Far West on-the-road - Parte 1

Exploring the Wonders of the Wild West – Chapter 1

5 Stati, 3 grandi città e una dozzina di Parchi, 4850 km in auto: questa la sintesi dei 23 gg di viaggio
LA GENESI E LA PREPARAZIONE
Erano un pò di anni che non facevamo una vacanza on-the-road e, nonostante i disagi nel cambiare quasi ogni giorno albergo, ne sentivamo la mancanza; ....e quando dici on-the-road la prima cosa che ti viene in mente è l’America. Scelto il paese, per uno cresciuto con Tex Willer e i grandi film western, la zona è venuta in automatico: il Far West.
Più travagliato è stato arrivare all’itinerario di dettaglio a causa del vincolo delle 3 settimane di ferie. L’itinerario finale lo trovate nel seguito, i luoghi a cui abbiamo rinunciato più a malincuore sono stati:
la costa della California da San Francisco a San Diego, lo Zion N.P., Durango e il treno per Silverton, Santa Fè e Taos con i suoi villaggi pueblo; Yellowstone non l’abbiamo preso in considerazione (sarà la molla per un successivo viaggio).
Per la preparazione del viaggio abbiamo consultato le guide TCI e LP della California per San Francisco e Los Angeles; per il resto, trattandosi prevalentemente di parchi abbiamo trovato il sito ufficiale degli USA National Park: www.nps.gov/nome-parco assolutamente esaustivo in termini di informazioni. In testa a tutto ciò il forum e i Diari di Viaggio del CSS (of course). Abbiamo anche acquistato la LP “Stati Uniti Occidentali” ma ci è stata di scarsa utilità, una LP fatta così male non l’avevamo mai trovata.
Dovendo fare quasi tutti i giorni spostamenti abbastanza lunghi è importante, nella pianificazione del viaggio, la previsione dei tempi di trasferimento. Mentre in fase di piano i tempi  proposti da Google Maps sembravano ottimistici, a consuntivo devo dire che sono attendibili se non prudenti, diciamo che con quei tempi ci rientrano anche: distributore, pipì e fermate per foto; 90 km/h su quelle strade sono fattibili senza  problemi; nei parchi bisogna calcolare 35 m/h (i limiti vanno dalle 45 alle 25 m/h.
Quello che segue è l’itinerario che ne è venuto fuori.
1. Volo Milano - Monaco - San Francisco
2-3-4. San Francisco
5. San Francisco - Yosemite (Mariposa Grove) - Oakhurst
6. Oakhurst - Yosemite Valley - Tioga Pass - Mammoth Lakes
7. Mammoth Lakes - Furnace Creek (Death Valley)
8. Furnace Creek - Las Vegas
9. Las Vegas
10. Las Vegas - Bryce Canyon - Tropic
11. Tropic - Bryce Canyon - Lake Powell - Page
12. Page (Horseshoe Bend, Upper Antelope, Lower Antelope)
13. Page - Navajo Nat. Mon. - Monument Valley - Mexican Hat
14. Mexican Hat - Canyonlands - Moab
15. Moab (Arches)
16. Moab - Mesa Verde - Cortez
17. Cortez - Chinle (Canyon de Chelly)
18. Chinle - Grand Canyon Village (East South Rim)
19. Grand Canyon Vill. (West South Rim) - Barstow
20. Barstow - l.A. (Santa Monica, Hollywood)
21. L.A. (Bel Air, Malibu', Santa Monica)
22. L.A. (Venice) - in volo
23. In volo- Monaco – Milano
VOLI  e ASSICURAZIONI
Andata: Milano – San Francisco,  Ritorno: Los Angeles-Milano; entrambe le tratte con Lufthansa/Delta Air con scalo a Monaco di Bav.
Prenotati ad aprile con edreams per 1.132 € cad. incluso assicurazione bagagli e rinuncia ai voli. I vincoli erano: non piu’ di uno scalo (possibilmente subito in Europa), no levatacce (volo non prima delle 11), no arrivi nel cuore della notte.
Assicurazione sanitaria con Europe Assistance (c. 120 € per due persone incluso danni verso terzi).
AUTO
Noleggio
Noleggiata una compact (alla fine è risultata una Chevrolet Cruze 5 porte, A/C, cambio automatico) per 18 gg. (pick-up a San Francisco Downtown e -off a Los Angeles Int. Airport) con economycarrentals già provata con soddisfazione in Europa pagando 650 $ con full insurance. L’unico inconveniente con questo operatore è che al momento dell’ordine puoi solo scegliere la zona della città dove ritirare l’auto (o l’aereoporto), la compagnia di noleggio e il punto di prelievo ti vengono comunicati ad ordine fatto. Alla fine è risultata una Alamo a 10 minuti di  taxi dal mio albergo e praticamente all’ingresso della Freeway che dovevo prendere per uscire da S.F.; quindi tutto bene. Per curiosità ho verificato quanto sarebbe costata prendondola direttamente dalla Alamo: 100 $ in più + l’extra per la consegna in città diversa da quella di prelievo. Al momento del prelievo ho optato per aggiungere (90 $) l’assistenza 24x24; si riveleranno soldi buttati (v. nel proseguo del diario)
Circolazione
Ho rinunciato al navigatore (che mi sarebbe costato c. 120 $) avendo con me un iPad (solo Wi-Fi) sul quale, in albergo prima di partire (tutti gli alberghi anche i più scalcinati hanno il free wi-fi almeno nella reception) puoi preparare il percorso con Google Maps e poi con il GPS è facile stargli dietro anche in città. Ovviamente è sufficente anche un semplice smartphone (è solo meno “leggibile”).
