Groenlandia terra Inuit e Vichinga

Exploring the Cultural Landmarks and History of Inuit and Viking in Greenland

 

Cosa vi ha spinto a venire a visitare la Groenlandia? Questa è la domanda ricorrente che molti dei locali ci hanno posto, nel corso del nostro viaggio in questo Paese.

Domanda che non ci ha molto sorpreso, come non ci ha sorpreso il fatto che i Groenlandesi sanno molto bene che, al di fuori forse della sola Danimarca e Islanda, lo stereotipo di Groenlandia = solo ghiaccio sia estremamente diffuso.

Per la verità è uno stereotipo che ha un certo fondamento. Oltre l’80% del territorio è coperto da ghiacci perenni o neve, per tutto l’arco dell’anno.  Tuttavia quel 20% rimanente non è poco, considerando che la Groenlandia è la seconda isola del mondo per grandezza, dopo l’Australia.

 

Resta comunque il fatto che la maggior parte degli stranieri non sa che la Groenlandia non è solo ghiaccio e forse proprio per questo i locali sono curiosi di capire quale sia stata la molla che li ha portati a scegliere di visitare il loro Paese piuttosto che un altro. Probabilmente questa curiosità aumenta ulteriormente quando si sceglie come destinazione il nord o il sud del Paese, destinazioni di solito toccate solo da croceristi. I dati riguardanti il turismo parlano chiaro: benché nell’ultimo ventennio i numeri abbiano subito una crescita esponenziale, le basi di partenza erano decisamente modeste. Nel 1993 i visitatori erano solo 4.000 all’anno. Dieci anni dopo, nel 2004, erano quasi 30.000. Ora sono raddoppiati, ma il 50% delle presenze è costituita dai croceristi che praticano un turismo “mordi e fuggi”. Degli altri 30.000, ovvero gli “stanziali” che percorrono il Paese, circa il 70% si “concentra” nella zona turistica più famosa della Groenlandia, la regione intorno a Ilulissat nella parte centrale della costa ovest.

Sono dunque circa 10.000 all’anno i turisti che visitano il nord, nella regione di Thule e il sud, la Groenlandia “vichinga” dove abbiano deciso di andare noi.

 

 

Come organizzarsi:

Il turismo fai da te in Groenlandia non è certamente semplice. Tutto il Paese dispone di soli 100 chilometri di strada asfaltata, meno di un minuscolo stato Africano. Il problema, da quelle parti, sono proprio gli spostamenti che devono avvenire via acqua e, grazie alla lunghezza dei fiordi, spesso richiedono molto tempo, rivelandosi estremamente costosi. Risulta dunque alquanto saggio appoggiarsi a dei tour operator che operano nella regione.

Abbiamo scelto di partire all’inizio della stagione, nella speranza di trovare un po’ meno folla e da questo punto di vista ci è andata benissimo, visto che il “gruppo” era composto solo da noi due!

La stagione nel sud della Groenlandia comincia circa a metà giugno: climaticamente potrebbe anche cominciare prima, ma purtroppo ( o per fortuna??) le richieste sono molto scarse.

L’estate è una estate artica, che dunque non è neanche lontanamente paragonabile alla nostra. I nostri 10 giorni trascorsi nel Paese sono stati quasi sempre all’insegna delle felpe e spesso anche della giacca a vento. Durante i trasferimenti in gommone la cerata si è rivelata indispensabile.

Scarponcini da trekking, meglio se impermeabili, sono le calzature ideali, mentre è altrettanto importante avere dei copripantaloni antipioggia e un K-way o un giubbino antipioggia da mettere sopra gli indumenti.

 

Martedì 18 giugno.

 

Dopo tre giorni di visita alla città di Copenaghen, partiamo finalmente la mattina del 18 giugno con un aereo della Jet Time (associata alla Air Greenland) con un volo diretto Copenaghen – Narsarsuaq.

La partenza è alle 9.20 del mattino con arrivo alle 10.10 sempre del mattino. Sono  circa 5 ore di volo, che vengono praticamente quasi tutte assorbite dalle 4 ore di fuso orario!

Arriviamo all’aeroporto di Narsarsuaq con pochi minuti di ritardo. L’aeroporto è uno di quelli da Paesi di frontiera, senza praticamente nessun tipo di infrastruttura. Si scende dall’aereo e si attraversa la pista a piedi, per entrare in un piccolo locale dove vengono consegnati i bagagli, caricati su un carro trainato dal trattore. Sembrerebbe di essere in un aeroporto dell’outback Australiano, se non fosse per il clima!

Il cielo è coperto da nuvole grigie, la temperatura è intorno ai 12 gradi. Conosciamo Josè, il ragazzo Spagnolo che sarà la nostra guida (il tour operator è Spagnolo, fondato da un basco che per un ventennio ha fatto spedizioni polari, anche scientifiche): ci accompagna, a piedi, all’albergo locale, strutturato come un dormitorio studentesco. La costruzione, anche se molto semplice, non è male e, dopo esserci sistemati in camera, consumiamo un sandwich  al ristorante dell’albergo.

Abbiamo appuntamento alle due per la nostra prima escursione, che ci porterà in cima alla collina che domina il Paese. Partiamo con Josè per il trekking: all’inizio ci parla in Inglese, ma capiamo che il suo Inglese non è certamente il massimo, quindi lo incoraggiamo a comunicare in castellano, la sua lingua, per noi Italiani non è difficile da capire: alla fine ci accordiamo per usare l’Inglese solo in caso di difficoltà.

L’aria è frizzante, il sole purtroppo non si fa vedere e ce lo aspettavamo. Josè ci informa tuttavia che in quella stagione il bel tempo è più frequente di quello che ci si può aspettare. Ma a quanto pare dovremo ancora aspettare!

Ci arrampichiamo lungo un dolce pendio, attraverso un boschetto composto più che altro da abeti e pini siberiani. Scopriamo però che anche lì, come in Islanda, i boschi sono pressoché inesistenti. Tutti gli alberi che vediamo sono stati importati e piantati per poter sperimentare il loro eventuale adattamento all’ambiente. L’esperimento sta dando buoni frutti, il solo problema è che, per il clima avverso, l’accrescimento degli alberi è davvero molto lento.

In poco più di  un’ora arriviamo alla sommità della collinetta, dalla quale si gode il panorama sul fiordo e il pugno di case che forma il Paese di Narsarsuaq, distribuito lungo la striscia d’asfalto dell’aeroporto.

L’esistenza di questo paesino è giustificato proprio dalla presenza della pista dell’aeroporto.  Passa proprio di qui la storia recente del Paese: la pista fu costruita a partire dal luglio del 1941, durante la seconda guerra mondiale, dagli Americani: avevano bisogno di una base sicura per gli aerei diretti verso l’Europa belligerante e questo luogo fu considerato il migliore per costruirci la base militare. Nel giro di pochi mesi aeroporto e abitazioni furono costruite a partire da zero, anzi a partire da una pietraia che costeggiava il fiordo. Dall’alto della collina non si può non pensare che la pista dell’aeroporto costituisce una brutale cicatrice che rovina la bellezza del luogo: il fiordo  si incunea tra le montagne fino a scontrarsi con un meraviglioso ghiacciaio che scorgiamo in lontananza. Nell’acqua, galleggiano pigramente alcuni iceberg che indoviniamo essersi staccati dal ghiacciaio, mentre nella riva opposta si intravede il paesino che visiteremo domani e che è stato il nucleo della colonizzazione vichinga nel Paese. Malgrado si scorga qualche piccolo campo coltivato non stentiamo a credere che da queste parti la vita sia molto dura per chi non è qui di passaggio per fare il turista! Avremo la conferma di tutte le difficoltà che gli uomini devono affrontare per sopravvivere più tardi, durante la visita al piccolo Museo del Paese.

Josè si dimostra profondo conoscitore della flora del luogo e ci mostra alcune piante autoctone e altre introdotte, mentre per i pochi uccelli che vedo nel cielo non serve il suo aiuto, riesco a riconoscerli tutti, a partire dal piccolo zigolo delle nevi che sembra essere molto comune.

La collina sulla quale ci troviamo domina la pista dell’aeroporto: l’aereo che ci ha scaricato sta completando l’imbarco dei passeggeri per tornare indietro ed assistiamo al suo decollo. Non possiamo fare a meno di notare che intorno alla pista non c’è alcuna recinzione e nessun dispositivo di sicurezza anti intrusione. Siamo davvero fuori dal mondo e da gran parte dei suoi problemi politici!

