Finalmente Afghanistan! - Parte seconda

Ha termine il viaggio in un Paese che sta faticosamente riaprendosi al mondo

E' la seconda e conclusiva parte del diario di viaggio in Afghanistan. La prima parte, dallo stesso titolo, è già presente nelle pagine di questo sito.VENERDI 13 AGOSTO 2004
Partiamo alle 7.00. Il percorso di oggi ci porta ancora a transitare per i tipici paesaggi del Pamir. Ampie vallate glaciali con fiumi impetuosi nel fondovalle dove pascolano le mandrie degli animali. I fianchi laterali assumono talvolta l'aspetto dolomitico con colori chiari e rossastri che si infiammano maggiormente nelle ore del tramonto. Altre volte scendono invece con ghiaioni scuri col tipico colore della roccia vulcanica.
Ci alziamo di quota. Valichiamo un passo di 4800 metri. Non sono ancora completamente acclimatato ed il camminare mi provoca un forte affanno nella respirazione. Decido di usare il cavallo che ho a disposizione. Le cime che incombono su di noi (6000/7000 mt) ora incominciano ad essere incappucciate di neve e dai pendii scendono abbondanti colate di ghiaccio.
E' verso le 16 che arriviamo in vista della nostra meta giornaliera. E’ un gruppo di ricoveri per pastori. Come al solito sono molto gentili e ci mettono a disposizione una tenda dove passeremo i prossimi due giorni. Decidiamo di fermarci qui un paio di giorni sia per raccogliere del materiale sugli usi e costumi essendo questo uno dei più grossi insediamenti dei Waki in montagna, sia anche per recuperare un po' di forze. Appena arrivati ci mettono a disposizione la tenda per gli ospiti e ci offrono subito del the con pane. Stasera saremo ospiti anche a cena.

SABATO 14 AGOSTO 2004
Ho dormito bene all'interno della yurta. E' una struttura povera ma confortevole. Si dorme per terra sui tappeti. Non si sente il vento che soffia all'esterno al riparo delle spesse pareti di feltro che avvolgono la struttura portante di legno e che servono sia come isolante termico che acustico.
Passiamo tutta la giornata a fare riprese e a scattare fotografie dell'insediamento. Mi soffermo a lungo all'interno delle abitazioni. Il fumo è densissimo e la visibilità scarsa. Mi piace osservare questa gente mentre assolve le pratiche quotidiane.
La cura degli animali occupa buona parte della giornata. I greggi escono al mattino presto e rientrano alla sera. E' a quest'ora che viene effettuata la mungitura. Determinanti in questa operazione sono le donne. Sembra che anche qui, come in tante altre comunità, debbano sostenere gli oneri maggiori nella cura della famiglia e nel governare gli animali. Durante la giornata lavorano il latte munto il giorno precedente. Preparano il formaggio che viene messo ad asciugare sui tetti delle case. Altro compito delle donne è di accudire i bambini che si portano sempre appresso. All'interno delle scure e fumose dimore si svolge buona parte del lavoro domestico: la preparazione del formaggio, la bollitura del latte. I bimbi passano con le madri buona parte del tempo all'interno di questi locali.
Mentre eseguivo delle riprese nella semioscurità ho sentito un gemito provenire da un cumulo di stracci. Sotto c'era un neonato. Certamente si portano appresso fin da piccoli dei grossi problemi respiratori vivendo in questi ambienti fumosi. Inoltre la loro alimentazione è povera e molto spesso accusano grosse carenze vitaminiche. Non si nutrono mai di frutta e verdura non essendo disponibile a queste quote. La carne stessa viene utilizzata pochissimo nei loro pasti. Gli animali sono utilizzati prevalentemente come merce di scambio.
Riprendo quanto mi è possibile anche in condizioni precarie di luce. Loro, sia le donne che gli uomini, sono sempre molto disponibili e cordiali. Nel tardo pomeriggio, quando rientrano le mandrie dal pascolo, assisto alla mungitura prima delle pecore e capre e poi degli yak. Alla sera ceniamo a base di carne. Abbiamo acquistato per 2000 afgani una capra che ci è stata cucinata per la cena.

DOMENICA 15 AGOSTO 2004
Avevamo previsto di passare anche questa giornata presso questo insediamento e di partire domani mattina. Su consiglio della nostra guida decidiamo di partire oggi e di percorre circa due ore di strada portandoci così più avanti sulla tappa di domani che dovrebbe farci arrivare nella zona degli insediamenti Kirghisi.
Siamo a 4480 mt. di altezza e la quota si fa ancora sentire. I movimenti sono lenti ed ogni lavoro costa fatica. Va comunque meglio dei giorni precedenti. E' piacevole oziare fuori della nostra yurta. Osservare la valle laggiù che si distende in lontananza. Sopra alla mia testa incombe un meraviglioso ghiacciaio dal quale esce un flusso continuo di acque che alimenta il torrente che scorre vicino al villaggio. I resti di antiche morene indicano quanto più estesa fosse un tempo la colata glaciale. Le stesse ampie vallate che abbiamo percorso sono ciò che rimane degli immensi bacini glaciali che qui esistevano migliaia di anni fa.
Oggi è ferragosto in Italia. Qui è un giorno come gli altri. Ho perso la cognizione del tempo. Unica scadenza il 1° settembre, un appuntamento con l'autista che in tre giorni di viaggio dovrà riportarci a Faizabad per riprendere l'aereo per Kabul. Qui il tempo scorre lento regolato più dalla natura che dall'orologio. Sono i ritmi ciclici del giorno, della notte e delle stagioni che regolano la vita di questa gente. Tra circa 40/50 giorni le giornate si accorceranno, la temperatura diventerà molto rigida. E' l'ora di scendere a valle. Quassù la vita diventa impossibile. Le temperature scendono di parecchio sotto lo zero rimanendovi per alcuni mesi. Per gli animali diventa impossibile il pascolo.
Ci spostiamo verso un altro insediamento per spezzare la tappa di domani che risulterebbe eccessivamente lunga. Camminiamo per circa due ore. Anche qui ci accolgono con la consueta ospitalità. Dormiamo in una yurta allestita per gli ospiti. All'orizzonte si vedono delle maestose cime innevate. Sono nella direzione del Pakistan. Enormi ghiacciai scendono dalle vette. La guida mi informa che passeremo in quella direzione tra tre giorni, sulla via del ritorno.
La dimora dove passiamo la notte è più confortevole della precedente. Al centro fa bella mostra una stufa a legna con un tubo che esce dalla sommità della yurta. I nostri ospiti si offrono di accendere il fuoco per la notte. Preferiamo rimanere senza il tepore della stufa. I nostri sacchi a pelo ci offrono già il calore necessario per la notte. Vogliamo evitare la possibilità di passare una notte immersi nel fumo come succede nelle abitazioni dei pastori. Entrando in quelle stanze scure per fare delle fotografie ho già sperimentato il fumo che ti assale la gola e ti brucia gli occhi.