E veniamo ai limiti di velocità perchè bisogna sfatare la leggenda  di questi americani estremamente ligi alle regole. Effettivamente si trovano molte auto che rispettano esattamente il limite; poi guardi bene e ti accorgi che sono tutte auto medio-piccole: la tipica auto a noleggio dei turisti intimoriti da cosa si legge su internet !!! Quando arrivano le auto degli americani (pick-up, SUV, ecc.) ti sorpassano, magari a velocità non eccessive come in Italia, ma certamente un buon 10-15% oltre il limite. Dove, invece, stanno molto attenti sono i limiti “bassi” (le 35 m/h dei centri abitati e dei parchi, i 15 m/h nella vicinanza delle scuole). Su strade dritte e senza traffico è effettivamente molto difficile rispettare il limite di 65 m/h, bisogna stare con gli occhi attaccati al contachilometri (pardon contamiglia), la cosa migliore è trovare uno che va a 65/70 m/h e stargli dietro.
ALBERGHI 
E’ stata la voce di costo di gran lunga più importante del viaggio per vari motivi.

  • Agosto è peak season e gli alberghi costano tutti di più (N.B. al prezzo che salta all’occhio su Internet si deve sempre aggiungere un 15% c. di tasse e ammennicoli vari)
  • Dovendo (sempre per colpa di agosto) prenotare in anticipo (quindi basandomi solo sulla rete) non mi sono fidato dei motel più economici e mi sono tenuto su uno standard leggermente superiore (per intenderci Best Western, Holiday Inn). Devo dire che le due o tre sistemazioni super economiche che ho preso in mancanza d’altro si sono rivelate assolutamente decorose e ineccepibili  quanto a pulizia per cui la prossima volta rischierò un pò di più.
  • Nonostante abbia prenotato fin da inizio marzo alcune mie “prime scelte” in termini di rapporto prezzo/qualità erano già full.
  • In Death Valley e Grand Canyon ho deciso di dormire nei lodge interni al parco (molto cari). In Death Valley lo rifarei perchè utilizzare le ultime ore del pomeriggio e le prime del mattino è saggio, nel Grand Canyon prima cercherei qualcosa di più economico a Tusayan, che è a 10-15 minuti di auto; oltretutto lo spettacolo del tramonto (a fine agosto) finisce verso le 19:30 e quindi c’è tutto il tempo per vederlo prima di rientrare in albergo.
  • Nelle grandi città (Frisco, Las Vegas, L.A.) ho privilegiato la posizione rispetto al budget.

 
IL DIARIO
Questa prima parte descrive le tappe da San Francisco a Page; per il seguito v. Far West on-the-road parte2.
1° – 4/8  MILANO – SAN FRANCISCO
Si parte da Malpensa con il volo Lufthansa Milano-Monaco di Bav.  delle 13:30 che atterra regolarmente alle 14:40. Il volo per San Francisco parte dallo stesso terminal  un’ora e mezzo dopo e quindi... tutto sotto controllo. Sotto controllo... una mazza ! Sono i giorni in cui Al Qaeda annunciava attentati verso il turismo USA e le procedure di sicurezza sui voli USA (oltretutto siamo in Germania) sono rafforzate risultato: coda estenuante. Per non lasciare metà passeggeri a piedi, tutti i voli per gli USA vengono ritardati e così anzichè alle 16 partiamo poco prima delle 18.
E anzichè alle 19 (ora locale) arriviamo a San Francisco dopo le 20:30. Ritiro bagagli, Immigration check e, a questo punto, stanchi e con il buio fitto non abbiamo voglia di andare incontro ad un paio di mezzi  pubblici più tratto a piedi fino all’hotel e prendiamo un taxi: 50 $ più 10 di mancia. Sull’aereo abbiamo smangiucchiato a più riprese e, quindi, rinunciamo a cenare e ...tutti a nanna.
Abbiamo alloggiato al Galleria Park, un boutique hotel ben posizionato tra Union Square e il Financial District, arredato con cura e con personale molto gentile; come rapporto P/Q, però, potevo trovare di meglio.  Non serve la colazione ma c’è un bar “tipo Starbuck” proprio accanto.
Smarchiamo subito il discorso mance: USA = “mancia continua” (oltre che “tip” viene chiamata anche “gratuity”). E’ una cosa noiosissima (almeno per me) ma, a parte il fatto che tutti se le aspettano, è giusto darle. Camerieri , tassisti, addetti ai Valet Service, ecc. hanno un fisso da miseria e le mance sono un elemento significativo dei loro introiti. Olltretutto nei ristoranti, se non dai la mancia, penalizzi il personale due volte perchè il manager pensa che non sei rimasto soddisfatto del servizio. Mentre al  bar o al ragazzo del valet service lasciavamo 1 o 2 dollari, a ristorante e per i taxi calcolavo il 15% e poi arrotondavo per eccesso. In alcuni ristoranti la mancia viene “proposta” (al momento del pagamento puoi variarla o cancellarla) come 18% del conto. Dopo poco tempo si riesce facilmente a tararsi perchè se dai una mancia giusta ti ringraziano magari aggiungendo un “appreciate”, in caso contrario ti inceneriscono con lo sguardo.
