Kia ora! – Nuova Zelanda parte prima

Auckland, l’estremo nord, la Bay of Islands e la culla dei Maori

Dal tempo del viaggio in Australia (ottobre 1998) mi era rimasta la voglia di andare oltre, raggiungere una meta ancora più distante, anzi la più distante in assoluto: la Nuova Zelanda. Su quel Paese, di cui noi “dell’altro emisfero” conosciamo tutto sommato poco e che ai tempi della scuola ci era descritto come curiosamente simile alla nostra Italia, quanto a superficie e per la forma vagamente a stivale, sapevamo pochino, a parte che è ubicato esattamente agli antipodi rispetto a noi. Come dire che un ipotetico foro perpendicolare al terreno praticato all’altezza, per esempio, di Bologna e passante per il centro esatto della Terra sbucherebbe in qualche punto della Nuova Zelanda: planisfero, mappamondo e tabella delle coordinate alla mano, quel punto cadrebbe più o meno tra Queenstown e Milford Sound nell’isola del Sud.
Finalmente sarebbe giunto il momento di intraprendere l’ennesimo viaggio, piuttosto laborioso nell’allestimento del gruppo, fluttuante nel corso dell’organizzazione tra le due persone (io e Walter) e le sei. In un’altalena di adesioni e rinunce, si sarebbe infine compattato in quattro elementi, appunto Walter e il sottoscritto con l’aggiunta di Enzo e Marina, tutti ottimi amici di viaggio e di vita dall’affiatamento ben collaudato.
Eccoci così pronti, a fine gennaio 2004, ad entrare in contatto con i simboli del Paese più lontano, alcuni trasudanti mito al solo sentirne il nome: i Maori, la Haka, gli All Blacks del rugby, la felce, il kiwi, in tempi più recenti l’America’s Cup di vela e la saga del Signore degli Anelli.
Tutti pronti a balzarci incontro fin dal nostro ingresso nell’aeroporto di Auckland, dove già nell’atrio arrivi spicca quel “Kia ora!” (benvenuto!) destinato a diventarci subito familiare.

DOCUMENTAZIONE
Come d’abitudine, ci siamo attivati con circa un paio di mesi d’anticipo nella consultazione di guide, mappe e siti internet (splendido il portale Pure New Zealand, vedi Links).
Per quanto riguarda le prime, ci siamo documentati su:
- Lonely Planet: inutile tesserne ancora una volta le lodi, è la più esauriente, quella da tenere sempre in borsa o nel cruscotto dell’auto per la grande quantità di notizie pratiche; puntualmente abbiamo trovato rispondenza tra le informazioni fornite e quanto riscontrato nella realtà, sia in fatto di alloggio che di ristorazione ed operatori turistici locali.
- Mondadori: valida per le descrizioni, se pur sintetiche, dei luoghi di visita; utile la presenza di moltissime foto, piccole ma di qualità ed esplicative, e degli schemi delle eminenze architettoniche, delle aree di interesse e degli itinerari.
- Touring Club Italiano: può essere letta prima del viaggio ad integrazione delle precedenti, ma la reputo limitata “sul campo”; è carente nell’indicazione degli operatori in loco e la sezione delle strutture ricettive è stringata e orientata sulla fascia di prezzi medio-alti.
Quanto alle mappe, tra le poche reperibili in Italia, abbiamo scelto quella della Freytag & Berndt, scala 1:1.600.000. Sul posto, sarebbe stata poi sostituita da una documentazione di viaggio persino ridondante, disponibile gratuitamente anche negli angoli più remoti della Nuova Zelanda: agenzie di noleggio auto, Uffici Turistici, Visitor Centres, ma anche stazioni di servizio, centri commerciali, supermercati, librerie, receptions di alberghi, motels e ostelli.
Gli apparati cartografici più diffusi sono in particolare due:
- Touring Map della AA (l’equivalente del nostro ACI), in una serie di nove fogli;
- Route Planner della Jasons, suddivisa in cinque tavole: Auckland & Northland, Central & Eastern North Island, Lower North Island, Top & Central South Island, Southern South Island. Sono quelle che ho sempre usato come “navigatore” nel corso dei 6580 km. percorsi in automobile.
Entrambe le serie riportano riferimenti a luoghi di visita e strutture ricettive presenti sulla mappa e sul retro le piante delle principali città.
A queste si aggiungono mappe tematiche (ad esempio gli itinerari lungo “scenic routes”, zone storiche o vinicole) e una miriade di opuscoli locali che fanno scoprire attrattive meno clamorose ma spesso interessanti.

PROGETTAZIONE DEL VIAGGIO
Come nostro solito, abbiamo cercato di individuare, guide e mappa alla mano, i luoghi che maggiormente caratterizzano il Paese che ci accingiamo a visitare. Il compito è tutt’altro che semplice sulla carta, tanto più che la Nuova Zelanda presenta un territorio articolato come pochi altri. Sviluppo e condizioni delle strade, norme di circolazione, orari e modalità di traghetti e percorsi di visita, rischio di non trovare, in certe zone, disponibilità di strutture ricettive, rendono laboriosa, a distanza (e che distanza!), una programmazione precisa giorno per giorno; si aggiunga la grande incostanza del clima (vedi capitolo relativo) e si capirà che difficilmente si possono fissare le attività e i luoghi di tappa in un arco di tempo superiore ai due-tre giorni successivi.
Ho la consuetudine di preparare in anticipo una fotocopia della carta stradale, sulla quale “pasticciare” evidenziando, mano a mano che li individuo sulla guida, i luoghi di interesse e trascrivendo a fianco una sintetica descrizione. Mi sono reso conto di averne riportato tali e tanti da rendere necessari due mesi anziché i 23 giorni a nostra disposizione!
Evidentemente solo “sul campo” è possibile fare le debite scelte e le conseguenti rinunce. Tra le mete primarie del viaggio è però “saltato” solo il volo in mongolfiera, cosa molto frequente per la criticità delle condizioni atmosferiche che ne subordinano l’effettuazione. Per il resto, abbiamo realizzato quasi totalmente quanto programmato.Sarebbe sufficiente una sola parola, da scegliere tra instabile, incostante, variabile, mutevole, inaffidabile e simili.
Sbrigativamente, trovandosi esattamente agli antipodi, si potrebbe supporre che basti invertire le stagioni: nella nostra fattispecie, febbraio europeo uguale agosto neozelandese. La realtà è ben più complessa: l’Italia è infatti protetta a nord da una cerchia di montagne che fanno barriera alle correnti da nord e su tre lati da un mare chiuso, relativamente piccolo e perciò abbastanza calmo e temperato; la Nuova Zelanda è invece circondata da mari sterminati, profondi e freddi (la terraferma più vicina, l’Australia, dista in linea d’aria quasi 2000 km) ed è punto d’incontro di correnti da ogni direzione, tanto da rendere problematiche previsioni a medio-lungo termine. Le temperature sono quindi, a parità di stagione, alcuni gradi al di sotto di quelle italiane.
Nei 23 giorni della nostra permanenza, abbiamo continuamente assistito a ripetuti cambiamenti delle condizioni meteorologiche nell’arco della stessa giornata e sbalzi in poche ore dal sole cocente al fresco e talvolta freddo.
La costante presenza, sia nell’isola del Nord che in quella del Sud, di acque, sotto forma di laghi, fiumi, cascate, mare con forti maree, unitamente a una vegetazione spesso fitta, produce in alcune zone un grado di umidità talvolta elevato.
Quanto sopra condiziona comprensibilmente il bagaglio (vedi “In valigia”).L’ho detto, il bagaglio è conseguenza del clima. Bisogna essere pronti e attrezzati ad ogni variazione, visto il territorio neozelandese si sviluppa in latitudine per quasi 14 paralleli, tra il 34° e il 47°, quasi 1500 km tra Cape Reinga a Nord e South Cape nella Stewart Island: ad emisferi invertiti, sarebbe come dire Zurigo e Tripoli! Presenta quindi una varietà di ambienti che spazia dalla foresta pluviale e le spiagge tropicali alle montagne di oltre 3000 metri e i ghiacciai.
Servirà quindi un guardaroba decisamente pratico e informale, dato che per la prevalenza di attrattive ambientali-naturalistiche i capi eleganti non hanno senso: da un lato le magliette, i calzoncini corti, il costume da bagno e i sandali, dall’altro camicie a manica lunga, maglioni/pile, giacchetta a vento, scarponcini.
Indispensabili mantella impermeabile e ombrello, sempre a portata di mano nell’abitacolo dell’auto o nello zainetto.

