Haere mai - Nuova Zelanda parte terza

Da Te Anau risalendo le due isole fino ad Auckland

Analogamente a “Kia ora”, con cui titolai la prima parte di questo nostro viaggio in Nuova Zelanda, anche “Haere mai” è una formula di benvenuto in lingua Maori. Per noi sta ormai diventando anacronistica, visto che siamo giunti agli ultimi otto giorni della nostra esperienza nel Paese più lontano; lo lasceremo però con ottimi ricordi, in particolare proprio le numerose conferme dell’ospitalità che il popolo neozelandese sa riservare ai visitatori.
Questa parte finale del resoconto di viaggio si ricollega alla prima e seconda parte, già pubblicate su questo sito con i titoli “Kia ora” e “Aotearoa”.Il diario di viaggio ha inizio il 15 febbraio 2004 con l’ultima giornata nella zona dei fiordi, quasi all’estremità meridionale della South Island e quindi dell’intero itinerario. Il proseguimento sarà costantemente in direzione nord: dopo avere raggiunto la costa orientale per visitare quello splendido paradiso faunistico che è la Otago Peninsula, le condizioni avverse ci hanno impedito il volo in mongolfiera sulle Canterbury Plains. Ci siamo però rifatti con le tre giornate dedicate alla zona nord dell’isola, con il magnifico Abel Tasman National Park e i dintorni di Nelson e Havelock.
Dopo il traghettamento sulla North Island, ci siamo ancora intrattenuti per una giornata nella vivacissima Wellington per poi intraprendere gli 800 km. finali tra la capitale e Auckland. Al pernottamento intermedio presso il Tongariro National Park ha fatto purtroppo sèguito una giornata perturbata, che ci ha impedito di ammirare, anche da lontano, gli scenari di uno dei più bei parchi neozelandesi.
Dopo l’ultima notte, strategicamente fissata in un motel nei pressi dell’aeroporto di Auckland, non è rimasto (e scusate se è poco…) che il lungo volo di ritorno.


Domenica 15 febbraio
TE ANAU - OTAGO PENINSULA (km. 413/4345)
Giornata intensa ma redditizia sul piano del migliore utilizzo del tempo a disposizione.
Sveglia alle 5,30 per arrivare in tutta calma al molo d’imbarco della crociera nel Doubtful Sound. Da Te Anau, ancora al buio e con tempo piovigginoso, prendiamo la strada n. 95 che in 20 km. ci porta al Pearl Harbour di Manapouri, in largo anticipo sulla partenza delle 7,15.
L’escursione, gestita come per il Milford Sound dalla Real Journeys e prenotata due giorni fa al prezzo di 185 NZ$ a testa, prevede dapprima 30 minuti di navigazione sul Manapouri Lake con sbarco alla sua estremità occidentale: da qui parte l’itinerario per l’omonima centrale idroelettrica, la più grande del Paese e completamente sotterranea, le cui visite sono però temporaneamente precluse.
Si prosegue in pullman lungo la strada di 22 km. del Wilmot Pass, un’ardita via di comunicazione vietata al traffico privato tracciata negli anni Sessanta per il trasporto dal mare dei materiali di costruzione della centrale. Raggiunto Deep Cove, capolinea della strada, ci si imbarca per la vera e propria crociera nel Doubtful Sound, che ha una durata di circa due ore e mezza. Ci accompagnerà uno splendido sole, condizione che da queste parti non è mai scontata, visto che proprio Deep Cove è il luogo più piovoso della Nuova Zelanda con una media di 5.290 mm. di pioggia l’anno!
La motonave naviga lungo il fiordo fino al mare aperto, che dista da Deep Cove circa 35 km., in un susseguirsi di begli scorci, un po’ come quinte di un palcoscenico, su montagne che precipitano in mare percorse da infiniti rigagnoli e cascatelle; scenari naturalmente simili a quelli di Milford Sound visti ieri, anche se, rispetto a quello, è qui più folta la copertura erbosa delle pareti montuose. Anche il Commander Peak (m.1274), la piramide simbolo di questo fiordo come il Mitre Peak lo è del Milford, si differenzia dal “cugino” per le forme più arrotondate e il manto di vegetazione che lo copre.
Il giro di boa avviene contornando la Bauza Island, una specie di “tappo” del fiordo prima dello sbocco sul Mare di Tasman, dopodiché ha inizio il ritorno lungo il braccio di mare già percorso con due brevi deviazioni: una verso una scogliera popolata da foche, l’altra presso un’insenatura nelle cui acque è facile scorgere una colonia di delfini.
Ripercorriamo a ritroso la strada del Wilmot Pass con una sosta del pullman ai 670 metri della quota più elevata, dove godiamo per qualche minuto il fantastico panorama del Doubtful Sound dall’alto; l’ultima mezz’ora di traversata del Manapouri Lake ed eccoci, poco dopo le 13, sbarcare al molo di Pearl Harbour.
Giusto il tempo di uno spuntino e risaliamo in auto. Puntiamo in direzione est con l’intenzione di arrivare per l’ora di cena a Dunedin, punto di partenza obbligato per la visita della Otago Peninsula; la strada è la n. 94, che a Gore, dopo 140 km., si immetterà nella n. 1 proveniente da Invercargill.
Lasciata la maestosità dei paesaggi alpini e del Fiordland, il paesaggio si fa via via più dolce, con la prevalenza di estesi terreni a pascolo popolati da greggi di ovini a perdita d’occhio; d’altra parte le statistiche parlano di circa 70 milioni di capi presenti in Nuova Zelanda, quasi 20 per ciascun abitante.
Pur non essendo negli States, ci imbattiamo a breve distanza in due stranezze della categoria “americanate”: a Gore, nota per la pesca delle trote marroni nel Mataura River, spicca una colossale statua del pregiato pesce. In più, un curioso caso vuole che, una trentina di km. più avanti, sorga la cittadina di Clinton, come dire… l’ex presidente degli USA e il suo vice! Così non hanno perso l’occasione per battezzare questo tratto Presidents Highway: che spiritosoni questi neozelandesi!
Proprio nelle vicinanze facciamo sosta per un caffè in un emporio che funge anche da ufficio informazioni locale. Anche se non è affiliato al consorzio nazionale degli “i-sites”, , con un po’ di faccia tosta approfittiamo per prenotare il pernottamento di questa sera; sulla Lonely Planet abbiamo già individuato alcune strutture ricettive e le due gentili signore che gestiscono il locale, con un paio di telefonate che nemmeno ci addebitano, ci fissano la sistemazione in un motel della Otago Peninsula.
Risolto il problemino, proseguiamo senza patemi; non lasciamo più la n. 1, che negli 80 km. oltre Balclutha coincide con la Southern Scenic Route, e, rinviata a domani la visita di Dunedin, ci innestiamo sulla strada che ricalca il profilo costiero della penisola, prospiciente la lunga baia dell’Otago Harbour.
In una successione di stupendi scorci su un’alternanza di promontori, piccole insenature e porticcioli di pesca, raggiungiamo il luogo in cui pernotteremo, un confortevole cottage indipendente immerso nel verde all’Harington Point Village Motel che ci costa appena 150 NZ$. La posizione è anche strategica, a non più di due chilometri da Taiaroa Head, estremità nord della penisola dominata da un faro (non accessibile) e punto focale delle principali attrazioni.
Posati i bagagli, ci rechiamo quindi sul sito, in particolare l’edificio che ospita un piccolo shopping center, un ristorante e il Royal Albatross Centre, che studia l’unica colonia al mondo di albatri reali residente sulla terraferma. Mentre posteggiamo la macchina, incrociamo la jeep della “Natures Wonders” (vedi Links), uno degli operatori che organizzano i tours in fuoristrada per l’osservazione della fauna locale: al volante c’è Perry, figura di lupo di mare dal viso modellato con la pialla, con il quale concordiamo l’escursione delle 10,15 di domani per 30 NZ$ a testa.
Ceniamo senza infamia e senza lode nel ristorante del Centre e finiamo giusto in tempo per l’imperdibile evento di ogni sera. Sotto la guida (gratuita) di un guardiaparco, ci si porta sulla sottostante Pilots Beach, una striscia sabbiosa delimitata da scogli sui quali di giorno staziona una colonia di otarie (le vedremo domani); qui ogni sera al tramonto prende terra, sempre sullo stesso preciso percorso, una trentina di pinguini blu, spettacolo al quale si assiste da non più di due metri di distanza, con l’ovvia raccomandazione di non accendere luci, non fotografare, rimanere fermi e in silenzio. Questa sera il bollettino meteo prevede il tramonto alle 21,30, ora in cui, puntuali come un Rolex, ecco le buffe silhouettes (circa 35 cm. di altezza) emergere dal mare, darsi una scrollatina e dirigersi barcollando verso gli anfratti del terreno, dove in pochi secondi scompaiono alla vista. Particolarmente simpatico l’ultimo che tarda di un paio di minuti: deve essere lo “scemo del villaggio”, evidentemente noto alla guida, che aspetta il suo arrivo prima di sciogliere il gruppo!

