La Regina dell’Avana: non voglio imparare a ballare!

Le mille contraddizioni della “Isla Grande”, filtrate attaverso la sensibilità e l’impareggiabile ironia della “nostra” Robinia: da non perdere

Io sospetto / che l'America, l'America ha paura / altrimenti non si spiega come faccia / a vedere in uno stato in miniatura / questa orribile minaccia
[ Daniele Silvestri, "Cohiba" ]
La vita è una rumba, Boy, una guaracha. Bisogna prenderla come viene, senza aspettarsi troppo. È meglio ballare, bere e divertirsi. Impara da me.
[ Pedro Juan Gutierrez, "Il nostro GG all'Avana" ]
Brezza e alcol nelle ruote. / Andrò a Santiago. / Corallo nella tenebra. / Andrò a Santiago. / Il mare affogato nell’arena. / Andrò a Santiago. / Caldo bianco, frutta morta. / Andrò a Santiago. / O bovina freschezza delle piantagioni di canne! / Andrò a Santiago.
[ Federico García Lorca, "Son negros en Cuba" ]
Dice essere quell'isola la più bella che occhi umani mai abbian visto
[ Cristoforo Colombo, "Diario del primo viaggio" - 28 ottobre 1492 ]
Dicembre 2009 - gennaio 2010
CUBA VENCERÁ, LOS QUINCE VOLVERÁN
Conoscevo Cuba attraverso le storie di Pedro Juan Gutierrez, il trasgressivo scrittore considerato il Bukowski del Caribe, che ho conosciuto con mucho gusto al Salone del Libro di Torino. Per questa ragione ero preparata alla sporcizia, al tanfo, alla trascuratezza, all'abbandono, al sudore, alla carenza d'acqua, all'arrabattarsi, al rum economico e allo sfacelo.
Però avevo in testa una valanga di altri ritagli che non sapevo bene in che parte del puzzle sistemare: cartoline delle spiagge di Varadero, soggiorni nella perla dell'arcipelago Cayo Largo, mojitos e havana club, aragoste e Cohiba, turisti protetti dalla polizia e fidanzatine di una settimana, rumba e son, Compay Segundo e Ibrahim Ferrer, congas, gardenias e carreteros, l'hombre sincero che coltiva la rosa bianca, guajira guantanamera, il Che morto con cento colpi in un giorno d'ottobre in terra boliviana, Venceremos adelante... lì, alla fine, ho trovato decine di altre Cuba e il puzzle, in un certo senso, ha cominciato a prendere forma; anche se temo che diverse tessere faticherò molto a collocarle.

VIVO EN UN PAIS LIBRE
Il nostro uomo all'AVANA si chiama Manuel. Ci aiuta a rintracciarlo il cugino di Silvia, una meravigliosa donna cubana bianca dall'incantevole accento ispano-veneto, con la quale ho condiviso il sorvolo dell'Atlantico. La sua fortuna è stata andare a studiare nella Germania dell'Est prima della caduta del Muro e lì conoscere quello che sarebbe divenuto suo marito (ricco costruttore, proprietario di villa con piscina e cani e bambini stupendi).
È l'una di notte all'aeroporto "Josè Martì" della capitale cubana, ma nessuno pare farci caso; tutti fumano e sorridono. Un chofer baffuto accompagna los cinco in hotel.
Avendo dormito ben otto ore in aereo, mi sono vista costretta ad attendere l'alba al bar dell'albergo, sorseggiando le due birre preferite dai cubani, la Cristal e la Bucanero. Ne smezzo un paio con un giovane tecnico telefonico alla vigilia delle vacanze natalizie: l'indomani infatti sarebbe partito per Las Tunas, dove vive la sua famiglia. Naturalmente per prima cosa mi monetizza il suo stipendio, argomento che ogni cubano tira fuori pochi istanti dopo le presentazioni. Nel suo caso ammonta all'equivalente di 14 euro, cioè 17 pesos convertibili - i cosiddetti CUC, la moneta che dal 2004 ha sostituito il dollaro per tutti quei commerci legati all'economia non socialista. Una lattina di birra invece costa poco più di un euro.
Stabilito chi offre le birre, può raccontarmi del suo percorso scolastico. In questo Paese di secchioni è obbligatorio avere il diploma di scuola superiore per ottenere un lavoro e, poiché se non lavori puoi addirittura essere arrestato, va da sé che sono tutti come minimo diplomati. Per verificare che tutto ciò sia vero somministro al tecnico installatore qualche esercizio di analisi logica: sufficiente.
Nel frattempo ho appreso che le trasmissioni che possiamo aprovechar in quel momento sui due maxischermi, i cubani non le possono guardare a casa propria, perché la TV satellitare è vietata e se vengono scoperti sono costretti a pagare una multa di 1500 euro. Deduco quindi che il mio amico non ami le telenovelas, le lezioni di ingegneria meccanica, le partite di baseball e l'altra consueta programmazione "rivoluzionaria" delle reti nazionali. D'altra parte vive con la vecchia nonna, perché - come se non bastasse - le case non si possono comprare né vendere. E non si possono nemmeno affittare, almeno ufficialmente. Lo scenario comincia a delinearsi.