PRECAUZIONI SANITARIE
La Nuova Zelanda è un Paese di elevato livello igienico-sanitario e nessuna vaccinazione è obbligatoria né consigliata. Raccomando però vivamente validi repellenti per insetti: sempre a causa della forte presenza di acque, le zanzare sono un po’ dappertutto, ma ancora più fastidiosi sono dei minuscoli moscerini (localmente chiamati sunflights) che al tramonto si abbassano al livello del terreno ovunque ci sia erba o vegetazione e in breve ci si può trovare cosparsi, dal ginocchio in giù, di piccole punture che causano prolungato prurito; fare attenzione perché pungono anche attraverso le calze!Come accennato, la Nuova Zelanda offre una grande varietà di attrattive. Un’ipotetica persona che la scegliesse come meta del suo primo viaggio lontano da casa può trovarvi un campionario di habitat e paesaggi talmente ampio da rendere questo Paese una specie di “catalogo” di cose da vedere sparse un po’ in tutto il mondo. Si passa dalla foresta pluviale alle spiagge tropicali, dalle grandi estensioni a pascolo alle colline, dalle montagne severe coperte da nevi perenni e ghiacciai alle coste di forma tormentata spazzate dal vento e dalle onde, fino alla grande quantità di acque che danno luogo a fiumi, cascate, rapide, laghi, fiordi, senza dimenticare una fauna in certi casi unica, la gradevolezza dei piccoli centri abitati e la vivacità delle città medie e grandi.
Noi abbiamo dedicato le giornate dal 31 gennaio al 10 febbraio alla North Island, siamo poi passati alla South Island fino al 20, concludendo con gli ultimi tre giorni di nuovo al nord.
Con il senno di poi, sarebbe stato il caso di trascorrere un paio di giornate in più nell’isola del sud sottraendoli a quella del nord. E’ quello che consiglio a chi legge questo resoconto e che noi non abbiamo potuto fare per due ragioni:
- l’esigenza di trovarci il 6 febbraio al più importante evento dell’anno, il Waitangi Day, cosa che ci ha fatto soffermare nella zona un giorno o due più del necessario;
- l’indisponibilità, in quel periodo, del volo di ritorno da Christchurch, cosa che ci avrebbe fatto risparmiare i 972 km. di strada (giusto le due giornate di cui sopra) per tornare da quella città ad Auckland.
In questa prima parte del resoconto riporto il diario delle giornate dal 31 gennaio al 5 febbraio, dedicate, dopo una breve visita di Auckland, alla regione del Northland che dalla metropoli si spinge fino a Cape Reinga che ne è l’estremità settentrionale; all’andata abbiamo seguito la costa occidentale per poi percorrere al ritorno quella orientale fino a raggiungere la Bay of Islands e la zona circostante, degna di nota, oltre che per le bellezze naturali, per essere considerata la culla dei Maori: all’area abbiamo dedicato tre giorni, anche per la concomitanza con il Waitangi Day, celebrazione Maori per l’anniversario del trattato del 1840 con gli Inglesi e per noi inestimabile “valore aggiunto” del viaggio.
Giovedì 29 - Sabato 31 gennaio 2004
VOLO GENOVA - MUNCHEN - BANGKOK - SYDNEY - AUCKLAND

Lasciamo il suolo genovese e italiano alle 18.20 del 29 per toccare quello di Auckland alle 13.30 del 31. In mezzo ci sono tre cambi di aereo con relativo girovagare in altrettanti aeroporti (fantasmagorica la scena polare in quello di Munchen, con la pista ghiacciata e i camion con le pompe di vapore a scongelare le ali dell’aereo!); e poi la vita di bordo, con la solita sequela di spostamenti delle lancette dell’orologio, incerti pisolini, films proiettati quando si ha fame, pasti serviti quando si ha sonno, di tanto in tanto qualche turbolenza come diversivo di una traversata peraltro tranquilla, andando verso est in un inseguirsi di albe. Stiamo in ballo quasi 31 ore complessive, ma all’andata la curiosità di scoprire un Paese nuovo fa pesare meno la stanchezza e il jet-lag. Più dura, come al solito, sarà al ritorno…

Sabato 31 gennaio
AUCKLAND

Ad Auckland sta piovigginando con qualche squarcio di sereno: sembra la sintesi delle condizioni meteo che caratterizzeranno l’intera vacanza. Le formalità doganali, anche se prevedono diversi varchi, non sono particolarmente rigide, tranne l’attenzione alla presenza nei bagagli di generi alimentari, che si è obbligati a cestinare per sventare il rischio di importare insetti, parassiti o elementi infestanti per l’agricoltura e l’allevamento.
All’esterno dell’aeroporto sono in servizio numerosi pullmini da 10-12 posti, dotati di carrello portabagagli, che per 10 NZ$ a testa smistano i viaggiatori ai vari alberghi e ostelli della città, che da qui dista 21 chilometri.
Sono le 15 in punto quando entriamo nell’Auckland City Hotel, al 131 di Beach Road, nella zona est del centro cittadino al limite del sobborgo di Parnell. Le due stanze riservateci, al prezzo di 79 NZ$ l’una per notte, non sono granché, piuttosto piccole e umidicce, ma sono le incognite delle prenotazioni a distanza. Niente di grave comunque: fatto un riposino e una buona doccia, eccoci poco dopo le 17 alla scoperta della Nuova Zelanda.
Come già accertato, in questa via hanno sede parecchie agenzie di affitto auto, in pratica allineate l’una all’altra: hanno chiuso da pochi minuti, ma domani, benché domenica, l’apertura è prevista alle 8 e ci dedichemo alla ricerca della vettura che ci scarrozzerà per i prossimi 23 giorni.
Da qui, il Waterfront, la zona portuale, dista non più di un quarto d’ora a piedi, così ci rechiamo decisamente a “toccare con mano” quel mondo che abbiamo conosciuto sugli schermi televisivi tramite le cronache notturne dell’America’s Cup. Nonostante la giornata uggiosa, il colpo d’occhio è molto piacevole, con il bell’edificio in arenaria del Ferry Building, il Viaduct Basin, complesso di luoghi di ritrovo ricavato dalla riconversione di edifici industriali, e il bacino portuale, dove sono attraccate le imbarcazioni che hanno rappresentato New Zealand delle ultime due edizioni della kermesse velica: a prezzi “adeguati” è anche possibile effettuare su di esse brevi escursioni. Il Golfo di Hauraki, campo di regata delle gare, ci è purtroppo precluso dalle nuvole e dalla foschia.
Princes Wharf è il molo d’imbarco delle crociere e ospita una lunga sfilata di bar e ristoranti. Non siamo particolarmente affamati, più che altro ancora un po’ intontiti e, giusto per sederci e sfuggire al vento tagliente (e pensare che Enzo, ottimisticamente, ha indossato i calzoncini corti…), prendiamo posto in un locale molto vivace e affollato, la Wildfire Churrascaria, cucina brasiliana che ha la sua carta vincente nel churrasco: con 39,90 NZ$ si accede alla formula all you can eat, nel senso che si può mangiare illimitatamente i succulenti spiedi di carni varie che escono in continuazione da un focolare fiammeggiante che occupa l’intera parete di fondo della sala. Non siamo però in vena di scorpacciate e rimandiamo a domani sera, limitandoci a quattro diverse portate di pesce, decisamente appetitose e che suddividiamo da buoni amici piluccando un po’ dall’una e un po’ dall’altra.
Alle 22 ci sprofondiamo in branda, dove piombiamo in un sonno di sasso senza avere nemmeno il tempo di dire “buonanotte”!