LUNEDI 16 AGOSTO 2004
Partiamo verso le 7.30 del mattino. Saliamo per un breve tratto che ci porta a 5.000 mt di quota. Ancora ghiacciai e cime innevate ci accompagnano nel percorso. Per la prima volta sulla sommità del passo transitiamo in prossimità di un laghetto verde smeraldo alimentato dalle nevi delle vette circostanti. Da qui si incomincia a scendere. Siamo sullo spartiacque. Da questo punto le acque vengono convogliate verso la vallata del Wakhan ed il suo fiume omonimo.
Non appena si inizia a scendere nel nuovo versante la valle incomincia ad aprirsi. Preludio agli immensi spazi di cui l'occhio potrà godere non appena la vallata si aprirà maggiormente. Ecco di fronte a noi l'immenso paesaggio alla confluenza delle valli che scendono dalla Cina e dai laghi di Chaqmaqtin. Assieme si uniscono a formare il comune percorso del fiume Wakhan che seguiremo i prossimi giorni sulla via del ritorno.
Piantiamo la tenda presso le postazioni oramai in disuso di una vecchia base militare russa qui insediata ancora ai tempi del governo di Najibullah in località Buzi Gunbad. Veniva rifornita attraverso i valichi del vicino Tagikistan. Ora tutto si trova nel più completo stato di abbandono. Oltre a questo insediamento deserto non c'è traccia di altri esseri umani. Oggi per la prima volta abbiamo incrociato un ragazzo kirghiso che col suo yak era alla ricerca di sterco animale da utilizzare come combustibile. E' in queste zone che dovremo incontrare i pastori Kirghisi, già forse domani dirigendoci verso i laghi di Chaqmaqtin.

MARTEDI 17 AGOSTO 2004
Partiamo di prima mattina. Prima di prendere la direzione della nostra meta, una deviazione di pochi minuti nelle vicinanze della base militare, ci porta a visitare quello che rimane di un vecchio cimitero. Le tombe sono state tutte devastate, con molta probabilità ancora dai militari che stavano nella base. Il luogo è molto suggestivo, sia per la posizione in cui si trova che per il fascino che emanano questi ruderi. Doveva un tempo essere un luogo molto sacro. I resti di alcune tombe evidenziano una particolare cura nella costruzione, segno evidente che dovevano essere sepolti dei personaggi illustri.
In circa 6 ore di cammino arriviamo alla nostra meta: il primo insediamento kirghiso. Durante il percorso facciamo la solita sosta per il pranzo e per far riposare gli animali. Solamente alla partenza mi accorgo casualmente che ad una trentina di metri da noi c'è una bellissima sorgente termale di acqua calda nella quale i nostri portatori avevano a turno fatto il bagno senza avvisarci di tale possibilità. Mi dispiace di aver perso tale occasione. Mi sento sufficientemente sporco e quindi disponibile per un bel bagno.
Arriviamo all'accampamento kirghiso dove ci accolgono con la solita ospitalità. I pastori abitano in yurte mentre noi siamo ospitati in una costruzione in muratura. Ci vivono circa 50 persone. Anche qui si ha la chiara sensazione che siano le donne a svolgere la maggior parte dei lavori mentre gli uomini si perdono in interminabili discussioni ed inutili ozi. Siamo ricevuti nella tenda del capo. Mentre lui e gli altri uomini della famiglia si intrattengono con noi a conversare, una donna sfaccenda all'interno della tenda senza mai alzare gli occhi dal suo lavoro.
Alla sera ci viene offerta una cena a base di carne di yak. Poi stanchi, nella stessa stanza, stendiamo i tappeti sui quali passeremo la notte. Pur essendoci alzati di quota non fa freddo ed il ricovero è ben riparato.

MERCOLEDI 18 AGOSTO 2004
Si passa il tempo oziando tra le yurte. E' una giornata di riposo che si trascorre scattando foto e facendo interviste ai locali. Il cielo rimane coperto per tutta la giornata e soffia un vento piuttosto freddo.
Si è diffusa la voce che ho dei medicinali e tutti vengo per farsi medicare e curare. Mi sento un medico. Eseguo terapie solamente nei casi in cui non ho il minimo dubbio oppure applico medicazioni esterne. Non somministro nessun tipo di antibiotico.
Passiamo lunghe ore in conversazione col capo e, mentre gli uomini si dedicano a tale attività con noi, le donne procedono nelle loro molteplici incombenze: dalla lavorazione del latte, alle cure dei bambini, alla preparazione dei pasti, al confezionamento dei vestiti.
La tenda del capo è la più grande e la più ricca di suppellettili all'interno. Un focolare centrale provvede a mitigare la temperatura del locale. Sulle pareti fanno bella mostra molti rotoli di tappeti che appoggiano su tutta una serie di valigie metalliche. Un orologio in plastica scandisce le ore ed ogni volta tutti i presenti controllano con quello al polso. Da una piccola culla ricoperta di una spesso telo colorato esce il gemito di un piccolo nato da pochi mesi. E' già stato sottoposto alle mie cure ieri per una piccola ferita al glutei.
E' un via vai di persone, prevalentemente uomini, che incuriositi vengono a vedere gli stranieri. Siamo la novità del momento. In questo ultimo anno non è passato nessun forestiero.
Alla sera ci richiudiamo abbastanza presto nel nostro ricovero poiché la temperatura cala rapidamente. Ci accendono anche una rudimentale stufa in ghisa per riscaldare un po' l'ambiente. Si cena come al solito a base di riso.