LA REGINA DELL'AVANA
La prima giornata da turista scopro che qui è tutto truccato. I muri scoloriti mi avvisano che vinceremo patria o muerte, mi annunciano che il socialismo si difende unidos y combativos, mi comunicano trionfali che la revoluciòn è in ogni quartiere e affermano con baldanza che loro la justicia la esigono. La bandiera nazionale monostella sventola con persistenza accanto agli eroi a cavallo e alla sfilza di lampioni liberty. Allungando lo sguardo, da una parte si intravedono i grattacieli, dall'altra, in lontananza, il forte del Morro, che si trova all'altra estremità della baia dell'Avana. E dovunque la decadenza. I condomini hanno facciate da antologia, ma sono in rovina, gli intonaci sono scrostati, l'abbandono non potrebbe essere più evidente. In pratica, l'Avana cade a pezzi.
Siamo all'inizio del quartiere Vedado. Il famoso Malecon è a pochi passi e il mare blu intenso non è agitato da ondate paurose come lo immaginavo, per cui si può tranquillamente pescare in piedi sull'argine o addirittura tuffarsi e arpionare le prede a mani nude. Lo sfondo è costituito da nuvole bianche molto fotogeniche e il mio sollievo è enorme, considerati gli ultimi miei viaggi tropicali funestati da monsonici cieli grigi cancella-colori.
Mentre pensavo che la temperatura fosse quella che ogni essere umano desidererebbe e che avrei camminato su questo lungomare per sempre, mi interrompe Damiano, guidatore autorizzato di calesse. Questo ometto col cappello a visiera ci istiga a fare un giro della durata di un'ora cubana alla scoperta della consistenza habanera. In pratica: ci porta dall'amico che spreme la canna da zucchero, ci aggiunge un dito di ron e fa pagare questo pregiatissimo cocktail 3 CUC; ci racconta che la mamma lavora alla fabbrica di sigari e che ha la possibilità di farci lo sconto del 300% (tutti gli operai delle fabbriche di sigari vendono innumerevoli pezzi sottobanco), ci indica un ristorante gelido e scarsamente illuminato, impietosendoci con la storia che gli regalano il dentifricio e la saponetta.
Dal calesse era un avanti veloce di daiquiri e mojitos bevuti da Hemingway, fabbriche di sigari e rum, chiese cattoliche e piazze, palazzi color pastello e murales e ragazzi in divisa all'ultimo giorno di scuola, mentre percorrevamo l'HABANA VIEJA e l'Avenida del Puerto affacciata sull'Atlantico. Dopo il pranzo, finalmente di nuovo alla luce del sole, percorriamo a passi lenti il classico itinerario turistico: la Plaza das Armas con i venditori di libri d'occasione e con la ceiba (l'albero sacro per la santería intorno al quale bisogna girare tre volte esprimendo tre desideri), la Cattedrale dedicata a Cristoforo Colombo, la Bodeguita del Medio, la chiesa di San Francisco de Asís, l'imprescindibile calle Obispo affollata di localini in cui suonano dal vivo, il Castillo della Real Fuerza e così via. In giro è pieno di queste signore mascherate da habaneras che vogliono i soldi per la foto mentre fumano un sigaro gigantesco, e di altri tristi personaggi come il Che Guevara canuto, l'uomo immortalato nella foto di copertina della Lonely Planet, uno svitato che gira con due bassotti travestiti da umani, il giovane studente di medicina che - chiacchierando con quella cantilena ipnotizzante che hanno loro - ci scrocca un mojito in questo bar dell'Avana Vecchia dove suonano gli ennesimi sosia dei Buena Vista Social Club... insomma, ti si stringe il cuore.
Avendone abbastanza del patrimonio storico ridipinto con i colori originali grazie ai soldi dell’Unesco, abbandono definitivamente il set dell'Habana Vieja ed entro in Centro Habana. In questo bar in calle San Rafel ordino una Bucanero extra, che bevo al tavolino sui centrini di pizzo, tra puzza di fritto e musica non cubana. Mentre sollevo gli occhi per osservare una vecchia malridotta che si aggira furtivamente cercando di vendere un pacchetto di chewingum, mi sento osservata: De donde eres?, mi chiede sorridendo una dignitosa signora seduta al tavolo accanto, in compagnia del figlio e della nuora. Beata te che puoi viaggiare! dice lui col cappello da baseball e lo sguardo lontano, Noi non siamo liberi. Questa cena non la possiamo pagare con i nostri stipendi, aggiunge la giovane moglie. Intanto arrivano le loro enormi pizze e mi invitano a mangiare con loro. Favorite! è come se mi dicessero.
Ma io devo andare alla Casa de la Musica nella calle Galliano. Antonio (un cameriere uguale a Banderas che stava sulla porta a fumare) mi indica la strada. Sul palco suona dal vivo un nutrito gruppo di tamarri. D'altra parte anche in pista le magliette più di moda sono elasticizzate, stampate nei colori moda oro e argento e chi se lo può permettere sfoggia scritte Armani e Dolce & Gabbana in ogni dove (oltre a catenoni d'oro e occhiali da rabbrividire).
Questa ragazza apparentemente minorenne, priva di mutande e in pratica priva anche di gonna, si dimena indefessamente davanti a Lorenzo, il quale, imbarazzato e insieme quasi tentato dalle inequivocabili posizioni, cerca di distogliere lo sguardo. Ma tutto finisce a tarallucci e vino (complicità femminile e sigarette in regalo).

YO SOY UN HOMBRE SINCERO
Manuel doveva palesarsi a las nueve de la mañana in hotel, dunque – intuito rapidamente l'andazzo generale - possiamo stare tranquilli che come minimo fino a mezzogiorno la nostra querida presencia non sarà richiesta.
Ce ne possiamo andare a zonzo e raggiungere Plaza de la Revolución, una delle piazze più grandi del mondo. Più di un milione di cubani si sono radunati qui durante importanti celebrazioni politiche, ma anche per ascoltare Jovanotti che canta Penso positivo.
Su un lato della piazza svetta il monumento a Josè Martì, eroe, patriota, rivoluzionario, intellettuale, storico, sociologo, poeta, martire e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di una torre alta più di cento metri accompagnata da un'enorme statua bianca dell'ometto, accigliato e compreso nel suo ruolo come si conviene. Con l'ascensore si può arrivare al punto panoramico più alto dell'Avana e ammirarla in tutto il suo splendore di grattacieli e giardini e quadras e mare bluissimo in fondo, mentre gli enormi avvoltoi che svolazzano si ritagliano uno spazio in quasi ogni foto. Se vuoi portare con te la macchina fotografica il prezzo del biglietto (mezzo stipendio medio di un cubano) raddoppia e già lì ti girano un po' le palle. Quando arrivi su e ti accorgi che tutti gli affacci sono protetti da vetri di una sporcizia incommensurabile, ti senti definitivamente preso per il culo.
Sulla via del ritorno passeggiamo pigramente nel quartiere, schivando le palle da baseball colpite con eccessiva veemenza dai ragazzini e spiando gli acquisti al mercado agropecuario. Compro un gelato con un peso convertibile invece di un peso cubano (in poche parole gli pago 25 gelati). Non avevo pensato che il gelato potesse essere pagato in moneta nazionale. Questa doppia moneta è un sistema veramente assurdo e immorale che trasforma ogni cubano in un potenziale ladro.
Tornati in hotel cerco di raccogliere informazioni sulla Playa del Este, ma gli interpellati sono troppo impegnati ad appendere enormi angeli dorati a mo' di decorazioni per la festa in programma per la sera e poi il volume dei video dei Van Van è troppo alto per riuscire a capirci qualcosa. Nell'indecisione ordino una Cristal. In quel mentre sopraggiunge al bancone Lazaro, il quale per prima cosa dice che conosce un po' di italiano perché sua sorella vive a Milano. Ripensandoci, la consequenzialità logica tra le due affermazioni non è così evidente come mi era sembrato in quel momento.
Questo medico specializzando in Neurochirurgia sta in paranoia per due motivi: 1) gli hanno rubato il cellulare; 2) vuole diventare il più grande chirurgo di tutti i tempi. Nel frattempo studia su dei libroni di antiquariato pieni di polvere e - come tutti i cubani un po' svegli - si arrangia come può. Infatti ci conduce al paladar "La Tasquita", un ristorante autorizzato dallo Stato di norma situato praticamente dentro una normale casa. Il cibo è, come promesso, una exquisita comida criolla.
Lazaro cita il fatto di cronaca italiano del momento: Berlusconi colpito al volto da un souvenir a forma di Duomo di Milano (a scriverlo così sembra una barzelletta, ma è successo veramente). Se mentre parla Fidel - fa lui - un uomo non dico lancia un Capitolio in miniatura, ma soltanto fa il gesto di lanciarlo, in tre secondi è circondato da un plotone armato.
Il futuro neurochirurgo ci spiega che la sanità a Cuba è totalmente gratuita e molto qualificata, ad esempio la diffusione dell'Aids è molto limitata. E infatti si sa che la speranza di vita è quasi a livelli europei e anche la mortalità infantile ha un'incidenza molto bassa. Lazaro fa dei turni molto particolari in ospedale, tipo che lavora 24 ore filate e poi per due o tre giorni sta a casa. Siccome oggi sta a casa, terminato il pranzo ci conduce in un condominio affollato come un alveare, dove possiamo acquistare dei sigari di qualità a prezzo scontato, offerta riservata agli universitari ma di cui possiamo approfittare anche noi. Siamo vicini alla celebre gelateria Coppelia, nota per i tempi di attesa così lunghi che innumerevoli coppie si sono conosciute e fidanzate mentre erano in fila; non per niente nel film Fragola e cioccolato fa da scenario all'incontro tra lo scrittore omosessuale critico del regime e il bravo giovane studente rivoluzionario.
La sera in hotel c'è la grande festa della vigilia di Natale e l'eleganza regna sovrana: la regola naturalmente è che più oro hai addosso meglio è.

