Il Sudamerica di Paolo

L’America Latina in tutte le sue facce

Dopo varie partenze fallite, mi decido a realizzare uno dei viaggi che più desideravo, così mi aggrego anche se in ritardo con un gruppo in partenza per il Perù e la Bolivia. Preparo tutto in fretta, compero le scarpe da trekking e alla fine ce la faccio.
Si parte come al solito da Fiumicino, dove conosco Alfiero, il nostro capogruppo, e gli altri componenti; siamo un gruppo misto di 4 girls e 4 boys, tutto perfetto.

Periodo: Maggio-Giugno 2002 (21 giorni)
Partecipanti: Paolo, Antonio, Viviana, Sole, Andrea, Lorena, Nicola, Ligeia e il capogruppo Alfiero.
Organizzazione: tour semiorganizzato
Mezzi di Trasporto: volo Argentina Airlines, pullmino, bus locale, treni, volo interno Tans.Voliamo tutta la notte con la compagnia Argentina Airlines, distendendoci in un vettore quasi vuoto dove facciamo le prime conoscenze; e al mattino dopo uno scalo a San Paolo in Brasile dove posso solo rendermi conto dal finestrino dell'aereo di quanto sia grande questa città (e dove sarei sbarcato volentieri anche solo per qualche ora), arriviamo a Buenos Aires.
Dopo qualche informazione e il cambio di un po’ di dollari in pesos, è via libera, siamo già in Sudamerica e cogliamo l'occasione per visitare la capitale argentina.
Vista la situazione economica e politica che il paese aveva vissuto in questi ultimi mesi, eravamo un po’ scettici sull'allegria che potevamo trovare nella capitale argentina, ma credevo che l'atmosfera fosse più triste; infatti nonostante c'è molta malinconia e si vive sicuramente un periodo di grande decadenza, il popolo argentino sembra condurre una vita normale e tranquilla, parlando con qualcuno pero’ si capisce qual'è la vera realtà del Paese e inoltre i segni delle rivolte sono ancora visibili sulle vetrate e sulle entrate di molte banche.
Noi comunque abbiamo solo il tempo di fare un giro turistico della città, prendiamo due taxi e imbocchiamo dei larghissimi stradoni, chiamati Avenidas, il tempo di fare due chiacchiere con gli autisti chiedendogli se è meglio che al mondiale giochi Batistuta o Crespo ed eccoci che arriviamo al centro, in Plaza 5 de Mayo, nota per le recenti manifestazioni di piazza.
Visitiamo la Casa Rosada, residenza del presidente, la cattedrale, e poi con una lunga passeggiata arriviamo al Caminito nel quartiere del Boca, fondato da italiani e costituito da tipiche case colorate, piene di locali e artisti; qui abbiamo modo di consumare un buon pasto.
Poi torniamo indietro e percorriamo le lunghe Avenidas che tagliano il centro fino a raggiungere il Palazzo del Congresso Nazionale dove si riuniscono camera e senato, dominato da una grossa cupola. Lì vicino mentre passeggio con Andrea notiamo un bel lavoro in muratura appena fatto sul marciapiede, ma c'era un tombino aperto piuttosto pericoloso e nessuno lì intorno che finisse l'opera: anche questo è il Sudamerica!
Il tempo che abbiamo stringe, così sul tramonto siamo costretti a tornare in aeroporto, peccato! Per me questa città ha un fascino particolare, e poi mi sarebbe piaciuto assistente ad un balletto di tango, magari in un bel locale!
Torniamo in aeroporto e prendiamo il volo per Lima, l'aereo stavolta è pieno, io capito lontano dai miei compagni di viaggio, ma faccio una buona conoscenza con Sofia, una simpatica ragazza peruviana che tornava nel suo paese, con la quale rispolvero anche un pò di spagnolo! Questo Perù già mi sorprende prima di arrivare.

L'arrivo a Lima è in tarda sera ed il controllo dei passaporti è lentissimo, alla fine però ce la facciamo; all'uscita un pullmino viene a prenderci e ci porta in un albergo del centro. Abbiamo il primo impatto con questa metropoli di 5 milioni di abitanti, il clima è piuttosto afoso, come ci avevano detto.

Al mattino usciamo a piedi per fare il giro del centro, vista la vicinanza; devo dire che come città non è il massimo, la parte più bella è quella che si concentra attorno alla Plaza de Arma, con la cattedrale spagnola, il palazzo del governo dove assistiamo anche ad un caratteristico cambio della guardia, la statua di Pizarro, il conquistador di turno, e alcune vie con balconi in tipico stile coloniale.
Il tempo di mangiare un toast accompagnato stranamente da un succo di piña che ci fa venire i primi timori sulla dissenteria e via con il pullmino che ci accompagnerà per la prima parte del viaggio fino ad Arequipa.
Prima di uscire dalla città, passiamo vicino ad una grossa favela arroccata su un monte; anche qui come in tutte le metropoli sudamericane molta gente vive sulla soglia della povertà, ci ricordano che è bene fare attenzione ai ladri quando ci si sposta soprattutto in zone troppo affollate o troppo isolate, ma noi non abbiamo avuto nessun problema.
Raggiungiamo il Museo dell'Oro, situato in una parte residenziale della città; è una visita quasi obbligatoria poichè è un'ottima introduzione al Paese per capire la sua storia e le sue ricchezze del passato; infatti all'interno ci sono dei reperti davvero notevoli, come ad esempio statuette d'oro decorate con pietre preziose appartenute ai famosi Incas, ma anche armi, mummie, vestiti e altri oggetti.
Finita la visita, si parte verso il sud del Perù, la prima parte del viaggio si svolgerà seguendo la Panamericana lunga l'arida costa del Pacifico. Il paesaggio si fa subito secco e desertico, monocolorato sulla tonalità della sabbia, a tratti è monotono ma a tratti è anche molto suggestivo e particolare; a me è piaciuto, ma qualcuno si è anche annoiato.
Dopo ore di deserto arriviamo a Pisco, una località costiera carina ma senza troppe attrattive, che è però un'ottima base per le escursioni a Paracas e alle Isole Ballestas, come noi faremo. La sera ci allarghiamo un po’, cena a base di pesce, visto che qui è buono, ma Alfiero non rimane troppo soddisfatto così assistiamo ad una trattativa sul prezzo di 40 minuti con la proprietaria. La nostra Sole comincia a passare ore dentro i centri Internet a scrivere lunghissime e-mail, però è molto disponibile e si interessa della gestione della nostra cassa; cominciamo a conoscerci un po’ meglio, molti vanno a dormire, io vado a prendere una cerveza con Andrea ed Alfiero.