Lunedì 16 febbraio
OTAGO PENINSULA - METHVEN (km. 362/4707)
Dopo gli abituali scrosci d’acqua della notte, un bel sole, con qualche nuvoletta di passaggio, ci accompagnerà fino a metà pomeriggio.
Dopo la consueta colazione allestita nel nostro lodge, ci portiamo nuovamente a Taiaroa Head, dove abbiamo il tempo, in attesa delle 10,15, di fare una passeggiata lungo il sentiero transennato che contorna il lato orientale del promontorio. Lo scenario è suggestivo, con il mare impetuoso a picco sotto di noi e le scogliere dirupate dalla particolare colorazione rossiccia, dovuta evidentemente alla presenza di argille e arenarie.
In anfratti tra le rocce, si distinguono bene nidi di cormorani, con una spola continua di adulti che portano cibo per imboccare i piccoli.
Raggiungiamo in macchina, sull’elevazione antistante, la sede della “Natures Wonders”, un edificio che comprende anche il centro visite e un ristorante. Da qui saliamo su uno degli eight wheels all terrain vehicles (gipponi bassi e larghi a otto ruote), guidati da uno dei figli di Perry per il previsto tour di un’ora; la prima meta è un dosso panoramico dal quale si ha un’idea d’insieme della penisola, affacciata da un lato sull’Otago Harbour e dall’altro (sud-est) sul mare aperto. Si scende poi ad una scogliera sulla quale vive una folta colonia di foche (tutte femmine, alcune con il piccolo) per spostarsi infine nell’area focale dell’escursione, la Penguin Beach, uno dei pochi siti al mondo (tutti su questo tratto di costa neozelandese) che ospitino i pinguini dagli occhi gialli, rara specie in pericolo di estinzione; non si pensi però di poterli avvicinare, in realtà si possono appena scorgere da lontano, mentre si aggirano tra gli arbusti della spiaggia, solo da un camminamento coperto in legno e grazie ai binocoli forniti dalla guida.
Conclusa l’esperienza, scendiamo di nuovo alla Pilots Beach, durante il giorno popolata di simpaticissime foche (qui tutti maschi sui 100-120 chili), che possono essere avvicinate con facilità: essendo a terra quasi indifese per via della grossa mole, ringhiano un po’ quando si arriva a un paio di metri ed è quindi bene non andare oltre, evitare gesti bruschi e osservare un minimo di cautela.
Lasciamo infine la Otago Peninsula ammirandone ancora una volta gli scenari costieri e ci portiamo a Dunedin, che ne dista una trentina di chilometri. La città, circa 120.000 abitanti, ci ispira subito il senso di un’ottima qualità di vita; in essa sono molto radicati i legami con la Scozia, provenendo proprio da quel Paese i suoi fondatori a metà Ottocento ed essendo Dunedin l’antico nome gaelico di Edinburgh. Ne sono testimonianza l’architettura con i palazzi in stile vittoriano, i nomi scozzesi di parecchie strade e il monumento del poeta Robert Burns.
Una visita, anche sintetica, non può prescindere dalla stazione ferroviaria, sia all’esterno che all’interno: è una scenografica e raffinata costruzione del 1906 in un originale stile neofiammingo rinascimentale che è considerata l’edificio più elegante della Nuova Zelanda. Sul lato opposto dei prospicienti giardini, è pregevole anche il palazzo delle Law Courts, contemporaneo e in parte uniformato nello stile alla stazione.
Punto focale di Dunedin è il cosiddetto Octagon, punto di confluenza delle principali direttrici, spazio di grande equilibrio urbanistico e centro dell’animazione cittadina con aree verdi, locali di ritrovo, centri commerciali e bei palazzi tra cui spicca quello delle Municipal Chambers. Proprio al suo pianterreno è ubicato l’ufficio turistico, come al solito molto efficiente, al quale ci indirizziamo per le incombenze che più ci premono, prima tra tutte il volo in mongolfiera sulle Canterbury Plains che vogliamo effettuare domani: ci è fissato appoggiandoci al “Aoraki Ballon Safaris”, un operatore di Methven, e conseguentemente prenotato in tale città il pernottamento di stasera.
Proseguendo oltre Dunedin sempre lungo la n. 1 in direzione nord, si incontra dopo 70 km. uno dei luoghi più singolari della Nuova Zelanda (e non solo…). Su una lunga spiaggia sabbiosa a breve distanza dalla strada sono disseminati i Moeraki Boulders, una cinquantina di massi perfettamente emisferici del diametro tra uno e oltre due metri: sono il risultato di un fenomeno geologico e chimico unico al mondo, cioè progressive stratificazioni di sali di calcio intorno a un nucleo originario avvenute sul fondo marino circa 60 milioni di anni fa. Particolarmente sorprendenti sono alcuni frantumati in più “spicchi”, dei quali si può apprezzare le differenze di consistenza e di colorazione dei vari strati. Fino a qualche decennio fa erano molto più numerosi, finché la scoperta del luogo da parte del turismo fece sì che quelli “trasportabili” fossero, appunto… trasportati via dai collezionisti di souvenirs!
Abbiamo ancora davanti oltre 250 km. e sono ormai le 16: di conseguenza possiamo dedicare poco tempo ad Oamaru (30 km. da Moeraki), che invece propone parecchie attrattive. Del resto la priorità era quella di pernottare sul luogo di partenza del volo in mongolfiera e le scelte comportano anche qualche rinuncia. Ci limitiamo quindi a un giro in auto lungo le vie della cittadina, che è pregevole per l’uniformità di stile dei palazzi costruiti a fine Ottocento, quando era un ricco centro di commercio dei cereali: la nota che li accomuna è la delicata tonalità beige della pietra di Oamaru, roccia calcarea locale di ottima lavorabilità, come si osserva dai raffinati particolari degli edifici. Nella zona della Friendly Bay si possono osservare i pinguini che si tuffano in mare all’alba ed emergono al tramonto: siamo però… fuori orario e ci accontentiamo di fotografare il simpatico cartello stradale giallo “Slow - penguin crossing”.
Il resto del pomeriggio è puro trasferimento: copriamo un centinaio di km. fino a Temuka, da dove lasciamo la costa per innestarci sulla 72 (Inland Scenic Route) e proseguiamo senza fare più soste, anche perché si è messo a piovere e la totale copertura del cielo non promette niente di buono per domani.
Arriviamo all’Abisko Lodge di Methven intorno alle 19: per 150 NZ$ ci è stata riservata l’intera dipendenza, un grosso edificio vecchiotto completamente in legno a due piani che ricorda la villa del film “Psyco”, tanto più che all’interno, tanto spazioso da poter ospitare fino a dodici persone, ci si muove in un concerto ininterrotto di scricchiolii. Evan, il nostro padrone di casa, ha già preso contatti con il balloon man George e ci lascia un cellulare con l’accordo di chiamarlo domattina alle 5 per definire l’effettuazione o meno del volo: probabilità meno del 20%.
Per la cena, abbiamo saggiamente fatto provviste in un supermarket lungo la strada e possiamo evitare di uscire sotto la pioggia alla ricerca di ristoranti: ci basta meno di mezz’ora per prepaare un piatto di penne al pomodoro e una bella insalatona. E poi… a nanna presto!

