Dal 31 luglio al 22 agosto 2008 - L’intento di questo sproloquio di parole, errori grammaticali e di sintassi, non è quello di autocelebrarmi come narratore né tantomeno di dichiararmi un viaggiatore superlativo, ma quello di aiutare chi come noi, io e Alessandra, ha voglia di mettersi uno zaino sulle spalle, le fedeli Birkenstock ai piedi e non dare niente per scontato.
Questo è un viaggio fortemente voluto da entrambi dopo alcune esperienze da viaggiatori faidate: è il richiamo dell’Africa, continente inesplorato fino ad ora se non un paio di stati nel Nord, il richiamo della natura primordiale, della sua gente e dei suoi paesaggi; inoltre per me costituisce un po’ una sfida, cioè affrontare un viaggio disorganizzato da classici backpackers, in uno stato in cui la maggior parte dei visitatori si affida a tour operator per la classica visita “parchi e Zanzibar”. Noi siamo convinti che la Tanzania offra addirittura di più, e così… partiamo.
Itinerario
31 luglio e 1 agosto: Torino - Milano - Dar Es Salaam
Nel cuore della notte suona la sveglia, balziamo in piedi ancora troppo assonnati per essere eccitati, mi accorgo di aver messo il caffè sui fornelli senza l’acqua. L’aggiungo. E la sera, dopo un volo comodo e puntuale con la Swiss prenotato su internet mesi prima, siamo già all’aeroporto di Dar dove ci attende un indiano con il caratteristico cartello del Safari Inn, anche questo prenotato su internet per le prime due notti, scelto come il meno peggio (tra i budget hotel) dopo lunghe e controverse ricerche su guide ufficiali e on line di viaggiatori.
Quando arriviamo, oltre la mezzanotte, siamo tentati di togliere il meno al peggio: la zona sembra terrificante, l’hotel orrendo. In realtà siamo tra i vicoli caratteristici della zona indiana centrale di Dar, di notte non c’è corrente e la gente chiacchiera illuminata da fuochi accesi agli angoli delle strade. Inoltre l’hotel è solo malandato come può esserlo una sistemazione economica in un paese africano, infatti è pulito e con acqua calda. Insomma le prime impressioni non si rivelano sempre azzeccate e la curiosità prende in breve il sopravvento sui pregiudizi.
La prima incombenza è acquistare i biglietti della Scandinavian per Arusha al bus terminal, rifiutiamo le offerte dei tassisti e andiamo a piedi, respirando l’aria inquinata ma autentica della città. Le strade sono affollatissime da bus, macchine camion, mezzi arrangiati che faticano a stare in piedi, carretti, biciclette e una marea di umanità in movimento. Una ferrovia taglia obliqua la città senza alcuna protezione, il treno fischia, la gente si sposta con calma. Seguendo affascinati i ciclisti che trasportano arance arriviamo al mercato di Kisutu, quartiere in cui alloggiamo a forte connotazione asiatica, che brulica di attività. Dopo una visita al mercato ed essendo quasi ora di pranzo ci dirigiamo verso il Kivukoni Front ed il mercato di pesce. L’odore è inconfondibile ma il mercato in sé non offre molto, oltre ad alcune bancarelle di stupende conchiglie. Per mangiare abbiamo identificato il posto che fa per noi: dalle “mama ntiles”, chioschetti gestiti da un gran numero di signore, le mama appunto, che cuociono brodi di carne e verdure in pentole annerite dall’uso, scolano il riso strizzandolo con le mani e offrono sodas fresche. Ci guardano un po’ stupite visto che siamo gli unici bianchi, noi wazungu, a mangiare da loro, ma il pasto è semplice e squisito.
