Quello che segue è il diario di un giro in libertà. Si tratta di e-mail inviate dagli internet-cafè sparsi un po’ ovunque sia nello Yucatàn che in Guatemala (a volte si farebbe di tutto per un’ora d’aria condizionata) ed in seguito solo lievemente ritoccate anche ad uso di lettori che non appartengano alla nostra crocchia amico-parentale. Per questo sono presenti parecchi dettagli personali, che magari, me ne rendo conto, possono non interessarvi più di tanto. Ogni particolare raccontato in presa diretta corrisponde ad un momento vissuto e per noi ad un ricordo.
Le indicazioni degli hotel hanno i prezzi espressi in euro, per comodità. Non me la sento di consigliarveli in blocco, né tanto meno di raccomandarvi il nostro stesso itinerario. Abbiamo dovuto rinunciare a diverse tappe interessanti, mentre con grande abilità, siamo riusciti ad aggiungerne di irreparabilmente futili. Sicuramente con un po’ di organizzazione, di tempo e di soldi in più, si può fare di meglio. Noi comunque ce la siamo giocata senza riserve e se troverete qualche spunto interessante ne saremo felici.
Il plurale non è “maiestatis”: siamo una coppietta, io e Fabio.Diario di viaggio
25 Agosto 2003: Verona - Messico
Preparazione sprint degli zaini; il viaggio, programmato in poche ore, è la rapida conseguenza di una offerta “solovolo-super-last-minute” scovata nel mezzo di una nottata insonne in Rete. Le meravigliose illustrazioni della guida acchiappata in libreria stuzzicano la nostra già fervida immaginazione, al punto da fornirci uno strampalato itinerario mentale. Partiamo così, entusiasti, disorganizzati e già un po’ stanchi. Il trasferimento aereo su charter spaccaginocchia e non solo, ci catapulta mezza sfera ad Ovest nella terra dei Maya.
26 Agosto: Cancun - Tulum
Cancun. Dopo una terribile nottata in bianco (incolpevole hotel Calinda America, 85€ la doppia), alle sette del mattino il nostro stomaco esigente, vittima del fuso e degli striminziti pranzetti sottovuoto ingollati in aereo, ci guida come ipnotizzati nel primo “restaurante” tipico locale dove, sotto agli occhi vagamente infastiditi di altri turisti impegnati in una classica colazione continentale, sbraniamo in pochi istanti tacos e tortillas imbevute in salsine multicolori e accompagnate da birra doppia in offerta speciale.
Verso l’una partiamo per Akumal. Appena sbarcati dall’autobus, veniamo abbindolati senza fatica da un tassista furbetto cui affidiamo senza fiatare le sorti del nostro futuro immediato. Quaranta minuti dopo ci ritroviamo ospiti forzati nello splendido isolamento delle Cabanas Copal di Tulum (70€ quelle in riva al mare). Si tratta di bicocche dal tetto in paglia scricchiolante, incorniciate da un mare urlante, palme e buia notte iperstellata, fornite di bagnetto delizioso in maioliche dipinte a mano, sovrappopolate da zanzare cannibali e voracissime, moccoli e lumi di candela accesi ovunque a tutto spiano. Manca la corrente elettrica e anche l’acqua è razionata. E’ una vita a base di eremitaggio e deliziose crèpes al cioccolato e banane, facilmente reperibili nel ristorante-capanna tutto bambù, pendagli ed atmosfere rarefatte.
27/28 Agosto: Tulum – Chetumal - San Cristobal de Las Casas
Lasciamo la capanna di buon’ora e totalmente ignari degli orari dell’autobus per San Cristobal; ci ritroviamo fermi alla stazione di Chetumal, con ore ed ore di anticipo (le arterie principali del Messico sono febbrilmente percorse da bus sia di prima che di seconda classe, spesso dotati di condizionamento polare).
Abbiamo un lungo, caldo, appiccicoso ed inutile pomeriggione indesiderato a disposizione. Lo occupiamo faticosamente bighellonando qua e là, mangiando a destra e a sinistra e visitando il famoso museo Maya, tutto plastici, video e ricostruzioni. Non c’è più d’un pezzo originale. La colonna sonora di sottofondo riproduce i versi stereofonici della foresta, abilmente fotocopiata anche dalla plastica verde che pende in giro scomposta. E’ comunque un diversivo, meglio che il nulla. Colpiti dalla sindrome del viaggiatore ingordo, ci avviamo verso sera alla volta del Chiapas. Nottata inquietante sotto un cielo fumoso in movimento, fra montagne nere e cumuli di nuvole basse, colori pastello e interni di casette fatiscenti, abitate da amache e contadini che si svegliano all’alba.