Martedì 17 febbraio
METHVEN - NELSON (km. 536/5243)
Sveglia antelucana per chiamare alle 5 sul cellulare George, l’uomo del “Aoraki Ballon Safaris”, che ci conferma quanto già immaginato: anche se ha smesso di piovere, le condizioni meteo sono instabili e non consentono il volo in mongolfiera. Ci schiacciamo così ancora qualche ora di sonno, facciamo colazione e puntualizziamo il programma per i prossimi giorni: visto il tempo incerto, decidiamo di rinunciare alla visita di Christchurch (100 km a est da qui) e dedicare la giornata al trasferimento verso l’estremo nord della South Island, in particolare l’area dell’Abel Tasman National Park che vanta uno dei migliori climi della Nuova Zelanda.
Methven, la cittadina nella quale abbiamo dormito, non ha particolari attrattive, essendo più che altro un centro di servizi in posizione strategica per le molte attività nei dintorni: trekking e sports invernali nelle aree di Mount Hutt e Mount Somers, pesca sul Coleridge Lake e sul Rakaia River, rafting sul Rangitaia River e la Rakaia Gorge, voli in mongolfiera, golf, equitazione, ecc.
Partiamo quindi alle 9,30 per una tappa senza storia, un po’ per il tempo uggioso ma soprattutto perché, dopo una cinquantina di km., giungiamo a Waddington, bivio per il già noto Arthur’s Pass (vedi parte seconda), oltre il quale ricalchiamo per circa 300 km. il tragitto dell’andata, per buona parte costiero.
L’ormai familiare Kaikoura, dove una settimana fa partecipammo alla crociera per l’avvistamento delle balene, è il posto giusto per fare sosta, visto che sono le 12,30, siamo circa a metà del percorso odierno, si è rimesso a piovere e abbiamo un certo appetito. Lo soddisfiamo in un self-service all’ingresso della cittadina e riprendiamo il viaggio in direzione nord fino a Blenheim, dove lasciamo la n. 1 per deviare sulla 6 in direzione di Nelson. Circa a metà del tratto tocchiamo Havelock, che, trovandosi a una quindicina di km. da Picton, ci sembra ideale per pernottarvi dopodomani ed essere comodi per il traghetto del giorno dopo: tra quelli allineati sulla Main Road, scegliamo il Garden Motel, dove fissiamo per 135 NZ$ un bel lodge senza che nemmeno ci sia richiesta una caparra.
Arriviamo a Nelson verso le 16 mentre il sole sta per avere la meglio sui nuvoloni neri che però non si arrendono tanto facilmente: non ci facciamo più gran caso, ormai sappiamo che qui il tempo funziona così…
Nella zona centrale parecchi motel espongono l'avviso no vacancy, così ci defiliamo verso la periferia sud e troviamo sistemazione al Caravan Park, 230 Vanguard Street: le solite unit a quattri posti sono un po' vecchiotte e più piccole del solito ma, dato il prezzo di 69 NZ$ l'una, facciamo una "signorata" e ce ne accaparriamo due adiacenti per stasera e per domani.
C'è anche il tempo per un breve giro in città, anche se, essendo a ridosso delle 17,30, tutti i negozi stanno chiudendo. Fanno eccezione i grandi magazzini, il che ci consente di fare un po' di spesa e prepararci di nuovo la cena per conto nostro. Mangeremo invece in qualche buon ristorante (stando alle guide, a Nelson non mancano) domani sera, a conclusione di una giornata che si prospetta intensa e un po' impegnativa.