Domenica 1 febbraio
AUCKLAND

Dopo una buona colazione nel ristorante-bar adiacente l’albergo, diamo inizio al sondaggio delle varie compagnie di noleggio auto. In aeroporto e alla reception dell’hotel ci siamo forniti di parecchi depliants, dai quali risulta un mercato estremamente articolato quanto a tipologie di veicoli e a prezzi.
La prima tappa è alla Budget, che ci offre un’auto di categoria premier (cinque posti + ampio bagagliaio) per 102 NZ$ giornalieri comprensivi del supplemento per l’azzeramento della franchigia. Subito adiacente, la Omega ci chiede per la stessa combinazione 67 NZ$: sembra incredibile, ma ancora più incredibile è la quotazione della A2B, che è di 44 NZ$! Quest’ultima presenta però un parco veicoli alquanto vecchio e limitato, in più la macchina che ci interessa non è disponibile se non tra un paio di giorni.
Decidiamo così per la Omega, tanto più che nel garage retrostante possiamo vedere la macchina che ci sarà noleggiata. Consiglio però a chi abbia tempo e voglia di allargare la ricerca anche ad altri operatori locali, quali Thrifthy, Apex, Kiwi, Maui, Pacific, ABC: si possono cogliere veri affari!
A noi va comunque bene così, si tratta in fondo di meno di 9 € a testa al giorno per una Toyota Camry con chilometraggio illimitato e copertura assicurativa totale: paghiamo subito il relativo ammontare e, risolta la prima esigenza del nostro viaggio già alle 10 del mattino, abbiamo davanti quasi l’intera giornata per andare alla scoperta della città.
Pur ammettendo che la nostra visita non è stata (né avrebbe potuto esserlo) approfondita, dico subito che Auckland non ci ha suscitato particolari entusiasmi, anche se non discuto che sia meritata l’attribuzione di città con la più elevata qualità di vita, insieme con Berna, Copenhagen, Francoforte, Vancouver e Sydney, in una recente graduatoria mondiale. In particolare il paragone con le due metropoli di Canada e Australia, ammirate in precedenti viaggi, mi sembra davvero improponibile. Ci rimarrà il ricordo di un misto di moderno e di vecchio non sempre ordinato, in specie nel quartiere del nostro hotel dove non mancano edifici anonimi e in qualche caso trasandati.
L’area portuale, come detto, è piacevole, anche se denota i caratteri di un complesso sorto in fretta sull’onda della notorietà dell’America’s Cup. Sono in previsione ampliamenti, anche se si può supporre una battuta d’arresto in conseguenza della perdita del titolo di New Zealand ad opera di Alinghi (senza nulla togliere, gli Svizzeri… sai che smacco?): anche ipotizzando la riconquista della Coppa nella prossima edizione in programma nelle acque spagnole, ciò comporterà un’inevitabile frenata di un business allargatosi a livello planetario.
L’area che abbiamo trovato più attraente è senza dubbio l’Auckland Domain, zona collinare che corrisponde a uno dei 14 coni vulcanici estinti sui quali si sviluppò il nucleo originario della città. Oggi è un parco esteso per oltre cento ettari ed è meta assai gradita da residenti e turisti: si può camminare, anche a piedi nudi, su grandi estensioni erbose, tra alberi secolari, giardini ben curati, serre floreali, laghetti, chioschi di ristoro, piste ciclabili ma soprattutto è da non perdere la visita dell’imponente Auckland War Memorial Museum. L’ingresso costa 5 NZ$ e dà accesso in pratica a tre musei in uno.
Al piano alto è situato il Memoriale propriamente detto, motivazione primaria della costruzione dell’edificio nel 1929, che espone cimeli bellici, le insegne dei reggimenti per i quali combatterono le truppe neozelandesi nella Guerra del 1914-1918 e una galleria sulle cui pareti sono riportati i nomi dei 16.697 soldati caduti sui vari fronti. Altre sezioni sono dedicate all’Olocausto e alla Seconda Guerra Mondiale.
Al primo piano, belle collezioni di arti decorative, un’ampia esposizione della storia naturale del Paese, con ricostruzione dei differenti habitat, e i Discovery Centres, spazi interattivi particolarmente graditi ai più piccoli.
Al piano terra si sviluppa il percorso espositivo che maggiormente ci interessa quale preparazione al viaggio che ci apprestiamo a intraprendere, vale a dire una stupenda collezione di manufatti Maori, tra i quali spicca una perfetta ricostruzione di una whare runanga (casa di riunione), alcune waka (canoe di guerra) dalle raffinate decorazioni, oltre a maschere, totem, idoli, oggetti di grande espressività e davvero emozionanti; in più, Pacific pathways, sezione dedicata all’arte, storia, cultura, vita quotidiana dei Paesi dell’area del Pacifico.
Lasciato il museo, percorriamo buona parte della Queen Street, la via dell’animazione cittadina, sulla quale si affacciano negozi, centri commerciali, locali di ristoro. A sprazzi sta piovigginando, ma per fortuna il frontale di tutti gli esercizi prospetta su un’ininterrotta tettoia: anche questo tipo di struttura la dice lunga sulla meteorologia di questo Paese, tant’è vero che sarà una costante di tutti centri abitati in cui passeremo.
Il piacere di poter passeggiare al coperto deve ben presto fare i conti con un’altra realtà neozelandese: eccetto qualche bar e supermercato, tutti i locali chiudono, cascasse il mondo, tra le 17 e le 18, orario dopo il quale le vie si spopolano dando l’impressione di una specie di coprifuoco. Lo riscontreremo in ogni città, grande e piccola, anche in quelle a spiccata vocazione turistica. E pensare che ci troviamo in piena estate in una delle vie principali della città più importante!
Ad onor di precisione, c’è però da dire che, pur non avendolo sperimentato di persona, dopo cena la Queen Street si anima di vita mondana per la presenza di ristoranti, locali di intrattenimento alla moda e ritrovi notturni. Questo, stando alle guide…
Raggiungiamo a piedi l’albergo giusto in tempo, mentre si scatena un acquazzone con forte vento che durerà parecchie ore: il risvolto più evidente è che dobbiamo rinunciare al programmato churrasco, così ripieghiamo (e meno male che c’è…) sul ristorante cinese che ha l’ingresso in comune con l’hotel. Non va poi tanto male: la cena risulta buona e i prezzi decisamente contenuti.