Dar, che cresce con un ritmo spaventoso del 10% annuo di popolazione, non offre molto al turista quindi dopo aver girovagato un po’ tra le vie e visitato il museo nazionale optiamo per il mercato Kariakoo, con un po’ di incoscienza e spavalderia, visto che la guida consiglia di non addentrarsi soli. Ci tuffiamo nel più grande mercato della Tanzania: le strade si fanno sempre più strette, la confusione aumenta, sotto una enorme tettoia di lamiera ci infiliamo tra i banchi che vendono spezie non bene identificate, frutta, tuberi sconosciuti, pollame ed altre merci. Ci colpisce la cura nel disporre le proprie prodotti, anche sole dieci carote sono ben impilate su un pezzo di stoffa. Insomma alla fine è un mercato, non più pericoloso del Gran Bazar di Istanbul o del Balon di Torino…
2 e 3 agosto
Un intero giorno di viaggio da Dar ad Arusha, secondo centro della Tanzania e buona base per visitare i parchi del nord. Non un giorno sprecato, ma un giorno di esplorazione, di nuove sensazioni, odori e i paesaggi.
Scandinavian Superdeluxe, 11 ore attraverso poveri villaggi, terra rossa, piantagioni di cotone, mais, ananas e agave. Tagliamo la pianura agricola intorno a Dar, saliamo in mezzo alla foresta ed alle coltivazioni di banane che fa tanto tropici, costeggiamo le Usumbara Mountain. La povertà impera, parecchie abitazioni lungo la strada sono costruire di soli mattoni di fango e tetti di lamiera, i bambini scorazzano soli vestiti miseramente. Penso ancora una volta che il destino sia uno strano stregone con regole incomprensibili. Perché sono nato in Europa? Cosa avrei fatto nato in Africa, a cosa avrei potuto aspirare?
Arrivati già nell’oscurità avanzata contrattiamo un passaggio in taxi al Meru Inn, hotel economico sulla strada principale di Arusha, una decina di minuti a piedi dal “centro”, comodo in quanto al piano sottostante ha sede la Victoria Expedition, affidabile compagnia di safari esclusivamente tanzaniana che abbiamo scelto per il nostro safari dopo le consuete e controverse ricerche su internet.
Ad Arusha nella minuscola zona centrale non si può girare senza la compagnia di ragazzi che offrono batik, consigli su safari, sedicenti tour improvvisati. Ci vuole un break all’internet point! Conosciamo un ragazzo che dice di lavorare per la Victoria Exp. e che ci propone, visto il nostro scoramento per attività autonome, una visita al mercato Masai e la visita ad un villaggio tradizionale. Insomma il ragazzo alla fine non lavora per l’agenzia, povero era sicuramente un bravo ragazzo bisognoso di guadagnarsi da vivere ma le menzogne non fanno buona impressione e quindi chiediamo a Lhuta della Victoria come si può fare, loro non organizzano tali gite ma ha un amico, Peter, che ci può accompagnare per 20000 ths comprensivo di trasporto in dala-dala, i fantastici bus locali. Siamo entusiasti, ci stipiamo con Peter dentro un pulmino da dodici insieme ad almeno una trentina di persone … e partiamo alla volta del villaggio vicino. Mentre ancora Peter ci fornisce interessanti indicazioni sulle abitudini Masai ci imbattiamo in uno degli spettacoli più interessanti ed autentici a cui mi è capitato di assistere: centinaia di Masai avvolti nei loro drappi colorati sono riuniti per il mercato del bestiame. Tra la curiosità dei Masai e qualche velata minaccia subito sedata dal “nostro” amico Peter possiamo scattare impacciati una valanga di fotografie evitando per rispetto i primi piani. Siamo gli unici bianchi come ci fa notare Peter. Proseguiamo scoprendo le proprietà curative di alcune piante, ammirando le fioriture dell’albero “del fuoco” e quello “delle spazzole” scortati da alcuni giovani curiosi e sorridenti Masai fino al mercato delle donne, che si dispiega sui piccoli pendii delle colline intorno al villaggio. La varietà dei colori è incredibile, da togliere il fiato. Da buoni turisti quali siamo, anche se di turistico non vi è alcuna traccia, compriamo tre stoffe , Ale viene agghindata da una mama per la foto ricordo tra le risate delle altre donne africane. Un altro tragitto superbo nel dala-dala traboccante di umanità e siamo di nuovo ad Arusha dove ci concediamo una splendida cena al Via Via Restaurant, caratteristico locale euro-africano immerso nel giardino di quello che era il Boma tedesco.
