completa. Per farla breve, ci allontaniamo dal banco con le chiavi della Panda azzurra che ci è stata assegnata dopo aver sganciato altri 110 euro, comprensivi pure del pieno obbligatorio, ad un prezzo chiaramente non conveniente. Chiuso capitolo Hertz, mai più. Ora so che esistono compagnie locali molto più vantaggiose. Sarà per la prossima volta! Per lo meno questa cerulea compagna di viaggio si è comportata a dovere, non ci ha arrecato alcun problema.
Prima di lasciare l’aeroporto mi fiondo all’Ufficio Turismo ma rimango delusa: poche informazioni utili, per lo meno non quelle che cerco sulle escursioni fattibili.
Fuori fa caldo, temperatura estiva, e non tira un filo d’aria.
Nel garage di fronte troviamo la “nostra” auto, colleghiamo il TomTom portato da casa e …via, alla scoperta di Lanzarote!
Puerto del Carmen, primo centro turistico sviluppatosi nell’isola, ci attende. Lungo il breve tragitto gli elementi che attraggono la mia attenzione sono i grandi cactus, la nera graniglia lavica al suolo, l’oceano poco distante sulla sinistra e le montagne ondulate, modeste, verso l’interno. La strada è ottima, il traffico è abbastanza scarso e molto ordinato, vi sono un’infinità di rotatorie. In dieci minuti arriviamo a Puerto del Carmen: dall’alto appare una lunga sequenza di case basse e bianche, che si protrae per alcuni chilometri. Sono villette contornate dal verde e dai colori accesi della bouganville, si assomigliano tutte, mi sembrano graziose ma un po’ anonime.
Rotonda dopo rotonda  giungiamo a destinazione: Apartamentos Aloe. Piante esotiche, un lungo bianco edificio a un solo piano costituito di numerose unità abitative con balcone, piscina centrale, prato verde sintetico tutt’attorno. Ci accoglie la squisita Mariela. Un po’ di conversazione in spagnoloitalianizzato o viceversa, qualche dritta sui supermarket vicini e sui ristoranti consigliabili poi prendiamo possesso di “casa nostra”: l’appartamento n.20, due locali spaziosi, arredati in maniera semplice ma funzionale e confortevole, un ampio balcone che guarda la piscina ( non vi ho messo piede per l’intera settimana, mi sembra insensato stare a mollo quando ci sono talmente tante cose interessanti da fare e conoscere…)
La zona è tranquillissima, silenziosa e scoprirò presto che a Puerto non è qualità da poco. Lo consiglio senza riserve.
A cena andiamo da Nico’s in calle Anzuelo, nelle vicinanze del residence. Menu in tantissime lingue tranne che in italiano. E’ una costante da queste parti. Pensate che esiste il menu pure in norvegese e finlandese…ma non in italiano. E’ anche vero che di inglesi-tedeschi-scandinavi è piena l’aria mentre gli italiani sono poco numerosi, comunque questo è un dato di fatto. N. sceglie una bisteccona di manzo, io un piatto a base di pollo in umido e formaggio fuso. Entrambe le pietanze vengono presentate in maniera accurata, accompagnate da abbondanti verdure e dalle originali “papas arrugadas”, che sono ben contenta di assaggiare, con due varietà della salsa “mojo” ossia il mojo verde (con prezzemolo) e il classico mojo picón (con peperoncini rossi piccanti). Preferisco il secondo. Brindiamo all’inizio della vacanza con una caraffa di Sangria. Soddisfatti della cena, sia per la qualità che per il prezzo, ci avventuriamo verso la Rambla, la chilometrica Avenida de las Playas, il frequentatissimo lungomare. Puerto del Carmen è il fulcro dell’attività turistica dell’isola, ma non mi aspettavo un’animazione simile di sera. E’ un susseguirsi ininterrotto di barristorantinegozidisouvenir, profumerie che espongono tutti i prodotti della aloe vera vantandone gli effetti benefici e ancora spacci di alcolici a prezzi bassi, quasi da tax free zone… C’è anche il luccicante Casino. I locali sono quasi tutti straripanti, (ma quanti turisti a Puerto? ), sembrano in gara per stabilire chi vanta lo schermo più gigante, il complessino live più attraente, insomma è un delirio di suoni-luci-colori. Mi pare di essere in un divertimentificio della riviera romagnola, rimango piuttosto sconcertata e penso con nostalgia alla pace e all’atmosfera rilassante delle mie amate isolette greche. Meno male che il residence Aloe si trova fuori dal caos!
Il primo impatto con Lanzarote non mi ha entusiasmata. Vedremo domani…
Mercoledì 25 settembre
Che scherzo è questo? Il cielo è oscurato da minacciose nubi plumbee…sta a vedere che in nostro onore si scatena un acquazzone, evento rarissimo in settembre da queste parti? C’è molta umidità nell’aria, ma le nubi non sono compatte.
Scendiamo alla spiaggia, di giorno indiscussa protagonista delle attività. E’ molto bella Playa Grande, lunghissima, di sabbia dorata e fine, ornata di palme. Più a est, verso la capitale Arrecife, ve ne sono altre due con le stesse caratteristiche.
Entro all’Ufficio Informazioni ma anche qua non hanno una mappa a scala ridotta idonea per trekking. So che ne esiste una dettagliata in scala 1:40.000 in vendita su amazon.co.uk corredata di guida ai sentieri. Stupidamente non l’ho acquistata da casa credendo di trovarla sul luogo, invece non è in vendita. Ho l’impressione che all’Ufficio Turismo vogliano sponsorizzare le escursioni organizzate e guidate, scoraggiando chi vuole far da sé. Contrariata, decido di comprare l’unica pianta accettabile in scala 1:62.500 che ho visto sui banchi di un supermercato. Sono testarda. Riuscirò comunque ad effettuare le escursioni che mi sono proposta, ne sono fermamente convinta.
Decidiamo di iniziare l’esplorazione dell’isola dall’estrema punta a sud-ovest, la riserva naturale del Papagayo.