GIOVEDI' 19 AGOSTO 2004
Oggi sostiamo al villaggio kirghiso e spendiamo la giornata per visitare i vicini campi dove ci sono altri gruppi.
Partiamo di prima mattina. Subito fuori dal villaggio, nell'attraversamento di un guado, vengo letteralmente disarcionato dal mio cavallo. La mia prima preoccupazione è stata di sfilare i piedi dalle staffe. Cadendo picchio con la schiena su di un sasso. Mi alzo dolorante e per un po' preferisco non cavalcare. Procedo a piedi.
Dedichiamo la giornata alla visita dell'insediamento e poi rientriamo costeggiando il lago di Chaqmaqtin.
Alla sera il solito menu a base di riso. Abbiamo anche due ospiti afgani che sono saliti in queste zone per promuovere la prossima campagna elettorale a favore del candidato Karzai. Come al solito si cena alle 20. Una grande tovaglia sudicia serve per posare i viveri. Unica variante per noi occidentali alcuni cucchiai che servono per attingere il riso dall'unico piatto. Per tutti gli altri niente posate ed il cibo viene portato alla bocca con le mani. Alle 22 si spegne la lanterna e buona notte.

VENERDI' 20 AGOSTO 2004
Faceva freddo ieri notte. Siamo stati costretti ad accendere la minuscola stufa per riscaldare la piccola stanza dormitorio. Con sorpresa, al risveglio notiamo le cime sopra di noi ricoperte di un manto bianco di neve fresca.
Partiamo alle 7. il cammino di oggi è abbastanza impegnativo poiché abbiamo deciso di non pernottare alla vecchia base militare russa di Busay Combad ma di proseguire fino ai pascoli di Baykarà.
Abbiamo circa sette ore di cammino da compiere. Siamo costretti a guadare parecchie volte i vari torrenti che incontriamo ed anche il corso principale del Pamir che scende dalla vallata che porta in Cina. Operazione laboriosa che richiede parecchio tempo. Si devono infatti trasbordare tutti i carichi sui cavalli, anche quelli degli asini. Il fiume in questo tratto è profondo ed impetuoso. I piccoli asini non sarebbero riusciti ad attraversarlo senza danni col carico.
Costeggiamo il fiume sulla sinistra orografica per raggiungere la nostra meta. Ci alziamo di parecchio dal suo corso. Attraversiamo paesaggi incantevoli con formazioni geologiche molto interessanti. In alcune zone il paesaggio è molto simile alla valle della Luna di La Paz in Bolivia.
La nostra meta, Baykarà, si trova in un piacevole posto adagiato ai piedi di un ghiacciaio che alimenta il ruscello che con le sue acque poi si getta nel corso principale del Pamir. Un'ampia distesa di pascoli si adagia ai lati del torrente dove sono situate le abitazioni e dove pascolano i molti capi di bestiame.

SABATO/DOMENICA 21/22 AGOSTO 2004
Facciamo due giorni di sosta in questo luogo, zona di pascolo riservata agli armenti di Tashi Bay. Il sabato andiamo a visitare un campo kirghiso a circa un'ora di distanza. Rientriamo nel tardo pomeriggio costeggiando il lago di Chaqmaqtin. Da questo lago nasce uno dei maggiori affluenti del fiume Wakhan e si unisce ad esso, per formare un unico corso, in prossimità della località di Busay Combad.
La vallata è ampia ed a nord fanno da corona le cime del Piccolo Pamir. Ad est si snodano i dolci pendii che portano al passo di Jaman che conduce in Tagikistan. La giornata è nuvolosa e la temperatura è rigida. Correnti di vento settentrionali addensano grandi nuvole sulle cime ricoperte di neve. Sono le prime avvisaglie di una perturbazione che il giorno seguente imbiancherà le montagne fino a quote relativamente basse.
Attorno al lago i ciuffi d'erba sono punteggiati dal bianco dei depositi salini. Le rive pianeggianti ci permettono di arrivare nelle vicinanze dell'acqua. Senza ostacoli il vento freddo che arriva da nord increspa leggermente la superficie del lago. I cavalli pascolano liberamente mentre i portatori dormono distesi sull'erba. La temperatura si abbassa ulteriormente quando le nuvole coprono il sole. Siamo costretti ad un rapido rientro.
Alla sera solita cena a base di riso nella nostra yurta. Durante la notte all'improvviso mi ritorna forte il dolore alla schiena nel punto in cui avevo colpito il sasso al momento della caduta. Mi ero già dimenticato del colpo ricevuto. Non mi sento molto bene. I dolori sono forti. Ogni movimento mi causa delle fitte dolorosissime. Forse ha una costola incrinata! Cerco di passare la notte nel modo migliore anche perché domani mi aspetta una marcia di 4 ore. Siamo sulla via del ritorno. Mancano 3 tre notti per arrivare al paese di Boroghil.