2° – 5/8  SAN FRANCISCO
Ci svegliamo molto presto e andiamo alla finestra per capire un pò come vestirci. Passa di tutto: persone in t-shirt, altre con la giacca sbottonata , altre con il giubbotto tirato su ... fino al cappottino di lana. L’unica cosa certa è che il cielo è coperto. Non rimane che affidarsi a Internet: temperatura corrente 15 °C, max prevista 18°C. Tiriamo fuori dalla valigia le cose più pesanti che abbiamo, alcune ce le mettiamo addosso, le altre le mettiamo nello zaino. Finalmente inizia la vacanza.
Iniziamo con i due simboli di San Francisco: i cable-car e il Golden Gate Bridge. Breve passeggiata fino a Union Square, che mi dice pochino esattamente come la prima volta che la vidi (io a S.F. c’ero già stato, mia moglie no), poi acquistiamo in un Wallgreens (catena di store e farmacia molto diffusa in tutti gli USA) il MUNI pass valido 3 giorni per 22$: vale su bus e metro (non sulla ferrovia BART). Le corse singole costano 2$ su metro e bus, 6$ su cable-car. Prendiamo la linea Powell-Mason e raggiungiamo Fisherman Wharf. Situata sulla baia, con le sue viste su Alcatraz e il Ponte  con i suoi moli (Pier) da cui partono i tour in barca, è una delle zone più turistiche (e più chiassose) di San Francisco. Facciamo una passeggiata sul lungo-baia con deviazioni al Pier 39 vicino al quale staziona permanentemente una colonia di leoni marini, al Pier 41 con la sua isoletta galleggiante e, infine, al Pier 45 dove sono ormeggiate e visitabili (noi vi abbiamo rinunciato) due imbarcazioni della 2° Guerra Mondiale: la nave da trasporto Jeremiah O’Brien e il sottomarino Pampanito.
Sulla baia fa ancora più freddo che in Downtown ma ci facciamo coraggio, indossiamo anche tutto quanto avevamo messo nello zainetto, e acquistiamo i ticket per la crociera sulla baia delle 10:00 con la compagnia Red&White(è la prima che parte).  L’altra compagnia è la Blue and Gold. Partita la mini crociera rimpiango di non essermi messo le calze lunghe e mi manca tanto una papalina per cui stiamo volentieri al coperto e salgo sul ponte solo per poche foto (anche perché non è cielo da foto). La crociera arriva fin sotto al Golden Gate Bridge e poi torna indietro costeggiando l’isola di Alcatraz (alcuni tour attraccano e visitano l’isola e le vecchie prigioni). Nel costo del biglietto (28$ cad.) è inclusa una audio-guida (c’è anche in italiano) ben fatta ed interessante.
Tornati sulla terra ferma, siamo entrambi d'accordo che non è la giornata giusta per spingerci fino sul ponte; continuiamo a camminare lungo la baia fino a The Cannery, buon esempio di riconversione di una vecchia fabbrica di conservati (da cui il nome) della potente Del Monte e da qui giriamo verso l’interno  in direzione di Russian Hill con sosta d'obbligo in Lombard Street. La serpentina di Lombard Street piena di ortensie è unica e chi la vede per la prima volta non può che rimanere stupito e il fatto che sia aperta al traffico la rende ancor più singolare.
Risaliamo la Lombard, affrontiamo le erte veramente ripide di Russian Hill ricompensati dalle viste sulla baia ed arriviamo al parco Ina Coolbrith (proprio al top); ne valeva la pena perchè offre splendide viste oltre che sulla baia anche sul Financial District con il suo grattacielo più significativo: la Transamerica Pyramid.
Da Russian Hill scendiamo giù fino ad incontrare la Broadway che in questo tratto è ormai stata completamente inglobata in Chinatown con il risultato che anziché essere la via dei teatri e dei locali notturni e diventata un gran bazar.
All'incrocio con la Columbus Av. dove inizia North Beach (il quartiere italiano) troviamo i locali storici frequentati dalla Beat Generation quando Ginsberg si trasferì dal Greenwich Village di NY a S. Francisco: Caffè Vesuvio e City Light Bookstore con un'ampio assortimento di opere di quel periodo.
Per la Columbus arriviamo tra i grattacieli del Financial District e passeggiamo per l'Embarcadero Center: negozi e ristoranti che occupano tre blocks con, al primo piano, passerelle che uniscono i vari building senza attraversamento di strade; veramente piacevole.
In tal modo arriviamo al The Embarcadero dove partono ancora ferries per Sausalito, Oakland ed altre località della baia; sulla piazza antistante una torre che si ispira alla Giralda.
Dopo un meritato riposo in albergo, uscita serale in Chinatown che a mio parere è molto più vera e originale di quella di NY e che vale senz'altro la pena di vedere.
Già che eravamo lì, cena al ristorante cinese: R&G Lounge. Le premesse erano buone perché era frequentato prevalentemente da cinesi, invece, purtroppo, abbiamo mangiato male e, soprattutto, si è rivelato un "mangificio"; l'unico obiettivo dei camerieri era farti cenare nel più breve tempo possibile per liberare il tavolo.
Lo segnalo perché ha una buona reputazione su TA e, quindi, qualcuno dei ciessini potrebbe rischiare di finirci.
3° – 6/8  SAN FRANCISCO
Stanotte si è dormito un pò di più ma, comunque, alle 8 abbiamo già fatto colazione.  Si inizia anche questa nuova giornata con un cable car, stavolta linea California che, a differenza delle altre due, corre in direzione E-O ed è quella con più saliscendi e, nella prima parte del percorso, attraversa quartieri molto belli.