Imbocchiamo la veloce Carretera LZ - 2 fino alla cittadina di Yaiza che appare quasi deserta, sonnolente, comunque graziosa con le casette imbiancate a calce  che contrastano con la montagna scura che sovrasta il pueblo. E’ invitante un grazioso tapas-bar con gli infissi verde bandiera, interessante la chiesa che lo fronteggia, Nuestra Señora de los Remedios.
Quattro passi e via…on the road in direzione sud. Passiamo accanto alle Salinas de Janubio, ma non ci fermiamo perché la luce non permette buone foto e ho programmato di venirci al tramonto, l’orario migliore. La superstrada termina a Playa Blanca, candido agglomerato di casette, paese con numerose strutture per turisti, ma meno esteso e sicuramente più tranquillo rispetto a Puerto del Carmen. Due traghetti giornalieri collegano la località alla vicina isola di Fuerteventura, il cui profilo si staglia all’orizzonte. Ci spostiamo verso est ed il paesaggio si fa decisamente più selvaggio.
Una barriera da superare (strada a pedaggio, 3 euro per auto) poi ci troviamo nella “reserva natural protegida” del Papagayo. Lo sterrato in buone condizioni si snoda per alcuni chilometri in vista del severo massiccio de Los Ajaches, “monumento natural” tra i più antichi dell’isola, all’interno del quale sono stati rinvenuti vari giacimenti paleontologici con fossili. Il terreno è brullo, pressoché privo di vegetazione, aspro lungo la costa.
Si susseguono calette delimitate da rocce, tra le quali alcune vantano spiagge di sabbia vellutata. Parcheggiamo l’auto a ridosso della prima che si incontra, playa Mujeres, poi raggiungiamo anche le altre per mezzo di una fitta rete di facili sentieri. Dall’alto il panorama è da lustrarsi gli occhi per l’alternanza di piccoli promontori e deliziose insenature. La migliore spiaggia della zona è quella che dà il nome alla riserva cioè playa del Papagayo. Un’ incantevole mezzaluna di sabbia fine racchiusa tra alte scogliere, un luogo molto scenografico. Ci avventuriamo verso la punta estrema del promontorio fino a scoprire altre due calette dove l’acqua è particolarmente colorata, di un intenso turchese.
Il massiccio vulcanico piuttosto tetro incombe e attrae con il suo fascino unico.
Lanzarote comincia a conquistarmi…
Sulla via del ritorno prendiamo la strada alternativa piuttosto tortuosa che sale a Femés, balcone panoramico sull’oceano. Informazioni raccolte da varie fonti dicono che dal villaggio parte un sentiero segnalato che attraversa la montagna e scende a Playa Quemada. Trovato, alle pendici del massiccio. Carichi di buone intenzioni ci incamminiamo lungo lo sterrato che sale e in pochi minuti arriviamo ad un pianoro dove si trova uno stallo. Il panorama è ampio: la vista spazia dal massiccio giù fino all’oceano. Capre, capre, capre ovunque! Non mancano i cartelli segnavia, ma un sentiero è molto stretto e ripido e del secondo, in teoria più agevole, non vediamo traccia. A chi chiedere aiuto? Alle capre o al cagnolino accucciato che ci guarda un po' sospettoso? Dispiaciuti, decidiamo di rinunciare. Non che volessi scendere fino al mare, avremmo dovuto poi risalire avendo l’auto parcheggiata a Femés, ma mi sarebbe piaciuto percorrere il tratto iniziale del sentiero.
Sbuchiamo sulla LZ - 2 in corrispondenza della rotonda dalla quale si stacca la LZ - 30, la strada che attraversa la zona della Geria, famosa regione vinicola di cui ho letto tanto. L’esperienza diretta risulta comunque sorprendente.
Chapeau all’ingegno ed alla tenacia dei Lanzaroteñi che hanno saputo contrastare l’ostilità del paesaggio. Un’area di avvallamenti creati nella terra nera, costituita di ceneri e lapilli che trattengono l’umidità della notte; vengono coltivate basse piante di viti, che muretti semicircolari di pietre vulcaniche proteggono dal vento. Da lontano il terreno appare bizzarro, quasi lunare con tutte quelle cavità circolari e i muretti addossati gli uni agli altri fanno vagamente pensare a rovine archeologiche. Purtroppo la vendemmia è finita da tempo, per cui le viti non hanno più grappoli, ma è comunque un bel colpo d’occhio il nero assoluto della terra su cui si stagliano le piantine verdissime.
 E’ d’obbligo la sosta in una Bodega, cantina, lungo questa frizzante strada. Fra le tante, noi scegliamo la Rubicón dove assaggiamo tre qualità di vini: la Malvasia secca dal gusto fruttato, quella semi-dolce e il paradisiaco Moscato, per 1,50 euro. Sono ad alta gradazione alcolica, ottimi. Una bottiglia di Malvasia secca l’acquistiamo.
Torniamo “allegri” alla base ed organizziamo una cenetta sul terrazzino in compagnia…della nostra Malvasia.
Giovedì 26 settembre
Oggi è il giorno fatidico: Parque Nacional de Timanfaya. Sono ben preparata, ho letto di tutto e di più sui vulcani dell’isola. So che il Parco si trova all’interno di un’altra zona protetta, il Parque de los Volcanes. Cinquanta milioni di metri cubi di magma furono eruttati contemporaneamente da trenta vulcani per sei anni, dal 1730 in avanti, e nell’opera distruttiva sconvolsero l’aspetto di Lanzarote. 200 kmq furono devastati, cinquanta villaggi distrutti. Cifre impressionanti, da capogiro. Un quarto dell’isola rimase praticamente sepolto per sempre sotto uno spesso strato di lava e ceneri...