LUNEDI 23 AGOSTO 2004
Trasferimento da Baykarà a Orumitel, 7 ore di cammino.
Facciamo a ritroso la stessa strada fino a Busay Combad dove attraversiamo il fiume Wakhan su un instabile ponte di legno costruito dai kirghisi in prossimità della vecchia base militare russa. Qui il fiume rinforzato dal suo affluente che arriva dai laghi di Chaqmaqtin si incunea tra due ripide pareti rocciose e scorre impetuoso pochi metri al di sotto del ponte. Le assi che formano la pavimentazione poggiano su due vecchie ed instabili traversine di ferro. Gli animali, dopo essere stati scaricati dai loro carichi, lo attraversano timorosi. Un asino si rifiuta di passarvi sopra ed i portatori devono faticare parecchio per persuaderlo.
Raggiungiamo la nostra meta verso le 16 e ci accorgiamo di essere di fronte al luogo dove abbiamo pernottato le sere scorse sul versante opposto della valle, alla destra orografica del fiume Wakhan. Piantiamo le tende nella zona dove le erosioni delle piogge hanno trasformato il paesaggio rendendolo simile alla Valle della Luna di La Paz in Bolivia. Pinnacoli policromi fanno da corona al nostro accampamento. Il giallo intenso ed il marrone scuro delle argille si accendono alle luci del tramonto. In lontananza, sull'altro versante della valle, si scorgono gli hailog dove abbiamo passato i giorni precedenti.
Durante il trasferimento ho avuto alcune difficoltà per il dolore causato dal colpo ricevuto durante la caduta da cavallo. I portatori sono stati molto solerti nell'aiutarmi mentre salivo o scendevo dalla mia cavalcatura. Ciononostante mi sembra che stia migliorando. Speriamo perché vorrei camminare un po' i prossimi giorni.

MARTEDI 24 AGOSTO 2004
Partiamo alle ore 7.30 per un'altra tappa di trasferimento. A quanto ci ha detto la guida ci aspettano circa 7 ore di cammino.
Arriviamo dopo Langar alle 16 e piantiamo il campo in riva all'ennesimo affluente del fiume Pamir. Il percorso si presenta vario attraversando ampie pianure e vallate che costeggiano la destra orografica del Pamir. Per buona parte della mattinata abbiamo sempre sulla nostra sinistra i pascoli di Baykarà. E pensare che in linea d'aria siamo vicinissimi mentre noi abbiamo dovuto compiere, per attraversare il fiume, un giro che ci ha impegnato per quasi due giorni.
Il percorso di oggi, nella parte finale, segue il fiume sulla sua destra orografica, ora abbassandosi a livello della acqua altre volte risalendo le ripide fiancate della valle.
Dove piantiamo la tenda il clima è più mite. Ieri notte la temperatura era scesa sotto lo zero. La tenda al mattino era ricoperta di ghiaccio. Stasera il campo viene piazzato vicino ad un ricovero per pastori. Qualcuno che ci ha preceduto ha lasciato acceso il fuoco ed un fumo acre invade ancora la zona.
Non appena incomincia a far buio mi chiudo in tenda. Anche questa sera avrò ospite il capo dei portatori che da alcune sere passa la notte nella mia tenda trovandola più comoda che non dormire all'addiaccio. Oramai è diventata un'abitudine. Con la giustificazione che mi presta le coperte per farmi lo schienale per la notte, cosa che mi allevia il dolore alla schiena, viene dormire all'interno della tenda.
Tutti i ragazzi stasera mi sembrano più in fermento del solito. Probabilmente sentono l'avvicinarsi della casa. Stanno suonando con i rudimentali strumenti in loro possesso come hanno fatto tante altre sere. Oggi però mi sembra diverso. C'è una maggior aria di festa. Anche per loro forse c'è un po' di nostalgia. Sono poco lontano dalla tenda in cui mi sono rintanato.
Il vento è calato quando finiscono la festa. Sento solo il rumore del torrente vicino. Mi sento bene rinchiuso nella mia tenda, come protetto. La schiena incomincia a darmi meno fastidio. Oggi ho camminato per parecchie ore. Lo stesso spero di poter fare domani.

MERCOLEDI 25 AGOSTO 2004
Questa mattina si parte presto, si prospetta una lunga tappa di circa 7 ore.
Si percorre tutta la vallata del fiume Wakhan mantenendoci sempre alla sua destra orografica. Il sentiero taglia i ripidi versanti della valle fluviale. Un paio di volte si abbassa a livello del fiume dove sono state costruite delle passerelle artificiali per facilitare il cammino tra la parete rocciosa e l'acqua tumultuosa.
Nel tardo pomeriggio il paesaggio si fa familiare. Riprendiamo infatti il percorso compiuto il primo giorno quando siamo partiti.
Alla sera ci accampiamo per l'ultima volta in riva ad un affluente del Wakhan, dove eravamo transitati il primo giorno. Il posto non è perfettamente pianeggiante e le tende vengono piantate sul terreno leggermente inclinato. Per tutta la notte abbiamo dovuto contrastare la forza di gravità che ci faceva scivolare verso il basso.

GIOVEDI 26 AGOSTO 2004
Ultima tappa. C'è euforia nel gruppo dei portatori. Sentono la vicinanza di casa. La nottata è passata in modo burrascoso. Verso le 23 vengo svegliato dal caratteristico rumore della pioggia che batte sul telo della tenda. Piove ininterrottamente e piuttosto forte fino alle 24.30. I poveri portatori che dormono all'addiaccio si inzuppano completamente.
Al mattino si alzano alle prime ore dell'alba. Le cime circostanti sono imbiancate di neve fresca caduta durante la notte. I portatori si riscaldano al fuoco e cercano di asciugare i panni inzuppati.
Si parte presto alle 7. Dobbiamo compiere circa 6 ore di strada. Il cammino di oggi ripercorre a ritroso la prima tappa dell'andata. Continui saliscendi ci obbligano a fare circa 1800 metri di dislivello. Tra pendii scoscesi, erte salite, ripide discese si arriva all'ultima vallata che si apre sul panorama della vallata di Boroghil. Una ripida discesa fino alle case del villaggio e poi il riposo nella casa di Tachi Bay.