Chiacchierando con il nostro accompagnatore veniamo anche a sapere che l’annullamento o il dirottamento dei voli è all’ordine del giorno, perché la pista non dispone neppure di sistema di illuminazione: basta un po’ di nebbia perché l’aeroporto venga chiuso e nei mesi centrali dell’inverno, causa oscurità, non viene neppure utilizzato se non da aerei militari!

Scendiamo senza fretta dalla collina (essendo giugno la luce non è un problema), sappiamo che avremo tempo fino alle 20.00 per visitare il piccolo museo locale. Grazie alla quasi totale assenza di visitatori, al museo si accede liberamente, non c’è nessuno a sorvegliarlo. Ci diamo appuntamento quindi per l’indomani con Josè e visitiamo questa piccola chicca che ci riporta soprattutto agli anni della guerra.

L’80% è materiale fotografico, ma le foto sono così interessanti da catapultarci indietro nel tempo.

Si vede il luogo come era prima dell’arrivo degli americani (una petraia, appunto) i lavori di costruzione dell’aeroporto e la vita –grama! – dei militari che vivevano lì. Una immagine ritrae un cartello dell’epoca che dice, più o meno: guidate piano, perché la persona che potreste investire potrebbe essere quella che vi sostituirà.  Ironia che la dice lunga su quanto desiderato fosse prestare servizio qui!

La base di Narsarsuaq fu comunque strategicamente importantissima per gli americani durante la seconda guerra mondiale e fu abbandonata solo negli anni 50. Alcune foto documentano l’interessante sistema di compattazione del fondo sconnesso della pista. Dopo aver faticosamente spianato l’aerea, fu steso uno strato di sabbia e ghiaia e, per evitare che con il loro peso gli aerei sprofondassero e che la pioggia dilavasse il fondo, fu incastrata una struttura metallica a maglie larghe che garantiva la durezza del fondo. Solo  parecchi decenni dopo la struttura, molto efficiente, fu sostituita dal moderno asfalto.

Il tempo vola mentre osserviamo con calma gli scatti uno ad uno. Accanto ai soldati si vedono anche locali, che, con sgangherate carriole aiutano a costruire qualche baracca o ripuliscono dalle pietre zone di passaggio per i mezzi.

Oltre al materiale fotografico sono esposte armi dell’ epoca, piccoli attrezzi usati dagli Inuit per la caccia e pesca: il luogo era pressoché disabitato quando arrivarono gli Statunitensi, ma la loro presenza attirò parecchie persone dai villaggi vicini: la “ricchezza” degli americani era una possibilità di migliorare notevolmente le loro condizioni di vita tutt’altro che agiate.

La visita al museo, che inizialmente avevamo un po’ snobbato, si rivela entusiasmante per le testimonianze storiche del luogo. Lasciamo il modesto edificio che sono quasi le otto e raggiungiamo il nostro vicino hotel per andare a cena. Speriamo in un menù Groenlandese, ma rimaniamo delusi, quella sera il ristorante propone bistecche e hamburger che ricordano più gli States che la Groenlandia.. facciamo buon viso a cattiva sorte: ancora non lo sappiamo ma ci rifaremo l’indomani!

 

Mercoledì 19 giugno.

 

Il mattino seguente ci saluta una splendida giornata di sole! Josè viene a prenderci alle 8.30 assieme a Marta, una ragazza sulla trentina che scopriremo essere la pilota dello zodiac o gommone che ci porterà in giro per il labirintico sistema di fiordi di quella regione.

Oggi però non faremo molta strada perché dobbiamo solo attraversare  il fiordo per sbarcare nell’altrettanto piccolo paesino che si trova sulla sponda opposta.

E’ curioso come la parte importante di storia recente e passata di questo Paese si guardino, separati solo da uno strettissimo braccio di mare.

Una decina di minuti di traversata sono sufficienti per approdare a Bratthalid (vecchio nome del sito vichingo) o Qassarsiuq, il nome attuale.

Approdati a Qassarqiuq troviamo ad accoglierci nientemeno che Ramon, il proprietario del tour operator spagnolo con il quale abbiamo prenotato. La stagione è all’inizio e lui è arrivato il giorno prima per dare le ultime disposizioni. Ci dice che ci accompagnerà anche lui per il giro di visite delle rovine vichinghe. Si uniscono a noi anche una coppia di Argentini, che hanno scelto un tour simile al nostro: anche loro sono solo in due nel “gruppo” quindi oggi, dato che il programma è molto soft, passeremo la giornata insieme.

Ci fermiamo prima all’ostello del Paese, che è anche il quartier generale del tour operator, per berci un caffè. Quindi ci avviamo a visitare le rovine di Bratthalid: singolare il fatto che ci ritroviamo in quattro visitatori con tre guide ad accompagnarci, un vero lusso!

Ramon ci racconta un sacco di cose interessanti, non ci vuole molto a capire che è innamorato del Paese. Così apprendiamo che i vichinghi arrivarono qui già prima dell’anno mille, ma la colonizzazione del Paese cominciò con Eric il Rosso, che si insedio proprio nel luogo dove ci troviamo, nel 985.

Eric era stato esiliato dall’Islanda in seguito ad un omicidio e quando, scontata la pena, tornò in Islanda, organizzò una spedizione di 25 navi per colonizzare il Paese. Secondo la tradizione, ci sono due versioni che spiegano il motivo per il quale chiamò questa nuova terra, “Terra verde”. La prima versione è che scelse un nome attraente per convincere altri a seguirlo nell’opera di colonizzazione, per altri invece il nome rispecchiava la realtà: questa zona della Groenlandia è effettivamente molto verde d’estate e doveva esserlo molto di più nel Medioevo, dato che si stava allora attraversando un periodo con temperature più alte della media.

Fatto sta che, tornando alla spedizione di Eric, solo 14 delle 25 navi giunsero a destinazione, il che da certamente una idea della pericolosità del viaggio. La nuova colonia prosperò, sia pur con alterne vicende, per 4 secoli, e fu abbandonata alla fine del 1400. Nessuno sa il reale motivo per il quale fu abbandonata, anche qui ci sono diverse versioni: peggioramento del clima, attacchi di altri Europei, attacchi di locali (Inuit), scarsità di cibo. Forse furono tutti i fattori concomitanti. Naturalmente parliamo solo della comunità Vichinga, gli Inuit, insediatisi nel Paese molto prima, furono sempre presenti lungo le coste della Groenlandia.

Il sito archeologico presenta resti originali delle costruzioni in pietra e ricostruzioni di una abitazione tipica e di quella che doveva essere la chiesetta vichinga. Va infatti ricordato che la moglie di Eric il rosso era cristiana e, benché lui non si converti mai, tutti e tre i suoi figli abbracciarono la fede cristiana. La comunità dunque divenne cristiana da subito e abbandono i riti pagani, complici anche gli scarsi contatti con la madrepatria.

Ovviamente non rimane molto delle costruzioni originali, mentre le ricostruzioni sono accurate e molto interessanti. In particolare la chiesetta sembra sia ricostruita accanto al sito originale dove si trovava fin dall’anno mille. La tipica casa vichinga invece è costruita a fianco di una abitazione tradizionale  Inuit, in modo da poterne apprezzare le differenze. Molto più comoda e simile ai canoni Europei, la casa vichinga era anche più alta e aveva un focolare al centro proprio per compensare la perdita di calore dovuta alle maggiori dimensioni.

La abituazione inuit, molto più angusta, prevedeva una lunghissima galleria di accesso posizionata in posizione più bassa rispetto al vano abitativo. Così il calore, che tende ad andare verso l’alto, restava all’interno.  Il vano era però riscaldato solo da deboli lampade ad olio ed il comfort non era certo di casa!

La parte archeologica si trova praticamente in mezzo alle poche case moderne del Paese: spicca tra le altre la scuola/convitto del Paese. La scuola accoglie tutti gli studenti della zona, che vivono per la maggioranze in isolate fattorie. Le abbondanti nevicate e la mancanza di strade, fa sì che gli studenti siano costretti praticamente a vivere tutto l’inverno nella scuola, senza poter far ritorno a casa prima della primavera!

Terminiamo la visita all’ora di pranzo e torniamo all’ostello dove la cuoca (rigorosamente Spagnola!) ci ha preparato una zuppa fantastica e un arrosto altrettanto appetitoso. Dopo il caffè ci prepariamo per la seconda parte della giornata: gli Argentini hanno scelto di percorrere a piedi una baia che ci dicono essere molto bella: noi due scegliamo invece di navigarci dentro, percorrendola con il kayak!