Anche oggi è freschino ma il cielo promette sole (e manterrà la promessa)
Arrivati al capolinea proseguiamo a piedi in Pacific Heights, zona lussuosa dove si trovano belle case vittoriane fino ad arrivare, al culmine della collina, al Parco Lafayette tenuto “come il salotto di casa”.
Tutto bello: i bambini al parco giochi, le signore a passeggio, i cani al guinzaglio, perfino i girelli per annaffiare il prato sono bellissimi ; qualcosa però non mi torna: le signore accompagnano i cani e i bambini sono accompagnati dalle baby-sitter.
Di alcune delle ville vittoriane di maggior pregio, come la Haas-Lillenthal e la Octagon, si possono anche visitare gli interni; poichè la visita è consentita solo in determinate ore di alcuni giorni della settimana occorre uno scheduling del programma di visita della città più accurato di quello che noi siamo disposti a fare.
Scendiamo per Laguna St. fino ad arrivare in Japantown; niente di che e, quindi, passiamo velocemente alla vicina St. Mary’s Cathedral, la modernissima cattedrale cattolica che risale ai primi anni ’70 che vale senz’altro la visita per le sue forme architettoniche interne.
Da qui prendiamo un taxi per raggiungere il Golden Gate Park avendo come meta principale l’Academy of Science che, completamente ricostruita, è stata inaugurata a fine 2008.
E’ un’opera di Renzo Piano dalle forme minimaliste; tutta la progettazione si è concentrata nel farne un esempio di design-ecosostenibile, energeticamente autosufficiente.
Il roof è costituito da un giardino pensile che assicura l’isolamento termico e sul quale sono installati pannelli solari che provvedono a tutta l’energia necessaria.
All’interno le sezioni più interessanti sono: l’acquario, il planetarium, e la ricostruzione di una foresta pluviale. Usciamo che è ora di pranzo e ci dirigiamo verso il vicino Japanese Tea Garden, ambiente idilliaco di grande relax dove nel punto-ristoro servono, ovviamente, piatti della cucina giapponese: ci teniamo leggeri con zuppa di miso e sushi.
A piedi guadagniamo l’uscita del parco dove prendiamo il bus per il quartiere di Haight-Ashbury che negli anni sessanta fu il centro del movimento hippie. Rimane una zona certamente folkloristica con una passerella di “scoppiati” che tanti tutti assieme non li avevo mai visti. Quando mi si è avvicinato un tizio che, vedendomi armeggiare al portafoglio, mi ha detto che in quella zona è meglio se il wallet non lo si tiene in vista ho fermato il primo taxi che passava e ce ne siamo andati.
Ultima sosta della giornata ad Alamo Square, bel parco circondato da case vittoriane tra cui, su un lato, le famose e fotografatissime “seven sisters” (dette anche “painted ladies”). Con il bus n° 5 rientriamo in downtown e finiamo la giornata in Union Square e dintorni
Dopo la cena di ieri sera non potevamo mangiar male anche stasera e, quindi, incrociando Zagat, TA (che mi convince sempre meno anche per gli alberghi) e OpenTable abbiamo prenotato da Georges in downtown. Proprietario stravagante, pochi tavoli e menu essenziale ma servizio e piatti molto curati, preparati in tempo reale nella cucina a vista. Il conto: siamo voluti andare sul sicuro e ...la sicurezza si paga !
Per chi non lo conosce, OpenTable è un portale Internet a cui aderiscono moltissimi ristoranti soprattutto delle grandi città USA; si può interrogare per zona, tipo di cucina, fascia di prezzo, ecc. e mostra le disponibilità a intervalli di mezz'ora. Io l'avevo già usato con soddisfazione a New York: evita di telefonare e la prenotazione è certa.
 
4° – 7/8  SAN FRANCISCO
Nella mia precedente visita di San Francisco non avevo visitato i quartieri meridionali di Mission e Castro e, quindi, stavolta erano una tappa obbligata.
Prima indugiamo in South of Market con il S.F. Moma (chiuso per ristrutturazione) dalla inconfondibile facciata e gli Yerba Buena Gardens, quindi  prendiamo il bus per la Mission Dolores. Il quartiere di Mission è abbastanza trasandato le guide dicono che sia bene evitarlo nottetempo; sarà vero, al mattino, però, non avvertiamo alcun senso di disagio e tantomeno di pericolo. Dal punto di vista turistico non offre granchè ma è interessante vedere uno spaccato di S.F. diverso da quelli che abbiamo visto sinora; è una zona laboriosa, piena di piccole aziende: officine, tipografie, servizi di logistica. Camminando una buona mezz’ora arriviamo alla celebre Mission Dolores che certamente non colpisce l’occhio ma per vari motivi è un must. E’ la costruzione più antica di San Francisco ed è stato il primo nucleo abitato intorno al quale è poi nata la città a cui ha dato il nome (la missione era infatti una delle missioni del Camino Real dedicato a S. Francesco d’Assisi). Costruita in adobe con soffitti lignei decorati, e’ sopravvissuta intatta a ben 4 terremoti. Ad inizio del secolo scorso, accanto alla vecchia chiesa è stata costruita la Mission Dolores Basilica: grande, grossa e ....
Da qui altra camminata verso Castro, il quartiere gay che prende il nome dal vecchio teatro Castro con la sua bella facciata liberty. Le strade sono  ornate con bandiere arcobaleno ( simbolo della comunità gay)anche se, ultimamente, sta diventando sempre più etero perchè è veramente un signor quartiere residenziale con case molto belle.