Ci mettiamo in movimento presto per essere alle 9 all’entrata del Parco ed evitare le ore di affollamento. Per raggiungere il fulcro dell’area vulcanica torniamo a Yaiza ed imbocchiamo la LZ – 67, tra distese nere di lava pietrificata. Il paesaggio inizia a farsi intrigante. Dopo pochi chilometri noto con sorpresa la lunga, folcloristica fila di dromedari che bardati con pesanti seggiolini doppi sul dorso sono in attesa dell’arrivo dei turisti desiderosi di questo genere di esperienza. Per chi fosse interessato una passeggiata costa 12 euro a coppia, per 20 minuti.
Altri tre chilometri e ci siamo. Ecco il simbolo di Timanfaya, un diavolo in ferro battuto creato da Manrique, che è posizionato in diversi punti del Parco Nazionale. Mi suscita simpatia, non appare lugubre. L’entrata è a pagamento: 9 euro a persona. Un corvo si è posato, guarda caso, accanto all’insegna “Montañas del fuego”, nero sul nero del mare di liquirizia che ricopre il suolo e il suggestivo cono vulcanico alle sue spalle. Inquietante, ma l’insieme mi affascina sempre più. E ci avviamo a passo d’uomo verso l’Islote de Hilario, dove c’è il parcheggio. Da non credersi, mai visto un paesaggio simile, così attraente e spettacolare nella sua tragicità. Rioliti vulcaniche nere ed aguzze, ma anche di colori inattesi come il rosa, il porpora, il viola, il malva. Un turbine di emozioni. Appena messo piede a terra, nemmeno il tempo di riprenderci dallo stupore e scattare alcune foto, veniamo immediatamente dirottati verso l’autobus marroncino in partenza che compie l’escursione di 14 Km lungo la Ruta de los Volcanes. Tale percorso è stato ideato da Manrique nel massimo rispetto della fragilità del luogo e si mimetizza con l’ambiente circostante. Il tour che dura 40 minuti è compreso nel prezzo del biglietto di ingresso.
Non ci sono parole per descrivere la bellezza del paesaggio surreale e struggente che ci circonda, pare di assistere alla genesi di un pianeta. Si viaggia nella preistoria dell’Uomo.  Non solo è emozionante, è addirittura commovente: una meravigliosa lezione di geologia. Dalle distese infinite di mare di lava percorso da lunghe e profonde voragini dovute al crollo delle gallerie vulcaniche, emergono coni vulcanici  squarciati da enormi crateri. Ogni tanto l’abilissimo autista, che fa acrobazie arrampicandosi con il mezzo sulle pareti dei vulcani in questa stretta e tormentata stradina, compie delle soste nei punti più strategici per permettere di scattare foto a crateri, caverne, alle rocce colorate… Purtroppo gli inevitabili riflessi dei vetri penalizzano la qualità delle immagini. Mi sento parecchio frustrata, ma è rigorosamente proibito scendere dal bus. A completare l’atmosfera irripetibile, pazzesca, ci pensa il sottofondo musicale della colonna sonora del film di Kubrik “2001 – Odissea nello spazio”, il quale girò alcune scene in questi luoghi desolati che sembrano appartenenti ad altri mondi. Emozioni indelebili.
Presso l’Islote de Hilario vengono compiuti piccoli esperimenti che dimostrano come sia tuttora attiva l’attività geotermica nel sottosuolo. A pochi metri di profondità la temperatura raggiunge i 600°. Arbusti gettati in una buca prendono fuoco dopo un minuto, un secchio d’acqua versato in un pozzetto concede solo tre secondi di tempo, poi genera un gayser artificiale.
Accanto si trova il famoso ristorante “El diablo” progettato da…César Manrique naturalmente, in perfetta sintonia con l’ambiente circostante. L’edificio a pianta circolare di pietra scura, con intere pareti a vetrate, è un eccezionale belvedere sulle montañas de fuego. Una particolarità: graticole e barbecue cuociono carne, patate ed altro con il calore proveniente dal sottosuolo. Nel vicino negozio di articoli da regalo scopro tanti oggetti interessanti tipo una piastrella smaltata raffigurante el diablo, che fa già la sua bella figura tra le altre della mia collezione in cucina, vivaci quadretti di sand-art con un gradevole accostamento cromatico…insomma acquisto diversi souvenirs poi, dato che è presto per pranzare e nel frattempo è sopraggiunta una decina di pullman, ci allontaniamo ma solo dopo aver fissato ancora nell’obbiettivo immagini e immagini di questa scenografia lunare, unica.
Ci spostiamo ora di pochi chilometri in direzione nord, verso il Centro de Visitantes di Mancha Blanca.
Lungo la strada incontriamo un altro diavoletto che indica il confine del Parco da questo lato. L’edificio del Centro Visitatori, a ingresso gratuito, è quasi sommerso dalla lava. Le rocce hanno assunto forme bizzarre, artistiche. Merita una sosta: ospita interessante materiale audiovisivo che spiega come avvennero le eruzioni e le conseguenze che ne derivarono per la morfologia dell’isola. Assistiamo alla proiezione di un documentario ben realizzato, impressionante. Ricevo, inoltre, una carta del Parco Nazionale che illustra la flora e la fauna e soprattutto mostra alcuni percorsi da poter compiere. Meraviglia, è quanto ho cercato finora senza risultati! Si limita ai sentieri del Parco, ma è materiale prezioso per me.
Sono quasi le 14. Propongo: perché non andiamo a pranzare alla Bodega Rubicón? E’ una location piacevole, occupa una parte di una fattoria del XVII secolo, inoltre ho ben presente il gusto della Malvasia acquistata ieri… Siamo piuttosto vicini, decisione presa. Pesce per me, maiale per N. e un afrodisiaco bicchiere di Malvasia per entrambi (solo uno oggi ,eh!)
Gradevole sottofondo di allegre canzoni originali canarie.