Al mattino sveglia presto e trasferimento al porticciolo per l'imbarco alle Isole Ballestas: per raggiungere quest'area protetta ci vuole qualche ora di barca ma ne vale la pena, c'è chi le ha ribattezzate le "Galapagos dei poveri" ed il genere c'è tutto poiché sono piene di foche, leoni marini, pinguini e vari grossi uccelli, è un vero paradiso naturale! Nonostante il colore rosso scuro della roccia, le Ballestas diventano bianche per il guano, cioè gli escrementi degli uccelli che puntualmente viene raccolto e venduto come uno dei migliori concimi.
Tornati in continente ci trasferiamo a Paracas, dove si apre una laguna desertica nella quale regnano incontrastati gruppi di fenicotteri; è difficile però avvicinarsi, ci si deve accontentare di guardarli da una torre di avvistamento.
Nel pomeriggio ripartiamo con il nostro pullmino per raggiungere in serata la famosa località di Nazca, ed anche in questo caso il deserto ci accompagna per tutto il percorso, a parte uno stop in un verde villaggio dove abbiamo assaggiato il Pisco, tipico liquore peruviano, e uno spuntino dopo aver sciato sulle dune del deserto.
La sera arriviamo nella mitica Nazca; dopo qualche discussione sulla scelta dell'albergo, ci sistemiamo proprio vicino all'aeroporto, da dove partono gli aeroplanini (che noi prenderemo) dell'Aerocondor (un nome, un programma) che sorvolano le famose linee incise sul terreno. Ceniamo un po’ leggeri e dopo una passeggiata nel buio attorno alle piste accompagnati solo da qualche cane, ce ne andiamo a letto.

Al mattino volevo evitare di fare colazione per non avere problemi di stomaco, ma vedendo gli altri che mangiavano da buon italiano non rinuncio al cibo; ci prepariamo al volo in gruppetti di tre persone, Ligeia non vuole volare e non c'è verso di farle cambiare idea.
Io capito con Sole e Nicola e prima del decollo mi faccio il segno della croce, speriamo bene! Il comandante ci mette a nostro agio e poi via, si vola! Il posto è veramente misterioso, non si riesce a capire a cosa potevano servire questi grossi disegni incisi sul deserto, quando nessuno da terra era in grado di vederli. La cultura Nazca è preincaica e le linee risalgono più o meno tra il 300 e il 600 d.C.: ci sono molti disegni che sorgono attorno alla Panamericana, tra i più belli ricordo il ragno, il colibrì, il condor, il pappagallo, ma forse quello più misterioso è l'astronauta (a quei tempi?).
Finalmente torniamo con i piedi a terra e un po’ di mal di stomaco non manca, ma passa rapidamente; salutiamo il capitano dicendogli giustamente che è stata una esperienza unica e che la ricorderemo per sempre.
Il programma del viaggio non ci consente troppo relax, così siamo costretti a ripartire, di nuovo sul pullmino per un lungo tratto di strada, circa 8 ore per raggiungere la città coloniale di Arequipa. Il paesaggio continua con deserti e terre aride, dove saltuariamente compare qualche macchia verde che segna la presenza di acqua, altrimenti qui le piogge sono quasi inesistenti ed è anche per questo motivo che le linee di Nazca si sono conservate bene e così a lungo.
Dopo qualche ora ci fermiamo a fare uno spuntino in un paesino sulla Panamericana costiera, un posto fuori dal mondo. Io e Antonio mangiamo delle sardine in scatola che ci vengono vendute per tonno, gli altri toast e frutta.
Viaggiamo per altre cinque ore, e con il calare delle luci Viviana e Ligeia, per combattere la monotonia del viaggio cominciano ad intonare canzoni di tutti i tipi e sono anche brave, poi si aggiunge Lorena con la sua vena artistica e anche io con la mia voce stonata.
Lasciamo la costa sul tardo pomeriggio e per la prima volta cominciamo a salire in cordigliera, ma il paesaggio non è ancora molto tortuoso.
Cala il buio e arriviamo ad Arequipa (m. 2350), che ci appare come un presepe illuminato da tante lucette; è la seconda città del Perù, è situata in una fertile valle verde che contrasta con il deserto montagnoso dei vulcani Misti (m. 5822), Chanchani (m. 6075) attualmente dormienti. Negli ultimi secoli è stata colpita da spaventosi terremoti che l'hanno parzialmente distrutta ed è tuttora a rischio. Fondata dagli Spagnoli nel 1540, viene soprannominata la "Ciudad Blanca" per il colore delle sue costruzioni edificate in pietra vulcanica bianca e gode di un clima temperato tutto l'anno. Da Arequipa, Alfiero organizza l'escursione al Canyon del Colca dove volano i condor, uno dei posti più spettacolari del Perù.
Arriviamo in hotel, ci sistemiamo ed andiamo a mangiare in un simpatico locale dove suona un bel complesso andino, coinvolgiamo il nostro Andrea (che è un gran musicista!) a suonare con loro, prende la chitarra e non si tira indietro! Noi invece si esibiamo nelle danze.

Il giorno seguente giriamo per Arequipa, una località molto piacevole ed è divertente perdersi nel suo centro storico ricco di chiese e abitazioni caratteristiche. Plaza de Armas è circondata per un lato dalla Cattedrale (ricostruita nel 1844 in stile neorinascimentale) e per gli altri tre dai tipici portici. Un'altra chiesa che visitiamo è la Compania, che si trova in un angolo: ci colpisce la sua bianca facciata, massima espressione del barocco meticcio, realizzata tra il 1600 ed il 1660 fortunatamente rimasta intatta nonostante i catastrofici terremoti.
Non possiamo lasciare la città senza aver visitato il monastero di Santa Catalina, che deve il nome alla devozione, nei riguardi della santa, della benefattrice che lo fondò. Costruito nel XVI secolo come convento di clausura, assunse negli anni dimensioni di una cittadella di 20.000 mq racchiusa tra alte mura. Durante i suoi 250 anni di storia accolse molte novizie, figlie di famiglie ricche.
A metà giornata è ora di partire per Chivay, ma in hotel ci accorgiamo che manca Andrea, così ci dividiamo e lo andiamo a cercare, dopo un po’ fortunatamente lo ritroviamo nella Plaza de Arma e partiamo subito visto che siamo già in ritardo.
La strada è peggiore di quanto pensavo, il primo tratto è asfaltato, ma comincia a salire notevolmente di quota, passando dai 2350 m. di Arequipa ai 3500, per poi superare i 4000 presso un passo andino dai paesaggi stupendi dove ci fermiamo per bere un mate di coca. Sullo sfondo compare il vulcano innevato del Misti e lungo la strada tante vigogne e lama; il freddo però si sente, nonostante Antonio gira sempre in camicia, e quando rientro nel pulmino per continuare il viaggio comincio a sentirmi male, non per il 'soroche' (mal di montagna) ma probabilmente per una congestione. La situazione mi si aggrava nell'ultimo tratto di strada, dove per raggiungere il paese bisogna scendere una infinità di tornanti, con una strada buia piena di buche e dislivelli.
Quando finalmente giungiamo a Chivay, paesino indio fuori da ogni tempo, sono praticamente morto e rinuncio ai bagni termali presenti nelle vicinanze. Vado in hotel e rinuncio anche alla cena; Viviana e Ligeia da buone sanitarie mi danno un aulin e la buonanotte. Sono il primo caduto del viaggio (che onore!).