E’ l’una e abbiamo visto tutto ciò che ci eravamo ripromessi di vedere, come utilizzare l’ultima mezza giornata ? C’è un bel sole e allora bisogna colmare la lacuna del primo giorno: la passeggiata sul Golden Gate Bridge. Cambiando due bus attraversiamo tutto San Francisco da sud a nord e arriviamo velocemente alla Marina dove scopriamo che è in corso l’America’s Cup (in questa fase Louis Vitton Cup, per la precisione); non solo proprio in quel momento sta regatando Luna Rossa (che vincerà facile contro gli svedesi, ...le scoppole arriveranno dopo).
Ma non ci facciamo distogliere più di tanto dalla regata (giusto il tempo di hot dog e birra)  e con il bus n° 28 arriviamo esattamente al view point da dove inizia il ponte. Se il ponte è un miracolo d’ingegneria, la baia illuminata dal sole e punteggiata dal bianco delle vele ne è la degna cornice.
Con il 28 torniamo indietro fino a  Fort Mason e con un’ultima camminata arriviamo al cable-car che ci porterà ad Union Square. Un pò di negozi, qualche regalino e finisce qui la nostra S. Francisco.
A cena: Tadich Grill, un locale che consiglio di provare non tanto per la cucina (che è comunque su buoni standard) ma per l’atmosfera old America: un bancone ovale che occupa tutto il salone dove si può cenare appollaiati sugli sgabelli oppure ci si siede per l’aperitivo nel mentre si aspetta che si liberi il tavolo: non accettano prenotazioni.
5° – 8/8  SAN FRANCISCO  - YOSEMITE (Mariposa Grove) - OAKHURST  365 km
(315 da San Francisco a Oakhurst e 50 A/R al Mariposa Grove)
E’ il giorno della partenza.  San Francisco è sempre bella ed accogliente ma non vedo l’ora di iniziare la parte “on the road” del viaggio.
Ritiriamo l’auto (tutti i dettagli sono all’inizio del diario) e via sul Bay Bridge per uscire da Frisco in direzione Oakland. Paesaggio brullo, insignificante (tendente al desolante), non si vede una casa e quando la si vede (Manteca, Modesto, Merced) sono tutte uguali da sembrare città fatte con il Lego. A Merced si devia per lo Yosemite superando Mariposa ; si prende quota e il paesaggio cambia decisamente: si  inizia a vedere un pò di verde e avvicinandoci a Mariposa inizia il bosco.
Oakhurst è un paese di transito per lo Yosemite Park: uno stradone con ai lati distributori, store, ristoranti e alberghi ma quantomeno pulito e ordinato. Giusto il tempo per scaricare i bagagli al nostro albergo (un Best Western) e mangiare qualcosa da Denny’s (un simil Mc Donalds che si sta diffondendo molto, almeno negli Stati che abbiamo toccato) e partiamo per l’entrata Sud dello Yosemite che dista c. 25 km. Il bosco di conifere è bellissimo e se ne è completamente avvolti.
Fare il pass annuale per tutti i National Park è questione di 5 minuti: costa 80 $ ed è valido per 2 persone sulla stessa auto. Poichè il ticket singolo costa 10 $ a persona, se si fanno più di 4 parchi il pass è super conveniente.
Il parcheggio al Mariposa Grove (dov’è il bosco di sequoie giganti) è full e quindi non ci sono alternative: occorre lasciare l’auto  all’ingresso del Parco e prendere il frequente shuttle. Arrivati al bosco di sequoie giganti prendiamo l’unico sentiero disponibile  e camminiamo piacevolmente ma senza grosse emozioni per poco più di 1 km fino al Tunnel Tree, insomma questa "attrazione" non ci entusiasma; se, come noi, si entra da sud tanto vale fare una sosta,ma, altrimenti, una deviazione per arrivare fin qua la eviterei.
Per la cena non c’è molto da scegliere e, per pigrizia, andiamo al ristorante del BW;  a volte si indovina bene anche senza “studiare” troppo: una New York Steak buonissima. Ormai ci siamo tarati all’abbondanza delle porzioni USA; la cena standard è fatta di: un antipasto a testa, un piatto principale e un dessert entrambi “shared” (come dicono da queste parti), sparkling water , birra o bottiglia di vino (quando il menu lo ...merita).
