E' come un innamoramento: vedi le Dolomiti per la prima volta e ti senti attratto verso questo mondo, ti senti dentro la voglia di scoprirlo nelle sue mille sfaccettature, di penetrarne la cultura, le usanze, semplicemente di poterne ogni tanto godere le visioni incantate.
Di più; è come un grande amore: più il tempo passa e più la passione si accresce e si arricchisce attraverso mille piccoli particolari, la voglia di tornare tra "quelle" cime a respirare "quella" particolare atmosfera non svanisce mai e t'accompagna per tutta la vita, sia che tu abbia conosciuto le più audaci vie ferrate sia che tu abbia semplicemente passeggiato nel fondovalle.
Chi l'ha provato sa di cosa parlo: dalle Dolomiti, dalla gente e dalla cultura locale (che pur presenta sfaccettature assai diverse), da tutto ciò che circonda questo fatato mondo alpino, si viene irrimediabilmente attratti e quest'attrazione rimane poi per sempre, sempre più forte.
Già, perchè i filoni attraverso cui vieni incatenato al mondo Dolomitico sono molteplici: si inizia, inevitabilmente, dalla sfacciata bellezza del paesaggio, rimanendo stregati dalle ardite torri del Vajolet piuttosto che dalle architetture delle Tre Cime, dall'imponenza dello Sciliar o dalla levità del Catinaccio, dal gruppo delle Pale o dalla severa Marmolada.
Si continua magari cimentandosi in camminate o ascensioni, in spericolate discese con gli sci o più tranquille e faticose escursioni con gli sci da fondo, pescando nelle acque cerulee di laghi alpini o provando le emozioni del parapendio.
Poi, è un susseguirsi di scoperte ed emozioni diverse: la splendida flora, l'altrettanto affascinante fauna, le mille leggende, l'incrocio tra culture e lingue diverse, le storie tristi ed eroiche di una guerra combattuta in condizioni "impossibili", la gastronomia dai sapori schietti ed "antichi", l'artigianato d'altri tempi, fossili che raccontano di ere remote... potremmo andare avanti per ore.
Questo è il motivo per cui noi di Cisonostato.it abbiamo deciso di dedicare al mondo Dolomitico una rubrica "mirata", che verrà personalmente tenuta da uno dei nostri più assidui e seguiti collaboratori, uomo di mare (Genovese D.O.C.) perdutamente innamorato, come tanti, dei "monti pallidi". La parola, anzi, la tastiera a Leandro Ricci.
Nel 1890 Stefano Dorigoni, uno dei pionieri dell'alpinismo trentino, compilò un vademecum ad uso di coloro che si avvicinavano alla sana pratica della montagna. Lo riporto tale e quale l'ho trovato in un vecchio libro:
1. mettersi in compagnia di due o tre amici di pari forze nel camminare e nella sobrietà di vivere;
2. fare una buona colazione, pranzo e cena, senza voler assaggiare il vino di tutti gli alberghi e locande che si incontrano per via;
3. nei luoghi poco abitati, provvedersi di pane, cacao, salumi e, per chi ci tiene, di qualche bottiglia, benché molto incomode per il trasporto ed è da preferirsi una fiaschetta di un qualche liquore per correggere l'acqua sempre abbondante ed ottima dei nostri monti;
4. una buona pipetta da viaggio di mezzo calibro è pei fumatori molto più opportuna di ogni genere di sigaro;
5. una larga fascia di lana che cinga a più giri i fianchi, salva il basso ventre dai repentini sbilanci di temperatura e rafferma le viscere;
6. canocchiale e carta geografica se non sono eccellenti non vale la pena caricarseli; scarponi chiodati, bastone ferrato e bisaccia da viaggio o zaino, di contro, indispensabili;
7. essere grati alla direzione della nostra S.A.T. che col mezzo dei colorati segnavia ha reso sicuro il cammino, fornendo così un'economica guida.
Immagino che centoundici anni fa i turisti alle prese con i primi timidi approcci alla montagna prestassero rispettosa attenzione alle raccomandazioni di un'esperta guida alpina che, a parte dettagli obsoleti o folcloristici, quali la pipetta, la fascia di lana o il bastone ferrato, mi sembra siano rimaste sostanzialmente valide.
Oggi invece l'informazione parte da tutti in direzione di tutti con sempre maggiore velocità e ognuno vuole dire la sua (segno di assoluta democrazia) su tutto, a proposito o a sproposito (segno di assoluta presunzione).
"Montagna assassina" è un titolo particolarmente caro ad alcuni giornalisti, che non perdono l'occasione per sfilarlo dal cassetto delle stupidaggini e metterlo in bella evidenza ogni volta che qualcuno perde la vita in un incidente di montagna.
La stonatura di un'etichetta così categorica si commenta da sola, eppure ecco ripresentarsi quel tipo di espressione a ogni nuova tragedia, senza che il redattore di turno si ponga lo scrupolo professionale di un minimo approfondimento. Un approfondimento da parte di chi invece ha un po' di frequentazione della montagna rivelerebbe probabilmente che quel cronista ha scarse cognizioni non dico di progressione su ghiaccio o di discesa in corda doppia, ma ben di rado, se non mai, ha infilato i propri piedi in una calzatura più pesante di un mocassino.
Diciamo allora a chiare lettere, noi che la amiamo: non esiste una montagna assassina, come non esiste un mare assassino né una strada assassina. Esistono solo persone responsabili e persone incoscienti.
È vero, c'è una piccola percentuale di fatalità: non posso escludere che mentre scrivo queste righe in una poltrona del mio giardino mi piombi addosso dai piani superiori un vaso di fiori; però l'incidente in montagna ha motivazioni quasi sempre umane.
