Viento de Patagonia - 5. El Chaltèn, capitale del trekking

Continua, in un susseguirsi di scenari mozzafiato, il racconto del nostro indimenticabile viaggio in Patagonia

Dopo le giornata dedicate alla Patagonia Cilena, ci apprestiamo a rientrare in Argentina. Cambia il Paese, ma non la tipologia di viaggio e di scenari: dopo le mitiche Torres del Paine, continuano i fantastici paesaggi di montagna, che hanno il loro fulcro nei non meno leggendari gruppi del Cerro Torre e del Fitz Roy, vale a dire l’epica dell’alpinismo andino ma anche mondiale.
Punto di partenza sarà El Chaltèn, località minuscola ma situata strategicamente nel cuore di quelle montagne.Venerdì 23 gennaio 2009
Alle 7.30 l'autopullman della Zaahj ci preleva davanti al Weskar Lodge, segnando di fatto il nostro saluto a Puerto Natales e (speriamo sia un arrivederci) al Cile; l'orario previsto di arrivo a El Calafate è intorno al mezzogiorno, per poi proseguire alle 13 per El Chaltèn, capitale argentina del trekking in cui abbiamo fissato tre pernottamenti.
Intanto ci troviamo a dover mettere una pezza a un inconveniente, o meglio una nostra sbadataggine: solo ieri sera, rileggendo la Lonely Planet, ci è tornato alla mente che a El Chaltèn non esistono "casas de cambio" né banche, l'unico sportello di prelievo automatico ha un'affidabilità a dir poco casuale e quasi nessuno accetta pagamenti con carta di credito. Abbiamo in tasca solo pochi spiccioli in pesos argentini, per cui è giocoforza andare in banca per procacciarci del contante durante la sosta a El Calafate: visto che questa è limitata a un'ora e che l’apertura pomeridiana delle banche è non prima delle 14 / 15, è evidente che non potremo prendere il pullman delle 13 e cercheremo di commutare i nostri biglietti con quelli per la corsa delle 18.
Il viaggio ricalca in senso opposto quello di cinque giorni fa e va via liscio come l'olio; anche le soste alle frontiere cilena e argentina sono molto più brevi e informali che all'andata. Giunti a destino poco oltre le 12, regolarizziamo senza problemi i nostri biglietti per El Chaltèn (€15 a testa) e, su indicazione dell'ufficio informazioni del terminal - che non dispone di un deposito bagagli - ci appoggiamo a un ostello che espleta per pochi pesos quel servizio: non ne ricordo il nome ma non si può sbagliare, è una costruzione gialla a un centinaio di metri proseguendo perpendicolarmente al retro dell'autostazione.
In fondo non ci dispiace questa imprevista sosta a El Calafate, cittadina in cui è sempre piacevole andare a zonzo: uno spuntino, un gelato (di calafate, naturalmente!), un giretto nel Patio de los Artesanos, una mezzoretta in un internet point, qualche piccolo acquisto, e l’attesa fino alle 18 non pesa assolutamente.
Il pullman della Chaltèn Travel è occupato per meno della metà dei posti e il viaggio risulta assai confortevole. Percorsi 32 km verso est, si imbocca la mitica Ruta 40 in direzione nord lasciando a destra il bivio per Rio Gallegos; dopo gli ultimi scorci sull'ormai familiare Lago Argentino, i successivi 74 km scorrono in un'alternanza di asfalto e sterrato tenendo sempre sulla destra il Rio La Leona sul quale di tanto in tanto si affaccia qualche Estancia.
Eccoci poi al bivio per la Ruta 23, che percorriamo per un centinaio di chilometri, costeggiando quasi ininterrottamente sulla sinistra il Lago Viedma: la luce bassa del crepuscolo che si riflette sul lago e su piccole lagune adiacenti la riva, le cime seghettate che lentamente si avvicinano, il senso immanente dei grandi spazi e dei grandi silenzi regalano sensazioni indescrivibili.
Pur essendo questo un autopullman di linea, evidentemente l'autista è sensibile alle esigenze dei passeggeri, per la quasi totalità stranieri che si recano a El Chaltèn per le infinite opportunità di trekking e alpinismo che la zona offre, e si accantona a uno slargo sulla destra della "carretera" per una sosta di alcuni minuti: sono circa le 20.30 e lo spettacolo di fronte a noi lascia senza fiato, con l'allineamento di Cerro Torre, Fitz Roy e tutte le cime del gruppo che si stagliano nitide nella luce dorata del crepuscolo. E' uno di quei momenti in cui davvero si vorrebbero inchiodare le lancette dell’orologio.
