Le "Statue Parlanti"

La voce critica del popolo romano

La tradizione tutta latina della satira rivisse nella Roma papale per bocca delle cosiddette "statue parlanti". Le anonime denunce politiche e di costume che ad esse si affiggevano, rivolte contro il Papa, il governo, i personaggi più in vista, generalmente scritte in versi ed in lingua oppure in latino (quindi piuttosto colte) presero il nome di pasquinate, dal più illustre di questi personaggi in pietra.

"Pasquino", appunto, nacque e si impose subito agli inizi del Cinquecento, quando un torso mutilo quasi bi-millenario fu collocato lungo la "Via Papalis" in un punto vitale della città, che era nel momento di maggior splendore, caratterizzato dalla grande libertà di costume e di pensiero dell'età classica. Il proseguimento di Via dei Banchi Nuovi è Via del Governo Vecchio (già chiamato di "parione" da un muro - detto paries - forse parte delle recinzioni dello stadio di Domiziano), dove, superata al n.104 una casa quattrocentesca ( rifatta nel sec. XVIII ) con ricca facciata adorna di medaglioni, si esce nella piazza cui dà il nome il famoso Pasquino, posto contro la spezzata angolare di Palazzo Braschi. La statua chiamata Pasquino è quanto rimane di un gruppo marmoreo raffigurante Menelao che sostiene il corpo di Patroclo. Si tratta di una copia di età romana da originale del primo ellenismo (sec. III a.C.) rinvenuto in Via di Parione e qui collocato nel 1501 dal cardinale Oliviero Carafa. Il più "loquace" tra tutte le "statue parlanti" di Roma restò sempre Pasquino, ricordiamo che numerose raccolte di scritti ed iscrizioni ne hanno tramandato gli acuti epigrammi.

"Marforio" diventa ben presto un interlocutore, o meglio, una "spalla" - del Pasquino. Si tratta di una divinità fluviale rinvenuta nel Foro e più tardi reclusa nel cortile del Museo Capitolino. Vi si accede attraverso il vestibolo e l'atrio, ove, nel fondo, vi è un prospetto ad esedra opera di Filippo Barigioni con l'arme di Clemente XII posta al di sopra di una lapide celebrante l'istituzione del museo (1734). La statua giacente di Oceano del sec. I, detta appunto Marforio, si trova più in basso ed è preceduta da una vasca.

Col tempo si diede voce ad altre figure dislocate nella città, che riuscivano a colpire l'immaginazione popolare per il loro aspetto; tra queste spicca "Madama Lucrezia": una giunonica rappresentazione di Iside. Questo colossale busto marmoreo si erge all'angolo della piccola piazza di S. Marco (al lato di Piazza Venezia). Inizialmente si pensò ad una raffigurazione di Lucrezia D'Alagno, amica di Alfonso d'Aragona e di Paolo II; successivamente si raggiunse la certezza che si trattava della dea Iside. Quest'opera venne rinvenuta nell'Iseo Campense e qui collocata dal cardinale Lorenzo Cybo intorno al 1500, quando divenne celebre come una delle "statue parlanti" di Roma.

L'"abate Luigi" è un personaggio togato della tarda età imperiale e lo si può incontrare a Piazza Vidoni (lungo Corso Vittorio Emanuele II) aperta nel 1882 per l'isolamento del vicino complesso religioso. Lo si può scorgere all'interno del portico di Palazzo Della Valle, oggi sede della Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana. Dal 1924 è stato addossato al transetto ed era nell'omonimo vicolo purtroppo cancellato dalle demolizioni.

Un altro protagonista del "congresso degli arguti", al quale erano riferite queste invettive in forma di dialogo, è il "Babuino": un sileno grottesco. Lungo Via del Babuino si raggiunge, oltre Via dei Greci (dal Collegio Greco fondato da Gregorio XIII nel 1576), l'omonima fontana inserita nel 1738 dai Boncompagni Ludovisi in un'incorniciatura rustica con due delfini. Nel 1957 venne sistemato il sileno da cui la strada prende il nome.

La fontana del "Facchino", che si conserva solo in parte, si trova incassata nel fianco sinistro di Palazzo De Carolis (Via del Corso), ora della Banca di Roma eretto nel 1714-24 da Alessandro Specchi. Si tratta di un servizievole acquaiolo col suo barilotto e risale al tempo di Gregorio XIII. Un'ulteriore curiosità a suo riguardo: la tradizionale attribuzione popolare a Michelangelo.

Della moltitudine di statue che popolano le vie, le piazze, i giardini di Roma sono queste le più popolari: non solo perché famose, ma proprio perché sono state rese vive dallo spirito critico, altrettanto antico, del popolo di cui erano portavoce.
L'inquinamento delle facoltà vitali, la perdita d'identità di questa città, la crescente sopraffazione dei nuovi "media" le hanno ormai ridotte al silenzio: solo Pasquino trova ancora, anche se sempre più di rado, la forza di dire la sua. Marforio è da molto, a tutti gli effetti, solo un pezzo da museo. Madama Lucrezia è rimasta sperduta nel gran vuoto di Piazza Venezia. L'abate Luigi ha più volte perduto la testa; il Babuino osserva con espressione sempre più impressionata la gente di una strada ormai quasi esclusivamente snob. Al povero Facchino non resta che offrire da bere dalla sua inesauribile "coppella" e vantarsi del fatto di essere l'unico "moderno".

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