Mi sveglio al mattino ancora un po’ sconvolto e malandato, ma non c'è tempo per riflettere o vado o non vado. Da buon viaggiatore decido di andare, non posso perdermi il Canyon del Colca: il mio fisico non mi tradisce e si riprende alla grande, come supponevo!
Partiamo di nuovo con il pullmino, alla guida c'è Walter, un simpatico peruviano, e Ana, una ragazza che ci spiega molte cose sul Perù; le strade ovviamente continuano ad essere sterrate e piene di buche, l'asfalto non esiste, ma i panorami si fanno subito interessanti, cominciamo a vedere lunghi terrazzamenti che si estendono ai fianchi delle montagne, dove i campesinos coltivano mais e patate, una tecnica che discende dai lontani Viracocha (antiche divinità).
Lungo la strada per il Colca arriviamo in un tipico paesino indio, non ricordo neppure il nome, ma mi è rimasta in mente la sua caratteristica chiesa bianca che spicca tra le montagne, circondata da indios in costumi tipici e alpaca tenuti al guinzaglio. Dopo la sosta proseguiamo tra paesaggi che si fanno ancor più selvaggi e montuosi, precipizi e gallerie senza reti e archetti di protezione, buie e semplicemente scavate nella roccia, standard di sicurezza praticamente a zero.
Finalmente dopo qualche ora arriviamo all'ingresso del canyon, dove per entrare dobbiamo pagare una tassa di 2 dollari a persona, ma ne vale la pena: puntiamo subito sul Cruz del Condor, il più noto panorama sul profondo canyon ricoperto dal verde della vegetazione, ci fermiamo seduti per qualche ora aspettando il volo di qualche condor, alla fine proprio quando stavamo perdendo le speranze, veniamo ricompensati da alcuni esemplari che sorvolano la spettacolare valle dando anche a noi un senso di grande libertà.
Così torniamo indietro fermandoci in diversi posti, tutti spettacolari, fino a raggiungere di nuovo Chivay e a seguire dopo diverse ore la già conosciuta Arequipa. Vado a cena solo con Viviana, Ligeia, Antonio e Alfiero, gli altri declinano e vanno diretti a dormire; all'indomani ci aspetta un'altra lunga tratta che ci porterà in Cile.

Al mattino ci rechiamo alla stazione dei busetas di Arequipa, da dove partono gli autobus di linea pubblica verso le varie città del paese: il nostro bus per Tacna, nell'estremo sud della nazione, precedentemente prenotato da Alfiero, non è niente male, ci danno anche da mangiare e la hostess di bordo (niente male) organizza anche una giocata ai numeri del Bingo. E’ stato divertentissimo, la nostra Ligeia per poco non vinceva, ma alla fine è stato meglio così, visto che il premio era un viaggio gratis di ritorno che a noi di certo non serviva!
Dopo diverse ore arriviamo a Tacna, ultima città del Perù che ci appare dietro una curva sperduta nel deserto, priva di vegetazione e vicina all'oceano. Arrivati nella stazione centrale riprendiamo i bagagli e saliamo su due taxi in stile America anni ‘60, e con mezz’ora di cammino raggiungiamo la frontiera con il Cile; i controlli qui sono piuttosto accurati e si nota già un maggiore benessere e modernità.
Arriviamo ad Arica, una gradevole cittadina balneare, estesa tra un promontorio e il lungomare, e ci sistemiamo da una signora che affitta camere, mentre il nostro capogruppo va alla ricerca di un tour per il giorno successivo che ci permetterà di visitare il Parco di Lauca sulle Ande Cilene.
In serata facciamo un giro in centro ed osserviamo che ci sono molte vetrine, negozi di marca e pubblicità; i nostri presentimenti erano giusti, il Cile in questo periodo sembra essere uno dei paesi sudamericani che godono di una migliore situazione economica, e si vede! La sera la fame si fa sentire, così cogliamo l'occasione per mangiare del buon pescado (pesce). A seguire ci sediamo in un locale a assaggiamo il pisco cileno, Ligeia si sente male, stavolta è il suo turno.

Sveglia presto al mattino e partenza con pulmino per il Parco di Lauca, così lasciamo la costa del Pacifico per rivederla solo alla fine del viaggio. Ci arrampichiamo sulle Ande Cilene lungo la carretera che costeggia i binari della mitica "Ferrocarril del Diablo", una ferrovia che serve al trasporto di minerali dalla Bolivia alla costa, ma sembra che oggi abbia grossi problemi di manutenzione.
Le montagne Cilene si fanno subito caratteristiche, con gole, vallate e aridi deserti dai colori indescrivibili, in strada si incontrano pochissimi veicoli; facciamo tappa prima a Lluta per mirare i geroglifici, poi la chiesa di Poconchile, seguono i cactus candelabri nella fascia dei 3000 metri, poi la chiesa coloniale di Parinacota a 4392 il cui colore bianco spicca sul cielo azzurro. Sempre più in alto raggiungiamo finalmente il lago Chungara a 4517 m., uno dei più alti del mondo, qui è bellissimo i colori sono unici e ci sono tantissimi animali, oltre ai soliti scorgiamo tra le rocce i conigli delle Ande; il freschetto però si sente eccome, inoltre l'altitudine ci fa provare nuove emozioni, passeggiando lungo il lago non sentivo grossi problemi ma appena ho fatto dieci passi di corsa mi sono sentito schiacciare sul terreno, madre natura mi ha ricordato che non sono un andino!
Il parco è bellissimo, protetto e ben tenuto; il governo cileno sembra essere molto sensibile verso l'ambiente e la natura, e questi parchi visitati tutto l'anno sono divenuti una vera fonte di guadagno per il Paese. L'ambiente comunque è duro e inospitale per le nostre abitudini così riscendiamo di quota e arriviamo nel paesino di Putre a 3500 m., dove mangiamo e ci sistemiamo nelle stanze. Nel pomeriggio un giro a piedi, qualche foto, e poi stanchi e stremati anche dal freddo andiamo a dormire.

Al mattino il sole splende; dopo una colazione dove il mate di coca ormai ha preso il sopravvento su tutto, bighelloniamo un po’ a zonzo e scopriamo che vicino c'è un campo di addestramento militare, mi ci trovo di fronte con la macchina fotografica al collo, per fortuna non hanno pensato che potevo essere una spia!
E' ora di ripartire, il nostro Alfiero ha prenotati dei posti sulla corriera che va a La Paz in Bolivia, così bagagli alla mano ci portiamo alla fermata che è fuori del paese. Il pullman si fa desiderare ed arriva con un ritardo di 45 minuti, ma ci dicono che da queste parti è normale, però non è niente male, ci danno anche il pasto a base di lenticchie.

Ripassiamo di nuovo sul lago Chungara, con il cono innevato del Sajama alle spalle e poco dopo alla frontiera con la Bolivia; ero molto curioso in merito a questo paese definito anche il Tibet d'America, vista l'altitudine del suo altopiano, ma sembra che sia anche il paese sudamericano più povero. Passiamo i posti di controllo dove ci viene dato un foglio di avvertimento nel quale oltre al benvenuto c'è scritto di tenersi fuori dal giro della cocaina; infatti anche questo paese occupa i primi tre posti al mondo per la produzione di polvere bianca, assieme al Perù e alla Colombia, comunque sembra che i governi del Perù e della Bolivia ultimamente si stanno impegnando per ridurre questo fenomeno, e ci stanno riuscendo, cosa che non si può dire per la Colombia.
Cominciamo ad attraversare l'altopiano boliviano, che mi si presenta un po’ come lo immaginavo, arido, spoglio, ma con dei colori molto particolari che vanno a contrastare un cielo celeste unico al mondo, i paesaggi spesso sono suggestivi, con gole, letti di fiumi, piante xerofile e tanti animali andini, vigogne, lama, alpaca e guanachi. La popolazione è più india che mai, scura di pelle, quasi ustionata, bassa, un po’ tozza e coloratissima nel vestiario.
Ci manteniamo sempre a quote elevate, passando da i 3000 ai 4000 metri, e seguiamo la strada che ci porterà a La Paz, la più alta capitale del mondo; intanto comincia a spuntare sulla nostra destra la cima innevata dell'Illimani (m. 6452).
Finalmente arriviamo a La Paz,(m. 3630): è una città incredibile, la prima parte si sviluppa in pianura, mentre la seconda più caratteristica si estende dentro la conca di un cratere, è spettacolare vedere tante casette di mattoni monocolori arrampicate dappertutto. Il nostro pullman arriva alla stazione centrale, e lì c'è molto caos, i poliziotti ci avvertono più volte di fare attenzione ai bagagli poiché ci sono i ladrones, ma non abbiamo nessun problema e grazie ai taxi raggiungiamo un hotel centrale, niente male anche se nei bagni non c'è la carta igenica (caratteristica della Bolivia).
La sera abbiamo solo il tempo di cenare in un tipico e antiquato ristorante pieno di ricordi e amuleti (non a caso siamo nella città delle streghe) e di constatare che la città è un'incrociarsi di salite e discese, dalle quali sbucano suonando, visto che non ci sono i semafori, pullmini e vecchie auto; e dopo una passeggiata andiamo a dormire, Nicola è colpito da dissenteria e salterà l'escursione del giorno dopo.