Saliamo dunque tutti su un 4x4 guidato da Josè e dopo una mezzoretta di pista dissestata scendiamo verso un fiordo meraviglioso, che si allarga alla fine a formare una specie di laghetto punteggiato da centinaia di iceberg. Il colpo d’occhio è fantastico e siamo ben felici della nostra scelta.

Prepariamo i nostri kayak che ci aspettavano sotto un telo antipioggia e cominciamo la vestizione: benché ci sia il sole, è indispensabile indossare la cerata, perché l’acqua è molto fredda. Ci mettiamo talmente tanta roba addosso che quando proviamo a camminare sembriamo dei bradipi! Per fortuna la parte superiore del corpo è abbastanza libera e, una volta accomodati all’interno del kayak, remiamo rapidamente verso il centro del fiordo/ lago.

L’ esperienza si rivela semplicemente fantastica: scivoliamo silenziosamente tra le montagne di ghiaccio, accompagnati solo dal sciabordio dell’acqua e godendoci i colori ma soprattutto il silenzio del luogo.. Josè, che rema poco lontano da noi, sembra leggerci nel pensiero e evita di parlare, ogni tanto si limita a farci dei segnali quando consiglia di cambiare direzione.

Mia moglie, che non ha mai viaggiato in kayak, è spesso in difficoltà, così il più delle volte mi arrangio io sia remare che a dare la direzione all’imbarcazione. Lei si gode semplicemente il panorama.  Remare vicino agli iceberg è meno semplice di quel che può apparentemente sembrare, perché bisogna sempre avvicinarsi con una certa circospezione.  Urtare un iceberg è come urtare una roccia e le conseguenze possono essere molto serie. In più c’è il problema che la maggior parte della massa si trova sott’acqua e a volte si allarga improvvisamente sotto il pelo dell’acqua. Quindi bisogna stare attenti quando ci si avvicina che il fondo dell’imbarcazione non tocchi il ghiaccio, con pericolo di rovesciamento.

Trascorriamo praticamente tutto il pomeriggio in questo paradiso ghiacciato,  il tempo  vola mentre navighiamo tra i ghiacci e ci soffermiamo ogni tanto a fare qualche foto. Alla fine dell’escursione, lascio le ultime remate a mia moglie che, dimenticato il panico iniziale, pian piano ha imparato a muovere correttamente i remi.

Una volta sbarcarti ci raggiunge la coppia di Argentini che, avendo passeggiato lungo la riva, ci mostra i punti più fotogenici. Ci concediamo quindi anche noi una breve passeggiata prima di rientrare.

Sono quasi le sette quando arriviamo di nuovo al villaggio e troviamo lo zodiac pronto a riportarci nell’altra sponda, che raggiungiamo in una decina di minuti. E’ stata una giornata fantastica, ma le piacevoli sorprese non sono finite. Per quella sera il ristorante dell’albergo prevede, per chi lo vuole, il buffet di pesce.

Benché non sia certo regalato (40 Euro a testa) ci basta dare un’occhiata al buffet per aderire con entusiasmo.  Tra le specialità a disposizione, caviale nero, (da dove verrà??) una montagna di salmone affumicato ( ce ne saranno tre chili nel vassoio, una montagna che da noi sarebbe custodita in cassaforte!) e un’altra montagna di granchio e chele di granchio. Oltre ovviamente ad almeno una decina di pesci arrosti e bolliti di vario genere.

Mangio senza freni e senza rimorsi, quando mi ricapiterà?!|

 

Giovedì 20 giugno

 

Usciamo alle 9.00 ma stavolta il sole ci ha abbandonato, è una giornata nebbiosa. Ci spostiamo con il pulmino verso il porto, portandoci dietro i bagagli perché cambieremo alloggio.

Oggi è prevista la navigazione lungo il  fiordo Tunulliarfiq prima e il piccolo Qooqqut dopo.

I nomi sembrano impronunciabili, ma in realtà è più facile di quel che sembri, con la q che si pronuncia più o meno come la “k” L’assenza della “k” ci fa riflettere sul fatto che anche noi potremmo effettivamente evitare l’uso di lettere non originarie del nostro alfabeto utilizzando di più proprio la “q”. Pensandoci bene sarebbe istintivo pronunciarla come la k anche per noi Italiani, quando inserita in parole e non seguita dalla “u”. Un esempio: la grafia groenlandese di Kayak è qayaq. Anche noi lo pronunceremmo così!

Ricomincia la cerimonia delle vestizione, e ci impieghiamo come al solito 10 minuti per indossare tutte le cerate: la navigazione stavolta sarà lunga, almeno un paio d’ore e la nebbia non aiuta certo a scaldarci!

Inizialmente siamo un pò delusi all’idea che non ci sia il sole, ma, man mano che ci avviciniamo al ghiacciaio Qooqqut e il numero e la taglia degli iceberg cresce, ci rendiamo conto che anche l’esperienza della navigazione tra la nebbia merita di essere provata: Gli iceberg si materializzano d’improvviso, montagne azzurre che sbucano dalla coltre grigia.

Ogni tanto la luce del sole prova a bucare la cappa grigia, dando origine a riflessi magici degli iceberg sull’acqua immobile. Marta, la nostra pilota, spegne più volte il motore per farci gustare il rumore del silenzio assoluto. Durante una di queste soste, Josè preleva con un martelletto un po’ di ghiaccio di iceberg per servire un “Bailey on the rocks”. Un po’ turistico, ma molto apprezzato.

La nebbia però ci impedisce di vedere per bene il fronte del ghiacciaio. Man mano che ci avviciniamo, infatti, gli iceberg diventano sempre più fitti e la navigazione si fa difficile e pericolosa. Mancano solo 2-300 metri al fronte, ci dice il radar, ma non possiamo proseguire oltre. Scorgiamo la massa imponente tra il manto uniforme grigio ma di fatto possiamo solo immaginare la sua imponenza.

Dunque torniamo indietro per qualche chilometro per sbarcare al porto di Itilleq, punto di attracco più vicino a Igaliku, uno dei luoghi di vacanza più conosciuti in Groenlandia.

Ci aspettiamo un porticciolo con intorno una decina di case, ed invece troviamo solo una scaletta di legno su una ripida sponda, e una baracchetta che somiglia tanto ad una fermata d’autobus coperta: è solo un riparo per chi si trova lì ad aspettare magari una barca o un’auto che arrivi da Igaliku per raccoglierli.

Il tragitto da Itilleq a Igaliku è di circa 7 chilometri ed è chiamato il sentiero del re. Più che un sentiero è una strada sterrata percorribile da 4 x 4. Carichiamo il nostro bagaglio nell’auto dell’albergo che ci ospiterà (… albergo, si fa per dire!), che nel frattempo è arrivata perché chiamata da Marta al cellulare, e percorriamo la spettacolare strada a piedi.

La nebbia nel frattempo si è lentamente alzata, lasciando il posto al sole e al cielo blu.

La passeggiata è davvero panoramica, un leggero saliscendi tra i prati fioriti che porta ad un certo punto alla sommità di una piccola collina che domina il paesino di Igaliku, una cinquantina di case distribuite lungo le sponde di una ampia ansa della parte terminale del fiordo Igalikup.

Prima di scendere verso il Paese facciamo il nostro pranzo-picnic, quindi raggiungiamo a piedi la costruzione che sarà il nostro alloggio per due notti: gestito da due donne Danesi è un albergo decisamente spartano con una decina di camere minuscole e tutte con bagno in comune. Unica possibilità di alloggio oltre ad un piccolo ostello.

Passiamo il pomeriggio in Paese, visitando il piccolo museo e quelli che sono i resti della chiesa cristiana.

Igaliku fu nel periodo vichingo un insediamento di pari importanza di Bratthalid: a partire dal 1140 fu per tre secoli sede vescovile e attorno al 1300 vi fu costruita una cattedrale che, per i tempi e per il luogo, doveva essere considerata monumentale. Fu per tutto quel periodo sede vescovile.

Purtroppo rimane ben poco sia della cattedrale che del piccolo villaggio che si sviluppò intorno, in quanto le pietre furono usate come materiale da costruzione per successive abitazioni.

Tuttavia il centro doveva essere sicuramente ricco dato che sono stati individuati i resti della stalla della curia, con spazio per oltre 100 bovini. Per avere una stalla del genere i pascoli intorno dovevano essere ben prosperi, considerate le brevi estate per poter effettuare la fienagione. Era stato studiato allo scopo persino un sistema di irrigazione.

Il museo non si rivela interessante come quello di Narsarsuaq, quindi trascorriamo il resto del pomeriggio passeggiando in zona, incoraggiati dalla splendida giornata di sole.