Ho visto con i miei occhi quattro ragazzi sloveni sulla cima del Breithorn (m.4165) con le scarpette da ginnastica (ho tanto di fotografie per gli increduli). Ho sentito con le mie orecchie un gruppo di escursionisti in partenza dal Rif. Pedrotti (Gruppo di Brenta) sotto la pioggia senza uno straccio di cordino o moschettone chiedere a un'inorridita guida: "In 4-5 ore le facciamo, vero, le Bocchette Centrali e le Alte"? Faccio presente che si tratta di una via ferrata impegnativa che richiede attrezzatura adeguata e non meno di 8 ore di cammino in condizioni normali.
Preparazione imperfetta, conoscenza approssimativa dell'itinerario, sopravvalutazione dei propri limiti, condizione psicofisica scadente, mancata attenzione alle previsioni meteorologiche, sbadataggine nel valutare i pericoli oggettivi, abbigliamento inadeguato: eccola la "montagna assassina"!
Rimanendo nel tema "Campionario di cose da non fare" integrerò il discorso con tre episodi significativi, attinti dalla mia frequentazione più che ventennale delle Dolomiti.
1 - Ferrata Castiglioni, 1981
Ai tavoli del nostro albergo di Molveno, progettiamo un'escursione di due giorni, comprensiva di due ferrate (le prime della mia vita!) con pernottamento intermedio al Rif. Agostini. Al gruppo iniziale di sei persone insistono per aggiungersene quattro, con esperienza solo di passeggiate su sentiero. Sono amici e non ce la sentiamo di dire loro di no, purché si procurino almeno un cordino e un moschettone. Risultato: la Ferrata Castiglioni, che è costituita da una serie di scale metalliche (peraltro molto sicure) che permettono di risalire una parete quasi verticale di 140 metri, mette in crisi gli inesperti, cosicché, superata la Bocchetta dei Due Denti e discesi al Rif. Dodici Apostoli, ci troviamo in ritardo di due ore sulla tabella di marcia. Impossibile concludere l'anello previsto, anche perché si è messo a piovere; scendiamo nel fondovalle opposto lungo una pietraia problematica, fino a raggiungere, con il contorno di una fitta nebbia, una malga alle otto di sera. Altri nove chilometri al buio lungo una sterrata sotto il diluvio (meno male che qualcuno ha la pila, non tutti la mantella) ed eccoci alle 22,30 in un alberghetto che per fortuna ha ancora in cucina una casseruola di spezzatino con polenta, il caminetto acceso e alcune camere libere. È andata bene così e non c'è bisogno che spieghi la lezione che se ne può trarre.
2 - Bocca di Brenta, 1989
Stiamo effettuando il panoramicissimo Giro del Brenta, classica escursione con la quale vogliamo far conoscere ad alcuni nuovi amici le bellezze di questi monti. Superato l'ultimo strappo della Bocca di Brenta, facciamo la sosta d'obbligo per contemplare sopra di noi la mole slanciata del Campanile Basso, montagna simbolo del Gruppo. Un grido ci fa girare all'improvviso. È una donna che, mentre stava per salire sulla scala d'attacco della Via delle Bocchette, è stata colpita alla testa da un sasso smosso da escursionisti che stanno percorrendo la cengia sovrastante. Per fortuna il volo è stato di pochi metri e la ferita è leggera. Ci uniamo al marito che la accompagna al Rif. Pedrotti, dove viene medicata. Il buon senso suggerirebbe di lasciar perdere e di riprovare dopo essersi procurato un casco, che sarà un po' scomodo ma sulle ferrate, specie affollate come quella, può salvare la vita. E invece ecco i due tornare all'attacco della scala commentando "È successo una volta, non vorrà succedere di nuovo…". Io invece non commenterò.
3 - Val Gardena, 1999
Mi viene richiesto da un circolo aziendale di organizzare e guidare un trekking di una settimana tra Val Gardena, Sella, Sassolungo, Sciliar, Fassa. Essendosi formata una comitiva eterogenea, metto a punto itinerari che escludano tratti attrezzati scegliendo le alternative più agevoli; quattro dei nove partecipanti sono infatti alla prima esperienza di trekking da rifugio a rifugio. Mi sembra spiacevole fare una selezione "sulla carta", però convoco il gruppo nella sede del circolo per fare conoscenza e spiegare minuziosamente tempi, dislivelli, natura dei vari sentieri, avvertenze pratiche, soprattutto il fatto che per sette giorni non si scenderà a valle.
Già dal primo giorno del trekking se ne sentono di tutti i colori. Dopo mezz'ora di cammino una persona chiede: "Ma gli zaini dove li lasciamo?". Dopo due ore qualcuno commenta: "Che trekking duro!" (siamo presso la Malga Brogles, sul tratto del tutto pianeggiante ai piedi delle Odle). A metà giornata un altro domanda: "Non se ne incontrano paesi per fermarci a prendere un caffè?". Al quarto giorno il gruppo perde tre pezzi e meno male che ho nello zaino gli orari dei treni e delle autocorriere per organizzare loro, con un certo sollievo, il rientro a casa.
Morale: alla prossima occasione, gentilmente ma con fermezza, dirò di no. Pazienza se racconteranno che sono antipatico e autoritario, e se mi verrà qualche scrupolo andrò a rileggermi il punto 1 del vedemecum di Dorigoni.
AVVERTENZA
La scelta delle foto è stata mirata a fornire un colpo d'occhio complessivo dei diversi aspetti del mondo dolomitico. Nei vari articoli di questa sezione avverrà poi di volta in volta il rispettivo approfondimento.
ho visto il lago di braies una settimana fà e non ha nulla da invidiare a molti altri posti semplicemente stupendo