Al mattino partiamo quindi per la vicina Valle della Luna, un posto dove la corrosione degli agenti atmosferici ha dato origine a paesaggi particolarmente modellati, sembra di essere veramente su un'altro pianeta; poi torniamo nella capitale ed andiamo al Mirador dal quale si può osservare tutta La Paz con le sue casine arrampicate dovunque, ci vivono 1.500.000 abitanti, il centro storico rimane basso e spiccano alcune cattedrali spagnole, inoltre lo stadio ed un quartiere di grattaceli fondato dalle SS tedeschi che qui si ritirarono dopo la II guerra mondiale.
Il pomeriggio lo dedichiamo al centro, e dopo aver visitato la suggestiva cattedrale facciamo un po’ di shopping nelle tantissime bancarelle e botteghe che conferiscono a questa città l'aspetto di un mercatone all'aperto. Comperiamo stoffe, amuleti, cappelli, souvenir, Ligeia esagera con una maglia viola del comandante Che Guevara che morì proprio in queste terre di Bolivia. Il paese è sotto campagna elettorale presidenziale e ci sono tantissimi cartelloni pubblicitari dei candidati i cui volti sono spesso disegnati a mano! Sono arcaici ma più belli e puliti dei nostri!

Il giorno successivo si riparte di nuovo in direzione nord verso il sito archeologico di Tiwanaco (4000 m.); arriviamo e visitiamo subito il museo con la peggior guida che abbiamo incontrato. Ci sono reperti interessantissimi, ma il bello è costituito dal tempio, dai monoliti e la famigerata Porta del Sole, costruzioni affascinanti e misteriose che sorgono su questo spoglio altopiano a 4000 metri, edificate da questa civiltà le cui origini e la cui fine rimane ancora un mezzo mistero, comunque i reperti archeologici dimostrano che questo popolo adorava il sole ed era molto ferrato in fatto di astronomia.
Ripartiamo verso il Perù, così dopo qualche ora con gli zaini in spalla passiamo un'altra frontiera, ormai ci siamo abituati, i soliti controlli e i timbri sul passaporto e poi via. Si dice che in questo posto molte donne boliviane passano in Perù nascondendo cocaina sotto le loro larghe gonne e sottane, e lì i controlli non sono facili da effettuare.
Ricambiamo gli ultimi boliviani in sol, Sole la nostra cassiera ha le tasche piene di tutte le monete del Sudamerica, che confusione! Prendiamo un piccolo pullmino dove stretti stretti ci permettiamo di dare un passaggio anche a una signora india tipicamente vestita; qui gli indios sono veramente molti, e comunque nell'ambito nazionale costituiscono il 50% dell'intera popolazione del Perù, anche in Bolivia sono tantissimi. Ci avviamo così sulla strada che costeggia tutta la sponda meridionale del Lago Titicaca, (che è anche la più bella). Il lago è divenuto famoso poiché è il lago navigabile più elevato del mondo, ha un colore blu intenso, è lungo e popolato da animali e pescatori che ogni tanto piazzano le reti per la raccolta del pesce.
Così dopo qualche ora raggiungiamo il nostro punto base per le escursioni, ossia la cittadina di Puno a 3860 metri, che non ha molte cose particolari, anche se lo stile coloniale si evidenzia anche qui, nonostante molti anni fa un forte terremoto lo distrusse e gran parte del paese venne ricostruito; un'altra cosa che ricordo (non solo a Puno) sono il gran numero di taxi-pullmini con gridatore incorporato che carica gente a volontà, vista l'assenza di auto private. Alloggiamo in un modesto albergo, dove abbiamo solo il tempo di posare le valigie e di fare uno spuntino, visto che il sole sta andando giù e non possiamo perdere un'escursione anche se breve a Sillustani (3910 m).
Si tratta, appunto, di una necropoli collocata su una penisoletta che si protende nel lago Umayo. Si ritiene che fosse questa la necropoli principale del regno Qolla, la cui capitale era a poca distanza e si chiamava Hatuncolla, regno fiorito fra il 1200 e l’epoca inca. Le tombe sono di diverso tipo: chulpas, tombe semisotterranee e sotterranee. Le più importanti sono quelle del primo tipo, le Chulpa, anche fra queste ci sono distinzioni: ve ne sono cilindriche, a cono rovesciato, lavorate, rustiche. Abbiamo poco tempo per goderci il posto, però è stato compensato da un bel tramonto che ci ha consentito di fare qualche bella foto.
La sera siamo stanchi morti, Andrea sta male. Così dopo una pizza in un freddo locale del posto riscaldato però da un gruppo di suonatori andini (che con noi fanno affaroni visto che gli comperiamo ben 3 cd musicali), torniamo in hotel ma scopriamo che la doccia non è molto calda, anzi è fredda, ed alcuni di noi preferiscono non lavarsi; io fortunatamente ero in stanza con Nicola, che da buon pompiere scopre che gli albergatori peruviani avevano manomesso delle resistenze per far consumare meno corrente, così grazie a una modifica li abbiamo fregati.