Mercoledì 18 febbraio
NELSON E L'ABEL TASMAN NATIONAL PARK (km. 167/5410)
Più che la città di per sé (comunque piacevole), Nelson è importante come luogo di sosta strategico per la visita delle diverse attrazioni dei dintorni; prima tra tutte è l'incantevole Abel Tasman National Park, uno dei più piccoli della Nuova Zelanda nel quale sono però concentrati ambienti naturali quanto mai vari. Tra le attività che vi si possono svolgere, il trekking, l'osservazione della fauna e della flora, il kayak, la navigazione costiera con i taxi d'acqua o semplicemente rilassarsi sulle spiagge di sabbia dorata prospicienti un mare sempre cristallino.
Da Nelson puntiamo a sud-ovest lungo la n. 6 per poi deviare da Richmond sulla 60 per raggiungere (60 km. da Nelson) Motueka, il principale centro di servizi della zona. Di lì una decina di km. portano a Marahau, luogo di partenza di tutti gli itinerari pedestri e acquatici.
Il vero must dell'Abel Tasman è la Coast Track, un magnifico sentiero di più giorni che da qui porta a Whariwharangi Hut, 48 chilometri più a nord. Il servizio degli Aqua Taxi, che percorrono nei due sensi tutto il tratto sotto costa effettuando sei fermate, permette di personalizzarsi l'escursione compiendo tragitti parziali.
E' quello che facciamo noi: acquistiamo per 43 NZ$ a testa il passaggio di andata e ritorno e partiamo dalla biglietteria alle 10,30. La cosa curiosa è che nel piazzale antistante si sale sull'imbarcazione caricata su un carrello e trainata da un grosso trattore per circa un chilometro fino alla spiaggia; questo perché nel corso della giornata le maree fanno ritirare l'acqua anche di alcune centinaia di metri ed è necessario trasportare l'Aqua Taxi fin dove possa prendere il mare senza arenarsi.
Godendo di un paesaggio litoraneo da favola, vieppiù valorizzato dalla giornata di splendido sole, navighiamo per circa un'ora fino a sbarcare a Bark Bay, stupenda spiaggia sabbiosa a ferro di cavallo contornata da fitta boscaglia tropicale. Da qui intraprendiamo il percorso a piedi di 8 km. che in circa due ore e mezzo porta a Torrent Bay: il sentiero, sempre ben tracciato e segnalato, è alla portata di tutti, anche se il forte grado di umidità si fa sentire, specie in alcuni saliscendi. A tratti vicini alla costa se ne alternano altri all'interno tra vegetazione compatta, risalendo e tagliando alcune vallette scavate da fiumi, in un caso scavalcandone una su un ponte sospeso di una trentina di metri; di tanto in tanto si aprono scorci meravigliosi sulle spiagge sottostanti.
Poco prima delle 14 eccoci a Torrent Bay, dove abbiamo una mezz'ora per stenderci a prendere un po' di sole. La marea si è intanto visibilmente abbassata rispetto a stamattina e quando arriva l'Aqua Taxi deve fermarsi un po' al largo: per raggiungerlo tocca quindi togliersi le scarpe e percorrere circa duecento metri di bagnasciuga.
Tornati all'auto poco prima delle 16, rientriamo a Nelson con tutto comodo, approfittando del bel sole per frequenti soste panoramiche. Ma da queste parti oltre ventiquattr'ore senza qualche goccetta d'acqua (dall'alto intendo, in basso oggi ne abbiamo visto in abbondanza…) sono un caso strano: giusto il tempo di tornare al motel, rimettersi in ordine e dirigersi verso la zona portuale per cenare, ed ecco la solita razione giornaliera di pioggia, stavamo giusto in pensiero…
Stasera vogliamo trattarci bene, ma il raccomandatissimo Boat Shed Cafè in Wakefield Quay non ha posto fin dopo le 21,30 e, avendo un certo appetito (mai venuto meno in questo viaggio…), ripieghiamo sul Harbour Light, giusto di fronte. Il locale è accogliente, magnifica la vista sulla baia dalla sala da pranzo al primo piano, ma la cena è niente di memorabile: i piatti sono fin troppo ricercati, con ammiccamenti alla cucina italiana (es. bruschetta) che si rivelano però alquanto pretestuosi, e piuttosti scarsini. Spendiamo sui 40 NZ$ a testa.