 

Venerdì 21 giugno.

 

Oggi in Groenlandia è festa nazionale! La proprietaria dell’ hotel ci ha detto la sera prima che ci sarà l’alzabandiera in Paese con tanto di ritrovo e canzoni patriottiche. Le abbiamo chiesto se avremo la possibilità di vedere anche qualcuno vestito con il costume tipico nazionale e ci ha riferito che non è da escludere.

Dunque, anche se la giornata non è delle migliori, pioviggina, ci siamo alzati presto, per non perdere la cerimonia. Sono le 7.30 quando vediamo gente arrivare a pochi metri dal nostro albergo e posizionarsi di fronte ad un pennone. Purtroppo nessuno veste il costume tradizionale, cosa che ci delude un pochino. Sono circa una ventina, di tutte le età, le persone pronte per l’alzabandiera quando arriva il gran cerimoniere (forse il sindaco?) che, dopo aver distribuito un foglio a tutti spiega velocemente la bandiera Groenlandese bianca e rossa e la issa alta sul pennone. Osservo le persone presenti, circa la metà sono di chiara origine europea, quasi certamente tutti Danesi, e l’altra metà, sindaco compreso, sono di  altrettanto chiara origine Inuit.

Dopo l’alzabandiera, i canti. Molto presi dall’avvenimento, intonano tutti una nenia un po’ triste, nella incomprensibile lingua groenlandese (beh, fosse stata in Danese non avremmo compreso molto i più!). Alla fine arriva il discorso del sindaco, e qui succede il fattaccio divertente: molto preso dal suo ruolo ufficiale, a metà discorso si sente un irriverente telefonino squillare. E’ proprio il suo, si è dimenticato di spegnerlo! Con fare noncurante, mentre tutti i presenti accennano un sorriso, il primo cittadino schiaccia il tasto rifiuta senza neanche guardare il video e rimette il portatile in tasca. Passano altri 20 secondi e la suoneria riparte: stavolta  il silenzio è rotto anche da qualche risata oltre che dal trillo. Ancora senza smettere di leggere il suo discorso, l’oratore non si scompone e con gesti esperti ripete l’operazione. Si tratta probabilmente della stessa persona, e tutti pensano che al secondo rifiuto capirà certamente che il suo potenziale interlocutore è occupato.

Ma a quanto pare il chiamante non brilla in fatto di comprendonio: ben lungi dal sospettare che gli abbiano chiuso il telefono in faccia per questioni importanti, un minuto dopo, quanto tutti ormai consideravano chiuso l’incidente, la suoneria riparte. E a questo punto la risata è generale!

Il povero sindaco, paonazzo dalla rabbia, stavolta interrompe il discorso, risponde mormorando qualcosa al telefono (immagino uno stizzito “ti richiamo io” ) e spegne definitivamente l’attrezzo infernale! Ma l’atmosfera di ufficialità ormai se ne è andata definitivamente, i bambini non smettono di ridere, gli adulti non riescono a tenderli bene a bada e il sindaco si rassegna: un paio di frasi e via, tutti nell’edificio vicino per il coffee-milk, ovvero la tipica colazione Groenlandese.

Un vecchietto ci invita ad andare con loro, ma non vogliamo approfittarne troppo e gli facciamo capire a gesti che abbiamo la colazione che ci aspetta in albergo.

Josè arriva dopo colazione, verso le nove: oggi è previsto un trekking verso la fattoria che abbiamo intravisto ieri percorrendo il sentiero del re. E’ un trekking facile e tutto sommato anche corto, per cui io provo a proporre qualcosa di più impegnativo: Josè accetta con entusiasmo, dicendo che non aveva pensato di farlo perché non sapeva bene quali erano i nostri gusti: lo rassicuriamo, spiegandogli che viviamo vicino alle Alpi e camminate che durano un giorno intero non ci spaventano.

Così ci avviamo verso ovest, in direzione della montagna che costeggia il fiordo dove ieri avevamo avvistato gli iceberg, il Qooqqut: con un po’ di fortuna, se ci sarà una schiarita, riusciremo a vedere il fiordo.

Il sentiero costeggia per la prima parte un piccolo fiume dove nuotano quelle che i locali chiamano trote di montagna. Entro un mesetto ci saranno anche i salmoni a risalire la corrente, ora è troppo presto. Dopo circa un’ora di cammino il tempo migliora, e speriamo che tenga fino alla fine. Si comincia a salire e affrontiamo l’ascesa con calma, soffermandoci ogni tanto ad assaporare il rumore di un piccolo ruscello che costeggia il sentiero appena visibile e il colore dei fiori. E’ ancora un po’ presto per il massimo della fioritura, ma abbondano comunque fiori gialli e viola.

Dopo  oltre 4 ore di marcia raggiungiamo la vetta e ce ne rendiamo conto dalla temperatura, che è cambiata: a dire il vero non è la temperatura ad essere cambiata, ma la sua percezione, visto che ora siamo esposti al vento. Il tempo di fermarsi, per mettesi una maglia asciutta e affrontiamo l’ultima piccola rampa con il cielo completamente sgombro da nuvole. Lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è semplicemente meraviglioso. La vista a 360 gradi ci regala un fiordo dal colore blu punteggiato di iceberg di colore bianco, che diventano via via più fitti man mano che si avvicina il fronte del ghiacciaio, che scorgiamo sulla destra. Il ghiacciaio, con un fronte di almeno 300 metri, rilascia in continuazione gli iceberg che si allontanano lentamente verso il mare aperto.

Alla nostra sinistra il fiordo si allarga e una linea invisibile che era una antica morena sembra  fare da blocco ad una serie di iceberg di maggiori dimensioni che formano una linea regolare a ventaglio.

Dietro di noi si vede ancora il fiume che abbiamo costeggiato prima di salire e scorgiamo appena la parte finale dell’altro fiordo, quello sul quale sorge Igaliko. Sotto di noi, una spiaggia idilliaca: se non fosse per la temperatura dell’aria e dell’acqua sembrerebbe di essere ai Caraibi. Tutt’intorno, ovunque riesca ad arrivare il nostro sguardo, nessun segno di presenza umana.

Il luogo ideale per il nostro pic nic!

Indugiamo a lungo ad ammirare il panorama, anche dopo mangiato, e solo a malincuore ci avviamo sulla via del ritorno, verso le tre del pomeriggio: non vorremmo mai abbandonare la vista spettacolare sul fiordo. Per il ritorno decidiamo di seguire un’altra via, tanto per cambiare panorama: è  leggermente più lunga, ma in discesa, quindi tutto sommato non ci impiegheremo molto di più. Il paesaggio in questo versante è pietroso e lunare, quasi privo di vegetazione.

Arriviamo al nostro albergo quasi alle 8 di sera, circa 11 ore dopo la nostra partenza, stanchi ma consci di avere vissuto quella che è stata fino ad ora la nostra giornata più bella in Groenlandia!

Dopo una buona birra ristoratrice (ora fa anche quasi caldo!) invitiamo Josè a cenare con noi: la nostra padrona di casa si rivela una ottima cuoca e anche stasera ci delizia con una zuppa  di pesce  e un pesce (non riusciamo ad individuare che tipo di pesce sia) alla griglia.

 

Sabato 22 giugno

 

Oggi leviamo le tende, lasciamo il piacevole villaggio di Igaliku. Purtroppo il cielo si è chiuso di nuovo e pioviggina. Dato che faremo di nuovo una mattinata di trekking, tornando sui nostri passi lungo il sentiero del re, ci attrezziamo con pantaloni e giacca impermeabile anche se in realtà la pioggerellina finissima non da grosso fastidio.

Lungo il sentiero avvistiamo una mandria di bovini: da lontano sembrano buoi muschiati e andiamo a controllare da vicino. Purtroppo non sono buoi muschiati ma bovini di una razza danese (comunque con un pelo piuttosto lungo, per quello ci siamo sbagliati) importata.  Scopriamo che c’è voluto un po’ di tempo perché si adattassero al clima Groenlandese, dato che in Danimarca erano abituati ad una maggiore abbondanza di cibo e non erano molto abituati a camminare per procurarselo! Ci hanno messo un bel po’ a capire che in Groenlandia dovevano camminare e spostarsi tra i magri pascoli se volevano sfamarsi. Dopo le prime difficoltà iniziali, la razza si è adattata e ora molti di questi bovini sono allevati con successo nelle fattorie locali.

Arriviamo ad Itilleq, lo stesso molo dove siamo stati lasciati, verso le 11.30, circa mezz’ora prima dell’appuntamento con il gommone che verrà a prenderci. Poco dopo arriva anche il fuoristrada della proprietaria dell’albergo che ci recapita il bagaglio.