Dal 4 al 8 agosto: Lake Manyara – Serengeti – Ngoro Ngoro – Tarangire
Si parte per il safari, che non vuol dire né caccia agli animali né exclusive tour per ricconi, ma vuol dire semplicemente viaggio in lingua swahili. Non so veramente cosa aspettarmi, i diari dei viaggiatori gareggiano sulla quantità di animali avvistati, ma ho trovato poco o nulla delle sensazioni, dell’atmosfera che si respira, dell’incredibile percezione di un’immersione totale nella natura. Ed in effetti è molto difficile non essere preda dello scatto fotografico in automatico ed è forse impossibile descrivere quanto ci si sente dentro la natura, esserne parte di essa, temporaneamente ospite di un territorio restituito con pieno diritto ad animali che non siamo noi uomini.
Quindi non farò un elenco degli animali avvistati né dei fantastici momenti vissuti durante i giorni di safari (sarebbe troppo noioso) ma cercherò di fornire solo qualche info per future scelte.
Equipaggio del fuoristrada: io, Ale, un olandese che viaggia da solo da un paio di settimane, lo scrupoloso autista e preparata guida Stewart ed il simpatico cuoco Moses. Notiamo con piacere che si fermano sulla strada a fare provviste sostenendo l’economia locale invece del supermarket di Arusha, una buona prospettiva.
Alloggio: “our home today” sistemazione in tenda, di stile militare già montate al Panorama Camp di Lake Manyara, classiche igloo da montarsi negli altri due camp nel Serengeti e a Ngoro Ngoro, con la sorpresa di potersi lavare i denti in compagnia di un paio di zebre…
Pasti: Moses ci stupisce con la sua fantasia e ci allieta con la sua allegria. Soddisfacenti pocket lunch a pranzo durante i game drive e piatti più elaborati la sera con le semplici provviste del giorno. Peccato che non ci faccia compagnia al tavolo.
Highlights: gli elefanti di Lake Manyara che spuntano inaspettati dalla foresta e i leoni sugli alberi, la pianura sterminata del Serengeti ed il suo incontrastato re il leone a caccia di gazzelle e bufali, il cratere di Ngoro Ngoro e la sua incredibile biodiversità, lo stupore per la bellezza del Tarangire dopo già tante emozioni e paesaggi mozzafiato. E perché no, la birretta che ci eravamo comprati in partenza io e l’olandese e consumata la sera ai camp ricordando gli episodi della giornata, apprezzatissima anche da Stewart e Moses.
Episodio a parte, la visita al campo Masai sulla strada per Ngoro Ngoro: Ale è attirata di scattare ancora qualche bella foto, l’olandese è il più curioso ed interessato, io un po’ dubbioso vista l’esperienza autentica del mercato vicino ad Arusha. La danza Masai è comunque affascinante ed anche la visita alle abitazioni è avvincente ma alla fine l’acquisto quasi forzato dei braccialetti ad un prezzo esorbitante e soprattutto la “dimenticanza” di restituire l’orologio all’olandese rovinano l’atmosfera. Dove sarebbe l’orgogliosa e testarda tribù nomade di pastori e guerrieri? A spennare i turisti… è anche vero che l’istituzione dei parchi ha tolto loro gran parte dei pascoli per sopravvivere. Riflessione dovuta.
Clima: quando esce il sole fa caldo, altrimenti fa un freddo assurdo, noi eravamo poco vestiti e ci siamo coperti a strati soprattutto la sera e la notte!
Musica: sempre reggae! Quale altra musica?
Fine del Safari, S maiuscola d’obbligo. Indescrivibile se non con i banali aggettivi: super, fantastico, sorprendente, emozionante. L’unico modo per saperne di più è uno solo, andarci e vivere l’esperienza di persona, sono certo che non deluderà nessuno. Come mi ero ripromesso raccomando la Victoria Expedition per tutti gli aspetti già accennati. Stewart e Moses si meritano le nostre mance. Li salutiamo di fretta al ritorno al Meru Inn di Arusha, dobbiamo fare un sacco di cose, prelevare, scrivere mail, un paio di acquisti, rintracciare il mio amico Alberto che dovrebbe essere in città, la doccia. Il ritorno alla realtà è brusco ma noi siamo elettrizzati da quanto vissuto nel safari.