Giovedì 19 febbraio
NELSON - HAVELOCK (km. 193/5603)
C'è il tempo di passare qualche ora in giro per Nelson, anche approfittando dei negozi aperti. La cittadina, per assetto urbano, tipologia degli edifici e decorazione, ricorda un po' Napier e, come in tutta la Nuova Zelanda, è palpabile la buona qualità di vita e l'alto livello dei servizi; cito solo due particolari che ne sono testimonianza, le numerose nursery a disposizione delle mamme, attrezzate con l'occorrente per cambiare o dar da mangiare o far riposare il bambino, e le gioiellerie con le ampie porte spalancate e la gente all'interno che gira liberamente tra le vetrine.
Un'attrattiva decisamente stravagante è il WOW, World of Wearable Art, ovvero il mondo dell'arte da indossare. Si tratta di un'esposizione di "abiti" (non so nemmeno se chiamarli così) sfilati nel corso dell'annuale Wearable Art Awards, occasione in cui, a partire dal 1987, artisti di tutto il mondo si sbizzarriscono a creare opere d'arte nelle forme e materiali più svariati fatte poi indossare da modelle/modelli. Qualche esempio: un abito a forma di grossa mano, un'enorme aragosta in cartapesta a mo' di cappello, una cassettiera o due teste di lupo indossate come reggiseno, un vestito in forma di albero con tanto di radici, più tante altre bizzarrie da scoprire nel sito riportato nei Links. Un'ala del museo, anch'essa da non perdere, espone un variopinto campionario di auto antiche, di cui molte "ambientate" con personaggi quali Elvis Presley, Al Capone o Marilyn Monroe.
Lasciamo Nelson intorno a mezzogiorno. Appena una quarantina di chilometri ci dividono da Havelock, dove il pernottamento è già fissato, così abbiamo il tempo di dedicare qualche ora alla conoscenza, per quanto superficiale, delle Marlborough Sounds. Si tratta della zona all'estremità nord-orientale della South Island, caratterizzata da un intricato insieme di piccoli golfi, promontori, coste frastagliate, insenature; a parte poche strade tortuose e piccoli centri abitati, l'area si può visitare solo per vie d'acque o lungo itinerari a piedi, tra i quali spicca la magnifica Queen Charlotte Track, 71 km. in ambiente incontaminato.
So che mi ripeto, ma è l'ennesima conferma: ci vorrebbero due mesi anziché 23 giorni!
Facciamo sosta per uno spuntino a Rai Valley, una manciata di case e qualche servizio, per spingerci poi su una deviazione di 23 km. che porta a Okiwi Bay, una tranquilla baia dove c'è solo un holiday park, ideale per una vacanza a base di relax, barca, pesca e passeggiate.
Rientrati sulla n. 6, giungiamo in breve a Havelock, dove prendiamo possesso del nostro lodge al Garden Motel, una vera oasi di pace in mezzo al verde circondata da alberi di alto fusto.
Abbiamo ancora un po' di tempo, che occupiamo con una passeggiata in paese (non ci vuole poi molto…) e con una puntata in auto fino alla baia di Anakiwa (20+20 km.), meritevole non tanto per la meta quanto per la spettacolarità della strada, un susseguirsi ininterrotto di tornanti e saliscendi con bei panorami dall'alto sulle Marlborough Sounds.
E' indicato in tutte le guide e non ce lo perdiamo: parlo del "Mussel Boy" di Havelock, vero tempio dei greenshell mussels, le gigantesche cozze dal guscio verde di cui la cittadina si è autonominata capitale, nel quale abbiamo prenotato la cena. Mentre non si placa l'acquazzone che ci costringe a usare l'auto benché il locale sia a non più di 50 metri dal motel, ci dedichiamo a uno squisito clam chowder (zuppa di pesce cremosa che già avevamo apprezzato a San Francisco) e a quattro pignattoni di cozze al vapore: sono un po' meno saporite delle nostre mediterranee, ma ce n'è da farne scorpacciata!

Venerdì 20 febbraio
HAVELOCK - PICTON (traghetto) - WELLINGTON (km. 70/5673)
La scelta di Havelock quale luogo di pernottamento si è rivelata ottima: non occorre fare levatacce per coprire i 25 km. da qui al molo di Picton arrivando con tutto il tempo per riconsegnare l'auto al referente della Omega e fare il check-in di viaggiatori e bagagli.
Il traghetto parte puntuale alle 10 e, a differenza della traversata in senso opposto di dieci giorni fa, la giornata, pienamente soleggiata, regala il piacere di rimanere sul ponte ad ammirare il paesaggio: la prima delle tre ore di traversata si svolge infatti lungo il Queen Charlotte Sound nell'alternarsi dello splendido azzurro del mare con il verde brillante della vegetazione e ci consente di apprezzare in condizioni ideali l'ambiente delle Marlborough Sounds. Si sfocia poi sullo stretto di Cook propriamente detto per entrare infine nella baia di Wellington.
Approfittiamo del self-service di bordo per guadagnare un po' di tempo, in modo di impiegare poi al meglio la mezza giornata che abbiamo davanti. Sbarchiamo alle 13 e in breve (ormai siamo pratici…) entriamo in possesso della terza auto, una Subaru Impreza station wagon che, per l'ingombro e la vetustà, ci farà rimpiangere la Toyota Camry seminuova utilizzata nella South Island. Meno male che ci servirà solo per tre giorni!
Siamo ormai pratici anche della viabilità di Wellington (soprattutto grazie a quei "piccioni viaggiatori" che sono Enzo e Walter) e in men che non si dica eccoci parcheggiare la macchina nel cortile del già noto Apollo Lodge al 49 di Majoribanks Street. L'appartamento che ci è assegnato è un po' più piccolo di quello che occupammo all'andata e correttamente ci vengono fatti pagare 140 NZ$ anziché 150.
Per sfruttare il più possibile il pomeriggio, anche per i molti spunti di interesse che la capitale offre, preferiamo dividerci per ritrovarci in camera all'ora di cena. Wellington conferma l'ottima impressione avuta nella breve tappa precedente e in una giornata così luminosa vale la pena di gustarsela: come documentazione, consiglio di procurarsi presso il Visitors Centre di Civic Square i tre opuscoli "Explore Wellington", ciascuno dei quali riporta con chiarezza le attrattive delle varie zone della città.
Il tempo è limitato anche questa volta ma davvero da non perdere sono:
** una passeggiata nell'area di Lambton Harbour, un tempo zona industriale del porto e oggi riconvertita a luogo di aggregazione frequentato volentieri da residenti e turisti;
** la Civic Square, anch'essa area pedonale ricavata dalla riorganizzazione della rete stradale, diventando così uno dei punti focali della vita cittadina; molto pacevole è la pavimentazione beige e arancione, i locali che vi si affacciano e la splendida sfera-felce che, legata con fili quasi invisibili, sembra sospesa in aria sopra la piazza;
** Lambton Quay, la classica via dello shopping ricca di centri commerciali, negozi alla moda, locali di ritrovo, ristoranti multietnici; da essa si dirama il Cable Car, la funicolare che porta ai Botanic Gardens, ottimo punto panoramico sulla città;
** i quartieri collinari, che già attraversammo dieci giorni fa per percorrere in auto la strada costiera; sui pendii vi sono fittamente schierate villette, per lo più in legno di kauro e in prevalenza a due piani, risalenti ai primi del Novecento, caratterizzate da particolari quali le tinte vivaci, i bovindi sporgenti, le verande al piano terra, i tetti a spiovente, i balconi con balaustra;
** il Museum of New Zealand; più noto come Te Papa Tongarewa ("il nostro luogo" in lingua Maori), è il museo della storia e delle culture della Nuova Zelanda. Allestito secondo le più moderne concezioni nel 1998, è da considerare una scommessa vinta: si decise infatti di renderne gratuito l'accesso con la richiesta di un contributo volontario e, nonostante il diffuso scetticismo, già oggi gli incassi hanno abbondantemente coperto le spese! Su cinque piani si sviluppano collezioni di manufatti, ricostruzioni dei vari habitat del Paese, percorsi interattivi, simulazioni di fenomeni naturali, un viaggio virtuale nel futuro, tutti aspetti che rendono il museo appetibile anche per i più piccoli.
** La piccola Old Saint Paul Cathedral, un'incantevole costruzione del 1866, bianca all'esterno e riccamente intagliata all'interno, edificata completamente in legno, chiodi compresi.
In mezza giornata, più di questo non ci è stato francamente possibile e lasceremo la capitale con il già espresso rammarico di non disporre di più tempo.
Per la cena, avevamo già praticamente deciso dieci giorni fa, quando mangiammo nell'adiacente "Royal Thai": si tratta, a pochi passi dal nostro motel, del "Gengis Khan Mongolian Barbecue", che si rivela un'ottima scelta, anche se non so se i Mongoli delle steppe mangino esattamente così… Per 18 NZ$ (+ bevande) funziona la formula all you can eat: ci si mette in fila a un bancone, si riempie il piatto con un'ampia scelta di carni, noodles, riso, verdure e salse, lo si consegna a due cuochi indaffarati davanti a una piastra rovente di un metro e mezzo di diametro e dopo un paio di minuti lo si ritira cotto a puntino, il tutto ripetuto finché… non si scoppia!