29/30 Agosto: San Cristobal de las Casas
Completamente rintronati, dopo quindici ore di motore rombante, muoviamo i primi passi incerti su suolo Chiapatenco. Un tassista premuroso ci conduce all’hotel che sceglie lui stesso (hotel Del Res II, 25€). Una graziosa morettina ci accoglie sorridente e ci mostra un cortile coloniale che ospita camerette che hanno il calore delle baite di montagna.
Subito mi accorgo che mi hanno rubato tutte le mutande, che erano accuratamente disposte, piegate e ordinate nella tasca esterna dello zaino, dove qualche malintenzionato deve aver messo mano. Le ricompro: quelle nuove sono dei bandieroni enormi, ma mi adatto in qualche modo. Vado in giro tutta grigia e nera come un guerrigliero, con il fazzoletto indio in testa, mentre per mano mi porto Fabio che è conciato come un turista americano. Qui la gente è molto cordiale, il mio spagnolo non fa un plissè e ci divertiamo come Pinocchio e Lucignolo nel paese dei balocchi.
Dopo aver fatto acquisti nel variopinto mercato dove, con quattro foto, rubiamo l'anima agli indios, assistiamo nell'ordine: ad una processione di santo biancovestito portato a spalla, ad un gruppo di travestiti iper truccati e mascherati che assalgono Fabio con tanto di strizzatina di palle, e ad una fila di cavallerizzi campesinos a bordo di grassocci ronzini lucidati che dormono su quattro zampe. Lo so, lo so, il tutto sembra incredibile, ma si tratta della festa del paese, così tutti (noi compresi) si danno alla pazza gioia.
31 Agosto: Chichicastenango.
Svegli alle cinquemmezza del mattino, attraversiamo il Chiapas su un confortevole autobus di linea, fra pinete e campi coltivati, per arrivare dopo tre ore al confine con il Guatemala. E’ un ambiente coloratissimo e confusionario, con cianfrusaglie ovunque e pullulante di urla ed ogni genere di merci.
Appiedati superiamo la sbarra a strisce biancorosse e ci infiliamo perplessi in un casottello quadrato, dove paghiamo la tassa di benvenuto ed accogliamo un timbrone che ci secca mezzo passaporto. Da qui seguiamo con lo sguardo il nostro bagaglio che prende il volo sul tetto dell’… 'autobus': un mezzo cingolato e roboante, sferragliante, luccicante, variopinto, gasoleoso, odoroso ma sopratutto affollato all'inverosimile, con seggiolini rigidissimi e scivolosi. Accanto a Fabio, io sono spantegata sul finestrino laterale, si avvicendano nell'ordine: una vecchietta arzilla che gli sputacchia il bavero e poi, non contenta, gli si appisola sulla spalla, un energumeno un po' puzzone che lo catapulta in avanti, una distinta signorina con gallina sottobraccio che lo becca ad ogni curva ed, ultima ma non ultima, una giovane fanciulla chiappona e baffona dai denti d'oro (da queste parti sono un vezzo estetico) che prova a sedurlo a colpi di occhiate languide e sorrisoni agliati. Dopo sette ore sette di infiniti tormenti, schiacciatine, ammiccatine, ecc., dopo aver fatto rifornimento presso un disinvolto benzinaio che si presenta con tanto di mitra sottobraccio, con il triste pensiero dei nostri zaini che, sistemati amorevolmente sul tetto del rottamone si infraccicano completamente (sta piovendo), giungiamo eroicamente a Chichicastenango.
L'impatto è forte, anzi fortissimo. Chichi, si pronuncia cici, è un paesiello arroccato su per li monti, un po' in salita (e un po' in discesa), con un paio di viuzze che si incrociano ed una chiesina “rituale” bianca. Ogni domenica e giovedì vi si svolge il mercato degli indios. Sembra di stare in un film un po' strampalato, dove una umanità varia ed operosa gira senza tregua con ogni sorta di mercanzie, dalla pannocchia abbrustolita al centrotavola ricamato a mano. I colori sono festosi, ma le persone un po' meno, c'è sofferenza negli occhi di molti; ci sono movimenti, danze, carretti, ma anche bambini che piangono un'infanzia che forse non vedranno.