Riusciamo a fare tutto e ci godiamo una piacevole serata con Alberto e Maria Adele in un ristorante indiano, scambiandoci episodi dei nostri rispettivi safari, informandoci sul loro lavoro come volontari per una ONG locale, preoccupandoci della situazione politica in Georgia. La cena scorre veloce e in pochi minuti di dala-dala siamo a casa loro, che dividono con altre persone della organizzazione. Il tempo scorre veloce è notte inoltrata, l’indomani ci attende un giorno di viaggio fino a Dar con ancora l’incognita di come e dove proseguire il nostro viaggio. Dividiamo un taxi con due ragazze polacche, procediamo lenti dietro una mandria di vacche. È l’Africa!
9 e 10 agosto: Arusha Mikindani
È passata una settimana, uno dei momenti ideali per sentirsi completamente immersi nel viaggio. Infatti la curiosità impellente dei primi giorni, accompagnata da un necessario ambientamento, cede il passo ad un più rilassato interesse in cui ci si è già armonizzati nelle logiche singolari del viaggiare in territori e costumi sconosciuti.
Anche se… non è che si può abbassare troppo la guardia. Il terminal Ubungo di Dar Es Salam infatti non scherza: il caos è indescrivibile, frotte di mendicanti e povera gente è in continuo movimento e noi wazungu al calare della sera siamo sicuramente visti come l’affare del giorno. Nel viaggio da Arusha abbiamo deciso di proseguire l’indomani per Mikindani, sempre in bus, verso il confine con il Mozambico. Il programma è : comprare il biglietto di una compagnia affidabile, farsi portare in taxi in centro per dormire al Safari Inn e ripartire il mattino presto. Solo che ci scambiano il biglietto acquistato sul posto con un’altra compagnia adducendo strani motivi di spazio, e capiremo il giorno dopo il perché, il tassista è un ladro e ci spara cifre esorbitanti. Insomma abbastanza esasperati contrattiamo sul prezzo della corsa in taxi accordandoci per il mattino ed acconsentiamo a farci portare all’hotel consigliato, il Manyara Lodge di nuova apertura. Questo ultimo alla fine è una piacevole sorpresa e ci procurano anche il servizio ristorante in camera per una cifra molto onesta, ma la posizione non è certo delle migliori, infatti ci sconsigliano di uscire!
Al mattino alle 5 siamo di nuovo ad Ubungo in cerca del nostro bus… che è veramente scascio; non è citato tra le compagnie assolutamente da evitare ma non è che ci ispiri una gran fiducia e dire che di trasporti locali abbiamo una certa esperienza. Tra rumori sinistri e strattoni spacca schiena cominciamo così il secondo giorno di viaggio consecutivo senza sapere quanto ci metteremo, sperando di arrivare ancora con la luce per cercare una sistemazione e con i bagagli ancora al seguito visto che vediamo rotolare il mio zaino per la strada ad un incrocio e poi rilanciarlo sul bus al volo. Cerchiamo comunque di goderci gli aspetti del viaggio, anche il terrificante sterrato, la pausa pipì tra le sterpaglie, i cibi degli innumerevoli venditori ambulanti agli incroci di qualsiasi strada.
Cambio scena: il bus si allontana sferragliando sull’unica strada polverosa che costeggia il mare, qualche edificio diroccato testimone di un passato più glorioso, alcune capanne con il tetto di fango, le biciclette che, lentamente, trasportano assi di legno da costruzione, caprette e polli in grossi cesti. E noi due wazungu immersi in un pacifico silenzio.
Le possibilità di alloggio sono due, l’ex Boma tedesco splendido nel suo candore appena restaurato da una ONG che spera di risollevare le sorti della zona con il turismo e un eco-lodge costruito da un biologo marino inglese. Scegliamo una stanza al Ten Degree South Lodge, siamo entusiasti. È quello che cercavamo, un posto accogliente lontano da rotte turistiche, lontano direi proprio da tutto, in una cornice superba da fine del mondo. Ci rinfreschiamo con due sodas sul terrazzo panoramico costruito intorno ad una araucaria, due scimmie vengono a farci visita, hanno appena messo un Lp di Bob… ma allora lo fate apposta!