Sabato 21 febbraio
WELLINGTON - OHAKUNE (km. 339/6012)
Prima di lasciare definitivamente Wellington, ci affidiamo per l'ultima volta all'ormai familiare consorzio degli "i-site" per fissare i pernottamenti di stasera e domani, rispettivamente a Ohakune e ad Auckland in zona aeroporto. Ancora un giro in città per qualche acquisto e partiamo infine verso le 11: sarà una tappa di puro trasferimento, praticamente senza storia anche per il tempo sempre piovigginoso.
Negli ultimi giorni abbiamo avuto vaghe notizie su danni provocati dal maltempo nell'isola del Nord e non tardiamo, dopo esserci immessi sulla n. 1, e riscontrarne di persona la portata: fiumi straripati, ponti crollati, coltivazioni allagate, fattorie sommerse dall'acqua. Se il nostro itinerario fosse stato in anticipo di due o tre giorni, ci saremmo trovati nei guai anche noi!
Dopo circa 150 km. facciamo l'unica breve sosta del tratto a Bulls, piccola località sede di allevamenti di tori in cui gli abitanti si sono sbizzarriti nei giochi di parole con cui hanno rinominato i vari esercizi cittadini: "bank-a-bull" (banca), "indispens-a-bull" (farmacia) e altre simili amenità…
Arriviamo intorno alle 16 a Ohakune, dove ci sistemiamo allo Hobbit Motorlodge (appena 100 NZ$ per la consueta self-contained-uni", il miglior rapporto prezzo-qualità dell'intero viaggio); ci troviamo all'ingresso sud del Tongariro National Park. Abbiamo ormai rinunciato ai trekkings che percorrono questo bellissimo parco e ci consola il fatto che il tempo si mantiene sul piovoso (la vecchia storia della volpe e dell'uva…), ma vogliamo almeno farcene un'idea: saliamo in macchina e percorriamo i 17 km., nella seconda metà alquanto dissestati, che portano ai 1600 metri dell'area sciistica di Turoa ma lo spesso nebbione ci preclude totalmente ogni visuale.
Ci consoliamo con l'ottima cena all'Ohakune Club in una serata in cui non guasta il grosso camino acceso in un angolo della sala da pranzo: la lunga attesa delle portate, che inganniamo guardando piovere attraverso la vetrata e bevendo un paio di birre, è ben ripagata dal fisherman basket e dalle costolette di agnello, tutto davvero squisito.