LA CARRETERA CENTRAL
¡Buendia compañeros! La carretera central ci attende e con lei tutti i cubani possibili che stazionano sul bordo della strada sventolando le banconote nella speranza di essere caricati su. Queste situazioni le avevo già viste nei film di Tabío, Lista d'attesa e Guantanamera, ma all'epoca avevo pensato che certe scenette paradossali fossero costruite per far ridere, invece sono tutte reali.
La prima tappa è PUNTA PERDIZ dove c'è un mare da sogno e nessuno che ne approfitta, così posso godermi un bagno stupendo e poi mangiare la grigliata di pesce al tavolino.
Siamo nella famosa Baia dei Porci, dove nel 1961 avvenne lo sbarco dei mercenari al soldo degli americani con l’intento - clamorosamente fallito - di rovesciare il governo Castro. Questo episodio è molto famoso perché da lì derivò una crisi internazionale durante la quale il mondo temette seriamente un'esplosione nucleare e poi si posero le basi per l'embargo da parte degli USA o, come dicono qui, il bloqueo, che d'altra parte dura tuttora e continua a rappresentare un credibile paravento a cui ascrivere tutte le disfunzioni dell'isola. Allo sbarco è dedicato il museo di PLAYA GIRÒN, a 10 km di distanza. Prima ci propinano il documentario con filmati originali dell'epoca, poi visitiamo l'esposizione permanente che propone divise dei barbuti, lanterne, fotografie, documenti e vari altri oggetti, corredati da pannelli che spiegano ad esempio che prima del "trionfo del socialismo" i bambini e gli adulti morivano per la carenza di strutture mediche, il tasso di analfabetismo era altissimo, i mezzi di comunicazione erano inesistenti e l'economia sottosviluppata. Invece oggi a Cuba la sanità e l'istruzione sono completamente gratuite; in merito all'economia e alle comunicazioni invece avrei qualcosa da ridire. La propaganda si taglia con il coltello.
Si effettua una sosta breve nell'elegante CIENFUEGOS, che in questo primo pomeriggio natalizio è placidamente assorta. La luce è liberty e squisita nella piazza quadrata su cui si affacciano il teatro Terry e la cattedrale, mentre il Che, con basco e stella, da più parti ribadisce i suoi slogan. La cittadina si affaccia sulla sognante baia omonima, che percorriamo per ammirare eleganti ville.

A CASA DELLA MUSICA
Giungiamo a TRINIDAD dopo un toccante tramonto che indora la sierra in lontananza, condito dai video di musica salsa che si alternano al televisore del bus. È ormai buio mentre prendiamo posto nella casa particular. La padrona di casa, una psichiatra dal sorriso più dolce del mondo, ci accompagna sul selciato sconnesso fino alla sua abitazione, ingabbiata da grate di ferro bianche. Mi spiega che per poter esercitare questa professione è necessaria un'autorizzazione statale e viene richiesto il rispetto di ben precise regole ed il pagamento di corpose tasse.
A cena sul terrazzo si susseguono i soliti, numerosi mojito, che agli italiani non piacciono un granché perché l'erba non è pestata, il ghiaccio è inesistente e lo zucchero di canna non è granuloso. Per loro fortuna qui c'è un altro cocktail tipico, chiamato "canchanchara", preparato con il liquore di miele. Da mangiare invece ci si può sbizzarrire con gamberetti, aragosta al sugo, pesce e altri gustosi manicaretti.
Trascorriamo il resto della serata alla Casa della musica, che è un locale all'aperto vicino alla cattedrale dove fior di musicisti suonano dal vivo, diverse coppie ballano e tutti gli altri stanno seduti su un'enorme scalinata simile a quella di Piazza di Spagna. In realtà gli unici cubani che ballano sono maschi e quelli che ballano con le turiste sventolano gran mazzi di banconote. Ad esempio Gavino, questo pastore sardo travestito da ballerino cubano, dotato di molte amiche di tutte le nazionalità. Sulla via del ritorno ci rendiamo conto che le case colorate con le inferriate sono tutte uguali ed in questa infinita scacchiera s'annega il nostro pensare.
Alla luce del sole risplende la bellezza soporifera di questa cittadina, con le facciate delle case turchesi e gialle e verdi e rosa intonacate grazie ai soldi dell'Unesco, con le vie attraversate da carretti a cavallo, con i ritagli di luce e ombra stampati sulla strada, con le balaustrate e i cortiletti fioriti, e con una quantità di bambini sorridenti in bicicletta, e vecchi stupendi che si muovono ad una lentezza strabiliante, certamente chiedendosi che cazzo vanno cercando da loro tutti questi turisti.
Raggiungiamo PLAYA ANCÓN, tutta palme e sabbia fina. Trascorriamo la maggior parte del tempo in una gita in catamarano dal quale è possibile tuffarsi ed effettuare uno snorkeling abbastanza piacevole. Peccato al ritorno verso riva quell'orrendo hotel Ancón che rovina il panorama. Sulla spiaggia si possono affittare i lettini e anche ordinare delle squisite piña colada direttamente a domicilio.
Nella controra dell'afosa Trinidad, mangiamo dei panini da El rapido, il fast food affacciato sulla piazza centrale. Al tramonto passeggio sotto qualche goccia di pioggia in pieno vecchio West osservando case di legno, ampie verande con le panche e le sedie a dondolo, la cattedrale e i diversi locali caratteristici dove c'è sempre qualche bravo musicista all'opera, anche se il tutto sembra fatto apposta per i turisti, persino tenere le porte delle case aperte, da dove puoi spiare Tom e jerry alla televisione e le foto dei bambini nudi e gli animali di pelouche.
Per cena nel terrazzino pieno di fiori della casa particular ci sono i camarones e la yucca affogati nell'aglio, gli immancabili tostones, cioè il platano fritto a rondelle, e infine la macedonia, rovinata da quell'orrendo frutto rosa fucsia con i semini che si chiama guayaba. Mi amor, mi amor! cinguetta la psichiatra tra i suoi libri vecchi e i suoi orrendi cani di ceramica.
Alla Casa de la musica ogni sera si ripete lo spettacolo, che poi proseguirà in una delle discoteche del centro. I giovani cubani - sempre attenti a non farsi beccare dalla polizia in compagnia o comunque sempre pronti a fornire i documenti - sono molto esperti in sguardi e rimediano con facilità la compagnia giusta per la serata.
La domenica mattina anche qui c'è chi va in chiesa: gli alberi di natale sono collocati sull'altare e il coro di bambini si sta preparando all'esibizione. Qui sono solo pochi anni che le usanze cattoliche sono state ripristinate, dopo la visita di Fidel in Vaticano e la visita di Papa Giovanni Paolo II a Cuba, nel 1998. La rivoluzione infatti è sempre stata atea e ha dato per anni filo da torcere alla Chiesa. D'altra parte la religione più sentita resta sempre la santería, che si impernia sugli orishas, divinità africane accoppiate a un santo cattolico, ognuno caratterizzato da una serie di attributi.
Prima della partenza ignoro tutti i musei vicini alla cattedrale e passeggio pigramente tra mercatini, gallerie d'arte e concertini fino ad approdare al bar per un'ottima tazza di caffè, il cui odore supertostato si spande nell'aria.