Dal 11 al 13 agosto: Mikindani e Mtwara
Lasciamo bianco lo spazio della data di partenza sull’esiguo registro degli ospiti, abbandonandoci alle possibilità di esplorazione nei dintorni.
Il primo giorno, dotati di cartina disegnata a mano e recuperata all’Old Boma, ci incamminiamo sulla penisola poco distante e ne raggiungiamo la punta di fronte al villaggio di Pemba dove le imbarcazioni dei pescatori sono ben allineate sulla spiaggia. Un ottimo posto per un bagno solitario ed una passeggiata tra le mangrovie, in sintonia con l’atmosfera rilassata del posto. Impressionante per la sua enormità il baobab che costituisce un ottimo punto di riferimento. Allettati dalla possibilità di una cena a buffet tipica swahili ci vestiamo da grande soirée (pantaloni militari quasi puliti e maglia emergency manica lunga…) e ci presentiamo all’Old Boma. Siamo gli unici ospiti, tanto per cambiare, ma il servizio ristorante è a disposizione e la cena bordo piscina è sicuramente romantica.
Il secondo giorno, svegliati di buon ora, è in programma la spiaggia di Msimbati nel parco marino oltre Mtwara. Quindi acchiappiamo al volo un dala-dala collettivo e strapieno per Mtwara, aspettiamo al mercato un “basi” ultralento e all’una del pomeriggio siamo all’entrata del parco. Scopriamo, non senza stupore, che il viaggio di ritorno è previsto… per il giorno dopo! La vista della spiaggia immensa e solitaria ci sgombra la mente per qualche ora sulla prospettiva non entusiasmante di un passaggio a Mtwara da parte di un paio di motociclisti locali, anche perché siamo visti come i soliti bancomat senza fondo. Preparati come condannati a farci spennare ci avviamo sulla via del ritorno e chiediamo ai ragazzi locali, i quali ovviamente ci stanno aspettando, ma il prezzo che ci sparano è esagerato, va bene supportare l’economia locale ma farsi derubare proprio non è il caso. Ecco però che la situazione si risolve d’incanto, la buona stella dei viaggiatori ci protegge sempre. L’autista di una associazione assistenziale locale si offre di accompagnarci a Mtwara alla fine del loro lavoro nel villaggio. È perfetto! Ci informiamo del progetto di assistenza che consiste nella creazione di un fondo di auto-accantonamento a sostegno delle attività e delle necessità del villaggio di Msimbati, che visitiamo sulla via del ritorno.
Consapevoli della fortuna avuta il giorno dopo non sfidiamo la sorte tornando alla spiaggia ma gironzoliamo per Mtwara curiosi. All’inizio ci sentiamo osservati da tutti, dopo il pranzo ad un bar lungo la strada polverosa principale, se non inseriti ci sentiamo almeno accettati. Riusciamo ad ordinare più o meno quello che desideriamo, approviamo con entusiasmo la mancanza di posate, ci facciamo riprendere perché non abbiamo aspettato il ragazzo dell’acqua che passa con il catino per lavarsi le mani. Discutiamo a gesti tra i sorrisi di approvazione degli altri commensali.