Domenica 22 febbraio
OHAKUNE - AUCKLAND (km. 474/6486)
Ohakune, come già annuncia la gigantesca carota dipinta nel cartello al suo ingresso, è in una zona di forte produzione di ortaggi e centro di servizi per le attività estive e invernali che si svolgono nel Tongariro National Park.
Dopo la pioggia ininterotta della notte, il cielo si va rapidamente schiarendo, così decidiamo di "riprovarci" e puntiamo di nuovo su Turoa. Apprezziamo almeno il panorama verso il fondo valle, mentre sul piazzale degli impianti di risalita (in questa stagione chiusi) permangono banchi di nebbia attraverso i quali riusciamo a scorgere solo per qualche secondo la calotta innevata del Ruapehu, il vulcano di 2797 metri protagonista di frequenti eruzioni: l'ultima, nel 1995, lasciò una nube di polveri talmente densa da impedire per mesi il traffico aereo sulla zona.
Dobbiamo insomma accontentarci, e anche nel successivo tratto di 100 km. da Ohakune a Turangi qualche scorcio da lontano sulle altre due cime del Parco, il Ngauruhoe (m. 2287) e il Tongariro (m. 1968), non è nemmeno un assaggio degli scenari del Tongariro Crossing ammirati in cartoline, libri e siti Web. Ma si può sempre tornare, non ci sono che 25 ore di volo…
Altri 50 km. ed eccoci a Taupo, al limite nord dell'omonimo lago, il più esteso della Nuova Zelanda; quando passammo di qui 15 giorni fa diluviava, oggi invece possiamo rifarci con una piacevole passeggiata sul lungolago, uno spuntino e una puntata nei negozietti della piacevole zona pedonale dove acquistiamo qualche oggetto di buon artigianato Maori.
Rimangono 280 km. da qui ad Auckland, che percorreremo non abbandonando più la n. 1. Pochi minuti oltre Taupo, tralasciata la deviazione per le Huka Falls, già viste all'andata, prendiamo invece quella per i Craters of the Moon, una zona di fenomeni geotermici, crateri fumanti e sorgenti calde: esiste un percorso a piedi su passerelle, ma scegliamo di risparmiare il biglietto d'ingresso, anche perché, dopo avere visitato all'andata l'area di Rotorua, basta e avanza ciò che si vede dall'esterno della palizzata. Una curiosità: parte delle acque calde sono canalizzate per temperare le vasche di alcuni vivai di gamberi alcuni chilometri più a valle.
Il tratto di strada (98 km.) tra Taupo e Tirau è denominato Art and Antiques Highway per la presenza di numerosi empori di artigianato e anticaglie; proprio a Tirau decidiamo di fare una sosta di un'oretta, un po' per curiosare nelle varie botteghe ma soprattutto per le stranezze di cui la cittadina è disseminata. La nota dominante di Tirau che balza subito all'occhio è la lamiera ondulata, utilizzata, ritagliata, modellata e dipinta, spesso in maniera originale, per ricavarne decorazioni, insegne, ma anche edifici: l'ufficio turistico è ad esempio all'interno del "Big Dog Information Centre", un grosso padiglione a forma di cane sorridente; altro capannone, ma in forma di grossa pecora, è la "Big Sheep Wool Gallery", un emporio di manufatti in lana, più tante altre curiosità da scoprire sul sito riportato nei Links.
Hamilton, che con 150.000 abitanti è la quinta città del Paese nel cuore di un importante distretto agricolo e situata a 126 km. da Auckland, è l'ultima tappa della giornata prima di raggiungere la metropoli, ma anche l'ultima dell'intero viaggio. Si presenta gradevole e ricca di verde e ci dispiace tirare dritto, così posteggiamo l'auto lungo un bel viale alberato e facciamo quattro passi nei giardini davanti al palazzo municipale; diamo un'occhiata anche al vicino campo di cricket (dopo il rugby, uno degli sport più praticati in Nuova Zelanda), dove è in corso una partita, ma è uno sport che non capirò mai!
Non rimane ora che puntare su Auckland, cosa che dopo l'ingresso nel nodo stradale cittadino ci dà qualche grattacapo per il traffico del rientro domenicale. Abbiamo comunque anche il tempo per un sopralluogo all'aeroporto e alla vicina sede della Omega per poterci domani orientare e sbrigare tutte le pratiche senza affanni.
Bastano pochi minuti per raggiungere il Kiwi International Airport Motel sulla McKenzie Road, dove ci sono assegnate due camere per totali 150 NZ$. Dopo una buona doccia, non abbiamo voglia di farci i 21+21 km. da qui al centro città e per la cena ci orientiamo su uno dei tre ristoranti che si trovano a cinque minuti a piedi dal motel; ne scegliamo uno di cucina orientale gestito da un vulcanico immigrato greco che mastica un po' di italiano. Mangiamo bene a base di pesce con l'offerta finale di due giri di ouzo, il tipico liquore greco di anice, da parte del padrone di casa che ci intrattiene anche sulla sua filosofia riguardo le donne, in sintesi questa: "Perché devo comprarmi un libro e mettermelo in casa, se posso prenderlo in biblioteca, restituirlo dopo averlo letto e cambiarne quanti ne voglio?". No comment…

Lunedì 23 febbraio
AUCKLAND E DINTORNI - AEROPORTO (km. 94/6580)
In realtà, più dintorni che Auckland… anzi un posto solo!
Abbiamo tutta la mattina disponibile ma non ci vogliamo sguazzare: il volo Auckland - Sydney, al quale seguiranno Sydney - Bangkok, Bangkok - Roma e Roma - Genova, con arrivo al "Cristoforo Colombo" alle 9,45 (+ 12 ore di fuso) di domani, parte alle 14,30 ed è opportuno trovarci in aeroporto non troppo oltre il mezzogiorno.
La meta prescelta, anche perché non impone l'attraversamento dell'agglomerato urbano, è la costa occidentale, caratterizzata dalle lunghissime spiagge sabbiose affacciate sul Mare di Tasman. Dal motel la strada n. 20, poi 15, descrive un ampio arco in vista del Manukau Harbour per portarsi poi all'interno all'altezza di Titirangi: con un percorso a stretti tornanti nel cuore di una fittissima vegetazione nella quale spiccano quelle enormi felci arboree che non finiscono di stupirci per il loro splendore, si scende infine al mare aperto.
Le spiagge più rinomate, molto apprezzate per i surfisti (ci vuole parecchio "manico" per il forte vento e le correnti mutevoli), sono quelle nella zona di Piha. Noi ci rechiamo invece poco più a sud su quella di Karekare, per uno di quei "pellegrinaggi nei luoghi del cinema" che tanto ci appassionarono due anni fa nell'ovest degli Stati Uniti; Karekare fu invece il set delle scene più struggenti del bellissimo "Lezioni di piano" di Jane Campion. Parcheggiata l'auto, una decina di minuti a piedi ci portano sulla battigia spazzolata da onde lunghissime, dove ammiriamo lo scenario tale e quale la locandina del film: manca solo il pianoforte.
Non rimane che ripercorrere a ritroso i 45 km. che portano all'aeroporto, espletare le pratiche della riconsegna dell'auto alla Omega, fare il check-in, pagare la tassa aeroportuale di 25 NZ$, spendere quelli residui negli ultimi souvenirs e imbarcarci sul Boeing 747 della Thai Airlines dalle fiancate stupendamente dipinte con la barca imperiale scortata dal corteo in costume.
Quando toccammo questo suolo 24 giorni fa pioveva, oggi lo lasciamo in una splendida giornata di sole. Succede sempre così.
Il viaggio di ritorno? Una sola parola: luuuuuuuuuuuuungoooooooo…