VENERDI 27 - MARTEDI' 31 AGOSTO 2004
Giornate di sosta a Sarhad de Wakhan alloggiando presso la casa per gli ospiti di Tashi Bay. Le giornate passano tra riprese fotografiche ed interviste, in particolare modo il primo giorno. Entriamo in tutte le case più caratteristiche del paese per documentare gli usi ed i costumi delle popolazioni.
Il sabato veniamo a conoscenza dell'esistenza in paese di una specie di bagno pubblico ricavato deviando l'acqua di una sorgente termale. Finalmente riusciamo a fare un bagno caldo dopo circa un mese. Passiamo buona parte della mattinata a goderci questa inaspettata delizia. Il bagno è ricavato in una specie di fossa quadrata di circa due metri di lato dove un tubo convoglia l'acqua calda della sorgente. Attorno quattro pareti di paglia pressata ed argilla celano a sguardi indiscreti il luogo. La luce arriva da una foro ricavato nel soffitto di legno. Un acre odore di zolfo si diffonde in tutta la zona.
Per due mattine visitiamo la scuola del paese eseguendo delle riprese all'interno delle aule durante le lezioni. Gli insegnanti si dimostrano molto disponibili e ci fanno accomodare durante le lezioni.
La tanto temuta dissenteria arriva implacabile quando per il secondo giorno ci portano le porzioni della capra che avevamo acquistato. Nella notte io e Gianni abbiamo lo stomaco e l'intestino sconvolti. I segni del nostro malessere restano visibili per alcuni giorni attorno al nostro alloggio non essendoci servizi igienici in loco.
I giorni, dopo il tanto agognato riposo, passano sonnolenti nell'attesa dell'auto che dovrebbe riportarci a Faizabad. Il piccolo paese che ci ospita è adagiato nei dolci pendii sulla destra orografica del Wakan. Il fiume scompare col suo ampio greto in una immensa pietraia verso ovest. In questo punto il suo letto è molto largo. Si perde laggiù da dove arriva anche la strada che ripercorreremo al nostro ritorno.
Verso sud la valle conduce al passo Boroghil che in tre ore porta in Pakistan. Sul valico incombono le ghiacciate pareti nord del Karakorum pakistano con gli imponenti seracchi pensili. Si riesce a scorgere, disegnata sui versanti della montagna, la traccia della strada che porta verso il Boroghil.
Ad est una cima a forma conica, quasi fosse di origine vulcanica, divide due vallate. Quella di sinistra, più stretta e scoscesa, l'abbiamo percorsa per salire sul Piccolo Pamir mentre nell'altra il fiume Wakhan si e scavato il letto con il suo corso impetuoso. In questa zona esso si allarga per distendersi più placido nella vallata su cui si affaccia il paese.
A sud le ultime propaggini del Grande Pamir chiudono la vallata. Sono cime di circa 5000 metri ma prive di neve. Il forte sole estivo non permette su questi versanti meridionali depositi di neve o la formazione di ghiacciai.
Il paese dissemina le sue piccole case negli ampi pendii tra il greto del fiume ed i versanti meridionali. Le case sono sparse. Non esiste un nucleo compatto del paese. Tra di esse distese di orti coltivati a grano disegnano con i loro contorni irregolari forme geometriche a definire i limiti di proprietà.

MERCOLEDI 1 SETTEMBRE 2004
Oggi doveva arrivare il nostro autista. Avevamo concordato per il primo del mese l'appuntamento. Cerchiamo di metterci in contatto con Faizabad per avere notizie. Non riusciamo a comunicare con nessuna persona dell'AKDN. Erano stati loro a trovare all'andata l'autista che ci aveva condotto fino a Sarhad de Wakhan.
Con un telefono locale che forse risale ai tempi di Meucci facciamo dei tentativi per collegarci con Qala Panjia per avere notizie se è transitata la vettura col nostro autista. Nessuna novità confortante. Decidiamo allora di allertare Fabrizio Falcone per trovare un'alternativa. Dopo varie telefonate decidiamo in accordo con Fabrizio, di far partire un'altra vettura a Faizabad. Attraverso le sue conoscenze ci comunica che la partenza sarà immediata, nelle prime ore per pomeriggio. Lo prego inoltre di avvisare l'autista di acquistare anche dei viveri al mercato poiché abbiamo esaurito le nostre scorte. Da alcuni giorni i nostri pasti sono solo a base di pane riso e the.
In serata Fabrizio mi richiama al telefono per avvisarmi che il mezzo con i viveri è regolarmente partito e che impiegherà circa 18 ore per il viaggio. Dovrebbe arrivare domani in serata o nella mattinata di venerdì.

GIOVEDI 2 SETTEMBRE 2004
Oggi sarà una giornata di attesa: non siamo certi che arrivi l'autista con la vettura da Faizabad.
Al mattino una novità: le cime sopra di noi sono imbiancate di neve fresca caduta durante la notte. Il limite della neve si trova solamene alcune centinai di metri al di sopra del paese. Il paesaggio si presenta nel suo abito invernale.
Oggi dobbiamo solo attendere. Per ingannare la noia al mattino mi dirigo verso la scuola per fare una passeggiata. Mentre mi sto avvicinando noto una vettura appena giunta. Un tuffo al cuore: possibile che sia già arrivato il nostro mezzo? Mi dirigo di corsa verso l'autista e come prevedevo mi conferma che non sono venuti per noi. Si tratta di una vettura dell'organizzazione umanitaria Focus che sta facendo una indagine in zona. Dobbiamo purtroppo aspettare ancora.
Nel pomeriggio mi arriva al satellitare una chiamata da Qala Panjia da parte dell'autista che mi avvisa che sarà da noi in serata (verso le 19). Aspettiamo invano alla sera notizie della macchina. Più volte scrutiamo verso ovest nella vallata sperando di vedere qualche fanale di auto arrivare in lontananza. Dal telefono fisso del paese che si collega con Qala Panjia ci arriva la notizia che la macchina è ferma per un guasto meccanico. Sfortuna ancora una volta.
Anche stasera ceneremo a base del solito riso. Passiamo ancora una notte sognando pasti abbondanti e vari: il cuoco di Kabul!