 

Il gommone guidato da Marta arriva puntuale e ci imbarchiamo sotto la pioggerellina che non accenna a smettere per dirigerci verso Narsaq, dove arriveremo dopo un’ ora di navigazione. Narsaq si affaccia in una ampia baia: da queste parti, con i suoi 1700 abitanti, è considerato un “grosso centro”.  Anche qui l’unico albergo della città fa servizio raccolta clienti al porto (il porto e il piccolo eliporto sono le uniche vie d’accesso alla “città”) e dopo un rapido pasto a base di sandwich, decidiamo di fare una passeggiata per la cittadina, nonostante il brutto tempo.

Oggi è sabato pomeriggio, ed i bambini sembrano noncuranti della pioggia. A quanto pare da queste parti il divertimento principale è il tappeto elastico: è presente praticamente dappertutto e i bambini ne fanno largo uso. Ne approfittiamo per scattare qualche foto e quando pensiamo di rientrare incrociamo Josè, che ci aveva lasciati: date le dimensioni del Paese non è molto difficile incrociare qualcun altro che possa decidere di fare una passeggiata! Il nostro amico ci invita ad andare a prendere un tè a casa sua: non fa certamente parte del programma del tour andare a prendere il tè nella casa riservata al personale del tour operator, ma dato che nel “gruppo” ci siamo solo noi due e anche Josè è da solo, è una buona occasione per fare qualcosa al di fuori del rapporto “guida-cliente”. Così, mentre ci beviamo il tè, Josè ci mostra la casa, e ci offre qualche altra specialità Spagnola. Ci spiega così che Ramon ha organizzato una logistica invidiabile. Dato il costo elevatissimo di ogni genere alimentare in Groenlandia, ad inizio stagione spedisce un container carico di vettovaglie che servirà per tutta la stagione. Il clima fresco della Groenlandia permette l’ottima conservazione di cibi come salumi e formaggi stagionati, oltre naturalmente a scatolame vario, biscotti, il necessario per la colazione e via dicendo. Lui stesso si trova in Groenlandia da oltre un mese e mezzo, perché è venuto per preparare tutto per la stagione: piantare le tende nei campi tendati (ne raggiungeremo uno l’indomani) e organizzare tutta la logistica per la stagione.

La conversazione si rivela molto interessante perché veniamo a conoscere il “dietro le quinte” della loro organizzazione. D’altra parte in un Paese “facile” è estremamente semplice gestire gruppi di persone che vengono a trascorrere le vacanze, ma in un Paese difficile dal punto di vista non solo climatico ma anche logistico come la Groenlandia, non bisogna lasciare nulla al caso!

Lasciamo la casa dopo un paio d’ore e, dato che continua a piovere, rientriamo in albergo e ceniamo presto, visto che vogliamo recuperare un po’ di forze dopo le due precedenti impegnative giornate.

Il ristorante dell’albergo è pressoché deserto (solo una coppia di americani cena con noi) e scambiamo due chiacchiere anche con il cuoco, anche lui danese, che dice di essere stato in Italia per un paio di mesi per conoscere la cucina Italiana.

Ci propone però fortunatamente specialità locali: ordiniamo arrosto di renna e quello che loro chiamano il “red fish” fritto. Entrambi buoni, anche se la renna sa un po’ di selvatico, abbiamo la sensazione che un cuoco italiano avrebbe fatto di meglio!!

 

Domenica 23 giugno

 

Piove, piove, piove, la fortuna dei giorni precedenti sembra averci abbandonato!

Nonostante il tempaccio, ci dirigiamo coraggiosamente in gommone verso la nostra prossima meta, il ghiacciaio di Qalerralit: sarebbe prevista una camminata sul ghiacciaio con i ramponi, ma se non smetterà di piovere sarà dura. Ed infatti non smette. Dopo un’ora abbondante di navigazione arriviamo a destinazione, sotto una pioggia insistente. A differenza di qualche giorno fa, quando abbiamo navigato nella nebbia e l’atmosfera aveva un che di spettrale e magico allo stesso tempo, la pioggia ha poco di magico. La luce è brutta, la visibilità è scarsa e purtroppo non possiamo goderci appieno il ghiacciaio. Marta ci porta il più vicino possibile con il gommone e riusciamo a vederne i tre fronti: una volta il fronte era unico, ma, a seguito del solito problema del ritiro dei ghiacciai, ora non è più sul mare ma qualche metro entro la spiaggia per lunghi tratti, e si è diviso appunto in tre fronti. Presumiamo che presto si ritirerà anche completamente dal mare, così non ci saranno più iceberg galleggianti nell’acqua. 

Nonostante le cerate siamo completamente bagnati, quindi decidiamo di attraccare nella riva opposta del fiordo dove è allestito un campo tendato permanente (perlomeno da maggio a settembre), utilizzato da altri gruppi dello stesso tour operator. Il campo, visto dal mare, ha un che di spettrale: sistemato in una invidiabile posizione rialzata e panoramica, ha delle tende a forma sferica, che sembrano delle navicelle spaziali. Avvicinandosi, complice anche forse la luce fioca e il paesaggio roccioso nel quale è inserito,  sembra davvero di avvicinarsi a “base luna” di un famoso telefilm degli anni settanta.

Approdiamo in una piccola baia riparata  e ci arrampichiamo con molta circospezione sulle rocce rese umide dalla pioggia. Una camminata di 100 metri e siamo finalmente dentro la tenda principale, ovviamente deserta. Marta e Josè armeggiano con la piccola stufa a gas, mentre noi cominciamo a spogliarci. Nel giro di soli 10 minuti la tenda, alta almeno tre metri e mezzo nel punto più alto e con un diametro di una decina di metri, viene pervasa da un gradevole tepore. Mettiamo un po’ di vestiti davanti alla stufetta e ci accomodiamo attorno al lungo tavolo per consumare il nostro pasto.

Ne approfittiamo per constatare, una volta di più, la perfetta organizzazione: all’interno del tendone che funge da punto di ritrovo e da cucina c’è di tutto e di più: vasi di pomodoro, fagioli, olive, cipolline, cetriolo sottaceto, tonno, sgombro. E ancora, salami, prosciutti, formaggi, perfino pasta e tortellini! Non mancano neppure aglio e cipolla freschi!

Constatiamo che ci saranno almeno 5.000 euro di alimentari, lasciati lì nel grosso tendone. Da buoni Europei (o forse dovrei dire Italiani??) ci chiediamo come possano lasciare incustodito quel ben di Dio: non c’è nessuna serratura e teoricamente qualcuno potrebbe arrivare in barca e rubare tutto.

Ma siamo in Groenlandia e queste cose non succedono!

La sosta pranzo è senza dubbio corroborante: dopo mangiato, solo in un momento in cui la pioggia smette di cadere (ma ahimè non cessa mai del tutto) ne approfittiamo per uscire ad ammirare il ghiacciaio. Il campo è sistemato in una posizione strepitosa,  con una vista impareggiabile sul ghiacciaio. Purtroppo il fronte di ghiaccio è appena visibile e non possiamo non pensare a quanto bello debba essere il panorama in una giornata di sole. Lasciamo dunque con un certo rammarico la fortuna a qualcuno che verrà dopo di noi in questa stagione appena cominciata.

Abbandoniamo il campo, con la sua tenda principale e altre 4 piccole tende - camera dalla stessa forma , ma più piccole, attorno ad essa ( l’astronave madre e le piccoli astronavi!) per riprendere il mare. La pioggia continua incessante, non ci lascia tregua. Fotografo ancora un po’le spettacolari parete di roccia a picco sul mare, poi, con la macchina fotografica gocciolante rinuncio e metto via tutto. Stavolta oltrepassiamo Narsaq,  da dove eravamo partiti al mattino e proseguiamo tra il dedalo di isolette che separano i due fiordi principali per arrivare a Qaqortoq, dopo una ulteriore ora e mezza di navigazione. In tutto due ore e mezza di gommone sotto una pioggia che ci ha accompagnato per tutto il tempo: se eravamo bagnati all’arrivo al campo, lascio immaginare le nostre condizioni all’arrivo a Qaqortoq. Per fortuna avevamo le cerate e tutto sommato, grazie anche a quelle e al buon strato di vestiti sotto di esse, gli indumenti più vicino al corpo sono ancora piuttosto asciutti e non sentiamo molto freddo, se non un po’ ai piedi e alle mani.