Per digerire è cosa buona fare quattro passi e…se si tratta di quattro chilometri? Tra i fogli informativi stampati e portati da casa uno riguarda la Montaña Colorada. Il colore brillante, rosso acceso di questo vulcano si nota già dalla strada della Geria. Per arrivarci è necessario deviare nella LZ – 56 verso il Parco Nazionale di Timanfaya, insomma, per noi è ritornare verso Mancha Blanca. Prima siamo passati da questa strada, ma affamati com’eravamo non abbiamo notato la deviazione; ora, a stomaco pieno, tutto è semplice. Un pannello illustrativo mostra il tracciato del sentiero di graniglia lavica che gira tutt’intorno alla base del vulcano. E’ una passeggiata facile e rilassante che offre, comunque, vari spunti di interesse. Si consiglia di compiere il percorso aggirando la montagna sulla destra. Quindici punti d’informazione a distanza ravvicinata forniscono spiegazioni sul territorio che man mano si attraversa, sui vulcani delle vicinanze, sulla flora. Sembra incredibile ma anche in un habitat così ostile come quello vulcanico esistono esseri viventi. Duecento tipi di licheni si sono adattati alle rocce laviche e non solo.... la presenza di piantine e soprattutto di piccoli fiori rappresenta, per me, un vero miracolo della natura. Avanzando, la montagna diventa sempre più Colorada,  di grande interesse geologico, per gli strati rosso ruggine dovuti all’alta concentrazione di ferro. L’attrazione principale è il fenomeno chiamato “la bomba", un masso notevole, la bomba vulcanica più grande del mondo. Continuiamo a seguire il sentiero che si snoda in forma circolare e ci avviciniamo ad un versante della montagna dove è evidente il fiume d’inchiostro della colata lavica. Il paesaggio è cupo, malinconico. Eppure…un uccellino trilla sul ramo scheletrico di un alberello da niente. Ad essere sincera, mi suscita un po’ di pena. In una fossetta altro miracolo della vita: una piantina verdissima che intenerisce.
Venerdì 27 settembre
Meta dell’escursione odierna: Caldera Blanca, nel Parque de los Volcanos, a ridosso del Timanfaya.
Finora ho ammirato i vulcani solamente dal basso, è giunto il momento di arrampicarmi. Il cratere della Caldera Blanca, vulcano antichissimo (1,2 milioni di anni) ha il diametro più lungo di un chilometro. Mi sento emozionata all’idea di ascendere fino in cima, sono molto motivata. Prendiamo la stessa strada di ieri cioè la LZ – 67, quella che porta al cuore del Parco, proseguiamo oltre in direzione di Mancha Blanca finché non incontriamo un piccolo parcheggio sulla destra, a lato della strada.
 Da questo punto iniziamo a camminare su uno sterrato pianeggiante.
Abbiamo percorso solo poche centinaia di metri quando vediamo un’auto avanzare in senso opposto, è della Vigilancia. Non perdiamo l’occasione di chiedere informazioni sul sentiero per la Caldera e gentilmente ci viene indicato un altro percorso, più breve. Ringrazio il Guardiaparco, mi giro per riprendere il cammino, ma non vedo una malefica pietra conficcata nel suolo che mi fa da catapulta. Che caduta, Fantozzi non avrebbe potuto far di meglio! Assaggio con entrambi gli avambracci e le ginocchia le aguzze e infide pietre laviche. Il bello è che non riesco a rialzarmi perché qualcosa di pesante si è agganciato allo zaino e mi fa da zavorra. Rimango così, lunga distesa, finché N. e la Guardia , allibiti, non vengono in mio soccorso. Indubbiamente una scena comica, ma sul momento non mi va proprio di ridere. Che fare, rinunciare all’escursione? MAI!!! Disinfetto le piccole ferite poi, anche se dolorante, riprendo stoicamente la strada. Saliamo in auto e troviamo lo sterrato che ci è stato indicato, appena fuori dal villaggio di Mancha Blanca. Circa 500 m più avanti termina in uno slargo dove è possibile parcheggiare. Qua c’è il cartello informativo con la descrizione del percorso. Sarebbe preferibile fosse posizionato sulla strada in modo da renderlo più visibile ed eliminare la caccia al tesoro. Si va per un sentiero che attraversa estesi campi di lava e già questa è un’esperienza insolita e sorprendente. Ossa bianche a terra, probabilmente di capra, non sono proprio di buon augurio. La temperatura è elevata, la nera lava solidificata emana un gran calore, ma noi abbiamo buone provviste d’acqua e il nostro cappello da cow-boy!
Il panorama è da brividi: un bellissimo contrasto  tra l’antica Caldera Blanca preceduta dalla più modesta Caldereta, entrambe chiare, e la vastità delle colate nere liquirizia, più recenti, a perdita d’occhio. Per di più i colori sono esaltati da un cielo terso e azzurrissimo. I primi chilometri sono di avvicinamento alla piccola caldera, su facile sentiero quasi pianeggiante, ma occorre comunque un po’ d’attenzione perché non è del tutto semplice camminare su materiale lavico. Io, poi, avanzo con particolare cautela…Un delizioso fringuello rompe la nostra solitudine con i suoi trilli. Aggiriamo la Caldereta e diamo un’occhiata all’interno del cratere. Non ci fermiamo qua, la Caldera Blanca incombe su di noi. Bisogna ancora attraversare un fiume lavico prima di iniziare a salire.
Con grande sorpresa scopriamo “un’oasi”, tante piante endemiche differenti riunite in un solo punto, verde intenso che ravviva il paesaggio spoglio. Purtroppo non ne so i nomi, riconosco però fra le altre l’aloe vera dalle lunghe foglie carnose. Giungiamo alla base del nostro vulcano e, seguendo “ometti” di pietra che indicano il percorso da seguire, iniziamo ad affrontare la placca discretamente ripida. Il sentiero attraversa obliquamente la parete rendendo la salita più semplice del previsto. In meno di mezz’ora raggiungiamo l’orlo del cratere. Spettacolo grandioso, vista mozzafiato sia sulla zona circostante che all’interno della vasta depressione dalla forma quasi perfettamente circolare. Soffia un gradevole vento ristoratore. Ci incamminiamo verso la cima di questo maestoso cratere, ma le ginocchia iniziano a farsi sentire e occorrerebbe un’ora buona di ripida salita…ci accontentiamo, mi siedo su una roccia a godermi la meraviglia che ci circonda. La discesa non presenta alcuna difficoltà.