VENERDI 3 SETTEMBRE 2004
Al mattino presto abbiamo, dal solito e provvidenziale telefono, la buona notizia che la macchina è partita da Qala Panjia e che sarà da noi in mattinata.
Passeggiamo per la vallata per ingannare il tempo. Andiamo a far visita a casa di uno dei portatori. Stiamo entrando nell'abitazione quando sentiamo il rumore di un motore che si avvicina a velocità sostenuta. Sembra un miraggio ma si tratta proprio di una vettura: molto probabilmente la nostra! Corro rapidamente dalla collina in cui mi trovo per incontrare la macchina. Riesco a fermarla gesticolando ed attirando l'attenzione dell'autista gridando con tutto il fiato che mi rimane. Chiedo se sono venuti per prenderci. Dopo un momento di esitazione per la difficoltà linguistica, non parlano bene l'inglese, riesco a capire che sono venuti per noi.
Con l'aiuto dei nostri portatori trasbordiamo i bagagli dalla casa dove abbiamo passato questi lunghi giorni di attesa fino al punto in cui la macchina ha dovuto fermarsi per l'impraticabilità della strada. Carichiamo rapidamente i bagagli che già avevamo preparato. Questa volta si parte davvero! Ultimi rapidi saluti e poi in macchina.
La meta di questa sera sarà Wakhan dove contiamo di arrivare verso le 17. Il nostro autista giuda rapido e veloce anche se talvolta in modo anche spericolato. Una brevissima tappa per salutare il medico inglese ed i notabili di Qala Panja. Poi via ancora veloci a superare il guado dopo il paese. Poche esitazioni ed anche se il livello dell'acqua è alto per l'ora tarda del pomeriggio, non si ferma la nostra corsa.
Dormiamo alla sera nel piccolo ricovero dell'AKDN. Utilizziamo per cena i viveri che ci erano stati portati da Faizabad. Qui non danno il vitto, solo un povero ricovero per la notte.

SABATO 4 SETTEMBRE 2004
Partiamo alle 6 del mattino. La meta è Faizabad. L'autista anche oggi corre veloce, talvolta come sempre un po' troppo. Ha fretta di arrivare. Anche noi non desideriamo altro. Ripercorriamo a ritroso la strada già fatta all'andata. Facciamo una breve sosta ad Ischascim per il rifornimento di carburante.
Nel tardo pomeriggio (verso le 17) arriviamo a Faizabad. Prendiamo alloggio presso la sede dell'associazione norvegese che ha provveduto ad inviarci l'auto.
Finalmente, dopo molti giorni, si mangia decentemente. Non più il solito riso col pane affumicato e la solita tovaglia puzzolente. Ceniamo assieme ai tecnici indiani e pakistani che lavorano per tale ente. La sede è situata vicino al comando delle truppe tedesche dell'ISAF.
Trascorriamo in questo luogo la nottata e per la prima volta dopo molto tempo riusciamo a consumare pasti regolari. Finalmente le tanto agognate patate fritte, del succulento melone, uno spezzatino squisito di carne con patate. Questa è la nostra prima cena dopo un mese di dieta Waki.

DOMENICA 5 SETTEMBRE 2004
Giornata tranquilla con visita in mattinata al centro della Croce Rossa Internazionale. Visitiamo tutti i padiglioni ed eseguo delle riprese documentando tutta l'attività svolta.
Sempre in mattinata passiamo dagli uffici della Ariana per confermare il volo del rientro. Ci comunicano che il volo non sarà effettuato come previsto il giorno 7. Non riusciamo ad avere notizie precise di quando si possa partire. Ci informano che domani partirà un volo per Kabul con la Kamair. Ci precipitiamo negli uffici della compagnia aerea per la prenotazione. Il volo infatti è confermato ma solo domani si saprà l'ora della partenza. Come previsto i biglietti in nostro possesso della Ariana non sono validi e dobbiamo acquistarne di nuovi. Speriamo che poi a Kabul ci vengano rimborsati quelli in nostro possesso.
Nel pomeriggio passiamo alcune ore al bazar di Faizabad prima di rientrare nel tardo pomeriggio al nostro alloggio per sistemare i bagagli per la partenza. Qui veniamo a conoscenza che anche un tecnico della cooperazione norvegese viaggerà con noi fino a Kabul.