TODO SANTA CLARA SE DESPIERTA PARA VERTE
Il valente chofer di bus, Pedro, dentone baffuto con al seguito una bambolina muta dalle acconciature antiquate (sua figlia Wendy), ci conduce nella VALLE DE LOS INGENIOS, che sarebbero i mulini della canna da zucchero. Come d'abitudine turistica si sosta in un bar panoramico (il mirador de la Loma del Puerto) da cui si gode un ampio belvedere del paesaggio. Qui si può assaggiare il guarapo, ossia il succo della canna da zucchero, che viene spremuta da questo marchingegno fino a secernere una grande quantità di liquido, molto meno dolce di quanto uno possa immaginare.
La tappa successiva è la Torre Iznaga, che serviva per tenere sotto controllo gli schiavi al lavoro nei campi. L'antica hacienda accanto è stata trasformata in un ristorante e volendo si può fare un giro su questa locomotiva d'epoca.
A Sancti Spíritus, il capoluogo di provincia, è una domenica pomeriggio di ristoranti chiusi, cani malati e afa immobile. Digiuni raggiungiamo SANTA CLARA, dove ebbe luogo la battaglia decisiva della rivoluzione cubana, quella che trasformò in mito il comandante Ernesto "Che" Guevara. Per questo motivo hanno costruito qui il suo monumento, sotto il quale sorge il memorial che contiene le sue spoglie mortali e la fiamma perenne, accesa da Fidel dopo il ritrovamento delle presunte ossa in Bolivia nel 1997. Accanto un piccolo museo racconta l'avventurosa vita del Che con oggetti personali, come ad esempio il giubbotto che indossava quando Alberto Korda gli scattò la foto più famosa del mondo intero.
Nei pressi ci sarebbe anche il Monumento al Treno Blindato, che ricorda una delle imprese più eroiche dell'Argentino, quando nel 1958 si impossessò di un treno carico di armi e munizioni, inviato da Batista a rinforzo dell'esercito regolare.
Ma noi dobbiamo andare a REMEDIOS. Alloggiamo nella casa di Josè, professore universitario di economia. Qua sono tutti ingegneri dottori professori fisici nucleari, anche quelli che affittano la propria casa ai turisti e cucinano e puliscono e fanno conversazione sfoggiando il loro miglior sorriso. Anche suo figlio, che ci viene presentato subito insieme alla morosa, è un insegnante: la sua materia è educazione fisica e scacchi.
Josè è un incrollabile ottimista. Ci racconta con entusiasmo che viaggia per lavoro, per esempio è stato ospitato in alcuni Paesi amici del Sudamerica, e non ritiene un problema il fatto che per recarsi in qualunque altra nazione del mondo per tutti loro sia necessaria una scoraggiante trafila burocratica. Cuba infatti ha stretto accordi con il Cile, con il Brasile e soprattutto con il Venezuela di Chavez, che possiede il prezioso petrolio, in cambio del quale gli vengono spediti migliaia di medici; però lasciare il Paese non rientra ancora tra i diritti fondamentali di un cubano. Così come mancano all'appello altri fondamentali diritti, come quello alla libertà di informazione. Questo professore usa internet ma glissa sulla censura, non gli risulta che le mail vengono controllate, non sembra preoccuparlo che i cellulari, introdotti nel Paese da pochi mesi, abbiano costi proibitivi. Resto un po' perplessa durante la cena e la colazione che, come in tutte le case, sono spettacolari: gran spolvero di ceramiche, caldo de pollo e insalata fresca con avocado e addirittura il preziosissimo manzo e per finire frutta fresca.
Si scopre che, per soli due giorni di ritardo, ci siamo persi l'appuntamento mondano dell'anno, La Parranda, che è una sorta di Carnevale che ha luogo la sera della vigilia di Natale, durante il quale i due quartieri della cittadina si sfidano in una gara di carri, impalcature, maschere e fuochi d'artificio che richiedono una lunga preparazione segretissima. Al termine della gara in realtà il vincitore praticamente nessuno si ricorda chi era, questo per dire il livello alcolico che si può raggiungere. I carri abbandonati occupano ancora gran parte della piazza della Cattedrale e, se proprio uno vuole approfondire l'argomento, può recarsi al museo delle Parrandas.
Per fortuna noi non ne abbiamo bisogno, in quanto una cover della festa si svolgerà proprio stasera nel vicino comune di CAIBARIÉN, dove ci rechiamo dopo cena. Bancarelle, maialini arrosto, spaghetti, panini giallo fosforescente, giostre, salsa moderna e reggaetón rendono l'esperienza allegra e spensierata, peccato che siamo costretti ad andarcene al momento clou della festa, poiché gli orari cubani mal si addicono con gli autisti stanchi che il giorno dopo si devono svegliare presto.

CAYO COCO
Salutati i meravigliosi personaggi di Remedios ('taluego!), si parte per CAYO COCO, che dista numerose ore di bus. I cayos sono gli isolotti corallini, quasi sempre sinonimo di turismo molto poco fai da te. Cayo Coco è collegato alla terraferma da una lunga strada, costruita recentemente scatenando le ire degli ambientalisti, vicino alla quale nidificano i fenicotteri. Prima di imboccarla vi è un posto di blocco per il controllo passaporti, poiché l'accesso è vietato ai cubani, i quali potrebbero approfittare della vicinanza con la Florida per prendere il largo e abbandonare il Paese per sempre; cosa che molti disperati hanno fatto, specialmente nel período especial, quegli anni successivi al crollo dell'Unione Sovietica in cui la situazione era veramente drammatica. In spiaggia apprendo dal titolare del baretto che ormai lo Stato chiude un occhio se un cubano coi soldi (ossia più ladro degli altri) viene qui previa prenotazione di un ristorante oppure pagando direttamente l'ingresso; l'importante è che se ne vada a las cinco de la tarde.
Questa spiaggia è davvero "un eden di sabbia chiara bagnato da acque cristalline", come potrebbe definirla un catalogo in agenzia viaggi, ma per il resto meno male che siamo rimasti un giorno solo. Intorno ci sono solo hotel a svariate stelle, grandi e costose strutture alberghiere spuntate negli ultimi anni e villaggi all-inclusive con discoteche gelide, prezzi da paura e turisti tristi. Dopo il bagno, le passeggiate, le noci di cocco, le foto da calendario e il corso di salsa improvvisata, arriviamo al resort e veniamo istantaneamente aggrediti da un nugolo di zanzare inferocite. Per cena non possiamo far altro che andare a mangiare al Sitio La Güira, che ricostruisce un vecchio villaggio di carbonai primo Novecento, e poi verificare l'inesistenza di alternative.
Purtroppo salta la prevista escursione all’isola di Cayo Guillermo, dove notoriamente Hemingway non faceva altro che pescare sulla sua barca chiamata “el Pilar”.
Dopo meno di 24 ore di apartheid turistico, si annuncia una giornata di lunghi spostamenti in bus, circondati dai campi di canna da zucchero che creano un gradevole tricolore blu cielo verde canna e rosso terra. Ci direzioniamo verso la provincia di Granma, che prende il nome dall'imbarcazione con cui i rivoluzionari cubani - tra cui Fidel Castro, Che Guevara e il partigiano italiano Gino Donè Paro - partiti dal Messico giunsero sull'isola nel 1956, con lo scopo di abbattere il regime di Batista.
Man mano che ci avviciniamo a CAMAGUEY, possiamo ammirare le campagne con i bufali, gli scintillanti torrenti e le maestose ceibe. Ci fermiamo per una sosta in quella che è la terza città dell'isola, nota per le sue vie perpendicolari tra le quali è facile perdersi. Per questo motivo una volta cambiati i soldi alla Cadeca, conosciuto l'ennesimo ballerino di salsa con sorella in Italia e visitato il mercato alimentare, è già tempo di correre al bus, parcheggiato nei pressi della stazione dei treni, schivando le migliaia di biciclette.