Arriviamo a destinazione con qualche minuto di anticipo sull'orario previsto delle 21: sono passate tre ore e 225 km dalla partenza da El Calafate.
Grazie a una mappa consultata nell'ufficio della Chaltèn Travel, individuiamo l'Hospedaje La Base, che è in pratica all'estremità opposta della cittadina in Calle Lago del Desierto 97: l'abitato è però così raccolto che rinunciamo a metterci in coda per l'unico taxi e vi arriviamo con una passeggiata di una decina di minuti. Grande invenzione i trolley con le rotelle!
La struttura corrisponde alla descrizione di Veronica, che ce l'aveva prenotata da Puerto Natales: essenziale ma ospitale e ordinata. Armando, barbone da profeta, figlioletta in braccio e cagnone al guinzaglio, ci accoglie cordialmente e ci mette a disposizione due "cabañas" oltre una terza che è una cucina completamente attrezzata e che, essendo gli unici ospiti, potremo utilizzare in esclusiva; inoltre, al mattino ci farà trovare pane, marmellata, succo di frutta e tutto l'occorrente per la colazione. Per ciascuna unità spendiamo € 40 al giorno.
Durante la giornata abbiamo sgranocchiato un po' di tutto, quindi non abbiamo voglia di cenare, ma non ci neghiamo una passeggiata per le vie di questa cittadina di 400 abitanti scarsi a quota 650 fatta di abitazioni prevalentemente in legno, fondata nel 1982 per rivendicare un territorio conteso con il Cile.
Nonostante la forte crescita dovuta al richiamo turistico, non è venuta meno la dimensione intima, quasi familiare, del luogo: il senso di trovarsi "in culo al mondo" non è certo inferiore a quello provato a Ushuaia e a Puerto Natales.
Nell'idioma degli indios della regione, Chaltèn significa "montagna azzurra" e non si fatica a capirne il motivo ammirando le "pale" del Fitz Roy e del "fratellino" Poincenot al tramonto che dominano il panorama da dietro un colle e che, addirittura, posso gustare dal mio letto incorniciate dalla finestra. E il vecchio adagio "rosso di sera, bel tempo si spera" è un ottimo auspicio per l'escursione di domani. Sempre che funzioni anche nell'emisfero meridionale… ;-)

Sabato 24 gennaio 2009
Come già detto nella parte introduttiva, la motivazione primaria - se non esclusiva - che porta i viaggiatori a El Chaltèn è la presenza di montagne straordinarie che hanno fatto la storia dell'alpinismo e regalano scenari strabilianti agli appassionati di trekking ad ogni livello di difficoltà. Ciò produce una radicale selezione "alla fonte", nel senso che chi non ama camminare non ha ragione di venire in un luogo che già è parecchio isolato: è quindi ancora maggiore che altrove il senso di cameratismo che accomuna chi è abituato ad andare per monti. A riprova, la più parte della gente che si aggira per il paese è in tenuta escursionistica o abbigliata in maniera estremamente informale.
Noi abbiamo in programma due escursioni giornaliere, il minimo consentito da un soggiorno breve come il nostro, giusto per raggiungere i belvederi sui due gruppi simbolo del Parque Nacional Los Glaciares, quelli del Cerro Torre (m.3102) e del Fitz Roy (m.3405).