*** Perché il Doubtful Sound si chiama così, vale a dire “Fiordo dubbioso”? Il nome gli fu dato da James Cook quando nel 1770 scoprì l’insenatura e preferì non inoltrarvisi, rendendosi conto che, per uscirne, sarebbe stato necessario un vento da est, lì poco frequente. La prima esplorazione avvenne poi nel 1793 con la spedizione dello spagnolo Alessandro Malaspina.
*** Lungo la Cuba Street, vivace zona pedonale di Wellington, si trova un grosso blocco di pietra di Oamaru lavorata con una grande varietà di decorazioni. Fu Will Galpin, un artista locale, ad esporla sulla strada per una settimana all'inizio del 2003 invitando i passanti a scolpirne una parte a loro piacere. Il risultato fu definito "a unique work of art carved in our community, by our community" (un'opera d'arte unica intagliata nella nostra comunità dalla nostra comunità). La si può vedere esplorando il sito "Feeling Great" indicato nei Links.
*** Sulle vetrate delle pensiline degli autobus di Wellington sono affissi dei pannelli a forma di libro aperto sui quali sono scritte poesie di autori famosi. Il fatto che, nell'attesa dell'autobus, si pensi ad occupare il tempo leggendo una poesia, mi pare la dica lunga sulla filosofia di vita di questo popolo. Ve l'immaginate una cosa simile da noi? E quanto tempo durerebbe uno di quei pannelli senza essere deturpato dall'imbecille di turno?
*** Come già notammo in Australia, in tutta la Nuova Zelanda ogni Ufficio Postale, oltre che un punto di servizi, è anche un vero e proprio negozio di cartoline, libri e souvenirs: consiglio di visitarli spesso, vista l’ottima qualità dei prodotti in vendita. Inoltre, i francobolli sono reperibili dappertutto, anche nel villaggetto più sperduto; cosa che non sempre si riscontra in tanti Paesi stranieri (a volte neanche in Italia a dire il vero…).
*** Riporto due note di merito riguardanti la Thai Airlines. La prima è che per le relazioni internazionali non è richiesta la conferma del volo di ritorno; è spiegato chiaramente già dalla segreteria telefonica della Compagnia, da noi interpellata da Wellington. La seconda, poco nota ma interessante, è la possibilità offerta ai viaggiatori che effettuano a Bangkok uno scalo per coincidenza di oltre 5 ore di partecipare gratuitamente a un tour guidato della città in autopullman offerto dalla Thai: per usufruirne basta rivolgersi ad appositi desk nell’aeroporto della capitale tailandese.

14 commenti in “Haere mai – Nuova Zelanda parte terza
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    tyblfqp mjatzrv
    19/01/2008 23:51

    azkqbshji hdquenki gykpbshv ohnelkr uptien ujpcvsat pehkvnsjm

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    Piero
    21/11/2004 00:42

    Da incanto (ed invidia); io ho una cugina che abita a Dunedin, prima o poi andrò anch'io a vedere quel pezzo di terra agli antipodi!

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    Leandro
    12/09/2004 21:15

    Ma quale "signor Leandro"!!! Quando si parla di viaggi come questi abbiamo tutti la stessa età! Ti auguro di cuore di poter realizzare presto il tuo sogno neozelandese! Ciao!

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    KIKY
    12/09/2004 18:36

    Grazie per le parole di conforto, signor Leandro! Tutti mi hanno sempre riso in faccia quando esprimevo la mia voglia di viaggiare e di raggiungere la Nuova Zelanda! Comunque adesso che sono diciottenne potrò magari cercare di guadagnare qualcosina....e poi cercare un compagno di viaggio! Roberto...non sai come ti invidio!!! Grazie ancora!!!

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    Leandro
    06/09/2004 13:52

    Bel colpo, Roberto! Anch'io conoscevo l'ottimo operativo della Emirates, ma purtroppo non c'era più posto... Aspettiamo le tue impressioni al ritorno. Buon viaggio!

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    Roberto
    06/09/2004 11:48

    Senti quello che ti ha detto Leandro! Anch'io pensavo fosse un sogno andare in NZ, ma quest'anno a Dicembre lo realizzerò! Quello che non può mancare è il tempo, tra viaggio e vacanza almeno un 25 giorni. Per il viaggio io l'ho trovato a 1000 euro a/r con AirEmirates (ottima compagnia), so che non è poco, ma neanche inaccessibile. E' comunque la lunghezza della vacanza a far sembrare alti i costi. Buona fortuna. Vi saprò dire della mia avventura. Ciaoooo

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    Leandro
    05/08/2004 17:26

    Mai dire mai, Kiki... a parte la lunghezza e il costo del volo, la Nuova Zelanda non è un Paese caro! Saluti!

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    KIKY
    05/08/2004 16:23

    Davvero bello questo resoconto! Mi ha fatto viaggiare col pensiero!E' stato stupendo leggerlo visto che probabilmente il mio sogno di andare in Nuova Zelanda rimarrà soltanto tale!Complimenti!!!

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    BOBBO
    02/08/2004 17:35

    Ho deciso che alla fine di quest'anno dividerò un mese di ferie tra Australia e Nuova Zelanda. So che un mese per i due stati è poco ma le ferie sono queste (se me le danno). Grazie mille per tutti i suggerimenti! Io sono un viaggiatore da zaino e sacco a pelo, ma qualche consiglio utilissimo l'ho trovato anche per me!

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    Roberto
    20/07/2004 15:23

    una sola parola...GRANDIOSO! Grandioso il viaggio e grandioso il racconto! Complimenti Leandro, mi sono veramente divertito a leggerti. Ti ho spedito una email su leandro.ricci@cisonostato.it, è giusta? Grazie, Rob.

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    Paolo e Giusi
    02/06/2004 21:46

    Abbiamo aspettato un po' dopo la prima e la seconda parte, ma ne è valsa la pena... Però siamo convinti che scrivere un resoconto così non sia roba di poche ore... Adesso siamo davvero pronti per il nostro viaggio del prossimo anno. Peccato che non abbiate potuto visitare il parco di Tongariro, deve essere bellissimo. Ancora grazie!

  12. Avatar commento
    manu
    02/06/2004 13:37

    commento inutile che serve a me!

  13. Avatar commento
    Leandro
    31/05/2004 13:14

    Beh, non è facile... è una di quelle intuizioni che si hanno una sola volta nella vita... ;-) ;-)

  14. Avatar commento
    grazia
    31/05/2004 09:09

    Un viaggio bellissimo e uno splendido resoconto. Peccato per il tempo ballerino... Come al solito ci hai deliziati con descrizioni, itinerari, commenti e notizie utili. Prezioso infine il consiglio secondo il quale "per ammirare le meraviglie della NZ si può andare solo in NZ"! Grazie !!! :-) :-) :-) :-)

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