¡AL COMBATE, CORRED, BAYAMESES!
A BAYAMO alloggiamo in un hotel appena fuori dal centro. Come tutti gli altri alberghi che ci hanno ospitato durante il viaggio, appartiene alla Islazul, una delle cinque catene alberghiere dell'isola, tutte rigorosamente di proprietà statale. La Islazul è la più economica ed è aperta anche ai cubani, che infatti qui sono stravaccati nei pressi della piscina e pasteggiano ad Havana Club, ridendo sguaiatamente.
Questa città fiera e bellicosa fu, dopo Baracoa, la seconda città di Cuba ad essere fondata da Diego Velasquez, nel 1513. Qui inoltre è nato l’inno nazionale di Cuba, La Bayamesa, suonato la prima volta durante la battaglia di Bayamo del 1868 e scritto da tale Perucho Figueredo, che in quella battaglia combatté. Questa canzone è dedicata all’eroe nazionale Carlos Cèspedes, a cui è intitolata questa piazza nei cui paraggi ceniamo. Il paladar è dotato di una gradevole terrazza e ci serve piatti abbondanti e gustosi un po' diversi dal solito filetto di peccao o poio.
A due passi, poi, vi è la Casa de la trova, dove assistiamo a uno sbrigativo concerto dei soliti meravigliosi vegliardi. Qui conosco un cubano ciccione che ha una macchina fotografica impegnativa e sfoggia mazzette di banconote. E' accompagnato dalla sorella povera e dal cognato e mi offre un drink. Il mistero è presto svelato: qualche anno addietro ha vinto la Lotería del visa e ora vive a Miami. Questo programma speciale di migrazione, conosciuto anche come bombo, fu creato nel 1994 e ha permesso ad un certo numero di fortunati diplomati, con esperienza di lavoro e parenti negli USA, di emigrare negli Stati Uniti. Inutile stupirsi che il governo cubano lo avalli, considerando quanto le rimesse dall'estero contrbuiscano a non far crollare definitivamente l'economia.
La serata cerca di proseguire con un giro in calesse, ma stenta a decollare poiché i divertimenti paiono inesistenti o truffaldini ai pochi mondani ancora sobri.
Da Bayamo si può raggiungere il PARCO DELLA SIERRA MAESTRA, dove i turisti vanno a fare il trekking nelle stesse selvagge location in cui alla fine degli anni Cinquanta si rifugiarono i rivoluzionari di Fidel durante la lotta armata contro il regime di Batista. Dal PARQUE NACIONAL TURQUINO (che prende il nome dal monte più alto dell'isola), si può infatti raggiungere la Comandancia de la Plata, il quartier generale dell’esercito Rebelde a partire dal 1957.
Prima di tutto bisogna raggiungere Villa Santo Domingo, da dove partono le costosissime escursioni guidate (circa 30 euro, 4 in più se vuoi portarti la camera, com'è consuetudine a Cuba). Alex, la guida, ci fa presente che allo Stato non gliene importa nulla di abbassare i prezzi, tanto c'è il monopolio, e che a loro invece li pagano una miseria, quindi se non fosse per la nostra mancia lui col cavolo che continuerebbe a fare questo lavoro. Per arrivare fino al Salto de Naranjo, è indispensabile salire su una jeep in quanto l'eccessiva pendenza rende praticamente impossibile andarci a piedi. Qui siamo a quasi 1000 metri, la vista è spettacolare, fa freschino e si possono raccogliere i mandarini direttamente dagli alberi. Poi si parte per un trekking di circa tre chilometri, ammirando orchidee, piante di caffè e insomma le tipiche specie delle foreste tropicali. Infine, giunti nel quartier generale dei rivoluzionari, si possono visitare la capanna che veniva usata come ospedale, l'ufficio della stampa, il museo con la macchina per scrivere, le armi e gli altri oggetti appartenuti ai guerriglieri e infine la casa di Fidel; la struttura in legno è stata ricostruita, ma al suo interno ci sono ancora gli arredi originali: il letto, la scrivania, il tavolo e persino il frigorifero.
Sulla via del ritorno possiamo riposare in questo patio, su cui razzolano il tacchino e la tacchina, il pavone e la pavonessa, ed essere rifocillati dal caffè e dal tè che ci vendono i padroni di casa. Un ennesimo modo per campare.

SOMOS CUBANOS, ESPAÑOL Y AFRICANOS
L'escursione al parco è durata più del previsto, così quando arriviamo a SANTIAGO DE CUBA è già buio. Alloggiamo in un altro hotel Islazul, dove ci offrono un cocktail alcolico di benvenuto, che ci sta tutto vista la temperatura polare dell'aria condizionata. Noto che qui è possibile usare Internet, ma non ho la minima voglia di spendere sei CUC, che è il paradossale prezzo cubano per usare un collegamento lento come una lumaca. Dato l'orario tardo, ci dobbiamo accontentare di un'orrenda cena al self service: esteticamente brutto, provvisto di cibo scadente e popolato da esseri umani europei mostruosi.
Siamo appena fuori dal centro e chiamare un taxi non è facilissimo, ma prima o poi riusciamo a raggiungere la Casa de la Musica. Il gruppo non è male, ma l'ambiente è buio e freddo. Mentre sono fuori in strada a fumare, attacca bottone questo ragazzo che mi mette in guardia da quei personaggi che mi si avvicinano perché vogliono ottenere qualcosa da me. Anche lui - mi racconta - un tempo era così, ma adesso che ha fatto fortuna mi può addirittura offrire una birra. Brindiamo alla sua conversione - e soprattutto alle sue amiche che gli mandano i soldi dall'Europa.
Usciamo a piedi, passiamo davanti alla Cattedrale e raggiungiamo la Casa de la trova, un posto molto più accogliente, luminoso, con una lunga balconata e la gente già su di giri. Io me ne sto buona buona al bancone, mentre le amiche conoscono un paio di validi negroni che ci portano ad un concerto in una piazza nei paraggi: poiché qui non ci sono praticamente turisti, posso rendermi conto che il colore di pelle predominante è diventato sempre più scuro man mano che ci spostavamo dall'Avana all'Oriente. Nonostante questo, a Cuba ci sono molti meno neri rispetto alle altre isole delle Grandi Antille, poiché qui non ci sono mai state grandi piantagioni in cui impiegare gli schiavi africani.
Al mattino raggiungiamo il CASTELLO DEL MORRO, una bellissima fortezza spagnola risalente al 1600. La posizione fa sì che si possa godere di una stupenda vista sul mare e sul cayo Granma che sta di fronte, attraverso i ritagli delle finestre e delle feritoie con i cannoni davanti. Dentro c'è un museo sulla pirateria che ci illustra la differenza tra pirati, filibustieri, corsari e bucanieri, tutti personaggi con cui questa città ha avuto a che fare per lungo tempo.