 
6° – 9/8  OAKHURST – YOSEMITE VALLEY – TIOGA PASS – MAMMOTH LAKES  245 km
I chilometri odierni non sono molti ma bisogna considerare che la maggior parte del percorso è all’interno dello Yosemite N.P. dove il limite di velocità varia tra le 35 e le 45 m/h. Rifacciamo la strada di ieri fino all’ingresso all’ingresso sud dello Yosemite e, quindi, ci addentriamo nel parco superando Wawona e dirigendoci verso la Yosemite Valley. Il bosco è ancora molto bello ma, dopo qualche altra decina di km di bosco fitto che non lascia nemmeno intravedere un pò di panorama, incomincia a diventare monotono. Superato il tunnel, prima fermata al Tunnel View con vista sulla Yosemite Valley in cui troneggia El Captain. Sosta successiva con piccola passeggiata alla Bridalveil Fall: bel salto ma, in agosto, di acqua ce n’è ormai poca. Poi ci si addentra nella valle con soste alle graziose spiagge formatesi al bordo del Merced River, con El Capitan sempre incombente. La sabbia è chiara e fine come non avrei mai immaginato e un pò di persone in costume prendono il sole, un paio di temerari fanno addirittura il bagno nel fiume. Alle spalle delle spiagge, sotto alberi maestosi ci sono aree pic-nic ben tenute; per chi campeggia nella valle è certamente un modo piacevole di passare una giornata. Arrivati in zona Yosemite Village è il Half Dome a dominare il paesaggio. Si inizia a percorrere la valle in senso inverso e si affronta il facile Lower Yosemite Fall Trail ma ad agosto la cascata .....non c’è (completamente secca). Ultimo sguardo a El Captain dall’omonimo bridge e poi si esce dalla valle per prendere la strada verso Tioga Pass e l’uscita est. Da questo lato il bosco è più rado e si hanno belle viste panoramiche: bella e selvaggia, salendo al Tioga Pass, la zona di Olmsted Point e del vicino Tenaya Lake. Arrivati all’uscita qualche riflessione sul Parco: so che troverò molti forumisti di parere contrario, ma ha lasciato abbastanza tiepidi sia me che mia moglie. Bello, tenuto alla perfezione, organizzatissimo, ma, imho, non è un parco da vedere attraversandolo in un giorno; è bello per fare una settimana di montagna, magari in campeggio, ma ....se voglio andare in montagna, non vengo fin qua. Per definirlo in due parole, mi viene in mente quello che dalle mie parti si dice di una bella ragazza senza sex appeal: “è bella ma non frizza”.  La discesa dal Tioga Pass verso est propone uno scenario completamente diverso: aspro, selvaggio, roccioso e, verso la fine, offre belle viste sul Mono Lake. Arriviamo verso sera a Mammoth Lakes e troviamo la solita cittadina senz’anima; si vede, però, che è un centro di villeggiatura (in estate per i laghi e i percorsi in mountain bike, in inverno stazione sciistica): graziosa, ordinata, piacevole stazione di tappa. Molto buona la cena al The Mogul: consigliato.
7° – 10/8   MAMMOTH LAKES – FURNACE CREEK (Death Valley)   450 km  
In una larga valle con catene di montagne da entrambi i lati in leggera ma continua discesa arriviamo a Bishop e proseguamo raggiungendo Lone Pine: il cartello all’ingresso riporta “little town, lot of charm”, ma noi di charm proprio non ne vediamo traccia. Qui si prende la deviazione per la Death Valley costeggiando il Owens Lake e subito dopo, ancora lontani dai confini del parco, è già deserto, ma proprio deserto, deserto; unico segno di vita Keeler, un paese fatto di trasandate case prefabbricate e fatiscenti roulotte. E’ incredibile che qualcuno ci viva! Comincio, però, a capire come mai ogni tanto succeda che un ragazzo entri in classe ed inizi a sparare facendo una strage.
Il parco vero e proprio inizia nei pressi del Father Crowley Vista Point con bella vista sul Rainbow Canyon; da qui la strada inizia a scendere (perchè qua siamo ancora sui 2000 m. slm) fino a Panamint Springs con curve e tornanti per poi scendere ancora fino al livello del mare con lunghissimi rettifili in discesa su cui si va a 80-90 km/h con gli orecchi che si chiudono come quando si atterra con l’aereo.
Si arriva così a Stovepipe Wells Village (dove Village è una parola grossa considerando che si tratta di: store, bar, ristorante, albergo e distributore. Quando scendiamo per sgranchirci le gambe e mangiare qualcosa abbiamo la sensazione di esserci  calati in qualcosa di irreale: dalla A/C dell’auto a 45 °C, c’è vento ma è come avere un phon puntato sul viso, una luce abbacinate, questo piazzalone praticamente deserto con quattro-edifici -quattro e il niente intorno. Ci rifugiamo nel Saloon, tutto in legno, molto caratteristico anche se molto “volutamente” caratteristico. Ristoratici e fatta un pò di abitudine non solo al caldo ma anche al paesaggio (è anch’esso stordente), ripartiamo sostando alla Sands Dune e alla Harmony Borax Work (vecchia miniera di borace);  soste brevi perchè sono le 2 del pomeriggio e fuori si fa veramente fatica a starci ...figuriamoci a camminare.
Ancora una sosta al Visitor Center (più per trovare nuovo refrigerio che per necessità)  e da qui direttamente al Lodge dove, per fortuna, la camera è subito disponibile. Aria condizionata “a palla” e ventilatore a pale al soffitto;  accendiamo anche quello e ce ne stiamo un paio di ore al fresco a recuperare.
Verso le 17 si riparte, con la temperatura che è ancora quella di quando siamo arrivati (114 °F, c. 45 °C), andando  direttamente al punto più lontano da visitare: Badwater a c. 25 km nei quali ogni minuto hai voglia di fermarti a scattare foto. Badwater èil punto più basso della valle: 86 m. sotto il livello del mare. Paesaggio lunare che affascina, specialmente la bianchissima lingua di sale che sembra un’autostrada nel nulla. Insomma siamo solo all’inzio ma questo sì che è un Parco indimenticabile !!!
Iniziamo il ritorno fermandoci ai vari punti di maggiore interesse. Natural Bridge lo saltiamo perchè dopo 2,5 km di sterrata c’è da fare 1 km a piedi e con questo caldo non ne abbiamo la minima voglia. Devil’s Golf Course: ci si arriva con breve deviazione su sterrata, interessante per la conformazione del  terreno e i cristalli di sale in evidenza ma non imperdibile. Artists Drive: si prende una stretta strada a senso unico che forma un loop con la strada principale e, tutta curve e passaggi in piccoli canyon, offre una guida divertente.. Questa deviazione è un must (e non solo per l’Artists Palette).  Concludiamo la visita con una sosta all’imboccatura del Golden Canyon (che a quest’ora è golden che più golden non si può) prima di ritornare al Lodge.