Rientriamo al residence per un riposino poi, verso le 18, siamo di nuovo in movimento e ci dirigiamo ad ovest. La luce è ottima, ideale per visitare le vaste Salinas de Janubio, dalle quali vengono estratte fino a 15.000 tonnellate di sale marino l’anno. Occorre uscire dalla superstrada LZ – 2 allo svincolo dopo Yaiza e percorrere quattro Km della carretera secondaria, parallela alla principale. Dall’alto il colpo d’occhio è notevole per l'incredibile accostamento dei colori assunti dai numerosi specchi d’acqua: rosa, beige, bianco, marrone, azzurro, verde…una gioia per gli appassionati di fotografia.
 Una breve sosta alla lunga e nera Playa de Janubio, poi seguiamo la LZ – 703, strada altamente panoramica che si snoda lungo la tormentata e rocciosa costa occidentale offrendo scorci suggestivi sul mare e dal lato opposto sui coni vulcanici. L’oceano è arrabbiato, onde impetuose si infrangono con rumore assordante contro gli scogli e penetrano prepotentemente in anfratti nascosti.
Di strada ne percorriamo poca perché le soste si susseguono: siamo troppo affascinati dalla bellezza del paesaggio.  Più avanti un cartello indica Los Hervideros, un luogo speciale: due grotte in cui il mare entra gorgogliando e spumeggiando, create nella scogliera dall’erosione eolica e dalla forza selvaggia delle acque. Si sollevano spruzzi altissimi, violenti, che cerco di catturare con la fotocamera divertendomi un mondo.  Siamo prossimi al tramonto, i colori si fanno dorati, il contrasto tra cielo mare rocce diventa fantastico. Assistiamo qua al calar del sole...poi arriviamo finalmente a El Golfo, villaggio di pescatori che ha concesso poco al turismo. Sul lungomare si susseguono una decina di taverne con terrazze panoramiche, ma non vi sono né hotel né strutture di appartamenti né bazar di souvenir. E’ un posticino integro, che mi piace molto.
Ringrazio Daniel alias Sailing per avermi consigliato l’ultimo ristorantino della serie cioè El Caleton.
Ottimo. Squisita la paella de pescado a prezzo eccezionale. A conclusione della cena omaggio di rum al miele, liquore locale. Me gusta!

Sabato 28 settembre
La zona occidentale di Lanzarote è stupefacente, ma siamo desiderosi di conoscere tutta l’isola per cui il programma odierno prevede di esplorare l’area centro-settentrionale.
La prima breve tappa è al Monumento al Campesino (contadino), 2 km oltre il paese di San Bartolomé in direzione nord. Una bianca scultura in stile modernista opera dell'onnipresente Manrique, interessante, piuttosto suggestiva. Accanto si trova il Museo e un ristorante in un edificio dalla caratteristica architettura locale  che mi dà l’idea di proporre cucina genuina.
Ammiro un albero del Drago, pianta endemica delle Canarie, il primo che mi capita di vedere. Molto curioso, con le rosette di foglie aguzze alle estremità di rami “cicciotti”. Risaliamo in auto per puntare a nord, alla Caleta de Famara. Siamo ancora un po’ distanti quando notiamo con stupore un’alta nube di vapore acqueo. Credo proprio che l’oceano sia tumultuoso. Pittoresco questo paesino di pescatori  in fondo alla baia selvaggia, su cui incombono i dirupi del massiccio chiamato “Risco de Famara”. E’ una stupenda cartolina. Qua le onde imbizzarrite ci sono sempre difatti il posto è frequentato da appassionati surfisti. Anche oggi c’è qualcuno che si cimenta in acqua: 1…2…3…4, purtroppo nessuno resiste di più di 4 secondi! L’immensa spiaggia arcuata è molto bella, tra le migliori di Lanzarote, delimitata da invitanti dune sulle quali abbondano piante tipiche dell’habitat salmastro. Passeggiamo a piedi nudi sulla sabbia fine e vellutata di questa località imperdibile.
Si riparte per tuffarci nell’entroterra riarso, semidesertico del Jable, poi si approda a Teguise, a mio avviso la cittadina più caratteristica dell’isola.
 Antica capitale coloniale di Lanzarote, la “Real Villa de Teguise” sorge sopra un’altura dominata dal vulcano Guanapay e dal castello eretto sulla sommità. E’ un vero gioiello architettonico. Dell’antico splendore sono rimasti eleganti palazzi nobiliari, fortezze, conventi ben conservati e due chiese stupende, ma ciò che più la rende attraente e speciale è il labirinto di strette vie del pueblo su cui affacciano basse casette dal bianco abbagliante e dagli infissi prevalentemente verdi che fanno pensare ai villaggi degli scenari dei film western di Sergio Leone... Gli scorci pittoreschi sono innumerevoli. Per chi fosse interessato segnalo che la domenica mattina si tiene un grande mercato.
Dal Castillo de Santa Barbara, che ospita il Museo de la Pirateria, la vista è superba: si domina Teguise, l’arida pianura, l’Atlantico. Non entriamo al Museo perché abbiamo parecchia strada da fare, però qualche foto al castello più antico delle Canarie ci scappa.
Sempre più a nord lungo la tortuosa LZ – 10. Dopo circa dodici km da Teguise, passato il villaggio Los Valles, ci concediamo una breve deviazione per l’Ermita de Las Nieves, una semplice chiesetta circondata da un bianco muro di recinzione, in posizione favolosa sulla cresta del Risco de Famara. La vista è grandiosa sull’Atlantico, sui monti e sul piccolo paese dove eravamo qualche ora fa, che da quassù appare piccino piccino. Altri due chilometri e si arriva a Haria, tranquillo villaggio immerso in una valle verdeggiante di alte palme. Dall’alto si ha un bel colpo d’occhio sull’oasi. Ci stiamo avvicinando all’estrema parte settentrionale dell’isola. Nei pressi di Guinate deviamo a sinistra, seguendo le indicazioni per il Parque Tropical. Non è nostra intenzione visitarlo tanto più che, oltre a uccelli esotici, ospita pinguini…che idea originale!