HOSPITALARIA HOY
Il pomeriggio è dedicato alla città di Santiago: rebelde ayer, hospitalaria hoy, HEROICA SIEMPRE, come avvertono i manifesti. Dalla cattedrale si giunge al porto, percorrendo vie in discesa ripida, con sosta presso una casa privata che forse è anche un paladar (fatto sta che ci vendono un paio di birrette). Comodamente seduti all'ombra in questo terrazzino con stupenda vista mare, facciamo conversazione con il padrone di casa che ci racconta come funziona il mercato nero: il pesce e il manzo - monopolio dello Stato - praticamente sono inavvicinabili, dati i prezzi, mentre del pollo e del maiale, più economici, ne hanno le tasche piene. E anche in merito al fabbisogno nazionale non si scherza: sono costretti ad importare anche cibi di base come il riso.
Ci spingiamo attraverso il quartiere francese fino alle zone più popolari. E' la vigilia di Capodanno e gli abitanti lavano le auto (chi le ha), ballano per strada, arrostiscono maialini da latte in ogni dove e fanno la fila per comprare birra alla spina. Il cubano è sempre in coda: loro hanno la libreta che sarebbe la tessera con la quale lo stato, a prezzi molto bassi, gli vende alcuni prodotti. Le quantità e la scelta di tali beni di prima necessità lasciano molto a desiderare (e a quanto pare anche i tempi di consegna). Per quanto giustamente si lamentino di tutti questi fattori negativi, grazie alla libreta la gente non muore di fame, come accade altrove.
Dal centro mi avvio a piedi in albergo; ho voglia di camminare senza fine e senza scopo, guardandomi intorno. Quasi giunta a destinazione, vengo inavvertitamente accalappiata dal giovane guardiano dello zoo più triste della terra. Lui e il suo collega mi mostrano questi poveri animali ingabbiati, che pare che non se la passino benissimo (soprattutto i leoni, che hanno la fossa vicina alla mia stanza, e lanciano delle urla da film dell'orrore, che già la notte precedente mi avevano fatto venire brividi su tutto il corpo). Il guardiano mi spiega che fanno così perché sentono l'odore dei maialini arrostiti in ogni dove e gli viene l'acquolina in bocca. Questo ragazzone ha poco meno della mia età e ha già un figlio ventenne, dice che loro fanno tutto in fretta e furia.
Ordino un refresco al tavolino vicino alla piscina dell'hotel. Un gruppo di italiani sta festeggiando rumorosamente il nuovo anno all'orario italiano (sono infatti le sei di pomeriggio). L'attempato bagnino si avvicina con cortesia e come ormai è abitudine entro cinque minuti è innamorato perso. Mi spiega che la sua sofferenza è di non potermi invitare a cena, perché non potrebbe permettersi di pagare il conto. Tutti in questo Paese preferiscono lavorare a contatto con i turisti perchè le mance, anche le più irrisorie, per loro sono superiori alla paga di una giornata di lavoro. Il paradosso è che un insegnante guadagna molto di più se fa il lavapiatti.
"Cenone" al paladar, dove ordino il cerdo per sentirmi in linea con la tradizione, senza preventivare che quella carne dura e immangiabile non avesse nulla a che fare con quei succosi maialini che avevo visto girare su se stessi per tutto il giorno. Per l'ultimo dell'anno è allestito un sontuoso concerto nella Piazza centrale. Sulla terrazza dell'hotel Casagranda (dove alloggiava Graham Greene mentre scriveva Il nostro agente all'Avana), oltre agli avanzi del cenone, è spiaggiato un triste repertorio di facce sfatte di turisti anglosassoni che indossano ridicoli cappellini, trombette e stronzate analoghe. Poiché non siamo cubani, possiamo andare a berci un paio di piña colada al bancone in tutta tranquillità. A mezzanotte esplodono i fuochi d'artificio.
Alla Casa de la trova chiacchiero con il nipote di Ibrahim Ferrer (il cantante dei Buena Vista Social Club dagli occhietti vispi e la voce flebile, che ebbe successo a tarda età), bevo un paio di drink e poi, come capita a tutti i turisti, vengo abbordata. Questo mulatto qui si chiama Angelo, ma lo hanno soprannominato Leonardo poiché, oltre ad essere un pittore, è anche un inventore come Leonardo da Vinci. I negri sono eccessivi in tutto - si lamenta - non sono raffinati. Angelo se ne vuole andare da Cuba, e io gli dico che sono sicura che cambierà presto la situazione, anche se sinceramente non so se il cambiamento sarà per forza una cosa positiva. Naturalmente dopo manco cinque minuti è innamorato anche lui a prima vista. E dunque te quiero, te deseo e - in poche parole – sono già pronte le bomboniere. E qui il problema è serio perché questi cubani sono davvero di una dolcezza disarmante a cui non siamo più abituati e qualcuno ci crede davvero di essere amato per l'eternità.
Non si sa come, ma riusciamo a raggiungere l'habitacion con un taxi abusivo, che poi è il solito carro rosso degli anni Cinquanta, che da fuori è stato riverniciato tante di quelle volte che è sicuramente diventato più voluminoso di quello che era, ma dentro è un ammasso di ruggine e pezzi ricavati da chissà quali altri mezzi meccanici che per la grazia di dio si tengono ancora assieme.