Lunedì 2 febbraio
AUCKLAND - OMAPERE (km. 326)
Con tempo incerto (bisognerà abituarsi…), lasciamo senza rimpianti l’Auckland City Hotel e ci rechiamo alla Omega per espletare le pratiche di ritiro dell’auto. Ci è stata riservata una Toyota Vista, equivalente della Camry pattuita, a bordo della quale cerchiamo di lasciare la città senza troppe complicazioni. In realtà, ci basta andare sempre dritto per raggiungere in pochi minuti il sempre trafficato Harbour Bridge, che scavalca lo scenografico Waitemata Harbour pullulante di imbarcazioni da diporto. Sono le 10,45 e, imboccata la strada n.1, puntiamo decisi in direzione nord.
Abbiamo in programma di coprire oggi circa 300 km., il che significa che potremo prendere confidenza con la circolazione a ritmo tranquillo effettuando qualche deviazione verso punti panoramici e luoghi di interesse.
La prima sosta, dopo una cinquantina di km, è per una breve digressione che porta a Puhoi, sito di un insediamento nel 1863 di 83 immigrati da Pilsen, Repubblica Ceca: una chiesetta bianca in legno, un paio di case, un pub che ospita un piccolo museo dei pionieri sono sufficienti, in un Paese dalla storia giovane come la Nuova Zelanda, per costituire un historic site! Ce ne capiteranno parecchi nel prosieguo del viaggio.
Una decina di km. più avanti, per rifornirci di qualche provvista in un supermercato, sostiamo a Warkworth, la prima delle innumerevoli cittadine tutte simili che incontreremo, con pianta a reticolato, una strada di attraversamento sulla quale si affacciano negozi, posti di ristoro, stazioni di servizio e (quando ci sono) motels, vie parallele e perpendicolari a destinazione residenziale, tutti edifici a un piano o due in prevalenza di legno: un modello urbanistico che ci ricorda parecchio quello della provincia nordamericana.
Con l’occasione, ricordo che i supermercati più diffusi sono “Woolsworths” (già conosciuto in Australia) e “Countdown”, mentre nel settore dei “non alimentari” si possono fare veri affari a “The Warehouse”. In più, altre catene minori a carattere locale.
Dopo pochi minuti, ci fermiamo per un spuntino a Dome Valley, ormai in una zona dominata da meravigliose felci arboree alte parecchi metri; esse sono tra le piante più antiche del pianeta e, insieme a quelle basse presenti anche nei nostri boschi e ad alberi di alto fusto, formano una fittissima foresta che copre vaste estensioni un po’ in tutte le zone del Paese.
Lasciata sulla destra la n. 1 che percorreremo sulla via del ritorno, ci innestiamo sulla n. 12 all’altezza di Brynderwyn e costeggiamo la frastagliatissima insenatura del Kaipara Harbour che offre begli scorci, purtroppo penalizzati dalla foschia.
Matakohe merita una sosta per la presenza del Kauri Museum, ottima preparazione per la visita del Waipoua Forest Park, dal quale ci dividono non più di un centinaio di chilometri.
I kauri, alberi giganteschi che non esistono in alcuna altra parte del mondo, ebbero grande importanza nella storia della colonizzazione del Paese per il legno molto pregiato e resistente, ideale per la costruzione di case, imbarcazioni, mobili, utensili e oggetti intagliati. Un disboscamento sistematico, in tempi in cui non esisteva nulla di simile a quella che oggi è la coscienza ambientale, ridusse pesantemente la presenza di questi preziosi alberi, che attualmente sono circoscritti ad alcune aree protette. Un altro prodotto dei kauri consiste nella resina arancione, a lungo utilizzata nell’industria delle vernici; oggi viene fatta asciugare e modellata in varie forme per ricavarne monili e souvenirs.
Nel Museo di Matakohe sono esposti mobili, oggetti e sculture in legno, nonché la ricostruzione dei vari ambienti di una segheria con manichini intenti alle diverse fasi della lavorazione.
Ripresa la strada e toccata Dargaville dopo 50 km, un’altra ventina portano a una deviazione per i Kai-Iwi Lakes, tre bacini lacustri in parte artificiali frequentati per le vacanze e la possibilità di praticarvi sport acquatici.
Rientrati sulla 12, penetriamo gradualmente nel Waipoua Forest Park: la strada si fa più tortuosa con continui saliscendi e per decine di chilometri si procede tra due muraglie di vegetazione mista straordinariamente compatta e rigogliosa. Davvero formidabili i kauri che la sovrastano, alcuni di un’età valutata in quasi duemila anni.
Punto focale del Parco è il più grande kauro vivente, il Tane Mahuta, “dio della foresta” tenuto in forte considerazione dai Maori: 51 metri di altezza, 14 di circonferenza, 1500 anni di età, si giunge ai suoi piedi con una passeggiata di dieci minuti. Nell’area di sosta spicca uno dei tanti cartelli che, un po’ come in Australia, saranno una delle curiosità del viaggio: vi si raccomanda di tenere i cani al guinzaglio per evitare che aggrediscano e sbranino i kiwi presenti nella zona. Figurarsi! Il timido uccello, inetto al volo e simbolo della Nuova Zelanda, ha abitudini notturne ed è difficilissimo avvistarlo: noi lo vedremo solo un paio di volte in cattività e certamente non è la stessa cosa!
Sono ormai le 18 passate e cominciamo a consultare mappe e guide alla ricerca di una sistemazione per la notte. Poco più di una ventina di km., sempre in direzione nord, ci dividono da Omapere e Opononi, due piccoli centri abitati adiacenti che puntiamo senza indugio. Dopo uno scollinamento, la strada ha una svolta che ci riserva una veduta spettacolare dall’alto su un profondo fiordo che penetra verso l’interno: mentre la riva opposta è un’estesa duna sabbiosa che fa pensare a un paesaggio desertico, la nostra è una lunga spiaggia ai piedi delle alture boscose sulla quale si allineano le abitazioni. Tra queste, sorge l’Omapere Tourist Hotel & Motel, un complesso che offre differenti soluzioni che vanno dalla camera d’albergo alla piazzola per tenda. Noi optiamo per una delle già accennate self contained units (grosso soggiorno/cucina e due camere da letto) che saranno la sistemazione più frequente del nostro viaggio, spendendo 160 NZ$ complessivi.
Per la cena, che consumiamo sulla veranda dell’adiacente ristorante, ci orientiamo su un gustosissimo e abbondante fish and chips annaffiato da buone birre nazionali; il tutto ci costa in totale 84 NZ$, mentre la vista sull’antistante prato all’inglese, il mare, i bei villini bianchi con l’aggiunta di uno splendido tramonto è assolutamente gratis!

Martedì 3 febbraio
OMAPERE - KERIKERI (km. 452/778)
Da qui a Paihia, dove abbiamo fissato il pernottamento di domani e i due successivi, ci dividono, comprese le deviazioni, meno di 500 km.: ciò significa che anche oggi e domani potremo tenere ritmi blandi ed effettuare le visite senza fretta.
Lasciata Omapere dopo avere assistito a una bellissima alba sul fiordo, ci inoltriamo all’interno lungo la n. 12 per affacciarci di nuovo sulle medesime acque dopo una trentina di chilometri. Siamo in località Rawene, un villaggetto di pesca dal quale parte un piccolo traghetto (non più di una quindicina di posti auto) che in pochi minuti ci sbarca a Kohukohu sulla sponda opposta.
La strada, sempre molto tortuosa, costeggia per alcune decine di km. il Northland Forest Park, nel rigoglio di vegetazione tipico di questo settore occidentale del Northland; toccata Kaitaia, il centro più importante della zona, eccoci di lì a poco ad Awanui, convenzionale inizio della Aupori Peninsula, una striscia di terra larga una dozzina di chilometri e lunga circa 100 che termina nel punto più settentrionale della Nuova Zelanda.
La penisola può essere percorsa in due modi, all’interno lungo la n. 1 che porta a Cape Reinga o sulla cosiddetta Ninety Mile Beach, la spiaggia più lunga del Paese (anche se non è 90 miglia ma solo 60, cioè 96 km.). Vi vengono effettuati tours con autopullman e non è raro vedere anche veicoli che vi improvvisano gare; il contratto di noleggio delle auto (sempre che non si tratti di mezzi a trazione integrale) non prevede copertura assicurativa al di fuori delle strade asfaltate, ma la tentazione è forte e un giretto ce lo facciamo, d’altra parte lo strato di sabbia è talmente compatto da non presentare problemi.
Lo scenario è davvero irreale, una spiaggia rettilinea di cui non si vede né inizio né fine, una striscia talmente larga da poter avanzare verso il mare per centinaia di metri con l’acqua che non supera le caviglie, qui e là rare persone che approfittano della bassa marea per raccogliere piccoli crostacei, anche quel po’ di nebbiolina che già da un pezzo ha coperto il sole di stamattina aggiunge suggestione: raramente ho provato in maggior misura la sensazione di essere “in capo al mondo”.
E di quanto, in effetti, siamo lontani da casa abbiamo conferma a Cape Reinga, raggiunto lungo la n.1 che presenta, oltre Te Paki, un ultimo tratto di 15 km sterrato (comunque percorribile da qualunque auto). Sulla spianata del faro, circondata da scogliere che precipitano nel Mare di Tasman ed alla quale si accede con una passeggiata di un quarto d’ora dal parcheggio, spicca un cartello, caratteristica di tanti luoghi “estremi” del mondo, che riporta alcune distanze: tra le altre, Sydney km. 2160, Los Angeles 10578, Londra 19271!
Fatte le fotografie di rito, approfittiamo di un’area picnic nei pressi del parcheggio per consumare uno spuntino, che ben presto ci tocca contendere a uno stormo di gabbiani, qui caratteristici per la piccola taglia e le zampe rosse.
E’ ora d’obbligo ripercorrere a ritroso i 100 km. da Cape Reinga ad Awanui, dopo una sosta-caffè, dove ha termine il tratto sterrato, a Waitiki Landing, un pub-camping-benzinaio fuori dal tempo; sul prato antistante è esposto il riflettore del vecchio faro prima che fosse sostituito da quello attuale che ha una portata di 50 km.
Da Awanui percorriamo la n. 10, classificata anche Twin Coast Discovery Highway, che di lì a poco si affaccia sulla Doubtless Bay, apprezzata per le belle spiagge di sabbia dorata e presunto approdo di Kupe, il primo esploratore polinesiano che verso il 950 d.C. sbarcò in Nuova Zelanda. Il nome di “Baia denza dubbio” dipende dal fatto che dopo quattro secoli le successive esplorazioni avvennero sulle indicazioni precise di Kupe. E’ curioso che nell’Isola del Sud ci sia invece il Doubtful Sound: evidentemente nel 1770 il capitano Cook era molto meno sicuro di potervi entrare con la sua nave per battezzarlo “Fiordo dubbioso”!
I nomi di minuscole località che incontriamo, quali Taipa, Mangonui, Hihi, Wangaroa, Kaeo, ci fanno capire quanto sia radicata la tradizione Maori; è eloquente anche il nome di Kerikeri, centro già di una certa importanza e valori storici che raggiungiamo a metà pomeriggio. Tra le molte strutture ricettive ci orientiamo sul Central Motel, 58 Kerikeri Road, dove ci viene assegnata l’ormai consueta unità abitativa al prezzo di 120 NZ$.
Le dimensioni della cittadina ci consentono anche di risolvere il problema del mal di denti che da stamattina tormenta Walter. Estrapolo questo episodio dalla sfera del privato per rimarcare che in una località di appena 4000 abitanti esistono non meno di quattro o cinque Dental Clinic, una presenza diffusa che riscontreremo in tutto il Paese: mi sembra una buona indicazione pratica per i futuri viaggiatori con esigenze odontoiatriche!
Per la cronaca, una visita accurata comprensiva di raggi e consegna di terapia antibiotica per una settimana non costa a Walter che 60 NZ$ (con ricevuta fiscale). Al cambio, poco più di 30 €: che cosa ne pensano i dentisti di casa nostra?
Per la cena ci indirizziamo sul Cafe Santeez, che avevamo scorto dalla sala d’aspetto del dentista: è un simpatico locale sotto un pergolato (meno male, visto che intanto si è messo a piovere…) dal quale si scorge il cuoco thailandese all’opera nella cucina. La cena, piatti di carne o pesce con influenze orientali, ci costa in totale una novantina di NZ$ ed è decisamente apprezzabile.