Siamo stanchi morti, per cui ci sistemiamo in un hotelino (posada Santa Clara 22€) con le coperte pungenti ed i soffitti a cassettoni e lì ci addormentiamo dopo aver banchettato a brontopollo arrosto.
1 Settembre: San Pedro
Anche oggi sveglia presto e, come prima cosa, affamati, ci procacciamo la colazione, un tripudio di ciambelle e banane acquistate al mercato perché, data l'ora, tutti i baretti sono chiusi. Ci imbarchiamo così sull'unico mezzo di trasporto possibile, il solito bus anni cinquanta con scritte “de Dios” da tutte le parti, musica strappalacrime e clacson a corda tipo vaporetto omosessuale. All’inizio è stranamente vuoto ma poi ad ogni curva, ad ogni canneto e dietro ogni piantagione di banane sbuca un folto gruppo di indios che lo trasforma in un campo fiorito. Oggi abbondanza di mamme con pargolo al seguito, chi per mano, chi in braccio, chi a mo’ di zainetto con pericolosa tendenza allo schiacciamento su sedile. Vispi ed incuriositi occhi neri fanno capolino dalle sacche trasportaneonato e ci scrutano come fossimo due polli nuovi del cortile del papi. Insomma, per farla breve, due ore dopo finalmente avvistiamo il lago Atitlan.
Fidandoci quasi ciecamente della nostra guida frikkettona, decidiamo di villeggiare a San Pedro. Attraversamento del lago 10 minuti su lancia spedita a considerevole velocità. Elena e Fabio, tipo moderni Renzo e Lucia, tutti sorridenti e compiaciuti, scattano copiose foto ai vulcani, presumibilmente tutte uguali. Il libretto non è del tutto veritiero, la promessa atmosfera bohemiènne del posto concretizzandosi in una cinquantina di anacronistici hippy sbullonati di tutte le età, i quali vanno in giro scalzi fra fanghiglie e quant'altro si possa immaginare per terra da queste parti. Dato positivo, mangiamo un filettone adagiato su un panino transatlantico di fronte al porto, ci super piazziamo in una camera con vetrata vistalago per 9€ (hotel Shak’ari) e prenotiamo tre ore di trekking in salita per raggiungere la bocca del vulcano.
In serata i due europeotti, pensando che fossero solo quattro goccette, affrontano con coraggio e spensieratezza un temporalino da strapazzo che, tanto inaspettatamente quanto improvvisamente, si trasforma in un vero e proprio uragano. Gli unici due sprovveduti che si trovano a calcare quei vicoli impossibili sono, per l'appunto, i sottoscritti. Presto il peggio accade: quelle che ad un inesperto ed emotivo esame della situazione apparivano romantiche stradine, si trasformano in torrenti impetuosi e gelidi di fango e liquami vari. Saltellando qua e là nel disperato tentativo di mantenere asciutte almeno le mutande, navighiamo sino al nostro hotel vistalago, che nel frattempo è stato circondato da tanta acqua da sembrare una palafitta instabile. Dopo interminabili ore trascorse col phon in mano ad asciugare scarpe e vestiti luridi e grigiastri, ci accorgiamo di essere affamati e così ci ribardiamo come due somari per recarci al vicino ristorante tailandese “tin-tin”. Qui scambiamo quattro chiacchiere con una distinta coppia di super-iper-miliardari inglesi di mezza età, già da tempo appollaiati al tavolo adiacente al nostro e circondati da una nutrita corte dei miracoli. Ci raccontano che a bordo del loro panfilo ancorato in Belize, ininterrottamente da cinque anni vagano per il globo terracqueo, confessandoci anche sommessamente che "Cuba non gli è tanto piaciuta". Lì si sentivano spiati e quindi un po’ a disagio…
2 Settembre: Antigua
Accompagnati da un filo di esasperazione per l’esito insolito della serata precedente, decidiamo di abdicare il trekking paltoso sul vulcano per dirigerci immediatamente alla volta di Antigua. Dopo il solito approvvigionamento di banane, ci rimbarchiamo sul cimelio anni cinquanta, che imbrocca anguste strade di montagna a velocità folli sull’orlo di baratri senza fondo e giungiamo, tre ore dopo, a destinazione.