Marta telefona all’hotel e nel giro di cinque minuti arriva nientepopodimeno che un Hammer (ma d’altra parte sono questi i posti dove vanno usati) che ci preleva tutti e ci porta in albergo. Marta e Josè vengono con noi: teoricamente dovrebbero rientrare a Narsaq, ma prima di partire anche loro si cambiano e si fanno una doccia calda! Dopo circa un’ora bussano alla porta per salutarci: non li vedremo più se non a Narsarsuaq il giorno della partenza, perché da adesso non avremo più bisogno di spostarci con il gommone.

Con loro c’è anche una giovane ragazza danese che, ci spiegano, a partire dalla settimana seguente comincerà a lavorare per loro e farà da punto di riferimento a Qaqortoq. Si offre di mostrarci la città, anche se non è ufficialmente ancora parte del team, e , benché non abbiamo una gran voglia di uscire accettiamo perché troviamo disdicevole rifiutare l’offerta.  La pioggia è ora meno insistente, ma ne abbiamo vista abbastanza per oggi di acqua. Complice anche il fatto che è quasi ora di cena, il giro dura poco: per la verità Marianne, questo il suo nome, ci illustra con molto entusiasmo le attrattive del Paese: l’unica fontana presente in Groenlandia, le sculture su roccia presenti in vari punti della città, la piccola sede del giornale locale, che conta ben tre giornalisti, la vecchia e pittoresca chiesetta del paese.

Ci ripromettiamo di rivedere il tutto l’indomani, con il bel tempo e salutiamo con gioia la sua proposta di portarci nella locale tavola calda (aperta solo dalle 6 alle 7 per la cena!) dove ci prendiamo con somma soddisfazione una zuppa di pesce e un pollo con le patatine di secondo.

Salutiamo Marianne e ci ritiriamo nei nostri appartamenti (ci hanno dato proprio un mini appartamento, la migliore sistemazione che abbiamo trovato in Groenlandia!) a berci un buon te caldo.

 

Lunedì 24 giugno.

 

La quiete dopo la tempesta! Oggi ha smesso di piovere, c’è qualche nuvola, ma con ampi sprazzi di sole. La giornata è dedicata alla cittadina di Qaqortoq. Non abbiamo particolari programmi quindi stamattina possiamo finalmente alzarci un po’ più tardi del solito. Dopo colazione scendiamo verso il porto ed entriamo nell’ufficio turistico per vedere cosa c’è di interessante. La gentilissima ragazza dell’ufficio ci dice che stamattina è partita una barca per la visita alla pozza di acqua calda. Non molto lontano ci sono delle terme, dove si può fare il bagno: ci rammarichiamo ma non più di tanto visto che in Islanda di bagni nelle pozze di acqua bollente ne abbiamo fatte a decine.

Sembra invece essere interessante la visita all’unica fabbrica di pelli rimasta in Groenlandia: da iscritti alla Lipu e WWF dovremmo non approvare, ma non abbiamo mai visto una fabbrica di pelli e questo sembra il posto adatto per vedere cosa combinano.

Fissiamo l’appuntamento per le tre del pomeriggio e approfittiamo delle ore a disposizione per visitare la cittadina. Dei villaggi visti finora questo è sicuramente il più piacevole. Una delle attrattive principali è naturalmente l’unica fontana della Groenlandia che già abbiamo visto ieri sotto la pioggia ma che ovviamente rivisitiamo volentieri.

La ragazza dell’ufficio del turismo ci ha consegnato le chiavi della chiesa, dunque ci dirigiamo da quella parte ed entriamo a visitarla. E’ già la terza che vediamo e devo dire che tendono tutte ad assomigliarsi: sono piccole costruzioni in legno, ovviamente ad unica navata con un semplice altare e leggìo dalla parte opposta dell’accesso. Le file di banchi sono sempre due. Interessante il fatto che appesa al soffitto di tutte ci sia un bel modello di nave, a simboleggiare il fatto che da quelle parti i naviganti hanno certamente bisogno di protezione!

La chiesa di Qaqortoq è una delle più vecchie della Groenlandia e risale al 1832, età di tutto rispetto per il nuovo mondo! Ha inoltre una particolarità: è la chiesa dove si trova l’unico oggetto ritrovato dopo il terribile naufragio della Hans Hedtoft, una nave passeggeri  danese che, come nel caso del Titanic, urtò un iceberg e affondò. La sua storia somiglia a quella del Titanic in maniera inquietante. Il fatto avvenne nel gennaio del 1959 e questa nave resta tuttora l’ultima nave passeggeri affondata in seguito all’urto con un iceberg. La tragedia ebbe un enorme impatto sull’opinione pubblica scandinava, proprio perché le analogie con il Titanic erano impressionanti: anche questa nave era da molti considerata sicurissima e addirittura inaffondabile ed anche questa affondò nel suo viaggio inaugurale (era appena cominciato il viaggio di ritorno). Dei 40 membri dell’equipaggio e 55 passeggeri non solo non si salvò nessuno, ma, appunto, la sola cosa che si ritrovò fu il salvagente che si trova in questa chiesa, la più vicina al luogo del naufragio.

Inoltre tra i 55 passeggeri c’erano delle figure di altissimo profilo, tra cui anche un membro del parlamento Danese, cosa che scosse ancor di più l’opinione pubblica del Paese.

La conseguenza principale e drastica di questo affondamento fu l’abbandono delle traversate via mare e la riapertura dell’aeroporto di Narsarsuaq, quello dove noi siamo arrivati, chiuso l’anno prima. Paradossalmente fu proprio grazie a questa tragedia che Narsarsuaq rinacque, grazie alla riapertura dell’aeroporto.

Dopo la chiesa, visitiamo il museo della città che espone interessanti pezzi di Tupilak ( statuette lavorati tradizionalmente dagli Inuit principalmente in corna di renna), canoe e le camere originali dove alloggiarono Rasmussen e Charles Lidbergh che qui si fermarono durante i loro viaggi nell’artico.

Dopo un leggero pranzo torniamo all’ufficio turistico in attesa della guida che ci porterà alla fabbrica di pelli. Il tour è previsto per le tre, ma la guida arriva trafelata con ben 45 minuti di ritardo. Qualcuno ci aveva detto che i locali non sono proprio degli Svizzeri in fatto di affidabilità e questo episodio, come molti altri di più lieve entità ci confermeranno che prendono la vita certamente senza stress!

La visita della fabbrica, vicina al porto e che quindi raggiungiamo a piedi, si rivela interessantissima. Circa l’80% delle pelli che si lavorano nella fabbrica sono pelli di foca, ma per fortuna è bandita la lavorazione delle pelli di cuccioli di foca (perlomeno a noi dicono così e non ne vediamo nessuna) . Accanto a questo si lavorano anche altre pelli tra cui quelle di caribou e di orso bianco. La pelle di orso sarebbe caldissima, ma è talmente pesante che viene usata solo per fare pantaloni che portano gli Unuit soprattutto al nord. Naturalmente le pelli provengono da esemplari abbattuti con regolare permesso, magari perché malati o vecchi, dato che l’animale è protetto anche qui. Non lo sono purtroppo le povere foche che vengono abbattute a decine.

La lavorazione prevede il lavaggio, lo sgrassaggio con acqua e sale (le pelli restano a bagno per tre settimane) e l’ulteriore lavaggio questa volta con solventi per togliere l’eventuale grasso che si deposita sul pelo e potrebbe ingiallirlo. Quindi la pelle viene essiccata e mandata alla lavorazione vera e propria. Questa ultima operazione dell’essiccazione richiede tre ore con l’essiccatoio, mentre un tempo occorrevano tre settimane all’aperto. Interessante il fatto che quasi tutti i macchinari che abbiamo visto fossero made in Italy! Ancora più interessante il fatto che per il primo sgrassaggio della pelle si utilizzi ancora il caratteristico coltello a mezzaluna chiamato ULU, da secoli usato dagli Inuit.

All’uscita dalla fabbrica, il sole splende nel cielo e approfittiamo della bella luce del tardo pomeriggio per fare alcune foto, anche ai bimbi locali, prima di andare a cena al ristorante dell’albergo.

 

Martedì 25 giugno.

 

Anche stamattina splende il sole e la cosa ci rincuora perché oggi faremo un volo in elicottero. Il volo è alle 11.25, ma dato che non ci sono grosse formalità per il check-in (non ci sono neppure controlli di sicurezza)  approfittiamo del bel tempo per fare un altro giro a Qaqortoq e vedere alcune delle sculture su roccia per le quali la città è famosa. Verso le 10.30 ci facciamo accompagnare all’aeroporto, che in realtà è un eliporto, per il volo. E’ un normale volo di linea della Air Greenland  e naturalmente il fatto che sia operato con un elicottero rende il trasferimento decisamente  spettacolare per la vista. Si vola con elicotteri Bell che possono portare 9 passeggeri: i sedili sono posti  uno immediatamente  dietro i sedili del pilota (da 5 posti)  e due da due posti  a 90° gradi rispetto al muso dell’elicottero: questo significa  che 6 dei 9 posti sono posti finestrino.