Il giorno seguente partiamo in barca con una escursione di due giorni attraverso il lago e le sue isole, visiteremo quelle galleggianti dove risiedono gli Uros e poi Amantani e Tequile che invece sono isole vere e proprie.
Lorena sta male, non ha digerito la pizza della sera prima, ma decide di partire lo stesso, non vuole mandarci soli! La barca non è male, è cabinata antischizzi possiede una tettoia dove si può prendere il sole e ha anche un bagno in stile andino nel senso che per posizionarsi bisogna scalare qualche gradino e assumere posizioni modello Uomo-ragno. Con noi ci sono giovani di tutto il mondo, sembra una spedizione internazionale.
Si parte e dopo un'oretta raggiungiamo le isole galleggianti: davvero particolari, formate da strati di "totora" (giunco che cresce in abbondanza nel lago) e sono abitate dai discendenti di un'antica razza chiamata Uros. Ad essere respinti dagli Aymaras, non ebbero altra alternativa che abitare isolati dalle altre comunità. Vivono in estrema povertà, si dedicano alla pesca, alla coltivazione di pochi vegetali e la raccolta della totora che usano come alimento, costruzione delle barche ed abitazioni. Sopravvivono vendendo piccoli oggetti che essi stessi fabbricano. Tra le varie cose ho visitato anche la "Scuola Flotante" piena di bambini, ai quali ho regalato le famose penne raccolte in Italia prima della partenza: appena le hanno viste mi hanno assalito, sapevo che sarebbero servite.
Continuiamo il nostro viaggio lacustre su un blu intenso e un panorama di coste ed isole, fino a che raggiungiamo a mezzodì l'isola di Amantani (m. 3867) nell'estremo orientale del lago, a quattro ore di navigazione da Puno, un luogo affascinante. Gli abitanti sono l'aspetto che più mi ha colpito, molti parlano solamente il dialetto Aymara e non hanno mai visitato il "continente", e sono proprio loro che ci ospitano; ogni famiglia prende in consegna due o tre di noi e provvederà al vitto e all'alloggio, questa è l'unica possibilità, visto che non esistono alberghi.
Io e Antonio capitiamo con Pedro, un mitico signore che non dimenticherò mai, ci capiamo quasi a gesti ma è molto ospitale e disponibile: la sua casa come tutte le altre è di pietra con recinti che dividono orti e bestiame, sua moglie si occupa della cucina, grazie a un fuoco e qualche alimento base (esempio patate). Non c'è corrente, e credo che non si usi neppure il denaro visto che noi per contraccambiare l'ospitalità abbiamo portato del cibo e dei vestiti.
Dopo aver mangiato, ci rincontriamo con gli altri per raggiungere la vetta dell'isola e nell'attesa alcuni peruviani ci sfidano in una partita di calcetto a quota 4000: nonostante l'aria rarefatta, io non mi tiro indietro anche se fatico molto, alla fine rimediamo un bel pareggio 1-1, per me è stata una gran soddisfazione.
Così saliamo pian piano in cima alla vetta dalla quale si gode di un bellissimo panorama, la quiete è rotta solo dalle voci di noi turisti. Dopo una piacevole e prolungata sosta, il sole comincia a scendere e con lui anche noi, visto che l'unica nostra fonte energetica è la luce solare; io con Andrea e Alfiero arriviamo giù proprio per il calare della notte, altre persone hanno trovato qualche difficoltà ma per fortuna alcuni di loro avevano delle torce.
Questo è il Peru meno comodo di quello che avevo conosciuto fino ad ora, e chiunque ha intenzione di visitarlo deve avere un po’ più di spirito di adattamento, ma sicuramente è un’esperienza da fare.
La sera ceniamo a casa del capo del villaggio; il clima è meno freddo di Puno, ma di certo non fa caldo, così convinto di mangiare in una bella casetta calda mi vedo invece un bel tavolo apparecchiato in terrazza all'aperto, come se fosse un ferragosto italiano! Ma pazienza, W il Peru anche per questo!
Ma il bello deve ancora venire, la sera veniamo invitati alla festa del paese, dove gli uomini anche se stranieri devono rigorosamente indossare il pesante poncho peruviano e le donne i tipici costumi con cinte strettissime e gonne larghe, così noi uomini ci prepariamo, ci guardiamo in faccia con le nostre compagne di viaggio che con grande ipocrisia ci dicono che stiamo proprio bene, usciamo e ci prepariamo per le danze folkloristiche.
Le nostre compagne invece sono molto carine e colorate, Ligeia, Viviana e Sole peccato per Lorena appassionata di balli che è costretta a rimanere a letto perche è ancora influenzata. Dentro un casolare ci attendono gli altri turisti e la gente locale, un bel complessino suona musiche andine e le indigene del posto ti invitano continuamente a ballare, bevo una cerveza e mi sento un vero John Travolta, ma vengo smontato da Ligeia mi dice che dovrei muovermi di più, anche Nicola è scatenatissimo.

Il giorno dopo ci rimbarchiamo, accompagnati al porto dai nostri amici, saluto Pedro con nostalgia, e tutta l'isola che sicuramente ha rappresentato (almeno per me) una delle esperienze più toccanti di tutto il viaggio. Amantani te quiero! Adios!
Così, dopo qualche ora di navigazione raggiungiamo Tequile (m. 3867), l'isola piú grande della parte peruviana ed è al centro del lago. La sua bellezza e la fertilità delle sue terre a terrazze furono argomenti sufficienti perché il Re di Spagna, la proclamasse "Tenuta Coloniale". Si trova a due ore di navigazione da Puno ed è abitata da una piccola comunità indigena che vive felice, protetta dal sole e dagli Dei della montagna. Conservano tuttora le abitudini e usanze dei loro antenati, osservano regole tutte loro per il beneficio dell'intera comunità e non usano il denaro, è un posto davvero fuori dal mondo; la nostra permanenza su questa isola è stata di qualche ora, e abbiamo mangiato anche del buon pesce, poi dopo una lunga discesa a picco sul mare risaliamo in barca e ripartiamo, intanto comincio a notare che le salite e le discese di questi ultimi giorni mi intostano sempre più i muscoli delle gambe, come un vero climber.
Tutto il pomeriggio è servito per far rientro a Puno, ma non è stato un sacrificio, avendo come sfondo il bianco ghiaccio della Cordillera Reale di Bolivia.