Mercoledì 4 febbraio
KERIKERI - PAIHIA (km. 40/818)
Kerikeri è situata a non più di 40 km. da Paihia, dove abbiamo prenotato i prossimi tre pernottamenti; inoltre, il tempo è ancora piovoso e penalizzante per godere le bellezze naturali della zona, ragione per cui ce la prendiamo molto comoda.
Fatta colazione, proviamo a dirigerci su un paio di deviazioni che portano a belvederi sulla ormai vicina Bay of Islands, ma con poca soddisfazione a causa della limitata visibilità. Procedendo ad andatura turistica, cominciamo a fare l’abitudine ai cartelli, in particolare alla grande varietà di quelli sulla prevenzione stradale, con giochi di parole e metafore molto incisive, in certi casi macabre: ne ricordo ad esempio uno con la parola “DRIVE” (guidare) nella quale spiccano in carattere più grosso le lettere “DIE” (morire). Per fortuna, di tanto in tanto ne compare uno più rassicurante, del tipo “This month no fatal crashes in this country” (“In questo mese nessun incidente mortale in questa regione”)!
Sono le 11 quando entriamo in Paihia e subito capiamo che abbiamo fatto bene a prenotare già dall’Italia, vista la sfilata di hotel, alberghi, ostelli, lodge e b&b tutti col loro bravo cartello “No vacancy” in evidenza. Noi alloggeremo, spendendo 26 NZ$ al giorno/persona, al Pickled Parrot Hostel, un ostello composto di diversi corpi totalmente in legno disposti su più livelli nel cuore di un boschetto di palme e felci. Ad Enzo e Marina è stata riservata una camera che dà su una veranda coperta al piano superiore, a me e Walter uno dei due bungalows a forma di capanna al sommo di una scalinata in legno, sistemazioni decisamente spartane, viste le esigue dimensioni interne e i servizi condivisi al piano terra; d’altra parte è la tipologia degli ostelli e a onore del vero bisogna dire che gli spazi comuni sono molto puliti e l’ampia cucina è attrezzatissima, oltre a offrire tutto il necessario per organizzarsi la colazione, caffè, tè, succo d’arancia, pan carrè, marmellate.
C’è naturalmente l’atmosfera cosmopolita e cameratesca dei luoghi frequentati da backpackers, giovani e viaggiatori informali, anche se, oltre noi, non manca clientela di mezza età: è quindi immediato e piacevole scambiare una chiacchierata con gente che viene da tutto il mondo e, perché no, condividere la cucina o il barbecue per prepararsi i pasti e i tavoli esterni per consumarli. Ne approfittiamo subito per uno spuntino con le provviste che nel bagagliaio dell’auto non mancano mai, al quale facciamo seguire un riposino fino alle tre.
Anche se continua a piovere, decidiamo (abbiamo pur sempre la macchina…) di fare una puntata ai Waitangi Treaty Grounds, non fosse altro per conoscere il programma dei festeggiamenti di domani e dopo. Il sito storico è in pratica un unico agglomerato urbano con Paihia e ne è separato solo da un ponte che dopodomani rimarrà precluso al traffico automobilistico.
Il Visitor Center, raggiungibile dal parcheggio con un sentierino nel bosco saggiamente protetto da una tettoia, è un’ottima preparazione agli eventi dei prossimi giorni: oltre a una piccola esposizione di cimeli e oggetti, comprende infatti una serie di pannelli descrittivi sulla storia del Trattato che il 6 febbraio 1840 ratificò l’accordo tra i capi Maori (non tutti per la verità) e il governo inglese, in pratica la nascita della Nuova Zelanda moderna. La cosa non fu così semplice, visti i successivi malintesi per le differenze, non di poco conto, tra le due versioni del documento. I dissapori in parte si trascinano tuttora, anche se negli ultimi decenni la popolazione Maori è andata sempre più crescendo e di pari passo l’integrazione con i bianchi e l’inserimento nei posti di rilievo della Società.
Approfittiamo del fatto che la pioggia è diminuita per rientrare a Paihia, dove facciamo un giro a piedi nel Mall, la zona dei negozi, come sempre coperta da tettoie, per qualche piccolo acquisto; poi, spiovuto del tutto, ci spingiamo sul molo per risolvere alcune incombenze logistiche dei prossimi giorni.
Prima tappa è il Visitor Centre che, come tutti i successivi che contatteremo, svolge servizio di prenotazione di alloggi, spostamenti e attività in ogni zona del Paese. Fissiamo soprattutto il traghetto del 10 tra l’Isola del Nord e quella del Sud (Wellington - Picton, 50 NZ$ a testa) e il Whale Watching (crociera per l’avvistamento delle balene) dell’11 a Kaikoura; per questa, ci viene fornito un numero di credenziale mentre il pagamento di 110 NZ$ ciascuno avverrà in loco, visto che le condizioni meteo condizionano l’effettuazione o meno dell’escursione.
Subito di fronte è ubicato Fullers, il principale operatore per la navigazione nella Bay of Islands, dove prenotiamo la crociera delle 9 di domani; il costo è di 62 NZ$ a testa, ma su nostra richiesta ci viene applicata una “family fare” con sconto del 10%, vale a dire NZ$ 55,80. Per la serie: provarci sempre, magari con un sorriso, male che vada ti dicono di no!
Dopo una puntata in ostello per una ripulita, ci riportiamo sul lungomare per la cena, finalmente benedetti da un cielo stellato nel quale campeggia una splendida luna piena, ottimo auspicio per la crociera di domattina.
Scegliamo il ristorante “Only Seafood” (indovinate quali sono le specialità…?), un bell’edificio di legno bianco a due piani dalla bella atmosfera, nel quale mangiamo ottime portate di pesce che ci costano un totale di 134 NZ$, decisamente ben spesi.