La sera alle 9 quando usciamo per cena: sensazione tremenda. E’ caldo esattamente come nel pomeriggio e... il phon è sempre acceso ! Anzichè andare a mangiare verrebbe voglia di tuffarsi in piscina. Ceniamo al self-service dove decorosamente ci “togliamo la fame” (cenare sarebbe un’iperbole).
8° – 11/8              FURNACE CREEK (Death Valley)  - LAS VEGAS   240 km  (inclusa la deviazione al  Dante’s View c. 40 km)
Alle 7:30 siamo già sul piede di partenza, la temperatura è già “da ore 13” in un posto normale ma l’aria è quella del mattino. In 5 km siamo a Zabriskie Point, con le sue rocce color pastello, che è veramente una delizia. Il luogo non può che richiamare alla mente le scene dell’omonimo film di Michelangelo Antonioni e la relatà certamente non delude.                                                                          Proseguendo, dopo poco troviamo la deviazione su sterrato del Twenty Mule Team Canyon e facciamo anche quella, divertente ma se ne può fare tranquillamente a meno, mentre imperdibile, anche se comporta una deviazione di c. 40 km A/R , è Dante’s View con la sua grandiosa vista sulla vallata.        E’ il momento di lasciarsi alla spalle l’affascinante  Death Valley e di “puntare” su Las Vegas: poco meno di 200 km di deserto e una unica possibilità di fare benzina a Pahrump (circa a metà strada). Usciti dalla Highway 15 per raggiungere lo Strip, dopo 1300 km da quando siamo partiti da S.F., ci ricordiamo di cosa significhi essere in coda, e che coda: mezz’ora per fare 1 km.                                  Las Vegas è un mondo a sè che suscita sentimenti contrastanti: campione del kitsch e del superfluo, luogo di “perdizione”. Poi, però, scopri che ha il più alto trend di incremento demografico tra tutte le città USA e allora proprio inutile non è se dà lavoro a tantissime persone e, comunque, anche il lusso e la fantasmagoria di luci hanno il loro fascino.                                                                                         Poichè il business deriva sopratutto dal gioco, gli alberghi sono relativamente economici e, quindi, ci concediamo un bell’albergo a prezzi non esagerati: l’Arìa. Modernissimo (è stato inaugurato nel 2009 insieme ad altri 5 building circostanti) e, quindi, molto funzionale, sullo Strip ma leggermente defilato, 2 piscine, casino interno, vasta scelta (sia in termini di prezzo che di tipologia di cucina) di ristoranti, negozi di abbigliamento griffato, insomma bello e consigliato.                                                            Anche a Las Vegas il caldo non scherza, siamo sui 35 °C per cui nelle ore calde rimaniamo in albergo; d’altra parte sono alberghi dalle dimensioni smisurate e, quindi, il tempo passa velocemente. Ci colpisce (e ci fa un pò di tristezza) il fatto che alle slot machine ci siano sopratutto donne sole con il loro bicchierone di coca-cola pieno di ghiaccio.                                                                                               Lo strip è animatissimo con gente di tutti i tipi e di tutte le classe sociali: non hai ancora finito di meravigliarti della ricostruzione dell’ambiente lacustre del Bellagio che ti appare il Caesar Palace con le sue colonne neo-classiche e la Fontana di Trevi. Dall’altra pate della strada troneggia la Torre Eiffel del Paris ma la cosa più stupefacente è il Venetian Palace con il ponte di Rialto, il campanile di S.Marco e lo specchio d’acqua con gondole e gondolieri che sembrano appena arrivati da Venezia.                     Ceniamo in uno dei ristoranti all’interno dell’albergo e poi di nuovo in giro per vedere lo Strip by night: una Times Square diluita su uno spazio maggiore.
9° – 12/8              LAS VEGAS        
Il programma originale prevedeva per stamane il tour in elicottero sul Grand Canyon con partenza da Las Vegas ma non c’è stato verso di convincere mia moglie a salirci (d’altra parte soffre un pò di vertigini e non me la sono sentita di insistere); abbiamo così sostituito la visita del Grand Canyon con quella ...dei  Premium Outlet (quasi la stessa cosa !!!). Decantati da molti come un paradiso dello shopping non mi sono sembrati questo granchè,certamente non per quanto riguarda l’aspetto qualitativo.                                                                                                                                         Pomeriggio di relax tra la piscina e il tavolo da gioco: solo roulette perchè è sopratutto quella pallina saltellante ad attrarmi. Cena al ristorante spagnolo di Julien Serrano dove, sebbene fossimo negli USA, non abbiamo potuto non assaggiare la paella: buona.                                                                            Mie conclusioni: Las Vegas il primo giorno attrae, il secondo già stanca; ma almeno una notte vale la pena di starci.
10° – 13/8           LAS VEGAS – BRYCE CANYON – TROPIC  km 473
(410 LV-Tropic – 63 all’interno del Bryce e ritorno a Tropic)
Partenza alla nostra solita ora: 8:30 – 8:45: prendiamo la I15 in direzione Salt Lake City per poi deviare verso Lo Zion N.P. poco dopo Washington (UT).                                                                            Usciamo da Las Vegas in una direzione diversa da quella da cui siamo entrati ma la musica non cambia: deserto, deserto, deserto. Dopo un breve sconfinamento in Arizona arriviamo in Utah con fuso orario diverso da California e Nevada per cui bisogna mettere l’orologio un’ora avanti.  In realtà anche l’Arizona ha lo stesso fuso dell’Utah ma non ha l’ora legale per cui l’ora è la stessa del Nevada.