Il giorno successivo ci alziamo in fretta per prendere il treno delle ande che da Puno ci porterà fino a Cuzco nella famosa Valle Sagrada degli Incas, così ci rechiamo alla stazione e saliamo su un vagone riservato ai turisti; oggi infatti a differenza di ieri i posti sono stati divisi in scompartimenti per turisti e per locali, rendendolo forse più confortevole ma meno folkloristico per chi viaggia.
Il tragitto comunque è lungo, ci vogliono circa 10 ore ma non è detto che vada così, a volte infatti si accumulano dei grossi ritardi, il nostro per fortuna è stato regolare. Il treno è a combustione e i vagoni si toccano tra loro comunicando tramite una passerella all'aperto, che ricorda vecchi film western quando i cowboy si inseguivano sul treno passando anche sopra i tetti, è proprio caratteristico, ma bisogna fare un p’ di attenzione visti gli standard di sicurezza. La velocità media è piuttosto bassa ma consente di ammirare i paesaggi e gli altopiani andini, pieni di animali, villaggi e cime innevate, inoltre a volte ci si ferma in piccoli mercatini allestiti lungo i binari proprio per il passaggio del treno; non posso dimenticare inoltre i bambini dei villaggi che corrono dietro ai vagoni per farsi tirare qualcosa da mangiare.
Comunque le nostre 10 ore sono trascorse bene, con Sole che ha spiegato qualche gioco a carte al quartetto del tavolo formato da lei, Nicola, Lorena e Ligeia; verso la fine della giornata sono riusciti a finire anche una partita a briscola! che bravi!
Cosi al calar del sole arriviamo a Cuzco (m. 3360), la città del sole: eravamo impazienti di vederla, anche perché è un mito narrato in molti libri e documentari, mitica capitale dell'Impero Incaico, che conserva orgogliosa le sue pareti e i muri di pietra che evocano la grandezza dei figli del sole: ma è anche uno dei posti dove sono più visibili i danni arrecati dai Spagnoli nel continente sudamericano, dove la croce e la spada avevano la stessa funzione, sottomettere i popoli locali con la forza e le barbarie, rapinandoli di ogni bene e arricchendo per decenni le casse dei Paesi europei.
Città piena di monumenti e reliquie storiche, di miti e leggende che sembrano rinascere ogni volta che si percorrono le sue centenarie vie. Comunque notiamo subito che quello di Cuzco è un Peru più turistico, più pulito e più benestante, basta vedere i negozi, anche il nostro albergo è forse il migliore di quelli incontrati durante il viaggio (per i nostri standard). A proposito di hotel decidiamo di cambiare le camere, non più uomini-uomini e donne-donne ma bensì miste (era or!); io vengo accolto gentilmente da Sole e Lorena in una tripla, e sono contento delle mie nuove compagne di stanza!
Il giorno dopo partiamo con un pulmino alla scoperta della Valle Sagrada, così è stata battezzata la valle dimora dell'antico impero Incas, un popolo che ha lasciato grosse testimonianze delle sue notevoli capacità e conoscenze, nonostante sembra che il loro regno sia durato solo poche centinaia di anni per decadere definitivamente con l'invasione degli Spagnoli che approfittarono dei loro contrasti interni.
Cominciamo con la visita di Pisac (m. 2700) forse il più famoso mercato del Perù, vivace e colorato, poi la bella giornata di sole lo rende ancor più vivo e noi ne approfittiamo per comperare qualche souvenir, ma il problema è cosa comperare vista la varietà di prodotti artigianali: vi si trovano stoffe, tessuti, vestiti, argento, dipinti, legno lavorato, monili, statuette, cappelli, lana etc, oltre al reparto alimentare dove la frutta colorata prevale su tutto.
Dopo un po’ ci ritroviamo al pullmann e ripartiamo in salita verso la località di Ollatayambo, (m. 2700) uno dei siti Incas più belli e spettacolari; ci appare dal basso incastonato dentro una valle e si innalza con straordinari terrazzamenti fino alla sommità della montagna, sembra quasi una diga, invece fu uno dei punti forti dell'impero Incas, tanto che qui gli Spagnoli a cavallo si dovettero ritirare, colpiti dalle frecce scagliate dalla fortezza. Dopo le spiegazioni della guida di turno, un vero indio conservatore e bisogna dire molto bravo e convincente, saliamo fino in cima laddove il re Inca dominava e controllava tutta la sua gente, un punto di equilibrio e potere; anch'io stando in cima avevo una sensazione di essere più potente.
Anche questo posto è stato edificato con grosse pietre perfettamente incastonate tra loro, addirittura con architetture antisismiche; inoltre in certi momenti dell'anno il sole sembra posarsi su determinate pietre, ciò che conferma la cultura astronomica degli Incas.
Lasciamo questa magica fortezza e continuiamo il nostro tour verso la località di Chinchero (m. 3700); per raggiungerla bisogna risalire di quota fino a toccare i 3700 metri e quando usciamo si sente subito, si tratta di un paesino indio nel quale si tiene un bel mercato, comperiamo qualcosa dopo aver visitato la bianca chiesa coloniale, che possiede un bellissimo interno decorato.
Per oggi basta così; rientriamo a Cuzco e la sera mangiamo un buon abbondante pollo contornato rigorosamente da patate. Devo dire che il cibo in Perù non è stato male: si comincia con la sopa, una zuppa vegetale, poi la carne e il pollo sono buonissimi, anche l'alpaca è saporita, come contorno aspettatevi sempre patate, mais, riso e qualche pomodoro, frutta varia ma soprattutto banane. Dopo di che, non ancora stanchi, andiamo a ballare in un locale sulla Plaza de Arma, accompagati da cocktail e cuzcuena.

Il giorno seguente abbiamo la mattinata libera, ed io giro da solo per Cuzco, visito l'interno della stupenda cattedrale, piena i raffigurazioni e decorazioni, poi mi dirigo nel quartiere San Blas, uno dei più caratteristici, arrampicato su un colle.
Dopo aver incontrato casualmente Antonio, Ligeia e Viviana a zonzo per la città, alle 14 si riparte alla volta delle cosidette "Cuatro Rovinas", praticamente una serie di fortezze e monumenti raggiungibili da Cuzco: la più importante e famosa è indubbiamente Sachsayhuaman, il forte che si estende impetuoso sopra Cuzco, costituito da enormi massi tagliati, trasportati e incastonati alla perfezione, grande mistero del Perù, che resistettero anche ai fortissimi terremoti che spianarono gran parte della nazione. Sachsayhuaman era il massimo centro del potere e della difesa, anche se poi cadde facilmente in mano agli Spagnoli: oltre a muri e porte, da qui si può godere di uno splendido panorama sulla città di Cuzco, inoltre all'inizio dell'inverno si tiene l'Inti Ramy, cioè la festa del sole.
Le altre rovinas sono di minore importanza, si raggiungono con strade serrate e spesso si trovano un po’ nascoste tra la selva, noi le abbiamo visitate tutte ma non ci hanno colpito particolarmente; di ritorno visitiamo un grosso negozio di tessuti dove ci insegnano a riconoscere le lane e i prodotti seri da quelli economici e commerciali.

Il giorno successivo invece abbiamo visitato le rovine di Pisac (m. 3300), che si trovano arrampicate sopra l'omonimo paese, dove si tiene il mercato che avevamo visto due giorni prima, ma ben 600 metri più in alto. Questa esperienza è stata davvero bella e salutare, con una lunga passeggiata in montagna tra sentieri e strapiombi, e a volte con grossi gradini da salire, mi sorprende il fatto che sull'orlo di profondi precipizi non ci sia neppure una corda o una ringhiera di sicurezza, ma qui gli standard sono questi! Le rovine incaiche sono anche tra le meglio conservate di tutta la Valle Sagrada ed offrono uno spettacolare panorama verso il basso, ricordo che la giornata era splendidamente assolata e l'aria era fresca al punto giusto, ci siamo veramente ossigenati.
Torniamo in hotel abbastanza presto, il cielo si annuvola ma non piove molto, così dopo una meritata doccia faccio un giro con Lorena (che ha sempre voglia di muoversi) e andiamo di nuovo a visitare il quartiere San Blas; purtroppo lasciamo Sole in camera a combattere con un fastidioso mal di denti. Lorena mi mostra un bellissimo e romantico sito panoramico che io non avevo mai raggiunto.
La sera ceniamo e risparmiamo energie, visto che al mattino partiremo per l'attesissimo trekking che ci porterà alla scoperta di Macchu Picchu; siamo molto curiosi e agitati, anche perché dovrebbe rappresentare la ciliegina sulla torta.
Per visitare Macchu Picchu partendo da Cuzco bisogna prendere il trenino delle Ande, dopo di che si hanno tre diverse possibilità: la prima (la meno faticosa) è di arrivare fino al capolinea presso Aguas Calientes e poi con un bus raggiungere le rovine; la seconda (intermedia) è di scendere con il teno al km. 104 e da lì si affronta un trekking di due giorni con pernottamento in un rifugio; la terza (la più faticosa) è di scendere al km. 88 e affrontare un trekking di 4 giorni con tenda e portatori. Noi scegliamo la seconda che comunque ci viene a costare più di 100 $ tutto compreso: è stata una delle spese più rilevanti del viaggio ma ne è valsa la pena.