Oggi ci mettiamo in movimento alle 8,30 per l’escursione che ci porterà al mirador di Laguna Torre ai piedi dell’omonimo Cerro, come dire il belvedere verso un mito. Il dislivello è moderato, poco più di 200 metri, lo sviluppo 8,5 km sola andata, la durata circa 5 ore fra andata e ritorno. A breve distanza dall'Hospedaje La Base, un grosso cartello in legno “Sendero a Laguna Torre” con la pianta dell’itinerario indica senza equivoco la giusta direzione. Si guadagna la collinetta che incombe sull’abitato lungo il sentiero che si svolge nel cuore della macchia patagonica, fra conifere e fitti cespugli dai quali di tanto in tanto fa capolino qualche coniglio selvatico; si prosegue tenendo sempre sulla sinistra, ora più in alto ora allo stesso livello, i meandri del Rio Fitz Roy, e si sale attraverso boschi di faggio fino ad ammirare per la prima volta, dopo circa un’ora e un quarto, l’ancora lontano Cerro Torre. Si continua in piano attraversando una zona paludosa in cui si procede senza segnavia ma con percorso evidente, si lascia a destra il raccordo che, passando per le Lagune Madre, Hija (figlia) e Nieta (nipote), congiunge all’itinerario per il Fitz Roy, si aggira una zona di alberi rinsecchiti (forse per incendi) che ha un qualcosa di spettrale al quale segue un tratto molto suggestivo nel cuore di un bosco di alberi contorti in forme bizzarre che sembrano far parte di un film di fantasy.
La vegetazione termina ai piedi di una morena. Bastano pochi minuti per risalirla e trovarsi all’improvviso davanti a uno di quegli scenari per i quali si ringrazia di essere al mondo e di vivere in un tempo che ci concede le risorse per arrivarci con relativa facilità dall’opposto emisfero: sotto di noi si stende la Laguna Torre, sul lato opposto la lingua terminale del Glaciar Torre e a coronare il tutto la guglia di Sua Maestà il Cerro Torre con tutta la sua “corte” di cime minori (minori per la quota, non certo per arditezza). Ci uniamo ai numerosi escursionisti seduti in silenziosa ammirazione e, studiando con il binocolo la parete sud del Torre (la più esposta al feroce vento patagonico) sormontata dal “fungo” di ghiaccio, non si può non domandarsi come abbia fatto quel satanasso di Cesare Maestri a scalarla con un compressore da quaranta chili sulle spalle (fermandosi peraltro a 30 metri dalla cima)!
Uno spuntino, una passeggiata in riva al lago, cerchiamo di procrastinare il più possibile la sosta fin quando gli ultimi sbuffi di nuvole si dissolvono scoprendo completamente le cime: queste condizioni meteo sono tutt’altro che scontate da queste parti e incameriamo con soddisfazione questo “due su due” unitamente alle Torres del Paine di tre giorni fa (vedi parte precedente del resoconto).
Rientrati a El Chaltèn per la stessa via, abbiamo il tempo per una passeggiata in tutto relax lungo le vie della cittadina respirandone la piacevole atmosfera di frontiera che la pervade; fa le altre cose, non ci facciamo mancare una sosta in una fornita enoteca per apprezzare ancora una volta la qualità sopraffina dei vini argentini.
Per la cena, ci lasciamo attirare dalla vetrina di “Mi viejo” (solo omonimo di quello di El Calafate) in Avenida San Martín 815, nella quale troneggia un enorme asado in via di arrostimento. Non ce ne pentiamo. Spesa totale € 62.

Domenica 25 gennaio 2009
Dopo un magnifico sonno nel silenzio assoluto delle nostre cabañas, ci svegliamo verso le sette e, da uno sguardo all’esterno, capiamo subito che il “tre su tre” sarà molto improbabile: il cielo è grigio e percorso da una nuvolaglia che promette niente di buono.
Ci mettiamo comunque in marcia in direzione della Laguna Los Tres, belvedere sul gruppo del Fitz Roy, e poi vedremo come evolve la giornata. Raggiunta l’estremità nord dell’abitato, spinti alle spalle da un “discreto” vento, imbocchiamo il sentiero segnalato da un dettagliato cartello in legno: saliamo fra cespugli dove facciamo man bassa di lamponi e raggiungiamo un bel pianoro ai piedi del “panettone” roccioso del Cerro Dorado. In breve si arriva a un’insellatura che offre una magnifica veduta sulla sottostante piana del Rio de las Vueltas; il vento si è intanto fatto feroce, tanto da rendere impossibili le riprese foto e video se non appoggiandosi a una roccia. Sul versante opposto si sviluppa il crinale del Cordòn de los Còndores, mentre al livello del fiume corre la sterrata che porta al Lago del Desierto: consultando la mappa, vediamo che anche quel settore del Parco offre l’opportunità di belle escursioni e ancora una volta rimpiangiamo di non poterci trattenere più a lungo in questi straordinari luoghi.