Per noi non è una difficoltà “conquistare” il posto finestrino, perché 5 passeggeri sono locali e non gliene importa nulla del finestrino.

Decolliamo in perfetto orario verso la nostra prossima destinazione, Nanortalik.

Il volo dura 30 minuti e sono trenta minuti di spettacolo puro! I fiordi dal colore blu cobalto sono cosparsi da bianchissimi iceberg che virano verso il colore azzurro in genere nel punto dove incontrano l’acqua. La costa è estremamente frastagliata e spesso si notano delle meravigliose spiagge di sabbia finissima, ovviamente completamente deserte, mentre le montagne interne sono impreziosite da piccoli laghetti dalle acque trasparenti.

Scendiamo entusiasti per lo spettacolo e ben felici all’idea che nel programma ci sono altri due voli in elicottero nei prossimi giorni.

All’arrivo ci attende anche qui il gestore del piccolo albergo dove alloggeremo che ci porta con il suo pick up a destinazione (300 metri dall’eliporto!). La camera non è bella come quella che avevamo a Qaqortoq, ma lo è sicuramente la vista, che si apre su un fiordo contornato da alte cime innevate.

Approfittiamo del bel tempo ( è previsto un peggioramento nel tardo pomeriggio) e quindi dopo un veloce spuntino, ci dirigiamo verso l’eliporto nuovamente, perché arrivando abbiamo visto degli iceberg spiaggiati molto fotogenici.

Passiamo il pomeriggio a passeggiare sulle spiagge circostanti ammirando e fotografando gli iceberg. Le previsioni si rivelano purtroppo esatte e nel tardo pomeriggio il cielo si rannuvola. Si alza anche un vento gelido e quasi per incanto, le persone che avevamo visto per la strada a godersi il sole quando siamo arrivati spariscono!

Rimane solo un gruppo di ragazzi nel campo di calcio ad allenarsi. Sono comunque ben vestiti, segno che il freddo lo sentono anche loro!

Dato che il tempo si è guastato e abbiamo sfruttato al meglio il sole, riserviamo le ultime ore rimasteci della giornata alla visita del locale museo: un museo decisamente insolito, perché si è deciso di trasformare il nucleo originale del paese, ovvero le prima case costruite in legno e muratura per sostituire le tradizionali abitazioni Inuit, in museo parzialmente all’aperto e parzialmente al chiuso!

Praticamente per arrivarci bisogna percorrere la strada sterrata fino alla fine del paese: L’ultimo pugno di case è di fatto il museo e le “sale” espositive sono le differenti abitazioni.

Anche questo museo si rivela, come il primo visitato, estremamente interessante: sono molte le testimonianze fotografiche della vita degli Inuit (l’ultima abitazione tradizionale Inuit fu abbandonata negli anni 70 e vicino alle case ci sono ancora molti resti), ma anche tantissima oggettistica, come le incredibili canoe, leggerissime, fatte con la pelli di foca.

Esistevano le canoe da donna e da uomo, con quelle da donna, più grandi, che venivano usate soprattutto quando ci si trasferiva, per portare tende e suppellettili. Quelle da uomo invece erano studiate per la caccia alla foca.

Interessante anche una pressa per estrarre il grasso delle balene e ancora più interessante una vecchia fotografia degli anni 30 dove si vede l’intera popolazione darsi da fare per tirare a riva una enorme balena (con altri scatti che poi mostrano tutti intenti a sezionarla): riconosciamo il posto, proprio a pochi metri da dove ci troviamo!

Finiamo la visita sotto una leggera pioggerellina, girando intorno ai resti delle case Inuit (delle quali conosciamo la struttura grazie alle spiegazioni che ci ha dato Ramon a Bratthalid) e torniamo quindi lentamente verso il nostro albergo.

 

Mercoledì 26 giugno.

 

Stamattina piove sul serio, le nuvole sono molto basse e la proprietaria dell’albergo ci dice che le previsioni non sono buone: potrebbero anche sospendere i voli in elicottero: la cosa ci preoccupa un po’, perché quel volo segna l’inizio del nostro viaggio di ritorno. Siamo nel punto più distante  da Narsarsuaq, dove domani pomeriggio avremo l’aereo di ritorno. A dire il vero sono non più di 120 chilometri in linea d’aria, ma 120 chilometri in Groenlandia, un Paese dove le strade praticamente non esistono se non intorno ai villaggi, possono essere una distanza enorme.

Non possiamo far altro che aspettare il nostro volo delle 14.00 e mentre lo facciamo andiamo a fare qualche acquisto all’ufficio del turismo che per la verità è abbastanza fornito di oggetti di artigianato. Dato che piove non c’è molto altro da fare. Nel negozio troviamo 4 o 5 tedeschi, unici altri stranieri presenti oltre a noi, che avevamo notato la sera prima al ristorante. Sono un gruppo di amici (11 in tutto) che fanno parte dell’equipaggio di un veliero in legno che abbiamo visto ancorato in porto la sera prima: ci dicono che stanno tornando verso l’Europa, ma si fermeranno a Nanortalik tre giorni perché il tempo e il mare è previsto brutto per tutto il periodo…. Andiamo bene!

Il nostro volo è previsto per le 14.00, prendiamo qualcosina al supermercato per mangiare nell’attesa e poco dopo le 12 passiamo per l’hotel a prendere i bagagli e ci avviamo verso l’eliporto.

Qui comincia lo stillicidio. Inizialmente il volo viene ritardato di mezz’ora, poi sul video appare la scritta che ci saranno ulteriori notizie alle 15.00. Parlo con il caposcalo, (il nome non deve trarre in inganno sono solo due gli impiegati dell’aeroporto, il caposcalo e una operaia!) che mi dice solo che per il momento nessun elicottero vola e che bisogna attendere.

Verso le 15.00 ci mostrano il nuovo orario, le 17.00. Siamo rimasti soli nella sala d’attesa, perché tutti gli altri 6 o 7 passeggeri sono locali e quindi sono tornati a casa. Non hanno bisogno di vedere il tabellone, semplicemente se sentiranno l’elicottero arrivare torneranno!

Ma l’elicottero non arriva. Verso le 17.00 ci comunicano prima che si farà un altro tentativo alle 18.00 poi mandano a chiamare la proprietaria del nostro hotel: si rimane qui per un’altra notte, ci consegnano il nuovo piano voli: dovremmo partire con il primo volo la mattina dopo alle 5.20. Se così fosse ce la faremo a prendere il volo per l’Europa  del pomeriggio, pur facendo una sosta di alcune ore a Qaqortoq.

 

 

Giovedì 27 giugno.

 

Sveglia al mattino presto, ma è tutto inutile: il volo delle 5.20 salta di nuovo, ci dicono per un guasto tecnico, anche se noi notiamo che il tempo è più o meno lo stesso. Tuttavia quello delle 12.00 arriva e riparte, il che ci fa sperare. Il nostro sarà nel pomeriggio, ma ormai il volo intercontinentale è perso e la Air Greenland ce ne rischedula uno via Nuuk che ci permetterà di arrivare a Copenaghen sabato sera: siamo costretti a spostare anche il volo per casa, che avevamo prenotato separatamente, e una volta organizzato il tutto facciamo buon viso a cattiva sorte: anziché rientrare il venerdì sera come previsto, rientreremo domenica a mezzogiorno, per cui, per lo meno, non perderemo giorni di lavoro. E poi paga Air Greenland! Tuttavia non riusciamo a cavare  granché da questa giornata. Usciamo un po’ il pomeriggio a vedere un po’ di vita del villaggio: il tempo è migliorato, appare qualche raggio di sole e i giovani hanno organizzato una partita nel campetto del villaggio: c’è pure un po’ di pubblico! Esploriamo ancora il villaggio e scopriamo, tra le cose più interessanti dei pezzi di grasso di foca stesi al sole ad essiccare.

Quando torniamo in eliporto ci godiamo l’entusiasmo dei bambini che vengono lasciati liberi di scorazzare intorno agli elicotteri, a dispetto di qualsiasi norma di sicurezza.  Oltre al nostro ne è arrivato un altro e i bimbi vengono allontanati solo al momento del decollo.