LUNEDI 6 SETTEMBRE 2004
Alzata di buon'ora per andare alla compagnia e conoscere l'ora di partenza del volo: ci comunicano alle 9.00. Con la vettura messaci a disposizione della Croce Rossa andiamo direttamente all'aeroporto che si trova a circa 7 km dalla città.
Quando arriviamo non c'è ancora nessuno. Tra i pochi edifici fatiscenti si aggirano solo alcuni militari di guardia ed alcuni venditori accovacciati all'ombra dei muri sbriciolati. Appena ci vedono si affrettano ad esporre la povera mercanzia in loro possesso: qualche pacchetto di caramelle, alcuni pacchetti di sigarette e qualche confezione di biscotti piena di polvere.
L'aeroporto si anima con l'arrivo di un elicottero delle Nazioni Unite che scarica dei materiali ed alcune persone che partono velocemente con delle vetture che nel frattempo sono arrivate per riceverle. Si passa poi al grottesco controllo dei bagagli, la conta degli stessi, una tassa per il sovrappeso che regolarmente viene intascata dagli addetti.
Finalmente arriva il nostro aereo. Si scaricano velocemente i bagagli a bordo mentre scendono le persone in arrivo da Kabul. Finalmente si procede all'imbarco. I controlli sono molto approssimativi. I nostri bagagli a mano non vengono minimamente controllati.
Un vecchio aereo russo è il nostro mezzo di trasporto che in un'ora e venti minuti ci porterà fino a Kabul. All'arrivo troviamo la macchina prenotata da Fabrizio che ci porta fino all'albergo. Qui prendiamo contatto con l'Ambasciata Italiana e con l'ambasciatore che ci fissa un appuntamento per Mercoledì 8 alle ore 12.00.

MARTEDI 7 SETTEMBRE 2004
Giornata di riposo aspettando che arrivi Fabrizio e per organizzare per i prossimi giorni la nostra partenza per Bamian. Contatto Alberto Cairo per fissare un incontro sapendo che domani parte per Faizabad. Ci accordiamo per il giorno 12 settembre al suo rientro. La giornata passa sistemando le ultime cose ed oziando in albergo. E' il primo giorno di riposo completo di tutto il viaggio.

MERCOLEDI 8 SETTEMBRE 2004
Il viaggio oramai volge al termine. Abbiamo ancora alcuni giorni a disposizione e decidiamo di dedicare un po’ di tempo per un’ultima visita della città di Kabul anche perché i prossimi giorni abbiamo deciso di dedicarli ad una visita alla valle di Bamian.
In mattinata passiamo all’Ambasciata Italiana per un incontro con L’Ambasciatore Giorgi il quale ha manifestato il desiderio di incontrarci per avere un resoconto del nostro viaggio. Passiamo buona parte della mattinata presso l’Ambasciata ed in piacevole conversazione con l’Ambasciatore che si dimostra molto interessato al progetto promosso dall’Università di Venezia per un interscambio culturale tra l’Italia e le Università locali. Egli dimostra una grande conoscenza delle problematiche locali ed un particolare interesse allo sviluppo di più costruttivi rapporti tra l’Afghanistan e l’Italia. Ci racconta delle difficoltà incontrate nella riapertura della sede diplomatica in quanto l’Italia è stato il primo paese ad aprire l’Ambasciata dopo la sconfitta del regime dei Talebani. Ci comunica inoltre che il suo mandato finirà a dicembre e poi rientrerà in Italia.

GIOVEDI 9 SETTEMBRE 2004
Oggi abbiamo deciso di partire per Bamian. In mattinata non abbiamo ancora notizie precise sull’auto che dovrà condurci in questo nuovo tragitto. La ore passano tra interminabili trattative per trovare un mezzo. Le conferme seguono alle smentite. Quando sembra che tutto sia pronto e che si possa partire arriva la notizia che il mezzo non c’è oppure che non si trova un autista disponibile.
Finalmente alle 14 riusciamo a metterci in moto. Il tragitto è lungo, chi parla di 6 e chi di 8 ore di percorso. Non abbiamo trovato un fuori strada e siamo stati costretti ad optare per una Toyota Corolla. L’autista sostiene di avere già fatto il percorso e che non ci sono problemi anche se non disponiamo di un fuoristrada.
Ci dirigiamo velocemente per la strada asfaltata che con direzione nord va verso la valle del Panschir. L’unico ostacolo al nostro cammino in questo percorso sono i molti camion che rallentano la nostra marcia.
Dopo circa un’ora giriamo a sinistra per una strada che con direzione ovest si inoltra per la valle che porta a Bamian. Qui finisce il manto di asfalto e siamo costretti immediatamente a diminuire la nostra velocità. L’auto inoltre incomincia subito a dimostrare la sua inadeguatezza a percorre strade non asfaltate. Strani rumori incominciano a farsi sentire. A ciò si aggiunga la spericolatezza nella guida del nostro autista. Più volte sono costretto a richiamarlo per moderare la velocità e anche per tutelare della nostra incolumità. Ogni volta che viene ripreso l’autista rallenta temporaneamente la sua corsa per poi aumentarla gradualmente dopo pochi minuti.
Questo comportamento porta inevitabilmente al primo di una lunga serie di incidenti e danni alla macchina. All’uscita di una curva, a velocità come al solito sostenuta, non riusciamo ad evitare una serie di sassi appuntiti che coprono la strada: foratura contemporanea di due ruote! Siamo a circa 40 km da Bamian e la sera incomincia a calare sulla valle. Unica persona un motociclista che passa in quel momento e ci dice che non esistono officine in zona. Il nostro autista cambia la ruota di scorta e poi decide di continuare con una ruota forata. Come si può immaginare la parte in gomma sulla strada non asfaltata dura ben poco. Dopo alcuni minuti infatti perdiamo il pneumatico ad incominciamo a viaggiare col cerchio metallico. Il rumore all’interno dell’abitacolo è assordante e non si riesce neppure a parlare. Unico aspetto positivo in questa vicenda è che ora il nostro autista è costretto a viaggiare a velocità moderata.
Mente procediamo lentamente, sempre nuovi rumori si aggiungono a quelli oramai familiari dello sferragliare delle ruote. Arriviamo alle 11.30 alle porte di Bamian. Il paese a quell’ora è completamente deserto. Raggiungiamo l’unico albergo del paese e prediamo possesso della nostra unica camera mentre l’autista si incarica di cercare un’officina per l’indomani mattina presto che possa effettuare una riparazione veloce in quanto sarebbe nostra intenzione di andare domani ai laghi di Band e Amir.