Andiamo oltre perché da qualche parte, non ricordo dove, ho letto che si arriva ad un punto panoramico spettacolare e gratuito, non come il celebre Mirador del Rio poco distante. Così è. Ci fermiamo qua per la pausa pranzo e consumiamo i nostri panini davanti ad uno scenario entusiasmante: i rilievi aspri e scoscesi de El Risco, l’isla Graciosa e alcuni isolotti minori dell’Arcipelago Chinijo. Più tardi, proseguendo il nostro tour, giungiamo al porticciolo di Orzola affollatissimo di auto parcheggiate ovunque perché da qui parte il traghetto per la vicina isola Graciosa. Non ci fermiamo e, dopo pochi chilometri, sostiamo ad est del villaggio alle Playas Caletones di sabbia bianca lambita da lagune. Sinceramente mi aspettavo di meglio. Un elemento curioso è rappresentato da muretti circolari di pietre laviche che da lontano sembrano la base di un nuraghe, costruiti sulla spiaggia  per permettere di prendere il sole riparandosi dal vento.
What’s vento? Noi siamo stati veramente fortunati perché in una settimana non abbiamo avuto nemmeno una giornata ventosa, anzi alcune volte l’avremmo pure benedetto, ma niente.
 Si torna a sud. Ci rimettiamo in strada per una ventina di chilometri fino al Jardin de Cactus nelle vicinanze di Guatiza, per me un’attrazione imperdibile. E’ César Manrique che creò una tale magnificenza. Più che un giardino botanico, ospita qualcosa come 1500 varietà di cactus su aiuole di graniglia e piccoli laghetti pieni di ninfee, è una vera e propria opera d’arte che il geniale artista e architetto realizzò in una vecchia cava. Un’armonia perfetta tra piante e intervento umano. Anche le toilette hanno insegne originali realizzate da lui! Il biglietto d'ingresso costa 5,50 euro, davvero ben spesi.
Dopo una lunga e soddisfacente visita riprendiamo l’auto e questa volta , imboccata la veloce superstrada LZ – 1, poi l’autostrada, non ci fermiamo più fino a destinazione, Puerto del Carmen. Un riposino ci vuole anche perché per la serata abbiamo programmi velleitari.
Al porto El Varadero, all’estremità occidentale del lungomare, si svolge la “fiesta de las tapas” e non voglio certo perdermela. Verso le 19 ci mettiamo in movimento, scarpe comode ai piedi, perché abbiamo deciso di non usare l’auto ma di farci una bella passeggiata. E’ l’ora giusta per il tramonto, e che splendido, caraibico, tramonto! Quattro chilometri, un’oretta, e si giunge in vista del porto. Mi fermo a fotografare  due suonatori ambulanti la cui sagoma si staglia contro il cielo terso. In uno spiazzo sottostante c’è l’area attrezzata per la grande fiesta. Scendiamo. Un delirio di folla, ecco dove sono tutti i turisti di Lanzarote! Sono rappresentati numerosi ristoranti, alcune aziende produttrici di formaggi, cantine della Geria, una pasticceria italiana…affiancati nei vari stand. Chiediamo delucidazioni, poi ci buttiamo anche noi nell’allegra mischia. Alla cassa si acquistano i tagliandi-ticket a blocchetti di cinque per 5 euro, coi quali si può prendere quel che si vuole: 1 tapa a scelta 1 euro cioè un biglietto, 1 bicchiere di vino (caña) 2. E’ una manifestazione piacevole, una simpatica bolgia. Un complesso suona a tutto volume musica tradizionale.
Più faticoso dell’andata, come prevedibile, il ritorno al residence. Le mie ginocchia protestano.
Domenica 29 settembre
Da casa, cercando informazioni sul Parco Nazionale di Timanfaya e in particolare sulle possibilità di trekking al suo interno, avevo trovato indicazioni su due percorsi che vengono organizzati dal personale del Parco. Il primo, quello di Termesana, di circa due Km di lunghezza, può essere effettuato esclusivamente con visita guidata gratuita ( purtroppo gli over 65 come N. sono out ), il secondo cioè la “Ruta del litoral”, molto più lungo ( nove km), è consentito anche liberamente. Stamattina vogliamo percorrere proprio questo sentiero, perlomeno in parte; sono convinta che possa risultare molto remunerativo dato che è tracciato sulle rocce vulcaniche della costa occidentale, tra Playa del Paso, ubicata poco più a nord del villaggio El Golfo, e Playa de la Madera. Strada LZ – 704, di collegamento tra la cittadina di Yaiza e il villaggio El Golfo. Carta del Parco alla mano individuiamo la deviazione sulla destra che ci sembra quella giusta benché NON vi sia alcun cartello specifico. E’ vero che non è un’impresa orientarsi però qualche indicazione in più non guasterebbe. Lo sterrato è in ottime condizioni per cui ci risparmiamo di fare a piedi il primo chilometro. Vediamo a destra la “ruta de Termesana”, parcheggiamo poco oltre nel punto in cui, sulla sinistra, prosegue una stradina dal fondo un po’ sconnesso che si presume porti a El Golfo. Aggiriamo un modesto cono vulcanico dalle sfumature color ruggine, passiamo davanti ad una megavilla costruita in pietra e finalmente incontriamo l’amico diavoletto che ci rassicura. Sì, stiamo per entrare nel Parco Nazionale. Pochi passi ed ecco il cartellone esplicativo del percorso. La temperatura è elevata, non soffia un alito di vento, naturalmente non esiste alcuna possibilità di ripararsi dal sole ... mentre scendiamo per lo sterrato affiancato da due alte pareti di lava pietrificata che emana un calore infernale, penso con una leggera preoccupazione che al ritorno potremmo anche schiattare. Ogni 200 m un