Ci alziamo prestino e ci rechiamo subito presso la stazione di Cuzco; lì vicino ci sono dei negozi dove comperiamo acqua, frutta e cioccolata in previsione del trekking, Alfiero riesce a farsi capire dagli indios anche in romanaccio puro! Poi di corsa verso il treno per Macchu Picchu per un accurato e scrupoloso controllo dei biglietti; scopriamo che questa linea è completamente gestita da una compagnia straniera privata ed anche il prezzo del biglietto non è economico (16 $ andata e 16 $ il ritorno) considerando i km da percorrere che non sono tantissimi. La prima ora è veramente singolare, poiché da Cuzco il treno deve salire in quota ma non ci sono tornanti, così è stato progettato un sistema di binari pendolari attraverso i quali il vettore tira una volta avanti e una volta indietro salendo in ogni tratto di un po’ di metri elevandosi dalla città, fino a raggiungere la sommità delle montagne e da lì si allontana normalmente.
Comunque il paesaggio è molto bello, si passa attraverso le verdi montagne della Valle Sagrada costeggiando l'Urubamba, affluente del Rio delle Amazzoni; si assapora un clima più tropicale dopo un percorso che per ora è stato tipicamente andino, noi ansiosi e curiosi di arrivare cogliamo dai finestrini paesaggi e campesinos, mentre la nostra guida ci spiega che generalmente il governo affida pezzi di terra ai contadini che la lavorano ma spesso per quanto lavorano e quante tasse pagano i guadagni sono sempre abbastanza scarsi.
Sbarchiamo così al km.104, famoso ormai in tutto il mondo, muniti di zaini, borraccia e scarpe da trekking dopo vari controlli e pagamenti vari cominciamo a salire lungo il sentiero montano; bastano dieci minuti e il caldo ci fa sudare come bestie, d'altra parte qui siamo scesi di quota, siamo intorno ai 2000, uno scherzo rispetto ai 4000 del Titicaca, e il problema non è più l'altitudine ma bensì il caldo.
La guida rimane per ultimo, mentre la nostra Viviana nonostante non sia un gigante sale come una vera alpinista: per ultima rimane Ligeia che forse ha caricato un po’ troppo il suo zaino e sembra quasi stramazzare al suolo. Il nostro Alfiero dapprima rimane dietro, poi dopo la sosta nella capanna con spuntino si riprende e passa in testa. Lo scenario tra le verdi montagne lussureggianti di vegetazione è straordinario, l'aria pulitissima e le mie gambe si intostano sempre di più; mentre salgo penso agli Incas che si insediarono in queste zone, e sicuramente avevano un gran forma fisica poiché dovevano continuamente salire e scendere i grossi gradini di pietra.
Nel primo pomeriggio incontriamo una bellissima cascata, poi ci appaiono quasi come un miraggio nel verde delle splendide rovine incaiche, molto suggestive e ben conservate; si tratta di un antico villaggio montano, qui ci fermiamo e facciamo qualche bella foto, poi proseguiamo ed arriviamo finalmente al rifugio di Huayna Huayna, che possiede una sessantina di posti letto, con ristorante, docce e musica.
Io approfitto per fare subito una doccia visto, che abbiamo un bagno in comune con molta altra gente che deve ancora arrivare, peccato che è fredda e il sapone è contato. Poi anziché riposare faccio una passeggiata con Lorena che ha sempre voglia di camminare e torniamo alle vicine rovine incas dove ammiriamo seduti lo splendido e quieto panorama.
La sera ceniamo e balliamo un po’ con gli altri turisti stranieri, poi tutti nei letti a castello a tre piani, io capito al secondo livello, vicino ad Andrea che già dormiva e Lorena che non ne può più di vedermi.

Al mattino sveglia alla 4, colazione e subito si riparte; è ancora buio quindi siamo costretti ad usare le torce per farci strada sul sentiero, ogni tanto sentivo qualcuno che scivolava sull'umido terreno, pian piano arriva l'alba e camminando arriviamo alla Porta del Sole (non quella più famosa che abbiamo visitato a Tiwanaco in Bolivia), che segna il punto di entrata dall'alto nella spettacolare valle di Macchu Picchu. Così come immaginavo il mitico posto era tutto coperto da bianche e dense nubi che si estendevano sotto di noi, ma la guida ci dice di non disperare perché tra poco spariranno.
Infatti, pian piano la nebbia si dirada e fuoriesce il magico e tanto atteso Macchu Picchu: l'emozione è forte, quello che finora avevo visto sui libri e sui racconti si tramuta in realtà, e non mi delude affatto nonostante lo avevo immaginato in tutti i modi possibili!
Lo scenario è unico nel suo genere, le vaste e chiare rovine spiccano dal verde forte della vegetazione ed intorno si aprono immensi strapiombi che cadono giù fino al letto dell'Urubamba, mentre di fronte a noi emerge il picco del Wayna Picchu, che sembra già sfidarci per una eventuale salita.
Cominciamo così la visita delle rovine , scoperte solo nel 1911 dall'archeologo Bingham; questo posto non venne raggiunto neppure dai conquistatori spagnoli e mi rendo conto del perché, visto il mazzo che abbiamo fatto per raggiungerlo. La guida ci spiega dapprima le gerarchie della civiltà incas, dal Re Inca al sacerdote, al guerriero al popolo al mendicante, comunque ben strutturata e organizzata, dove ognuno aveva un suo ruolo. Poi passiamo alla descrizione delle stanze e ovviamente dell'ingegneria usata per incastrare le pietre alla perfezione: un grande mistero è sapere come e quanto hanno speso gli Incas per portare gli enormi blocchi in cima alla montagna, probabilmente per realizzarlo sono morte tantissime persone, comunque sembra che il Macchu Picchu non sia mai stata una vera fortezza, ma piuttosto un villaggio fortificato.
Mentre consumiamo svariati rullini di foto, il gruppo discute se scalare il Wayna Picchu oppure rilassarsi un po’ e poi scendere alle terme di Aguas Calientes. Alla fine ci dividiamo, io nonostante la stanchezza non rinuncio alla scalata, così mi incammino verso la vetta, assieme a Nicola, Viviana, Lorena e Ligeia che non molla, mentre Alfiero, Sole e Andrea rinunciano e scendono a valle, Antonio rimane tra le rovine e aspetta la nostra discesa.
Prima dell'arrampicata ci fanno firmare l'orario di entrata, visto che a volte qualche turista non è tornato alla base; però, incoraggiante come inizio! Il cammino è ripido e accidentato, in qualche tratto la forte pendenza ha richiesto l'uso di scalinate quasi verticali e chi soffre di vertigini potrebbe trovare qualche problema, al mezzodì il caldo si sente e il sudore abbonda. Man mano che saliamo il panorama si fa sempre più vasto e spettacolare e ci ricompensa di tanta fatica fino a che arriviamo in vetta: è una gran soddisfazione.
Cominciamo poi la discesa, lunghissima, torniamo prima al Macchu Picchu dove mangio un buon panino all'avocado specialità del posto e poi giù fino ad Aguas Calientes che sembra non arrivare mai, credo che siamo scesi in altitudine per più di 1000 metri; prima delle terme ci bagniamo i piedi nella fredda acqua dell'Urubamba, che soddisfazione! Poi ancora in moto fino alle sospirate terme dove ritroviamo i nostri amici e finalmente ci godiamo un meritato bagno termale in acqua calda.
Dopo qualche ora riprendiamo il trenino e torniamo stanchi ma soddisfatti nella nostra Cuzco e purtroppo cominciamo a preparare le valigie per l'ultimo trasferimento.