Esploriamo questa cittadina strepitosa, pulita, lastricata e piena di angoli tropicali, di chiostri ad archetti e di scorci coloniali. Sembra che i colori degli abitanti Maya siano scivolati via dai loro vestiti, per impiallarsi sulle facciate intonacate della città. Il verde, il giallo, il rosso, il rosa si alternano nei cortili e sotto ai portici. Dopo le 18, si precipitano qui da Guate orde di aitanti giovanottoni motorizzati assetati di divertimento. Ci godiamo anche noi uno sprazzo di mondanità, fatto di cenetta a lume di candela e localino musicale. Dormiamo poi con un occhio aperto in un posto squallidotto (hotel Los Mochilleros 25€). Domani alle 7, partenza per Flores e Tikal, nella foresta del Petèn, dove pare ci siano pappagalli, scimmie, tucani e giaguari. Tarzan e Jane vi terranno informati.
3/4 Settembre: Antigua - Flores - Tikal
Viaggio Antigua-Flores: sette ore di bus extra-extra lusso, con tanto di hostess e pranzo a bordo. Unici nei: 1) autista maleodorante con camicia ombelicale, pantalone a mezza chiappa e pelle come carta moschicida; 2) perquisizione dei narcos locali con metal detector ed armi spianate; 3) visita di ispettori del ministero dell'agricoltura alla ricerca di una fantomatica "mosquita" golosa di frutta. Arrivo a Flores rincuorante, cittadina di lago al centro di una piccola isola discreta e stranamente illuminata (hotel La Mesa de los Maya 18€).
Sveglia alle 5.15. La sente solo Fabio, essendo la fanciulla in stato piuttosto critico.
Sospirata gita al mondo perduto: la favolosa Tikal.
I piccoli esploratori, addobbati di tutto punto alla Indiana Jones, con tanto di mappette disegnate stile ovetto kinder e barilotti d'acqua al seguito, si addentrano nella fitta, inquietante e rumorosa jungla alla ricerca di emozioni forti. Va da sé il rifiuto un po’ ignorantino della guida locale, scelta considerata troppo vincolante e poco avventurosa. Ci accontentiamo di spolverare le ragnatele dai ricordi paleolitici delle nostre memorie cigolanti. In più, di tanto in tanto, cerchiamo di mimetizzarci in incognita con il gruppo di qualche narratore errante per succhiare quelle due o tre informazioni un po’ più circostanziate che creano l’atmosfera giusta. Urla, fischi, sibili, pernacchie seguono i nostri passi dalle cime degli alberi. Fabio, con l'allegro proposito di farsi ritrarre in una foto, viene quasi inghiottito dalle radici di un baobab secolare.
Ripidissime scalette di legno inerpicate nella roccia conducono ad altezze vertiginose. Impossibile descrivere la maestosità di una piramide grigia che svetta sopra a chilometri di foresta vergine, sdraiata sotto ad un manto di nubi quasi dipinte. Impossibile rendere i contrasti di colori e il sole a chiazze sulla natura immensa e forte, il caldo bestia che scioglie anche le idee e l'odore del repellente per zanzare. L'inizio titubante di un temporale è in realtà la pisciatina di un branco di scimmiotte urlatrici che si divertono a lanciare le bacche a noi nemici. Una famiglia di tapiri famelici con codino uncinato ci attraversa la strada, incurante del diritto di precedenza. Fabio, armeggiando con un cracker, rischia amputazione di arto sinistro per far felice la sua Ele, che lo vuole immortalare nell'ennesima foto. Seguono altri incontri con animaletti di varia specie e dimensioni.
Il solito acquazzone tropicale ci accompagna all'uscita, insieme ad un urlo non ben identificato (forse il lamento di un giaguaro?) che ci lascia anche un po' impietriti.
Domani sveglia alle 4.30 (!!!). Attraversamento del Belize ed arrivo al mare, sole e bagni. Finalmente siesta sotto alla palma!
5 Settembre Flores - Belize - Playa del Carmen
Belize's Adventure. L'incipit è già una piccola tragedia. Accompagnatore-guida mafioso, con tanto di viso butterato, orologio e catenazza d'oro. Viaggio acquistato con troppa leggerezza da un compiacente signorotto un po' panzuto che ci infarcisce la testa di promesse sugli incredibili conforts di tutti i modelli che avremmo trovato a bordo. Impatto con la realtà: bus anni sessanta esageratamente squadrato e molto ammaccato, tipo bancarella di pollivendolo ambulante. Aria condizionata "en plein air", con portiera sempre aperta, sedili di ogni foggia inclinati in tutte le direzioni e tappezzeria grattugiatutto. Nota positiva: posizione sbracata dei due viaggiatori più importanti, che piazzatisi in"pole", si godono un fuggente e un po' dissestato panorama per un numero indefinito di ore.