Giovedì 5 febbraio
PAIHIA E DINTORNI (km. 10/828)
Finalmente una bella giornata di pieno sole, che mette in risalto gli indubbi pregi di Paihia. La cittadina, una delle mete di villeggiatura più frequentate del Paese, ha una cerchia di colline rigogliose da un lato, mentre dall’altro (quello est) si affaccia sulla Bay of Islands, un golfo disseminato di circa 150 isole: alcune sono poco più che scogli, ma la maggior parte sono ricoperte da un manto erboso e macchie di vegetazione arborea. Il lungomare offre una passeggiata molto piacevole, da una parte spiaggia sabbiosa, dall’altra una sequenza di edifici bassi in legno dalle tinte vivaci circondati da giardinetti ben curati.
Alle 8,45 eccoci al check-in della crociera, che parte puntuale alle 9 e si protrarrà fino alle 13. Il battello della Fullers, che offre un’ampia scelta di posti al piano basso e in coperta, fa di lì a poco una sosta a Russell, l’altro villaggio importante della baia, dopodiché effettua un percorso che aggira, all’andata da un lato e al ritorno dall’altro, le varie isole in modo di apprezzarne le diverse prospettive. Giro di boa della crociera è il promontorio di Cape Brett, estremità nordorientale del golfo prima dell’oceano, dominato da un faro. Punti salienti del percorso sono Bird Rock, grosso scoglio che ospita una colonia di sule, The Twins, due faraglioni gemelli popolati da foche, ma soprattutto Motukokako Island, più nota come Hole in the Rock per l’arco naturale che la trapassa: qui i battelli rallentano e i piloti si cimentano (benché il mare, ormai quasi fuori dall’insenatura, non sia mai del tutto calmo) nell’attaversamento del “buco” da parte a parte, impresa che da lontano non sembrerebbe possibile.
Lungo il tragitto di ritorno è previsto lo sbarco con sosta di un’ora alla Otehei Bay, sulla costa occidentale di Urupukapuka (tutti nomi veri, giuro!), una delle isole più grandi. Da non perdere la salita, in una quindicina di minuti, al punto culminante e, da lì, a brevi deviazioni che offrono stupendi panorami dall’alto sull’arcipelago e su idilliache calette appartate, meta di pescatori, bagnanti e barche a vela.
Conclusa con soddisfazione l’esperienza, facciamo un po’ di spesa e, tornati all’ostello, ci allestiamo una bella insalatona assortita, la prima del viaggio, che in questa giornata calda non può farci che bene.
Decidiamo poi di riportarci ai Waitangi Treaty Grounds, temendo che domani l’affollamento ci precluda una visita tranquilla del sito storico. L’intuizione è vincente e possiamo visitare con calma i vari luoghi: i Grounds veri e propri, vasto prato all’inglese in cima alla collinetta dominato dall’altissima bandiera nazionale, la Treaty House, dimora in legno del primo residente in Nuova Zelanda nella quale avvenne la firma del trattato, la Maori Meeting House, la casa di riunione impreziosita da splendidi intarsi in legno all’esterno e all’interno.
La mitica Maori War Canoe (o, se riuscite a leggerlo, Ngatokimatawhaorua) di 35 metri, costruita con 3 tronchi di kauro, non è sotto la tettoia della Canoe House dove riposa in mostra per 363 giorni all’anno, ma semplicemente perché, insieme con altre canoe, sta già navigando nelle acque prospicienti la Hobson Beach dando luogo a uno spettacolo di raro fascino! Senza saperlo, siamo arrivati al momento giusto, visto che le prove ora in corso risulteranno un momento probabilmente più “genuino” della celebrazione vera e propria di domani.
C’è poca gente e possiamo godere al meglio le varie fasi del traino a terra delle canoe da parte degli equipaggi di rematori, praticamente in mezzo ad essi, con l’opportunità di fare fotografie che nel trambusto di domani sarebbero impensabili. Tutte le operazioni sono coordinate con ordini brevi e secchi da un personaggio che non dimenticheremo: ben lontano dallo stereotipo del Maori imponente, alto, massiccio se non grasso, è un ometto piccolino di corporatura appena un po' rubiconda, capelli del tutto bianchi così come gli enormi baffoni, al quale tutti sembrano portare grande rispetto, tant’è vero che è a lui che viene fatta un’intervista dalla troupe televisiva presente.
E’ evidentemente una specie di “maestro” (e con questo appellativo noi finiremo per ricordarlo) che istruisce i giovani sui vari rituali della “Haka”, la tradizionale danza di guerra dei Maori resa famosa dagli All Blacks, la fortissima nazionale neozelandese di rugby.
Dapprima, disposti in file e colonne e posato ognuno sulla sabbia davanti a sé il remo con la pala a forma di lancia (è poco idrodinamico ma fu ideato così per servire, all’occorrenza, come arma), ascoltano le “lezioni” che mettono poi in pratica; segue una serie di movimenti sincronizzati di lotta impugnando i remi appunto come lance, dopodiché ha luogo la Haka vera e propria, ripetuta due volte in differenti schieramenti. Al coro scandito all’unisono si accompagnano gesti, volti a palesare la propria forza al nemico, dei piedi che battono con forza per terra, delle braccia, con le mani che ritmicamente battono sul petto, sulle spalle, sulle cosce; anche spalancando gli occhi e tirando fuori la lingua a dismisura viene rafforzato l’atteggiamento minaccioso.
Uno studioso delle tradizioni Maori ha definito la Haka “…una composizione eseguita con molti strumenti: mani, piedi, gambe, corpo, voce, lingua, occhi giocano il proprio ruolo mescolando nella loro pienezza sfida, saluto ed esultanza…
Insomma vi assicuro che una Haka di un centinaio di Maori nel giorno e nel luogo che in maggior misura simboleggia la loro identità nazionale… è veramente roba da brividi, anche in una giornata calda come oggi. Ancora di più perché è una manifestazione “tutta loro” e non raffazzonata per i turisti (ne avremo un penoso esempio fra qualche giorno a Rotorua).
La giornata, favorita anche dallo splendido sole, è stata veramente intensa e di grande soddisfazione: rientriamo all’ostello per una buona doccia e per prendere un po’ di fiato convinti di avere visto da vicino, direi quasi condiviso, qualcosa di unico.
Ceniamo a “La Scala”, un ristorante lungo il Mall, dove mangiamo discretamente spendendo un po’ meno di ieri sera, ma è “un po’ meno” anche il resto: l’originalità delle portate, la quantità e l’atmosfera del locale.