cartello ricorda che è proibito allontanarsi dal sentiero, che solerzia! Non che la zona sia molto frequentata, ci siamo solo noi e non incontreremo anima viva per tutta la durata del trekking. Gli occhi fissano l’Atlantico blu ancora un po’ distante poi ” l’oceano di lava” che ci circonda nel quale rocce nere modellate dal vento hanno assunto forme bizzarre e sembrano sculture astratte. Il paesaggio è però diverso da quello che ormai conosciamo bene: qua abbondano cespugli di euphorbia balsamifera, pianta endemica canaria. Man mano procediamo, l’Atlantico è sempre più vicino. Arriviamo ad un bivio dove un cartello indica: Playa del Paso a sinistra, Playa del Cochino a destra. Per entrambe c’è il simbolo di divieto di balneazione. Confortante. A sinistra continua il comodo sterrato, mentre dall’altro lato la faccenda è più impegnativa, ma anche più affascinante: tutto nerissimo si sviluppa uno stretto sentierino su terreno vulcanico che senza dubbio porta agli Inferi. Mi attizza, quando mai ripeterò una simile esperienza? Non abbiamo ombra di dubbio, si va a destra! Cinque minuti, poi ci giunge la brezza ristoratrice dall’acre profumo di salsedine…ed è oceano selvaggio, infuriato. La “ruta del litoral” è stata realizzata sulla cresta della scogliera, segue la linea della costa ma non è assolutamente esposta, alcuni metri la separano dal precipizio inoltre le pietre ammucchiate ai lati del sentiero fanno da barriera naturale. E’ davvero uno spettacolo emozionante quello che la natura offre. Ho di nuovo l’opportunità di giocare con le onde indiavolate, di immortalare i violenti spruzzi nell’obbiettivo rimanendo col fiato sospeso ogni volta che si infrangono contro le rocce generando un rimbombo da tuono. Camminiamo per alcuni chilometri lungo questo percorso straordinario e fattibilissimo poi, circa a metà strada, decidiamo per il dietro-front, causa problema di sempre: l’auto è a El Golfo, là dobbiamo tornare. Non vogliamo perdere, però, Playa del Paso per cui giunti al bivio di cui ho parlato sopra, continuiamo a scendere per lo sterrato e in un quarto d’ora siamo in spiaggia. Bella, racchiusa tra due promontori rocciosi, un’alternanza di scogli e sabbia nera. Noto una curiosa, interessante pianta canaria, la Zygophillum fontanesii dai frutti simili a piccole palline arancioni, fotogenica con una vistosa trasparente ragnatela su di sé. Pian piano torniamo indietro, sostando più volte per dissetarci. Siamo previdenti, le riserve d’acqua non mancano mai.
Con l’auto puntiamo su El Golfo e parcheggiamo all’inizio del villaggio. C’è un’attrazione che voglio assolutamente vedere: el Charco de los Clicos, il famoso lago costiero dal colore particolare, inusuale, all’interno di un cratere vulcanico. Un breve sentiero conduce al punto panoramico da cui la veduta è eccezionale. La caldera colassata del vulcano ha dato origine ad una bellissima spiaggia nera, alle cui spalle si è creato un minuscolo lago di un incredibile verde oliva, opera delle alghe presenti nell’acqua. Il laghetto incastonato nella roccia sembra una pietra preziosa. Sono le 14, l’orario più favorevole per la luminosità.
Siamo un po’ provati dal caldo per cui decidiamo di tornare alla base. Trascorriamo le rimanenti ore pomeridiane passeggiando per la Playa Grande di Puerto del Carmen. Primo bagno atlantico…acqua freddina, senza infamia né lode.
Lunedì 30 settembre
Ultima giornata “attiva” perché domani alle 17.40 è fissato il volo di ritorno.
Mi ero ripromessa di effettuare la salita al cratere della Montaña Corona, quindi si torna all’estremo Nord, al villaggio di Ye. Un segnavia o qualcosa di simile non c’è, chiedo ad alcuni abitanti qual è il sentiero migliore da seguire e, come sempre, ricevo sorrisi, risposte gentili e soddisfacenti. Parcheggiamo di fronte alla bella chiesa, a 200 m dalla quale, sulla destra, si distacca uno sterrato che conduce verso il vulcano. Il Monte Corona, che supera i 600 m, è la montagna più alta di Lanzarote e possiede il cratere più grande di quest’area a Nord. 4000 anni fa  si creò un gigantesco tunnel vulcanico che si estende per quasi otto chilometri. Interessante e affascinante, non c’è che dire. Il primo tratto del percorso, pressoché pianeggiante, permette di attraversare una zona molto simile come paesaggio a quella della Geria. Muretti bassi di pietre scure proteggono le piantine di vite. L’insieme risulta pittoresco. Passiamo accanto ad un campicello recintato dove un contadino sta alacremente lavorando e ci avviciniamo ai piedi del vulcano. Uno sguardo all’indietro sui vigneti, il pueblo candido adagiato a ridosso del monte, l’oceano blu, poi inizia la salita. L’ascesa al bordo inferiore del cratere è facile, comunque molto gratificante. Si osservano fichi d’India in grande quantità, numerose piante endemiche e licheni. Saliamo verso la sommità della caldera, ma il sentiero ripido sulla placca si trasforma in una traccia quasi inesistente, per cui N., sempre molto prudente, decide di non proseguire. Stupisce lo scoprire tra i cactus una verdissima pianta di fichi coi frutti. Qua la pioggia è un evento rarissimo, come si sia adattata ad un tale habitat è un mistero. Scendendo, sostiamo a lungo all’ombra dell’unica palma esistente nell’area di chilometri.
Facile e soddisfacente escursione.