Dopo più di 200 km di I15 (dove c’è un limite di 75 m/k per cui si va spediti) si trova il bivio per lo Zion. Lo Zion non è in programma (non si può veder tutto !) e con grande forza di volontà non ci facciamo tentare nonostante il paesaggio molto bello inviti alla sosta. A Mount Carmel c’è il bivio: a destra Kanab (abbiamo fatto la richiesta per vedere The Wave ma ..nisba) e Page, a sinistra il Bryce.
Prima delle 15 siamo a Bryce Canyon Village (da Las Vegas 400 km) ma decidiamo di proseguire per Tropic dove abbiamo l’albergo, sono solo 10 km e così ci leviamo il pensiero. Scaricati i bagagli al Bryce Canyon Inn (sistemazione in cabins, casette di legno carine e pulite) ci possiamo dedicare anima e corpo al Bryce, parco sul quale nutriamo grosse aspettative.
Tiriamo dritti fino al View Point più lontano, il Rainbow Point e iniziamo la visita tornando indietro e fermandoci a tutti i vari view point. Dopo averne fatti 3 o 4, iniziamo a guardarci un pò delusi: ci aspettavamo di più. In realtà la parte più bella del parco aveva ancora da venire.                                Con il Paria Point le cose migliorano decisamente, il Bryce Point, infine, è uno spettacolo.                Entusiasmati da ciò che vediamo decidiamo che è l’ora di farci una passeggiata di una mezz’ora lungo il rim dall’Inspiration al Sunset Point. E’ così piacevole camminare con la vista del mare di pinnacoli che ci sta sotto che, nonostante uno shuttle colleghi  in continuazione i vari view point, preferiamo farci a piedi anche il ritorno.
Cena al ristorante davanti alla nostra cabina: The Pizza World dice l’insegna a caratteri cubitali; così scopriamo la formula USA per la pizza: una base sulla quale puoi mettere 3 o 4 ingredienti da scegliere tra la dozzina che vengono proposti (una “capricciosa” fai da te); o avevamo fame o non era male.
11° – 14/8           TROPIC - BRYCE CANYON – PAGE  km 290
(30 all’interno del Bryce, 250 da Tropic a Page, 10 deviazione al Lake Powell
Ieri pomeriggio abbiamo visto il Bryce Canyon stando sul rim, stamane è il momento di scendervi dentro. Facciamo il trekking più popolare del parco: partenza dal Sunrise Point, discesa per il Victoria Garden trial, sentierino di collegamento sul fondovalle, risalita per uno dei due tratti del Navajo trial (noi abbiamo preso quello di sinistra) che riporta sul rim all’altezza del Sunset Point e, infine, ritorno lungo il rim al punto di partenza: totale 4,5 km. I depliant danno tempi di percorrenza di 2-3 ore ma sono estremamente cautelativi: noi, due “vecchietti” nemmeno al massimo della forma, l’abbiamo fatto in un’ora e mezzo con soste per una valanga di foto (abbiamo visto ragazzi che lo facevano con le infradito ma, se non si vuole rischiare di compromettere una vacanza, le scarpe da trekking sono vivamente consigliate).                                                                                                                                 Se alla fine della giornata di ieri il Bryce era un bel parco, dopo questa camminata è bellissimo; un conto è vedere i pinnacoli dall’alto e in lontananza, un altro è esserci dentro e vederli di sotto in su in tutta la loro grandezza. Prima di partire per Page non resistiamo alla tentazione di tornare un’ultima volta al Bryce Point, per noi il view point più bello.                                                                                Lasciamo il Bryce facendo a ritroso la strada di ieri fino a Mount Carmel (bv. per lo Zion), poi proseguendo per Kanab (paesaggio molto bello) e, infine, per Page; si è tornati in Arizona e bisogna mettere indietro di un’ora l’orologio (stesso fuso ma no ora legale).                                                        Prima di arrivare in città prendiamo la deviazione per Lake Powell fino alla Wahweap Marina, un porto turistico attrezzatissimo con barche di tutti i tipi, inclusi megayacht, ormeggiate.  Fa un caldo bestia (41 °C) e, quindi, ci limitiamo a chiedere informazioni sulle crociere sul lago avendo la conferma che quella delle 13 per il Rainbow Bridge quest’anno non viene fatta per carenza di acqua; rimane solo quella delle 7:30 ma di svegliarci alle 6 non ne abbiamo nessuna intenzione, anche perchè, come prima impressione, non è che il lago ci abbia entusiasmato.                                                                          Sulla strada per Page sostiamo  alla mastodontica diga sul Colorado  e poi in albergo a Page, un Holiday Inn esageratamente caro per il posto in cui si trova; Page è una cittadina senza nessun appeal e per di più anche trasandata, caratteristica comune (come constateremo in seguito) alle cittadine della Navajo Nation. Nel pomeriggio facciamo una puntata al Horseshoe Bend N.P., così chiamato perchè il Colorado forma un'ansa a ferro di cavallo. Il sito si trova a pochi chilometri (5 c.) da Page, lasciata l'auto al parcheggio si supera una collinetta e si scenda al fiume (A/R 40 min. di cammino). C'è da vedere solo quello ma, solo per quello, vale la pena di andarci.                                                                              Ceniamo da Bonkers, consigliatissimo: il miglior filetto mai mangiato (non in questo tour, in assoluto !!!)
Il viaggio prosegue (coming soon) nel Diario "Far West on-the-road - Parte 2".
 
 
 
 
 
 
 
 

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