Al mattino ho ancora il tempo per fare una passeggiata nella splendida Plaza de Arma, la giornata è splendida e assolata, e in più c'è una bella sorpresa finale, è giorno di festa; così trovo tanta gente che guarda la partenza di una lunga processione che esce dalla cattedrale con baldacchini che portano figure sante e del passato, poi numerosi costumi tipici e indigeni, una banda musicale e tantissimi colori, è stato veramente un bel saluto all'indimenticabile capitale storica del Peru.
Poi ci trasferiamo all'aeroporto di Cuzco, che prende il nome di un colonnello; il nostro aereo è puntuale ed è molto confortevole, la compagnia Tans non è niente male, le hostess ridono sempre, così lasciamo le Ande volandoci sopra, sfioriamo le cime innevate della Cordillera con un po’ di nostalgia. A Lima imbarchiamo i bagagli sul volo internazionale e per passare la giornata anziché tornare nella grigia città, ci facciamo portare nella località balneare di Miraflores.
Credo che Miraflores rappresenti il posto più mondano e benestante di tutto lo stato peruviano, ci sono moderne strade e grattacieli, molte sedi commerciali delle principali industrie, banche e società; praticamente può essere considerata la parte residenziale di Lima, inoltre visto che girano più soldi ci avevano avvertito di fare attenzione ai ladri, ma a noi la situazione è sembrata molto tranquilla, Sole la nostra cassiera è giunta intatta fino alla fine del viaggio.
La parte più caratteristica comunque è quella litoranea, dove una costa altissima cala a picco sull'Oceano Pacifico: qui sono stati costruiti viali e giardinetti come il Parco dell'amore dove ci siamo fatti le ultime foto del viaggio e una piattaforma dalla quale si lanciano i ragazzi con il parapendio, sfruttando le forti correnti ventose.
Poi dopo un drink, passeggiamo tra i negozi fino a sera e come gran finale consumiamo l'ultima cena peruviana, presso un bel ristorantino; ci serve una cameriera molto spiritosa e il cibo non delude né gli amanti del cicciopollo come Lorena e Andrea né quelli del pescado alla plancha tra cui io, Antonio e ovviamente Alfiero.
Spendo gli ultimi soles in un mercatino notturno per un maglione di alpaca e poi a malincuore salgo sul pullmino che ci conduce all'aeroporto. Il volo dell'Aerolineas Argentinas da Lima a Buenos Aires è pieno ma in perfetto orario, ci accomodiamo in poltrona ed io capito di nuovo distante dai miei amici, ma faccio una piacevole conoscenza con Ines, una bella ragazza peruviana: devo dire che questa linea mi ha riservato sempre delle gradite sorprese, dovrei prenderla più spesso!
Arriviamo a Buenos Aires nel primo mattino, ma dopo i controlli ci confermano una cosa che già avevamo sentito, cioè ci sono problemi per poter uscire dall'aeroporto! Sembra che rispetto all'andata le leggi siano diventate più restrittive, infatti dapprima ci chiedono una tassa di 30 dollari a testa da pagare (e non è poco!), poi anche volendo ci dicono che non c'è più il personale per i controlli quindi non si può più uscire! A questo punto crolla il nostro ultimo progetto, cioè quello di andare a visitare il delta del Plata, un'escursione di sicuro interesse, peccato! Mi riconsolo ricordando che comunque Buenos Aires sono riuscito a vederla all'inizio della nostra avventura.
Così ci rinchiudono un'intera giornata in aeroporto, e l'aria era un po’ quella del sequestro di persona: la nostra stanchezza accumulata durante gli ultimi giorni ci ha aiutato a dormire un po’ sulle panchine, poi abbiamo visto la deludente prova della nazionale Italiana contro la Croazia che ci ha abbattuto ancor di più, e infine una serie di spuntini e pranzetti alternandoci nei due punti di ristoro offerti dalla struttura.
La sera verso le 22 finalmente prendiamo il nostro aereo; un'ultimo sguardo sulle luci della grande Buenos Aires e parlando con un signore argentino che lasciava la famiglia per andare a lavorare in Italia, grazie all'ospitalità di suoi parenti di Ancona, rifletto su come sia possibile che un Paese così grande, democratico, pieno di risorse e poco denso di popolazione sia potuto sprofondare in una crisi di notevoli dimensioni e gravità; comunque è un gran bel popolo e tornerà alla normalità!

CONCLUSIONI
E' stato un viaggio veramente notevole che ha colto vari aspetti, con un percorso che ha toccato alcune delle mete più classiche del continente sudamericano, tra il Perù la Bolivia e il nord del Cile, la suggestiva costa del Pacifico, le vette andine tra le quali si nascondono grandi siti precolombiani, sopravvissuti ai danneggiamenti dei Spagnoli, che di buono qui hanno lasciato solo qualche bella cattedrale; la numerosa popolazione india conferisce una cultura radicata e profonda a tipici paesini e villaggi i cui colori si fondono alla perfezione con quelli del paesaggio naturale. Interessante è stata anche la visita di Buenos Aires, un Sudamerica sicuramente diverso e più moderno.

5 commenti in “Il Sudamerica di Paolo
  1. Avatar commento
    paolo
    02/05/2007 09:14

    non sò rispondere a questa domamnda, forse facendo delle tappe è possibile, ciao

  2. Avatar commento
    pantera
    19/04/2007 18:43

    bellissimo viaggio....vorrei sapere se esiste un pullman da buenos aires a lima e quanto ci mette....grazie...

  3. Avatar commento
    fede
    15/10/2005 18:33

    che l'America latina mi emozionasse è scontato ma grazie alle tue parole e al tuo racconto ho vissuto 15 minuti di gioia!:D non vedo l'ora di andarci!:p

  4. Avatar commento
    Simon
    07/11/2003 07:53

    Complimenti per il bellissimo viaggio e un grazie per avermi fatto rivivere alcuni magici momenti del mio viaggio in Perù.

  5. Avatar commento
    Biruenico
    07/11/2003 07:53

    L'itinerario illustrato da Paolo ripercorre in parte quello effettuato da me nell'agosto dello stesso anno e il suo resoconto mi ha ricordato immagini calde e profumi avvolgenti di quei luoghi. Specialmente la splendida isola Amantani che mi ha rubato il cuore. Mi permetto di suggerire a chi si trovasse da quelle parti di fare assolutamente l'esperienza di pernottarvi, un modo unico di entrare in contatto con un modo di vivere inimmaginabile per noi. Inoltre a Taquilè tralasciate la piazzetta centrale e i balletti organizzati su misura per i turisti e salite invece alle rovine che sovrastano l'abitato per godere dell'atmosfera unica di un tempio diroccato ma che mantiene intatta tutta la sua coinvolgente magia! E attenzione a Taquilè, il denaro lo usano eccome, o almeno sono molto astuti nello spillarlo ai turisti in ogni occasione possibile, immaginabile o appositamente creata per lo scopo! Nei dintorni di Cuzco poi, il giro nei quattro siti archelogici è forse più suggestivo se fatto a piedi, abbinando così ai siti (tre dei quali effettivamente poco spettacolari) una bella passeggiata immersa neI piccoli agglomerati di case che circondano la zona di Cuzco.

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