Arrivo alla frontiera del Belize con forzato cambio di soldi beliziani altamente strozzino (da pagare la tassa di buonuscita dal paese). I due immigranti, con zaino quintalesco sulle spalle, sfrontierano (verbo coniato da un simpatico viaggiatore italiano che condivide le nostre sorti). Non augurerei di sfrontierare neppure al mio peggior nemico. Sfrontierare significa sopportare code chilometriche senza la certezza di arrivare in fondo, ma anche sciogliersi e cuocersi come ovetti sull'asfalto rovente nell'attesa di un catorcio che forse non arriverà mai. Quando già nell'aria veleggia odor di truffa guatemalteca, ecco che lo sfrontieramento si completa, e ci ritroviamo in posizione semi-sdraiata sulle solite luride poltronacce.
Di contro, il filmetto che viene proiettato al di là dei finestrini è piuttosto rilassante: paesaggio verdissimo a "gobba di cammello", casucce in legno dignitose e ben curate e donnone a spasso aggrappate ad ombrelli antisole a spicchi colorati. Non ci ricapiterà mai più di partecipare ad un sorpasso, quantomeno azzardato, di villetta tipica con tutti i crismi e cristallerie varie, trainata da un fuoristrada con famiglia di traslocatori fai-da-te a bordo.
Secondo sfrontieramento un po' più semplice, ed arrivo a Playa del Carmen in tarda serata. Playa è un tripudio di turisti che avanzano a chiazza di leopardo, che si strafogano fra musica e cocktails, ammiccatine e strizzatine d'occhi, piccole passeggiate pavonesche e risate isteriche e seducenti. Partecipiamo al gioco anche noi, anche se forse non riusciamo a mascherare tanto bene la pesantezza dei nostri sguardi e delle nostre caviglie. Ci eclissiamo in una stradina di paese quando ancora ferve la vita, ma non abbiamo rimpianti (hotel Tucàn 25€).
7/8/9 Settembre: Isla Mujeres
Oggi arrivo tranquillo su aliscafo silenzioso a Isla Mujeres, 8 km. di lunghezza già avidamente percorsi in lungo e in largo a bordo di una vespetta rossa e tremolante. Bagno su spiaggia palmata e cartolinata con acqua calda e cristallina pullulante di granchietti stronzetti e mordichiappa. Campo base all’hotel Vistalmar (18€). Domani gita sociale in barca prenotata in via strettamente privata direttamente dal capitano e dai suoi mozzi.
8 Settembre
Crociera dell'isola. Partecipanti: Fabio ed Ele, un allampanato, bianchissimo, secchissimo giocatore di scacchi americano, un radical-chic inglese piacente, fascinoso, sagace e dalla battuta tagliente e famiglia al completo di rotondi messicani, composta da nonnetta ricamata, madre e padre ben piazzati e figlio con fidanzata semprevestita incollata. Mezzo di trasporto: bagnarola in legno azzurrina, una vasca da bagno galleggiante, "la Dorada". Partenza ore 10. Scopriamo di aver pagato più di tutti gli altri, dopo estenuanti trattative con evidente esito fallimentare. Si va a snorkelleggiare. Raggiungiamo la smilza barriera corallina e il capitano della nostra imbarcazione ci appioppa dei salvagente arancione, obbligatori per legge. Ci dice che l'apnea si può fare comunque, la Ele credulona ci tenta, ma le avanza dall'acqua solo il posteriore. Dopo aver giochicchiato con pescetti colorati di modelli vari, improvvisamente avvertiamo una leggera percezione di pericolo, come un sesto senso. Un'occhiata anche del più inesperto ittiologo (?) è sufficiente ad azionare le nostre pinne a tutta velocità: stiamo nuotando al centro di un branco di barracuda! Li riconosciamo dal sorrisetto aguzzo e dal loro immobile, grigio e severo galleggiare tutt'intorno a noi. La ritirata strategica viene disastrosamente frenata dai salvagentoni, dai quali tentiamo rapidamente di liberarci ottenendo un secco rimprovero dal nostro capitano. Ritornati a bordo, per partire alla volta di una nuova destinazione, l'alta tecnologia del motore della Dorada va in panne e ci ritroviamo alla deriva come naufraghi. Preoccupati i messicani, agitato e quasi in preda al panico il capitano, aplomb inglese il lord, una sottile e un po' sadica gioia noi due, che ci spaparanziamo a prua a prendere il sole. Rimorchiati dalla sorella maggiore della Dorada, approdiamo sulla spiaggia della grigliata tuttopesce. Un triste recinto contenente due pescecani, che però assomigliano più a due pescegattoni un po’ maltrattati (Playa de los tiburones), attira come una calamita l'attenzione della famigliola messicana, che si spara felice in acqua per un servizio fotografico degno di un matrimonio. La lunga attesa viene premiata: ci ritroviamo in uno stanzone bianco dalle pareti finemente dipinte ad hamburger giganti e dai festoni nazionalistici, con un abile cantante-musicista-pianobarista che strimpella seduto in alto al suo baby-seggiolone e non tocca terra coi piedi. L'inglese e il giocatore di scacchi accennano anche qualche passo di danza, l'atmosfera si fa caliente e Fabio, con tutta evidenza in altre faccende affaccendato, chiede il bis di grigliata quasituttopesce. Dopo altre semi-immersioni ed enne numero di bagni, torniamo al porto. L'inglese galantone, in seguito a scambi di creme, occhiate trasversali, acqua e cicche, cerca di intortarsi la Ele, con risultati ovviamente scarsi. Ci spostiamo a Nord su una spiaggia bianchissima e concludiamo la giornata in tutto relax.