Sta finendo la nostra prima settimana in terra neozelandese. Domani, 6 febbraio e Waitangi Day, sarà il nostro ultimo giorno nel Northland, dopodiché, ormai dimenticati i paesaggi tropicali, punteremo decisamente in direzione sud dove troveremo ambienti via via diversi fino ai fiordi, alle grandi montagne e ai ghiacciai.
Non abbiamo percorso che 828 dei 6580 km.complessivi del viaggio. Di tutto quello che ancora ci aspetta potrete leggere nella seconda parte, sempre sulle pagine virtuali di Ci Sono Stato!Come già in occasione di precedenti viaggi lunghi, abbiamo prenotato via internet i primi due pernottamenti in un hotel di Auckland. Inoltre, nel timore (fondato) di affollamento in occasione del Waitangi Day (6 febbraio), anche tre notti in un ostello di Paihia, località strategica per alcune visite significative.
Per il resto, ci siamo orientati il più delle volte su una sistemazione molto diffusa, pratica e vantaggiosa che quasi tutti i motels offrono: le cosiddette self contained units, unità autosufficienti composte di ingresso/cucina, due camere separate e servizi. Al tornaconto economico si unisce la completezza delle dotazioni, che ci hanno sempre consentito di risolvere la colazione e, in quattro-cinque occasioni, anche la cena con gli acquisti abitualmente fatti al supermercato. In alcuni casi si aggiunge anche l’amenità della posizione, essendo talvolta cottages indipendenti con belle viste o immersi nel verde.
Questa soluzione, per la quale abbiamo optato per 15 sere su 23, ci è costata da un minimo di 100 a un massimo di 160 NZ$ complessivi con due punte di 240 e 360 in occasioni particolarmente critiche. Riferendosi a un cambio di 1050 vecchie lire per un dollaro neozelandese e dividendo l’ammontare per quattro, mi sembra che la convenienza sia fuori discussion
Un’avvertenza importante. Nell’isola del nord, più popolata, abbiamo sempre trovato alloggio la sera stessa dell’arrivo nelle località di sosta senza troppo penare, mentre in quella del sud la situazione è più delicata: in alcune zone per tratti anche di un centinaio di chilometri non si incontrano centri abitati e tutti i viaggiatori si concentrato nelle (non molte) località che dispongano di accommodations, che così vanno presto esaurite. Per fortuna, nelle città e cittadine di interesse turistico sono molto diffusi ed efficienti gli uffici informazioni, contraddistinti dall’insegna verde e nera “i-site” e consorziati in tutto il Paese: tramite ciascuno di essi, gratuitamente o con una piccola commissione, è possibile prenotare alloggi, spostamenti e attività in ogni località della Nuova Zelanda. E’ quindi opportuno, come abbiamo fatto noi, attivarsi ogni giorno per il pernottamento successivo.Si può dire che non esista una vera e propria cucina neozelandese, sempre che non si faccia riferimento allo hangi, la tradizionale cottura maori. Vengono arroventate delle pietre, poi poste in una grossa buca del terreno “foderata” con grosse foglie: in essa vengono messe delle ceste contenenti patate, legumi, carni di manzo, maiale, pollo, agnello e il tutto è coperto con altre foglie bagnate e terra. Le vivande, così cotte per circa tre ore, assumono, a quanto si dice, un sapore squisito.
A parte questo procedimento, impiegato ormai solo nelle occasioni di festa, c’è da dire che la Nuova Zelanda dispone di ottimi prodotti, sia dell’agricoltura, sia dell’allevamento e della pesca. Grandi quantità di pecore, bovini, maiali e, negli ultimi anni, cervi (ritenuti più redditizi degli ovini) che pascolano liberamente in grandi spazi incontaminati producono, lo si intuisce, carni eccellenti; viste le migliaia di chilometri di costa, altrettanto elevata è la qualità di pesci e di frutti di mare, anche se questi ultimi (cozze, aragoste, crostacei vari), essendo di provenienza oceanica, sono un po’ meno saporiti di quelli del Mediterraneo cui siamo abituati.
Un pasto tipo in ristorante è composto da uno starter, via di mezzo tra l’antipasto e la piccola porzione, e una main course, portata principale di carne o pesce con vari contorni che spesso può essere sufficiente come piatto unico. Con l’aggiunta di una bevanda, per un pranzo così si può spendere tra i 25 e i 35 NZ$.
L’influsso della forte immigrazione dai Paesei europei e asiatici ha prodotto una grande fioritura di cucine etniche, per cui difficilmente si rimane delusi. Nel corso del diario di viaggio entrerò un po’ nel dettaglio delle “specialità” consumate, con commenti in positivo o, perché no, in negativo.
Oltre ai pranzi in ristorante, come accennato riguardo all’alloggio, in alcune occasioni abbiamo fatto spesa al supermercato e ci siamo preparati la cena in casa, o con grosse insalate o con un piatto unico di pasta, che anche da queste parti ha raggiunto una qualità dignitosa, variamente guarnita.
La ristorazione rapida, sulla quale ci si orienta per lo spuntino di metà giornata, può contare sulle onnipresenti catene internazionali quali McDonalds, Pizza Hut, KFC, Burger King, Subway, ecc. e su un’ampia scelta di tramezzini, toasts, panini, tortini caldi dolci e salati, una buona pasticceria, disponibili un po’ ovunque.
In parecchie zone a vocazione agricola è facile imbattersi in chioschetti di frutta dislocati lungo le strade, altra ottima opportunità per nutrirsi nel corso del viaggio senza troppo appesantirsi.
Passando alle bevande, prevale la birra, che vanta ottime marche nazionali, ma da una ventina d’anni si sta sempre più affermando una produzione vinicola di ottima qualità, grazie al successo dell’adattamento sui terreni neozelandesi dei vitigni europei quali Sauvignon, Cabernet, Chardonnay, ecc.
Le acque minerali sono alquanto care e piuttosto scadenti, tanto che, in alternativa a quella pura, il mercato offre le versioni leggermente aromatizzate (flavoured) ai sapori di frutta.Abbiamo utilizzato voli della Thai Airlines per una spesa complessiva di € 1270 pro capite:
- all’andata Genova - Munchen (Air Dolomiti), poi Munchen - Bangkok - Sydney - Auckland; partenza da Genova alle 18.20 del 29/1, arrivo ad Auckland alle 13 del 31 per un impegno totale di 30h 40’, di cui 23 di volo effettivo.
- al ritorno Auckland - Sydney - Bangkok - Roma, poi Roma - Genova (AirOne); partenza da Auckland alle 14.30 del 23/2, arrivo a Genova alle 10 del 24 per un impegno totale di 31h 30’, di cui 22 di volo effettivo.
Gli spostamenti interni sono avvenuti tramite automobile a noleggio, dalla quale non si può prescindere, visto che le comunicazioni via autopullman (peraltro efficienti) o via treno (servizio limitato) spesso non permettono il raggiungimento di tutti i luoghi da visitare.
Tre premesse importanti:
1. la guida è a sinistra; i limiti di velocità sono rigorosamente di 100 km/h sulle strade di scorrimento, mentre nelle città piccole e grandi variano da 70/80 se si passa esternamente all’abitato a 50 se lo si attraversa. I controlli della Police sono frequenti, così come il segnale speed camera area al lato della strada.
2. tutte le agenzie offrono l’opzione di una polizza supplementare per azzerare la franchigia, che di norma varia tra i 500 e i 1000 NZ$ (cambio all’epoca del viaggio 1NZ$ = circa 1050 vecchie lire): consiglio di sottoscriverla, sono pochi dollari al giorno e ci si mette al riparo da ogni inconveniente.
3. le auto a nolo non possono essere traghettate tra le due isole (tre ore di traversata), cosicché nel contratto si fissa il giorno e l’ora del o dei trasbordi; la data può essere però variata tramite telefonata non meno di 48 ore prima. Si riconsegna l’auto al porto di partenza del ferry (Wellington o Picton) e l’agenzia ne fa trovare una equivalente all’approdo di arrivo. Le formalità sono minime.
Tra le numerose agenzie presenti, sia quelle internazionali che le molte a carattere locale, ci siamo affidati alla Omega. Scenderò nel dettaglio dei prezzi di mercato riscontrati nel diario di viaggio, ma anticipo che per un’auto della categoria Toyota Camry (cioè sufficiente per quattro persone e relativi bagagli) abbiamo speso al giorno 67 NZ$ (59 + 8 per l’azzeramento della franchigia).
Il cambio è quasi sempre automatico. La benzina costa intorno a 1100 vecchie lire al litro. Esistono solo brevi tratti di autostrada (motorway) nell’ambito delle grosse città, non a pagamento. Le strade statali principali e secondarie sono di solito in buone condizioni, anche se spesso tortuose e a saliscendi, adattandosi all’andamento del territorio e facendo raramente ricorso a tunnel o viadotti. Frequentissimi invece i ponti, a scavalcare i numerosi corsi d’acqua, stretti (il più delle volte one way bridge) e in qualche caso incredibilmente utilizzati nella stessa sede anche dalla linea ferroviaria. Per fortuna i treni passano di rado!
I neozelandesi rivelano un alto livello di educazione stradale e i rapporti tra pedoni e mezzi motorizzati sono sempre ottimi: in assenza di semafori, le strisce pedonali sono segnalate a distanza da un grosso rombo bianco sull’asfalto e da un palo sormontato da un disco arancione e ci è capitato spesso di notare le auto fermarsi se appena un pedone dà l’impressione di voler attraversare. Quasi come da noi…
Gli incroci sono il più delle volte gestiti con circolari: la precedenza è del primo che vi si immette.

20 commenti in “Kia ora! – Nuova Zelanda parte prima
  1. Avatar commento
    Lo Staff
    20/07/2008 17:41

    Leandro in questo momento è in vacanza, in Val di Funes...nella colonna a sinistra, voce COMMUNITY, cerchi "Elenco Autori". Da lì, il gioco è fatto!

  2. Avatar commento
    Riccardo
    20/07/2008 10:47

    Io e mia moglie ( circa della Sua età)siamo da anni viaggiatori in solitaria a caccia di ogni tipo di bellezza storico naturale. I ns. viaggi vengono preparati per tempo con molta cura e studio. Lo scorso anno abbiamo scoperto in rete il Suo utilissimo diario sui Parchi dell'Ovest USA e sulla sua base abbiamo organizzato il nostro giro viaggio di ca. 40gg. Ora abbiamo scoperto questo sulla Nuova Zelanda che ci sembra altrettanto buono e pertanto lo stiamo studiando per fare altrettanto in novemre o gennaio prossimi.Mi volevo complimentare per il Suo utilissimo lavoro e chiedo in anticipo un qualche cortese aiuto se ne avrò bisogno nel corso dell"ongoing" della preparazione. Grazie in anticipo e complimenti ancora. P.S. mi potrebbe far sapere quali altri diari di viaggio ha realizzato? Sa..la fame vien mangiando. Cordialmente Riccardo

  3. Avatar commento
    Leandro
    04/11/2006 14:29

    Per Daniele. Ci spiace, non possiamo aiutarti. Come avrai visto, l'intervento di Paola Scudellaro è del 24/5/2005, cioè un anno e mezzo fa. Non abbiamo quindi più traccia della sua e-mail, che peraltro in questo spazio (come vedi non compare nemmeno la tua) è un dato coperto da privacy, salvo che l'autore scelga di riportarla nel commento. Speriamo che Paola apra di tanto in tanto il sito, legga la tua richiesta e si faccia viva qui. Ciao!