Si prende ora quota nel folto di un bosco rigoglioso popolato da uccelli fra i quali spiccano le teste rosse di simpatici picchi, dopodiché il paesaggio si fa più aperto in direzione del Fitz Roy, che però possiamo solo immaginare dietro le fitte nubi che ne celano le cime.
A questo punto decidiamo di limitare la gita alla Laguna Capri, distante da El Chaltèn due ore di cammino, sta a dire metà dell’escursione alla Laguna Los Tres. Del resto, diverse guide consigliano di diluire l’itinerario in due giornate, con pernottamento al Campamento Poincenot per godere dello spettacolo dell’alba sulle cime.
Eccoci quindi alla Laguna Capri, uno splendido specchio d’acqua circondato da boschi di conifere che riflette (rifletterebbe…) le vette circostanti. Approfittiamo per uno spuntino, l’occhio sempre vigile su eventuali schiarite, ma evidentemente il vento è troppo occupato a sferzare la laguna per salire a spazzare le nuvole in quota.
Sostiamo invano per circa un’ora, facciamo una digressione fino a una penisoletta, finché decidiamo di tornare sui nostri passi. Prendiamo una deviazione di un quarto d’ora verso un mirador, dal quale la situazione migliora leggermente anche se le cime non si scoprono mai del tutto.
A parziale compenso, sulla via del ritorno una schiarita ci regala una veduta meravigliosa verso il Lago Viedma, le cui acque presentano una colorazione turchese da fare invidia a una spiaggia esotica.
Torniamo in paese, al quale ormai ci stiamo affezionando, per un’ultima passeggiata serale, visitando la cappelletta Toni Egger (il compagno di Cesare Maestri che perì nel primo tentativo al Cerro Torre), dedicata ai caduti in montagna. Non ci sfugge, sul muro di una casa, la curiosità di un’immagine di Nostra Signora della Guardia, a noi liguri ben nota in quanto le è dedicato un santuario mariano fra i più frequentati della provincia di Genova, situato agli 804 metri del Monte Figogna: evidentemente gli emigranti genovesi sono arrivati anche qui!
Frattanto, ironia della sorte, nel cielo ormai sgombro da nuvole si staglia perfettamente visibile la “pala” del Fitz Roy fiammeggante nella luce del tramonto: chissà che spettacolo si ammira dal Campamento Poincenot!
Per la cena, stasera “tocca” a La Senyera del Torre in Calle Lago del Desierto, dove la prima sera avevamo chiesto indicazioni sul nostro Hospedaje, che peraltro non dista che un centinaio di metri: locale tutto in legno, ambiente ospitale, solito menù di carni che non tradisce. Conto totale 60 euro.

Lunedì 26 gennaio 2009
E’ in pratica l’ultima giornata nella Patagonia “più patagonica”. Con il gioco di parole intendo che da qui a stasera avverrà un marcato sbalzo climatico e potremo mettere sul fondo delle valigie i capi pesanti a vantaggio di un abbigliamento decisamente estivo. Tra El Chaltèn e la Peninsula Valdès, nostra prossima meta, saliremo infatti di sette gradi di latitudine (da 49° a 42° sud), poco meno di 900 km in linea d’aria.
Oggi è quindi tutta logistica. Ci alziamo con comodo, acquistiamo un po’ di provviste, un’ultima passaggiata in paese (ne avremo nostalgia, sicuramente) fino a far venire le 13, orario di partenza dell’autobus di Chaltèn Travel per El Calafate, località che è stata un po’ il “perno” di questa prima parte del viaggio.
Ammiriamo per tre ore gli scenari di grandi spazi analoghi a quelli che caratterizzano i viaggi in pullman dei giorni scorsi, finché giungiamo a destino (il servizio prevede, prima dell’ingresso in città, la deviazione per l’aeroporto qualora vi siano passeggeri là diretti).
Sono le 16, il volo di Austral (affiliata ad Aerolineas Argentinas) per Trelew è previsto alle 18.33 ma partirà con un’ora e mezzo di ritardo. Sono quindi le 21.30 quando tocchiamo il suolo di Trelew, brutta città che è però strategica per la visita della Peninsula Valdès.
Sarà il palcoscenico della prossima puntata del diario di viaggio, sempre sulle pagine virtuali di Ci Sono Stato, ovviamente!

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