Dal 14 al 15 agosto: Kilwa Masoko
Prima di tuffarci nella turistica e splendida Zanzibar per gli ultimi giorni di vacanza decidiamo di visitare, lungo la strada verso nord, i resti più imponenti della cultura swahili a Kilwa. La guida recita: “quei pochi turisti che riescono a raggiungere Kilwa”. Eccoci! Portiamo prima dell’alba ed ad una intersezione verso est leggiamo l’indicazione Kilwa, scendiamo al volo e troviamo un passaggio su un’auto privata che fa servizio taxi. Evitati i scocciatori che subito ci chiedono soldi, neanche offrendo un servizio, finiamo lungo la spiaggia dove dovrebbero aver aperto nuove sistemazioni; è praticamente tutto deserto, solo il Kimbilio ferve in attività da ristrutturazione. Il prezzo da listino è proibitivo ma ci si accorda per una spettacolare bandas ad un passo dalla risacca ad un prezzo ragionevole. Massimo, una sagoma di fiorentino girovago, ex direttore d’albergo, ex importatore di pesce e chissà che altro ci stuzzica per la cena “ovvia per stasera la si fa una pastasciutta come a casa”. Cosa possiamo fare? Restiamo per cena… che sarà una delusione di qualità e per l’esborso estorto dei “stratosferici” 15 dollari senza bibite e caffè. Inoltre l’istruttore PADI, in teoria nullafacente in pratica, è un colonialista dei più biechi. Vestito della mia maglietta Emergency evito invettive ma il nostro commiato non sarà dei più calorosi, anche se il pomeriggio sulla bella spiaggia deserta è da incorniciare.
Un tempo sfarzoso e opulento porto commerciale di oro avorio spezie e schiavi, che ne fecero il più importante approdo dell’Africa Orientale, ora Kilwa è un modesto e remoto villaggio. Lo sforzo dell’Unesco nel rendere visitabili le rovine non è ugualmente supportato dalla popolazione locale, ancora diffidente verso il turista sempre considerato un fesso a cui spillare soldi. Armati di pazienza, un po’ di fatalismo e la solita curiosità contrattiamo il prezzo del passaggio in dhow al porto malandato e la guida obbligatoria alle rovine. Il vecchio ci rende partecipi del suo stupore ed entusiasmo per gli antichi palazzi e le vestigia di fortificazioni in corallo ora completamente distrutte e diroccate in stato di abbandono, in effetti l’abitazione tipica di Kilwa è oggi la capanna di fango e legno. Sulla via del ritorno ci fermiamo a mangiare in un bar locale che serve l’unica scelta del posto, pollo e patate cotte sulla carbonella: una garanzia per noi!
Sembra che nei dintorni di Kilwa si possano organizzare escursioni per vedere gli ippopotami, ma o si arriva già pianificati da qualcuno altrimenti è arduo trovare info e servizi a meno di rivolgersi agli hotel immagino.
Dal 16 al 22 agosto: Stone Town – Kendwa – Stone Town
Ultimo giorno di viaggio inteso come avventuroso districarsi tra le caotiche e deliranti stazioni degli autobus e come scomodo sobbalzare tra strade sterrate ed infinite buche. L’autista del pulmino Jesus Power inghirlandato di fiori rosa e pallone Barbie a spicchi è meno incosciente degli altri autisti precedentemente incontrati e prudenti impieghiamo sette ore ad arrivare a Dar. Sul pulmino, che parte immancabilmente prima dell’alba tra fuochi accessi sulle strade, il caos è indefinibile, tra polli capre ed una donna con le doglie che arriva trasportata in bicicletta. Arriviamo a Dar ad una stazione non indicata sulla guida, solita contrattazione decisa e con uno sgangherato taxi al limite della tenuta ci tuffiamo nel un maxi ingorgo causato da lavori stradali non proprio in sicurezza tra i sobborghi miseri e paludosi di Dar, città di ben 5 milioni di abitanti.
Dopo l’agevole viaggio in aliscafo oltrepassiamo il farsesco controllo passaporti con tanto di timbro di visto zanzibarino; l’isolana e ricca Zanzibar non ha mai vissuto con soddisfazione l’unione nazionale operata da Nyemere nel 64 con la terrestre e ben più misera Tanganica. Il solito “papasi” ci accompagna al Pyramid Hotel, “preferito dai viaggiatori indipendenti” : non si capisce perché se non per la posizione comoda vicino al porto ma la stanza è squallida e i vicoli dei dintorni hanno di caratteristico solo l’immondizia abbandonata in ogni dove. Non volendo prendere il taxi per farci accompagnare ad un ristorante limitiamo fortemente la scelta dei locali raggiungibili a piedi per la sera e optiamo per il Mercury, in onore di Freddy: il locale è gradevole e l’atmosfera rilassante fino… al cd dei Queen: risvegliati dal torpore della stanchezza ci rendiamo conto che è il solito trappolone per turisti, in cui si mangia anche male. Karibu, benvenuti a Zanzibar.