  4. Avatar commento
    daniele
    04/11/2006 13:42

    Molto interessante il tuo diario di viaggio che prendero' come spunto per il mio viaggio in NZ. Io abito a Bangkok da 4 anni se qualcuno avesse bisogno di info sulla Thailandia puo' contattarmi. Vorrei mettermi in contatto con la Sig.ra Paola che ha usato come nickname scudellaro. Come faccio? Ciao Daniele

  5. Avatar commento
    Leandro
    24/05/2005 17:50

    Però, che fiume in piena Paola! ;-)) Riportiamo volentieri il tuo intervento, ma permettimi alcune osservazioni. 1) Mi sembra fuori luogo attribuire al fatto di essere italiani voler visitare bene la Nuova Zelanda in 20 giorni. E non ho certo avuto la presunzione di averne ricavato una conoscenza esauriente. Se hai letto anche la seconda e terza parte della mia relazione di viaggio, vedrai che più volte ho espresso il rimpianto di non avere potuto approfondire. Tieni conto di un dato oggettivo: la stragrande maggioranza della popolazione dei viaggiatori difficilmente dispone di un periodo superiore alle tre settimane (io posso disporre anche di un mese e mi ritengo fortunato). 2) Dici che tu vi passi sei mesi mesi all'anno: sei fortunata, ma non hai pensato che non tutti abbiano la possibilità di fare altrettanto? La Nuova Zelanda a me è piaciuta molto, ma nella vita (ne ho una sola) cerco di vedere il più possibile del mondo in cui viviamo, non un solo Paese, per quanto bellissimo. 3) Tu dici: "è oltremodo offensivo chiamare il loro emblema felce. Si chiama silver fern.". Non ti sembra un po' categorico dire "oltremodo offensivo"? In fondo il vocabolo inglese FERN equivale all'italiano FELCE, e questo è un sito in italiano. Vogliamo sostituire "offensivo" con "impreciso"? Prendo comunque atto della corretta dicitura locale "silver fern". 4) Discorso auto: riguardo al cambio di vettura a noleggio tra un'isola e l'altra, ho riferito quanto mi è stato detto nelle varie agenzie (cinque o sei) interpellate ad Auckland. Acquistare un'auto all'arrivo e rivenderla alla partenza sarà di certo conveniente per permanenze lunghe come la tua (che di certo avrai anche acquisito un'ottima esperienza in proposito), ho dei dubbi in un viaggio di tre settimane, anche per il tempo richiesto per le varie pratiche inerenti. Ti ringraziamo comunque del commento e delle notizie che hai esposto.

  6. Avatar commento
    scudellaro
    24/05/2005 16:10

    molto veloce,anzi velocissimo. tutti gli ITALIANI credono di poter visitare entrambe le isole in tre settimane. questo e errato. Meglio vederne una alla volta e bene in quanto il solo PARADISO e' qui in NUOVA ZELANDA. inoltre volevo dire che è oltremodo offensivo chiamare il loro emblema :FELCE. SI CHIAMA SILVER FERN.SBAGLIATISSIMO NOLEGGIARE UN AUTO. CONVIENE COMPERARLA ALL'AUCTION E RIVENDERLA ALLA PARTENZA X LO STESSO PREZZO O FORSE MEGLIO. NON E' VERO CHE NON SI PUO' TRAGHETTARE UN AUTO A NOLEGGIO DA NORD A SUD O VICEVERSA. LO CONSIGLIANO I NOLEGGIATORI X AVERE MENO SPESE. VENGO IN N.ZELANDA DAL 1995 TUTTI GLI ANNI E MI FERMO + DI 6 MESI . SE SIETE INTERESSATI VI POSSO CONSIGLIARE PARECCHIE COSE NON DESCRITTE SU LIBRI, RIVISTE ECC. CIAO A TUTTI, ORA SONO ANCORA QUAGGIU, E SARO IN ITALIA X IL 20 GIUGNO.IL MIO PC VIAGGIA SEMPRE CON ME VI ASPETTO. DI PARADISO CE NE E' UNO SOLO, POTETE ANDAR, GIRAR MA SE VOLETE VEDER MERAVIGLIE QUI DOVETE VOLAR. CON TANTO AFFETTO DALLA MIA HAMILTON VI ABBRACCIO. CIAO PAOLA

  7. Avatar commento
    Leandro
    21/01/2005 09:18

    Ciao Claudia, le s.c.u. non sono tutte uguali, ce ne sono capitate da 4, da 6, in un caso fino da 11 posti letto. Un divano nell'ingresso-soggiorno c'è spesso. Nelle varie località c'è comunque una buona varietà, potrai scegliere di volta in volta, o prenotando tramite gli Uffici Informazioni o direttamente sul posto. Buon viaggio!

  8. Avatar commento
    sughino
    20/01/2005 23:48

    sono Claudia : assolutamente splendido il resoconto del viaggio e soprattutto estremamente utili: Io parto il 5 febb e desidererei una piccola informazione supplementare, Nelle self contained units è previsto anche un divano letto per una persona in più? Complimenti ancora e seguiremo la Tua traccia in tutto e per tutto. Grazie!Il tuo commento a questo viaggio!

  9. Avatar commento
    Leandro
    08/12/2004 14:46

    Scusa la franchezza, ma per un viaggio di un mese dall'altra parte del mondo, una settimana prima della partenza non vi siete ancora documentati con qualche guida di viaggio sul tempo e sulle cose da vedere? Comunque ti ho risposto in mail. Ciao!

  10. Avatar commento
    ricca
    08/12/2004 13:04

    magari scrivetemi una email per rispondere alla domanda di prima perchè difficilmete nei prossimi gioni potro accedere a questo pc per vedere questo sito. grazie

  11. Avatar commento
    ricca
    08/12/2004 13:01

    Un bel viaggio complimenti. Io ppartirò per la nuova zelanda il 15/12/04 con altri due miei amiciper fare unbel tour per un mese. siamo un po preoccupati per le temperature!!!! come sono? Quale è secondo te l'escurzione che non dobbiamo assulutamente perderci? un saluto

  12. Avatar commento
    Leandro
    20/04/2004 19:14

    Ciao Gianca, felice di esserti utile! La seconda parte è già on line da una settimana sotto il titolo "Aotearoa - Nuova Zelanda parte seconda", per la terza ci vorrà ancora un mesetto: tieni d'occhio le prossime nuove uscite... Naturalmento, sono disponibile per ogni esigenza, sul riquadro "navigatore" di tutti i nostri articoli il nome dell'autore è sempre linkato alla sua e-mail. Contattami quando vuoi!

  13. Avatar commento
    gianca
    20/04/2004 19:01

    Un diario di viaggio davvero appassionato e che mi sarà utilissimo per il mio viaggio nel febbraio 2005! Grazie davvero, aspetto con ansia la 2° e 3° parte. Potrò contattarti se avrò bisogno di qualche consiglio?

  14. Avatar commento
    llllll
    23/03/2004 15:58

    xxxxxxxxxxxxxx

  15. Avatar commento
    Paolo e Giusi
    23/03/2004 09:43

    Io e mia moglie siamo appassionati di trekking e di solito abbiniamo i nostri viaggi a qualche escursione. Pare che nei parchi neozelandesi ce ne siano di bellissimi, mi sapete dire qualcosa? Grazie per l'informazione e complimenti per la precisione del report! Paolo e Giusi

  16. Avatar commento
    adriano s.
    21/03/2004 10:36

    Bellissimo il viaggio (vi invidio!!), molto precise le informazioni, ottimo e coinvolgente il diario di viaggio!! Aspettiamo il seguito!!!!

  17. Avatar commento
    Lucio Rossini
    15/03/2004 22:33

    Stampo questo articolo e lo faccio leggere a mia moglie che è terrorizzata solo all'idea di prendere l'aereo... Se non si convince questa volta, non ce la faccio più!! Chissa' che non ci riuscite voi raccontando questi viaggi meravigliosi..... ;-))

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    Leandro
    15/03/2004 10:23

    Ciao Daniele, non puoi trovare la seconda parte semplicemente perché... non c'è ancora! Avrai visto che il mio viaggio è recente e quindi mi serve un po' di tempo per terminare la stesura del resoconto. Però, se continui a seguire Ci Sono Stato, vedrai che anche la seconda e terza parte arriveranno, si tratta solo di avere un po' di pazienza... Un saluto!

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    Dani
    15/03/2004 10:16

    Ciao, mi chiamo Daniele e non sono ancora molto pratico di navigazione in internet... mi ha molto interessato il racconto di questo viaggio, però... non riesco a trovare sul sito la seconda parte che dite..... Mi potete dare una mano? Vi ringrazio.

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    grazia
    15/03/2004 08:54

    Un altro bellissimo viaggio, complimenti! :-) Leggere i tuoi resoconti è sempre un piacere: un mix perfetto di informazioni pratiche, curiosità ed emozioni. Resto in attesa del racconto dell'incontro con le balene, le foche e i pinguini.

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