VENERDI 10 SETTEMBRE 2004
Solo alle 10 del mattino il nostro autista rientra all’albergo dopo aver riparato le gomme ed il cerchio danneggiato dal lungo percorso compiuto la sera precedente con la gomma forata. Abbiamo una piccola discussione in quanto non sembra intenzionato a partire ed inventa strane motivazioni. Sostiene che la strada da percorrere richiede 12 ore e che quindi è tardi per incamminarsi. In realtà sappiamo che il percorso è ben più corto, 2/3 ore, e perciò insistiamo per partire. Probabilmente si è reso conto che la sua vettura non è adatta al percorso da compiere. Malgrado ciò noi non siamo disposti a rinunciare alla visita ai laghi di Band e Amir. Finalmente riusciamo a convincerlo e si parte.
Nel primo tratto la strada corre lungo la valle del fiume che bagna Bamian attraversando zone coltivate a frumento e paesi abitati da popolazioni di etnia Azarà. Le colture si sviluppano ai lati del fiume dove si adagiano i sonnolenti villaggi. I versanti delle montagne sono brulli e solcati da profonde rugosità generate dalle poche precipitazioni che caratterizzano il clima secco di questa zona.
Più procediamo più il paesaggio si fa arido e deserto. La vegetazione scompare ed i villaggi si fanno sempre meno frequenti. Sulle riarse montagne si scorgono solo solitari pastori con i loro greggi alla ricerca della poca erba. Qua e là lungo la strada si notano i resti delle recenti battaglie sostenute dai Talebani durante la loro ritirata di fronte alle truppe tagiche ed americane. Dai vecchi mezzi militari abbandonati gli abitanti locali hanno asportato quanto era possibile. Le vecchie carcasse arrugginite e ricoperte da erbacce ora servono da terreno di gioco per i bimbi locali quasi a voler esorcizzare il ricordo del recente e lungo conflitto.
Il fondo stradale della pista non è certo dei migliori e la solita guida sostenuta del nostro autista è la causa dell’ennesima foratura. Inoltre non conoscendo bene la zona ci conduce per una direzione sbagliata per circa un’ora. Fortunatamente una vettura dell’AKDN che incrociamo lungo il nostro cammino ci indica la direzione esatta. Ritorniamo sul percorso fatto per ricercare la giusta via che conduce ai laghi dove arriviamo dopo circa un’ora.
La strada che porta alla valle di Band e Amir discende ripida e accidentata fino all’imbocco della gola da cui esce il fiume emissario dei laghi. Qui si apre un paesaggio incantato. Ripidi contrafforti rocciosi ed ardite guglie delimitano la valle. Il colore ocra dei versanti, generato dai contenuti ferrosi della roccia, si fonde col verde fresco della vegetazione che cresce attorno alle cristalline acque che pigramente escono dai laghi turchesi. Uno dei posti più affascinanti dell’Afghanistan. Per una serie di fortunate coincidenze geologiche il paesaggio si è modellato con forme e colori che incantano il visitatore. Il posto è frequentato dai pochi locali che possono permettersi una gita durante la giornata di festa del venerdì. Alcune piccole barche in plastica vengono noleggiate per il divertimento dei pochi turisti che si spostano remando sulle acque dei limpidi laghetti.
Partiamo prima che i sole tramonti dietro alle montagne anche perché non è prudente viaggiare durante la notte. All’imbrunire arriviamo a Bamian.

SABATO 11 SETTEMBRE 2004
Quando le prime luci incominciano a lambire le rosse pareti della falesia di Bamian siamo già sotto ai ripidi dirupi per osservare i giochi di ombre che i raggi del sole compongono tra le grotte. Questo luogo fu in un lontano passato sede di una fiorente comunità. Le grotte erano abitate da centinaia di monaci che per secoli professarono in questi luoghi la loro fede e resero famoso e potente il regno Buddista di Bamian. Il tempo e le intemperie hanno cancellato molto di questa fiorente civiltà. Le guerre ed i conquistatori (Gengis Khan) che hanno attraversato queste zone hanno ulteriormente cancellato le tracce di questa prospera civiltà.
Quel poco che era rimasto è stato ulteriormente distrutto dalla furia iconoclasta dei Talebani durante il loro breve governo. Ora le nicchie dei Buddha , vuote dopo la distruzione delle statue, lasciano un senso di sgomento e di desolazione. Sui cumuli di detriti accatastati ai piedi della falesia lavorano alcuni membri di una missione archeologica francese per recuperare quanto possibile dalle macerie.
Ben poco rimane dell’antico splendore di questo luogo. In tempi più recenti qui risiedevano parecchie famiglie di Azara che furono cacciate dai Talebani che minarono questi luoghi. Qualcuno sta cercando di ritornare, una famiglia ha occupato alcune delle grotte e vi ha ristabilito la sua dimora. Le poche celle che ancora conservano delle tracce di affreschi sono protette da porte in legno sbarrate per difenderle dai furti e dalle distruzioni. Tra i sentieri che collegano le varie grotte ci si deve muovere con attenzione poiché in alcune zone la bonifica dalle mine non è ancora stata completata.
Verso mezzogiorno riprendiamo la via per Kabul. Riprendiamo la lunga e disagevole pista che abbiamo percorso all’andata. Impieghiamo circa 7 ore a compiere l’intero percorso. Ancora per due volte foriamo le gomme dell’auto.
Quando a sera arriviamo alla periferia di Kabul oramai è già buio. Stiamo entrando in città e veniamo fermati ad un posto di blocco dove riusciamo a passare facilmente quando veniamo identificati per occidentali. Le altre macchine sono sottoposte a severi controlli.
Alla periferia di Kabul l’autista mi fa capire che siamo completamente senza freni e l’unico modo per fermare la vettura è quello di ricorrere al freno a mano. Verso le 20 arriviamo al nostro hotel.

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