CENT'ANNI DI SOLITUDINE
Oggi ci attende l'ultima tappa: BARACOA, la capitale del cacao, che occupa la punta più orientale dell'isola.
E' faticoso spingersi fin qui ma il paesaggio è sicuramente il più piacevole paesaggio tropicale che io abbia mai visto fino ad oggi. Superata Guantanamo, fuori dal finestrino cominciano a scorrere i cactus, i palmeti e le coste scoscese (uguali a quelle del Gargano) della costa Imías finché si è costretti a tagliare nell'interno percorrendo la serpeggiante strada La Farola (A caballo vamo’ pa’l monte, a caballo vamo’ pa’l monte). Man mano che ci si avvicina, la vegetazione diventa sempre più verde brillante di palme da cocco, banani, mango, guaiava, caffè e cacao.
Baracoa fu la prima capitale cubana quando Diego Velazquez arrivò dalla Spagna nel 1511 ed è rimasta isolata dal resto dell'isola per circa 450 anni. Poiché sorge su un promontorio, infatti, fino agli anni ’60 era raggiungibile solo via mare ed è tuttora circondata da una giungla rigogliosa. A molti ha fatto pensare a Macondo, il favoloso villaggio immaginato da Garcia Marquez nel suo romanzo Cent'anni di solitudine.
Arriviamo a mezzogiorno e ci sistemiamo presso la casa particular di Rafael e Yasmine. A lui in paese lo chiamano El Gordo a causa della sua enorme stazza, e quando lo dicono allargano un po' i gomiti. Lei si chiama Yasmin perché negli anni '70 andavano di moda i nomi di donna che inizano con la Y. Entrambi al momento hanno lasciato i loro precedenti lavori e si occupano solo della casa, per cui si sono specializzati nella cucina e nella preparazione di cocktail: el Gordo - si autopubblicizza - prepara il miglior mojito che abbiamo mai assaggiato in vita nostra. ¡No me digas!
Tempo di mettersi il costume e si va alla PLAYA MAGUANA, a circa 20 km. Sulla strada si apprende che c'è una fabbrica di cioccolato fondata dal Che in persona. La spiaggia è bianca e palmosa, non ci sono strutture di cemento che la rovinano e il mare è ottimo per un bagnetto. Peccato i tedeschi alcolizzati e sbruffoni che frequentano il bar, le scrofe che ficcano il muso negli zaini rubando pacchi di crackers interi e pisciano sugli asciugamani, i cani randagi e i venditori di noci di cocco, oggetti in legno, cacao, pesce e quant'altro, che non ti lasciano un minuto in santa pace. Al calare del sole raccattiamo le nostre cose e ce ne torniamo in città.
Si è capito che la cena in casa è sempre la miglior soluzione: in grandi quantità ci servono zuppa di fagioli, filetto de peccao, insalata di pomodori lattuga e cavolo, banane fritte e postre.
Il dopocena comincia alla Casa de la trova, piccola ma molto accogliente e movimentata, dove si alternano concerti dal vivo sin dal pomeriggio. Poi seguo questo tipo - amico dell'autista - col cappellino a visiera e la collana invadente, che già al mattino era salito sull'autobus a fare il di più. A dirla tutta non mi sta tanto simpatico: forse è una questione di pelle, o forse perché è intelligente e si approfitta dei turisti cazzoni. Fatto sta che andiamo sulla Terrazza, che è un altro locale poco distante, dove acquista una bottiglia di ron blanco per 5 cuc, che prodigalmente mi offre. In realtà il tipo non è affatto un rompicoglioni come gli altri, ma purtroppo è accompagnato da un insopportabile amico ciccione interamente vestito di bianco, così sono costretta ad abbandonarli al loro destino e a seguire lo spettacolo in solitudine. Lo show era condotto da un presentatore pomposo e proponeva una quantità di balletti supercoreografici pieni di molti culi e tette in movimento.

NO QUIERO APRENDER A BAILAR
Al mattino andiamo al PARCO DELLO YUNQUE, che è una montagna con la sommità piatta, già citata da Colombo nel diario del suo primo viaggio. Volendo si può anche raggiungere la cima, tanto è alta meno di 600 metri, ma noi ci accontentiamo di un'escursione nei suoi dintorni di foresta vergine, piante rare e piscina naturale. La passeggiata è molto facile e piacevole e la nostra guida, un negro che negli anni '80 - insieme a tanto altri sfigati - fu spedito da Fidel a combattere in Angola, ci mostra le specie tipiche come il fiore mariposa (simbolo di Cuba), la papaya, l'ananas, un fiore rosso che contiene un colorante naturale, e vari uccelli tra cui il colibrì. La terra rossa tende ad essere molto fangosa nella stagione delle piogge, ma oggi non dà problemi. La montagna a forma di incudine si intravede ogni tanto tra le palme, finché non arriviamo al fiume. Qui bisogna prima togliersi tutti i vestiti, poi guadare stando attenti a non bagnare la borsa e soprattutto a non farsi spazzare via dalla corrente. Potrebbe infatti capitare di poggiare male il piede sui ciottoli arrotondati e scivolare perdendo una o più ciabatte. Il bagno in questa pozza d'acqua freschissima è la solita meraviglia di tuffi e paesaggio e massaggio sotto la cascata.
Al ritorno ci fermiamo nuovamente sulla spiaggia Maguana, dove prendiamo posto in una zona più defilata e dunque poco permeabile alle seccature del giorno prima. Però il cielo è coperto, si alza un venticello fresco e l'acqua non invita al bagno, così mangiamo un perro caliente all'ombra e passeggiamo, prima di tornare a Baracoa.
E' ancora giorno così si può visitare la cittadina, tranquilla e affascinante. Al centro c'è la Catedral de Nuestra Señora de la Asuncion, che custodisce la croce che probabilmente Cristoforo Colombo piantò sulla spiaggia di Baracoa nel suo primo viaggio, oppure - più verosimilmente - che qualche altro spagnolo dell'epoca portò dall'Europa. Di fronte alla chiesa c'è il busto del capo indio Hatuey, il primo guerrigliero cubano, che all'inizio del 1500, dopo mesi di strenuo combattimento in difesa del suo popolo, fu torturato e ucciso sul rogo dagli spagnoli.
Passeggiando senza meta si incontrano gallerie d'arte e centri culturali, murales e fiancate di legno dipinto, locali e bancarelle, corsi di salsa frequentati da tardone con ballerini carini e turisti europei rapiti dall'atmosfera. Andando verso il mare capitiamo casualmente in una strada panoramica dalla quale si ammira tutta la baia arrossata dall'atardecer, con quel trapezio dello Yunque a fare da guardia e un relitto abbandonato nel mezzo. Proseguendo si arriva al Malecon, guarnito da orrendi palazzoni, alcuni dei quali sventrati dal terribile uragano del 2008.
Alla Casa de la trova già suonano, così mi fermo con i capelli ancora bagnati. Un gruppo di ragazzi del posto vuole insegnarmi a suonare il guiro, anche perché hanno capito che di ballare proprio non ne voglio sapere. In realtà non riescono a capacitarsi di questo mio disinteresse. Uno di loro, che mi accompagna a fare due passi, mi confessa che, anche nei suoi momenti più tristi, la musica lo rende felice e gli fa scordare tutti i guai. Non riesce a star fermo, ce l'ha nel sangre! Non capisce come è possibile che io non lo senta allo stesso modo. Naturalmente è disperato perché l'indomani partirò e tutte le volte è così e come sono sfortunato e insomma il melodramma incombe. Ma se ci stiamo parlando soltanto da due minuti!
Stasera si cena fuori, al Colonial, con la solita monotona scelta tra peccao, langota, poio e serdo, l'insalata mista di verdura cruda (lattuga pomodori cetrioli cavolo) e il riso con fagioli neri piccoli, chiamato Moros y Cristianos. Di nuovo alla Casa de la trova e di nuovo alla Terrazza, ma stasera pioviggina e io mi sono rotta il cazzo degli occhi da pesce lesso, di quelli che vogliono insegnarmi a ballare e di tutta questa gente che dice sempre le stesse cose e del presentatore pomposo e del tizio col cappellino e del suo amico vestito di bianco e del rum e dei culi a mongolfiera dentro ai pantaloncini corti. E insomma vado a dormire.