9 Settembre
Oggi, in vena di giornata ecologico-naturalista, ci rimotorizziamo per sfrecciare alla ricerca delle calette più pittoresche. La missione si rivela più complessa del previsto: aguzze e puntute scogliere presumibilmente abitate dai velenosissimi serpenti corallo ci dividono da piccole spiagge luminose intarsiate tra le rocce, scolpite dalla furia delle maree e circondate da una vegetazione lussureggiante e verdissima, che contrasta con i mille azzurri abbaglianti del mare.
Al primo tentativo le linguette sibilanti di un gruppo di iguanone spaventano la Ele che si aggrappa alle spalle sbruciacchiate del Fabio, il quale, dopo aver anch'egli sibilato di dolore, la trae rapidamente in salvo. Al secondo tentativo i becchi marsupiali di una nutrita famiglia di pellicani, con i loro rapidi e profondi tuffi kamikaze, ci inibiscono ogni desiderio di fare il bagno perchè abbiamo la certezza di essere scambiati per prede succulente, un po' pesciotti come siamo. Il terzo tentativo è decisamente più "fortunato": una impervia scalata fra rocce friabili ci fa scivolare verso l'ambita onda del mare. Marmittone di pietra bianca e liscia offrono un rifugio ai nostri piedini zebrati dal sole, mentre fiduciosi sparpagliamo allegramente tutti i nostri averi su un grande sasso.
Improvvisamente, a rovinare l'atmosfera idilliaca, strisciando tra le rocce, appare un figuro scuro e riccioluto, che con destrezza ed evidenti intenti loschi si avvicina alla nostra mercanzia. Evaporato in un soffio il romanticismo del momento, balziamo sul quasi-maltolto e lo difendiamo facendo scudi con i nostri corpi rossastri. Fabio, forte della sua altezza e presenza scenica, fa sentire il ladruncolo poco più che un bruscoletto e lo liquida con una piccola smorfia di fastidio. Comunque un po' sconsolati, decidiamo di tagliare la corda. Dopo breve vuelta del faro con vista a trecentosessantagradi (el Garrafon) ed interessante visita alla zona di ripopolamento delle tartarughe marine (Playa de las tortugas), noleggiamo due comode sdraio con ombrellone nella spiaggia più affollata dell'isola, e lì sverniamo fino al tramonto.
Il tanto temuto ultimo giorno ci allunga i suoi artiglietti che non lasciano scampo e le luci sfumano su questa indimenticabile vacanza che, come tutte le più belle cose, s'ha da finì. P.S. Arrivo previsto a Verona per le ore 17.15 di Mercoledì 10 Settembre, Anno Domini 2003. Arrivo effettivo a Lecco alle ore 21.30, con ritardo imprecisato, ma non importa. Pura vida.
ciao, io dovrei arrivare da cancun in messico a san pedro sula in honduras e volevo magiori informazioni ,per chi c'è stato, sui nomi e convenienza delle compagnie di autobus, sulla pericolosità dle viaggio ,e sul cambio moneta. vi saluto e grazie
...beh, io ci ho tentato...
Bello, proprio bello questo articolo, e poi divertente... ti fa saltar fuori quello spirito infantile che ti titilla il desiderio di voler bene al tuo fanciullino speciale, o ad un te stesso un po' bamboccetto...