Consultando la mappa dell’isola scopro che a brevissima distanza, non più di due, tre chilometri da Ye, è indicato un punto panoramico denominato Las Rositas. Si va. Usciamo dal villaggio seguendo la LZ -10 in direzione di Haria, deviamo a destra dopo circa due chilometri verso il Mirador del Rio poi subito a sinistra per poche centinaia di metri. Lo sterrato termina in uno slargo dove si parcheggia. Pochi passi e si arriva ad un belvedere che lascia senza parole: una delle viste più straordinarie che l’isola offre. Si ha una visione aerea della desolata isola Graciosa con i suoi cinque coni vulcanici, degli altri isolotti-scogli minori, delle violacee Salinas del Rio, delle scoscese rupi del Risco. Starei ore ad ammirare questo esaltante panorama, in solitudine. Mentre consumiamo i nostri panini, da una fenditura nella roccia si affaccia un bell’esemplare di Galliota atlantica, poi un secondo dinosauro in miniatura, sorprendente nel suo look eccentrico, con le scaglie a macchie celesti metallizzate, poi un terzo, un quarto. Non siamo più soli!
Per ”l’ultima cena” decidiamo di tornare a Varadero (questa volta in auto, non a piedi) dove abbondano i ristoranti che propongono pesce. E’ caratteristico il porticciolo: piccole imbarcazioni allineate lungo il molo si specchiano nell’acqua calma. Riesco a cogliere un bellissimo tramonto.
Scegliamo il ristorante “La sirena” sull’animata Avenida e naturalmente si cena a base di pesce. Graditi gli omaggi: un antipasto con crostini e salsina piccante per ben iniziare, un bicchiere di rum al miele per concludere in dolcezza. Come la prima sera, così l’ultima… Sangria a volontà. Questa volta però esageriamo, addirittura un litro!
Martedì 1 ottobre
Abbiamo ancora l’intera mattinata a disposizione e voglio sfruttarla al meglio. Chiuse le valigie, le consegniamo a Mariela, le verremo a ritirare nel primo pomeriggio.
Nei giorni scorsi siamo passati ripetute volte da Arrecife, la capitale dell’isola, ma non ci siamo mai fermati. Non intendo lasciare Lanzarote senza aver visitato anche questa cittadina. Non è particolarmente significativa, ma alcuni luoghi d’ interesse si trovano: il grazioso Charco a breve distanza dall’oceano, l’Iglesia de San Ginés, santo patrono dell’isola, risalente al Seicento, e due castelli. Il Castillo de San Gabriel, una fortezza costruita scenograficamente sull’ isolotto proprio di fronte al lungomare, protesse più volte Arrecife dalle incursioni dei pirati. Il Castillo de San Josè, situato due chilometri a nord, ospita il museo d’arte contemporanea.
 A sei chilometri da Arrecife in direzione nord si trova la Fundación César Manrique, galleria d’arte allestita nell’edificio che fu residenza dell’eclettico artista, a Taro de Tahiche. Ultima visita in ordine di tempo, non certo per importanza.
Prima del viaggio non conoscevo affatto il nome di Manrique, ma ora affermo con convinzione che Lanzarote è integra, affascinante qual è per merito di questo Grande, che stimo moltissimo. E’ riuscito a sensibilizzare i Lanzatoreñi a mantenere lo stile architettonico tradizionale nel metodo di costruzione delle case, a non cedere agli obbrobri dello sfruttamento edilizio al servizio di un facile turismo di massa, a difendere il fragile ambiente naturale. E’ stato un “protettore- conservatore” di Lanzarote. Ideò un piano urbanistico nel pieno rispetto della natura circostante: l’isola è stata dichiarata dall’UNESCO “riserva della Biosfera” nel 1993. La sua presenza è ovunque. Era talmente legato alla terra, alla particolare morfologia che caratterizza Lanzarote e la rende unica, che realizzò una dimora da sogno, originalissima, sopra ad una colata lavica. Nel giardino lussureggiante l’edificio è preceduto da una scultura mobile o “giocattolo del vento”. La cosa più singolare e suggestiva è che la villa  è costruita su cinque bolle vulcaniche naturali di grandi proporzioni, nelle quali il geniale ed eccentrico Manrique progettò camere sotterranee. Tutta la casa pare surreale, uscita da un film avventuroso e fantastico, alla James Bond. Al centro del salone, nel pavimento, spicca l’apertura di una bolla. Da uno spazio esterno di passaggio è possibile ammirare la piscina interrata che fa sgranare tanto d’occhi. Una scala in basalto conduce nel piano sotterraneo, dove si trovano le stanze ricavate nelle bolle d’aria, che sono state accorpate alla casa e collegate tra di loro da stretti corridoi scavati nella lava. Fantascienza. Dalla bolla con la sorgente si passa all’incredibile, favolosa camera-grotta bianca, un salotto dove l’arredamento è candido, dai divani in pelle alle lampade, con un’alta palma che svetta e fuoriesce dall’apertura nella parete superiore; segue la rossa, altrettanto originale e bizzarra. Ora si esce e il sogno continua... La piscina è l’ambiente più esclusivo e attraente: una passerella in pietra scura, lavica, scavalca la vasca fungendo da ponticello e all'occorrenza da trampolino, il celeste innaturale, quasi fosforescente dell’acqua risalta per contrasto con il bianco assoluto di quanto sta attorno. Chi non vorrebbe trascorrere almeno un’ora in un posto paradisiaco come questo dove tutto è armonia? Beato Manrique! Si passa alla bolla nera, alla gialla, poi allo studio dove è esposta una mostra permanente delle opere astratte dell’artista. Mi colpiscono particolarmente i quadri che, secondo me, rappresentano con vigore ed intensità la forza della Natura selvaggia, gli elementi primordiali quali la Terra e il Fuoco. Rimango letteralmente incantata davanti ad una vetrata affacciata sul “nulla”: una lingua di lava penetra all’interno e, nel contempo, prolunga l’edificio verso l’esterno. Idea grandiosa che palesa l’amore senza limiti di Manrique per la sua isola, per la sua lava, che concepisce come arte. Il binomio Natura-Arte è indissolubile.

Mentre sono in volo sull’aereo che riporta a Bologna, sfoglio dapprima distrattamente la guida LP, poi leggiucchio, infine mi soffermo con curiosità ed interesse sulle pagine che riguardano le altre “sorelle” Canarie.
Chissà perché???
 
 
 
 

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