TRISTE SOLITARIO Y FINAL
A colazione, mentre bevo un ottimo frullato di fruta bomba (papaya), faccio conversazione con Rafael. Guardando il mio passaporto, mi comunica che siamo nati lo stesso giorno. Ci tiene che io sappia che il 10 ottobre è una data simbolica molto importante a Cuba, perché in quella data nel 1868 il dueño Carlos Manuel de Céspedes liberò tutti i suoi schiavi al suono della campana dell'ingenio e da lì ebbe inizio la lotta contro la dominazione spagnola.
Sul lungomare nuvoloso, prima di partire, un nodo in gola mi prende mentre dal bar sparano a tutto volume un pezzo di Ramazzotti che canta in spagnolo. Con gli occhi lucidi osservo gli abitanti di Baracoa, pazientemente in fila per le galletas, e la tenerezza mi invade guardando Pedro che, accanto al bus Viazul, sorride nonostante la stanchezza, mentre si abbottona la camicia azzurra da autista, che ha appena indossato sopra la canottiera verdone. Sta per accompagnarci a Santiago; in serata ci lascerà all'aeroporto, dove ci attende un volo interno per l'Avana.
La strada è la stessa dell'andata, con i cactus e la costa scoscesa e le folte palme e la sosta nell'anonima periferia di Guantanamo per mangiare le pizzette al formaggio dalla consistenza cementizia. Nel bus intanto si accumulano banane e mandarini per la famiglia di Pedro.
Sulla strada è un continuo di manifesti di propaganda governativa, che per esempio vorrebbero far venire voglia di lavorare grazie a queste simpatiche formicone che recitano: Nos trabajamos y tu?
Ma se questi non hanno voglia di lavorare! - continuano a ripetere sprezzanti gli ultimi della classe, seduti in fondo all'autobus. Guardate - proseguono - più della metà delle terre sono incolte. E poi li vedi sempre a ciondolare e a fare un cazzo. Che poi, prima avevano l'Unione Sovietica, adesso hanno la Cina che li aiuta. Troppo comodo. Cominciate a dissodare tutti questi terreni abbandonati invece di grattarvi il culo.
E io mi chiedo perché l'essere umano dovrebbe aver voglia di lavorare. In un mondo normale, non dovrebbe essere vietato sprecare un terzo della nostra vita per il lavoro?
Ad un certo punto ci fermano ad un posto di blocco. Si presenta un omino con in mano un enorme motore diesel travestito da disinfestatore. Ci dicono che c'è un'epidemia di dengue: i compagni di bus, dopo aver letto cos'è la dengue sulla guida, si spruzzano litri di autan.
Mi sveglio a SANTIAGO, in plaza de la Revolución, davanti al monumento equestre ad Antonio Maceo, una statua circondata da venticinque lame di machete. Ci fermiamo solo pochi minuti per scattare qualche foto e poi veniamo abbandonati in centro dove verrà a riprenderci Pedro.
Questa passeggiata domenicale è nuvolosa e malinconica, ci prendiamo un refresco alla Casa del tè e lì compare questo rasta che nell'ordine ci propone: marijuana, cd del suo gruppo reggae, ragazze/i. Poi scrocca la birra. Infine spunta fuori questo bambino piccolo che necessita il latte in polvere. La pazienza ha un limite.
Lunghe attese all'aeroporto "Antonio Maceo". Arriviamo all'hotel dell'Avana al solito orario improponibile dopo esserci congelati letteralmente, visto che c'erano circa 20 gradi di differenza tra il profondo oriente meridionale di Santiago e la latitudine dell'Avana, che sta esattamente sopra al Tropico del Cancro.

MAOMENO
L'ultimo giorno, un taxi collettivo con un CUC mi porta al centro dell'AVANA. Al Capitolio stazionano una quantità di personaggi che si arrangiano come possono e che dobbiamo allontanare con la forza per poter tornare l'ultima volta all'Avana vecchia. Oggi ci sono molti più turisti del 23 dicembre, mentre i ragazzi cubani sono già tornati a scuola.
Mi rendo conto che non ho comprato nemmeno un souvenir e così investo i miei ultimi CUC in qualche oggettino fatto per i turisti (che gli manca solo la scritta sopra "sono un souvenir di Cuba", anzi forse ce l'hanno): portacenere e calamite in terracotta dipinta, biciclette e aeroplanini in latta riciclata, cappelli del Che e borsette stampate in cotone scadente. Pranzo con un perro caliente da 10 centesimi di euro e poi bevo con Ana una pinta di birra al bancone di legno, tra chitarre e contrabbassi appoggiati per terra, a chiarire i punti di vista sulle cose.
Lazaro ci aveva dato appuntamento alle 3 ma arriva circa due ore e mezza dopo, nonostante possieda un orologio digitale parecchio ingombrante. La casa si è allagata, si giustifica. E sì, perché in questo paese pieno di cervelloni, l'acqua è razionata e arriva - se va bene - due volte al giorno e gestire queste cisterne casalinghe a volte è un problema. La paranoia di dieci giorni fa è, se possibile, aumentata. Continuiamo a maledirci per non aver portato almeno uno dei vari cellulari vecchi e da buttare che abbiamo nelle nostre case italiane. Seduta accanto a lui sulla scalinata dell'Università dell'Avana, con in mano un libro di Graham Greene tradotto in spagnolo, mi chiedo come si fa a vivere senza acqua ma con l'armadio pieno di scarpe All Star. Come si fa a guadagnare 10 euro al mese e spenderne 150 per comprare un cellulare. Come si fa a diventare il più grande neurochirurgo di tutti i tempi e studiare su libri così vecchi. Come si fa a vivere in un mondo che ci mette in testa dei desideri così poco naturali, e poi magari non ci permette nemmeno di esaudirli.
E mentre guardo i muri scrostati, i ragazzi che giocano a pallone, il cielo nuvoloso che incombe, mi domando in cosa consisterebbe secondo loro questa justicia tanto sbandierata e fino a quale victoria, precisamente, dovrebbero combattere, quando invece tutti sappiamo come andrà a finire e andrà a finire nel solito modo e in quello sì, che stiamo diventando tutti uguali, come qualcuno sognava.
Alle sette NON arriva il bus prenotato per l'aeroporto, per cui ci imboschiamo in un altro guagua che stava caricando della gente. All'aeroporto "Josè Martì" della capitale cubana, giusto per rendere l'idea della temperatura interna, avevo tirato fuori il piumino invernale.
Il ritorno non me lo ricordo, mi sa che ho dormito siempre. E forse ho pensato al puzzle da finire. Al fatto che il cuba libre non si fa con la Coca Cola ma con la Tu Kola, ad esempio. Oppure che a scuola gli insegnano gli scacchi, forse perché piacevano al Che. Magari mi sono chiesta come mai in quasi tutto il mondo giocano a domino, tranne che in Italia. Potrei aver pensato al motivo per cui usano barricarsi in casa con quelle grate così elaborate, nonostante il numero di furti sia relativamente basso. Avrò pensato alla incomprensibile passione per il baseball, o al fatto che assomigliano tanto ai nostri ragazzi di provincia, tanto fissati con le marche pacchiane. Mi sarò domandata se è meglio avere i muri tappezzati con le frasi poetiche del Che oppure le città piene di manifesti di femmine provocanti in biancheria intima e faccioni rivoltanti di politici.
O forse avrò semplicemente dormito, mentre sulle palpebre chiuse scorrevano i sorrisi di tutti quelli a cui basta veramente poco. Maomeno.

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