Scritto da Flora Chiaf
Non è facile esprimere in poche righe quello che ho visto, sentito e vissuto in questa esperienza.
Si rischia di banalizzare ogni cosa.
E' nata quasi per caso, una proposta come un'altra lanciatami da un'amica.
Non che avessi innata la vocazione del missionario!!!
Ho accettato (quasi a scatola chiusa, direi) e nel giro di poco mi sono trovata immersa in un mondo tutto particolare che non ha niente, ma proprio niente a che vedere col nostro.
Sono stata in Etiopia (precisamente a Zway, a circa 200 Km a sud di Addis Abeba) solo tre settimane, sicuramente troppo poche per poterle inquadrare come una vera e propria esperienza, ma sufficienti per non essere più dimenticate.
Proprio perché il tempo era scarso, però, ho cercato di vivere ogni attimo il più intensamente possibile.
Ho condiviso queste giornate con un gruppo di giovani che operano a sostegno dei Salesiani che gestiscono quella ed altre missioni etiopi.
Questi ultimi hanno fatto in modo di farci vivere il più possibile a contatto con l'Africa, con quella gente.
Non come semplici spettatori, ma protagonisti.
E così ci siamo ritrovati a svolgere diversi lavori strani (armati di fango misto a paglia andavamo a tappare le fessure presenti tra le frasche con cui erano costruite le capanne, per renderle più impermeabili alla pioggia), impensabili (abbiamo contribuito alla costruzione del basamento di un campo di pallacanestro raccogliendo pietre in un vicino cimitero mussulmano abbandonato) o normalissimi (piccoli lavori di cucito e falegnameria), ma sempre insieme ai ragazzi e ai bambini di Zway.
Sicuramente piccole cose, ma che per loro avevano un enorme significato.
D'altronde più di tanto non saremmo stati in grado di fare: giovani e senza esperienza, abbiamo cercato soprattutto di portare la nostra testimonianza.
Eravamo un gruppo di ragazzi e ragazze che lavoravano, scherzavano e pregavano insieme, cosa difficile da riscontrare in quella mentalità, dove sussistono tuttora enormi differenze tra i sessi, le età e dove spesso l'integrazione con la razza europea viene ostacolata dagli stessi africani, che vedono nell'uomo bianco solo colui che, essendo ricco e possedendo cose, "deve" dare.
Lo scopo dei missionari e di noi volontari era anche quello di insegnare a questi ragazzi che nulla è dovuto, ma che bisogna lavorare, ognuno secondo le proprie capacità e forze, per poter guadagnare.
Non potrò mai dimenticare i bambini, tantissimi.
Certo, il primo impatto con loro non è stato dei più felici. Centinaia di piccoli sporchi, maleodoranti, che ti si appiccicavano agli abiti, alle mani, al collo, ci facevano solo venire voglia di scappare, tornare a casa, ma già al secondo giorno di permanenza ogni fastidio aveva lasciato il posto alla sensazione di felicità che si provava vedendo quei piccoli volti sorridenti e desiderosi di stare con noi.
Porterò sempre con me la loro gioia di vivere, la serenità di ogni loro gesto, il sorriso che ti regalavano quando alla fine della giornata donavi loro un pomodoro (e non un gelato o un sacchetto di patatine!).
Ho ritrovato il gusto della semplicità, delle piccole cose.
Devo dire che, non essendo abituata a quel ritmo di vita piuttosto forte, sono tornata a casa fisicamente provata, ma con un buon sonno è passato tutto; per il resto (la soddisfazione soprattutto), mi sentivo più rilassata di quando andavo al mare.
Una volta rientrata in Italia è stato inevitabile ricadere nelle abitudini di sempre, nella vita caotica, stressante, sempre di corsa.
Qui risulta difficile rinunciare al bel vestito o alla pizza il sabato sera.
E a Zway ci siamo posti più volte questo interrogativo: cosa fare?
Certo non possiamo rinnegare quello che abbiamo, magari dovuto ai sacrifici dei nostri genitori; non possiamo buttare al vento i traguardi raggiunti.
Una cosa però possiamo, anzi, dobbiamo fare: vivere con la consapevolezza di essere esageratamente e immeritatamente fortunati.
Dobbiamo smettere di pretendere e di lamentarci per ogni piccola cosa che non va per il verso giusto, perché le cose "storte" sono ben altre.
Ma è molto difficile…
Tutti mi chiedono se ci tornerò. Non lo so! Magari tenterò un'esperienza simile da qualche altra parte o magari me ne andrò buona buona al mare. Si vedrà.
Quello che conta, per me, è che mi rimanga per tutta la vita nel cuore l'impronta di questa piccola parentesi africana.
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