E’ giunta finalmente la nostra ora: il lato positivo è che se avessimo volato con il brutto tempo avremmo visto ben poco, ora invece voliamo con un po’ di sole: il volo dovrebbe lasciare prima noi a Qaqoroq e poi proseguire per Narsaq, ma l’ordine viene invertito perché su Qaqortoq c’è un po’ di nebbia. Per noi è una fortuna, perché  restiamo in aria dieci muniti buoni in più (in attesa di ordini) prima di andare a Narsaq. Qui atterriamo, lasciamo giù un passeggero e dopo un rapido consulto con la torre di controllo (quale? Mai vista una negli eliporti Groenlandesi) si riparte.

Riformulo: dopo una rapida consultazione con la baracchina di controllo si riparte. Altri 15 minuti di volo ed eccoci finalmente a Qaqortoq, della nebbia manco l’ombra, in compenso ho la macchina fotografica fumante per la quantità di scatti e vedute aeree di questo meraviglioso Paese!

 

Venerdi 28 giugno

 

Giornata bellissima, il brutto tempo sembra lasciato alle spalle (anche se qui in Groenlandia non si può mai dire). Addirittura al mattino fa persino caldo e la cosa ci porta a sperimentare una emozione nuova. Prima di partire ci avevano raccomandato di portarci la rete antizanzare, perché mosche, moscerini e anche zanzare sapevano essere molto fastidiosi. In questa settimana trascorsa qui ci eravamo chiesti più volte che fine avessero fatto questi insetti e oggi lo abbiamo capito: non faceva ancora abbastanza caldo, ma erano in agguato, pronti a colpire! La temperatura oggi si è alzata e sono arrivati!

Scendiamo verso il porto, indecisi sul da farsi, come spendere questa giornata, visto che il volo per Narsarsuaq è nel pomeriggio, quando, giunti proprio davanti all’ufficio turistico, ho un sobbalzo. Ho visto in lontananza una ragazza vestita di tutto punto con il mitico costume tipico Groenlandese e sta venendo proprio nella mia direzione! Estraggo trafelato l’attrezzatura fotografica dalla borsa e mi avvicino a lei per fotografarla. La ragazza è ben disposta e si lascia ritrarre più volte. Dall’ingresso dell’ufficio turistico la ragazza di turno mi ha visto e quando mi avvicino mi spiega cosa sta succedendo: oggi è l’ultimo sabato di giugno e ci sarà la cerimonia della consegna dei diplomi al college locale. Mi dice che ci saranno molte altre ragazze e ragazzi vestiti con il costume tradizionale al college.

Ci facciamo subito spiegare dove è il college, non intendiamo certo farci sfuggire questa fortuna inaspettata! Non siamo riusciti a vedere un solo costume il giorno della festa nazionale, ormai ci avevamo rinunciato ed ora arriva questa fortuna inaspettata!

Raggiungiamo lo stabile che ci hanno indicato in poco più di un quarto d’ora e notiamo con molta soddisfazione che saranno almeno una trentina le ragazze in costume. Ci sono anche una ventina di ragazzi ma bisogna onestamente dire che il loro costume è molto più sobrio. Sembra una divisa da marinaio.

Quello femminile è certamente poco elegante e tutt’altro che comodo ma è decisamente colorato e caratteristico, ben si presta alle foto! Nell’aula magna della scuola sta cominciando la cerimonia, inizialmente restiamo fuori in compagnia delle mosche perché, in qualità di estranei, non vogliamo disturbare, ma dopo aver osservato un po’ attraverso le finestre ci rendiamo conto che sono in tanti i parenti e amici che girano per la sala a fotografare. Uno straniero non farà certo la differenza. Entriamo, ma alla fine ci godiamo semplicemente l’allegra cerimonia, dato che non c’è molta luce e non voglio usare il flash. Fotograferò quando escono. Vengono distribuiti parecchi premi, anche borse di studio: non capiamo il Groenlandese, ma la consegna di un assegnone gigante con su scritta una somma in corone danesi non è difficile da interpretare. Ogni consegna è segnata da applausi e strani “hurrà” (strani nella pronuncia) degli altri studenti.

Finalmente si esce e gli studenti posano per le foto di rito, così posso unirmi ai fotografi. Li seguiamo poi fino alla fontana, all’interno della quale il miglior studente dell’anno scolastico  verrà gettato senza pietà: conosciamo il rito perché ci siamo ricordati che la ragazza che ci aveva portato a fare un giro a Qaqortoq sotto la pioggia, Marianne, ci aveva raccontato che ci era finita lei, dentro la fontana, quando si era diplomata!

Restiamo con loro tutta la mattinata, è un vero divertimento vista anche la bella giornata di sole.

Pranziamo pure al sole, in un terrazzo panoramico dell’albergo dove abbiamo soggiornato la prima volta (stavolta siamo nell’altro albergo): ordiniamo uno spettacolare club sandwich a base di salmone, una vera bontà. Il tempo di acquistare qualche altro souvenir e poi via verso l’eliporto, dove ci aspetta l’ennesimo tratto in elicottero, fino a Narsarsuaq. L’elicottero parte con 15 minuti di ritardo, ma c’è tempo per prendere la coincidenza per Nuuk.

Volo ancora spettacolare, altra tonnellata di scatti (ma stavolta ne eliminerò parecchi perché ho fatto l’errore di sedermi dalla parte sbagliata e mi sono ritrovato spesso il sole in faccia) e si atterra a Narsarsuaq, il nostro aeroporto di arrivo.

Troviamo ad accoglierci Marta che è venuta a solo a salutarci e assicurarsi che tutto sia ok: ci dice che Jose purtroppo è in giro con un gruppo e non è potuto venire.

Stavolta sarà un piccolo Dash 8 che ci porta a Nuuk, decisamente meno spettacolare a livello di panorami! Dormiamo la sera a Nuuk, la capitale della Groenlandia.

Nuuk ha 15.000 dei 56.000 abitanti di tutta la Groenlandia ed è la città più grande del Paese. Dato che qui non è mai buio, decidiamo di cenare e poi uscire verso le 10.30 per cercare di beccare il sole di mezzanotte. Ne approfittiamo per girare un po’ per la cittadina, ma francamente la vista di alcuni condomini moderni non ci entusiasma molto:  molto meglio le casette colorate che abbiamo visto fino ad ora nei villaggi del sud.

Il sole ci degna della sua presenza fino alle 23.30, dopodiché si nasconde dietro  un gruppo di nubi basse all’orizzonte e ci saluta. Ne approfittiamo per andare a vedere sulla via del ritorno la famosa statua chiamata madre del mare, la sirenetta della Groenlandia.

Traendo spunto da una leggenda Inuit, la madre del mare, rappresentata ovviamente da una bella ragazza nuda, è contornata dalle creature del mare. La statua si trova nell’acqua, a pochi metri dalla riva e simbolicamente protegge i naviganti oltre ad assicurarsi che i pescatori prendano dal mare solo ciò che gli serve, senza ferire il mare stesso. Messaggio, quest’ultimo, più che mai attuale.

Francamente dobbiamo ammettere che questa opera regge certamente per fascino l’irrispettoso accostamento alla famosissima Sirenetta.  A noi è piaciuta addirittura di più.

 

Sabato 29 giugno.

 

Si parte, stavolta per tornare a casa: il primo volo sarà verso Kangerlussuaq, aeroporto internazionale della Groenlandia per poi tornare a Venezia via Copenaghen e Parigi.

Undici voli, di cui 4 in elicottero, non sono male per 15 giorni di vacanza (omessi in questo diario i primi tre giorni trascorsi a Copenaghen): certamente il fatto che abbiamo dovuto fare tutti questi voli e che la maggior parte degli spostamenti siano stati fatti via mare e a piedi, da una idea di come la mancanza di strade sia il principale handicap dal punto di vista turistico in questo Paese.

Che dire? La Groenlandia si è rivelata una piacevolissima sorpresa. Non sapevamo bene cosa aspettarci quando siamo partiti, date anche le scarse notizie che avevamo del Paese, specie della zona sud dove abbiamo voluto andare. Una delle cose che più ci ha stupito è stata la presenza di alti picchi, ci aspettavamo un Paese più piatto, invece abbondano i paesaggi alpini!

Sicuramente è stato per molti aspetti al di sopra delle nostre aspettative e mi sento di consigliarla come meta, tant’è vero che stiamo già facendo un pensierino per un secondo viaggio!!

Meglio non aspettare troppo, prima che diventi troppo turistica!

 

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Viaggiatore: Adriano Socchi

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