Il giorno dopo percepiamo invece Stone Town sotto un’altra luce; illuminati dal sole sorprendenti scorci si affacciano ad ogni bivio, prospettive indiscrete all’interno delle 51 mosche si presentano lungo gli stretti vicoli tra bancarelle e negozi africani, arabi e indiani. Evitando le vie destinate ad uso esclusivo dei turisti con la fila interminabile di souvenir tutti uguali è dolce perdersi nel labirinto dei suoi vicoli. Dopo aver prenotato il biglietto aereo per il ritorno su Dar dividiamo lo shuttle turistico con alcuni ragazzi diretti ai villaggi e ci facciamo portare alla nostra destinazione balneare scelta tra quelle sull’isola evitando le troppo turistiche o quelle troppo condizionate dalla marea, quindi Kendwa.
I Sunset Bungalows, a cui telefoniamo da Stone Town per assicurarci della disponibilità e dei prezzi, sono ben nascosti nella vegetazione dietro la bianchissima spiaggia, un ristorante di legno e foglie di palma offre piatti locali in un ambiente caldo e rilassante, l’oceano indiano spazia dal verde turchese al blu indaco. A fianco il White Sands Beach hotel ed il Kendwa Rocks ben si inseriscono nel paesaggio, lo sviluppo turistico è ancora abbastanza low profile anche se nei giorni successivi vedremo sbarcare dalle piroghe ridicoli italiani con enormi trolley trascinati sulla sabbia. Infatti a nord e a sud della spiaggia, per fortuna abbastanza lunga e ampia da starne lontani e crearsi oasi di pace assoluta, due “villaggi italiani” accolgono il turismo più chiassoso. Anche i racchettoni no please!! Devo ammettere però , da consueto denigratore della presenza italiana all’esterno, che i due villaggi non sono quelli da canzoncina da benvenuto e da attività sulla spiaggia, così da mantenere Kendwa in un’atmosfera abbastanza autentica per poter passare un’ottima settimana di relax.
Purtroppo per il brutto tempo , anche piovoso, che limita le nostre attività esplorative; per fortuna durante l’escursione in dhow all’atollo di Mnemba, acquistata direttamente sulla spiaggia, il sole rende piena giustizia all’idilliaco paesaggio tropicale ed alla stupefacente trasparenza dell’acqua rallegrata da migliaia di pesci multiformi e multicolori.
Il giorno prima della partenza torniamo a Stone Town ed alloggiamo al Jambo Guest House, niente di che anche questo, per avere di meglio a Zanzibar devi spendere di più, ma a noi va bene avere un tetto per dormire e nulla di più. Attenzione alle compagnie aeree, Precision Air la nostra, che possono applicare sovrapprezzi a quelli già concordati a seconda delle prenotazioni, noi torneremo in agenzia ben tre volte prima di ritirare i biglietti. E attenzione alla proverbiale e benevola disorganizzazione africana, anche in un posto turistico come Zanzibar: scopriamo che il nostro volo è stato cancellato – partirà alle 17 – no, partirà prima non si sa quando – non abbandoniamo la postazione al check in – insistiamo per far partire anche i bagagli – finalmente partiamo!
Al momento del ritorno non so se ci assalirà il famigerato “mal d’Africa”, ho scoperto però che è un continente affascinante e di contrasti estremi, dai colori alle situazioni, dai paesaggi alle genti, da percorrere ed esplorare con pazienza e rispetto. Noi occidentali dovremmo stare attenti a giudicare, a commettere gli stessi errori del passato, dovremmo fermarci a riflettere, ad osservare ed anche a imparare. Perché no? Anche solo a sorridere di più.
http://www.amref.it : aiutiamo i bambini africani ad avere un futuro
Stefano e Ale
complimenti!! anch'io sono (o forse ero!) una backpacker...ma in Africa non ci sono MAI stata!! wow! un viaggio strabigliante!!