Tanzania: parziale guida al riconoscimento degli animali

Un vero e proprio “atlante” zoologico della fauna africana: da stampare e consultare durante i safari!

Dando un’occhiata alla maggior parte dei diari di coloro che mi hanno preceduto, ho pensato che chi consulta questa sezione ha certamente, per quel che riguarda la Tanzania, una buona scorta di cronache di vita vissuta che descrive l’emozione dell’avvistamento di animali di vario genere.
Mi sono allora chiesto come potevo cercare di dare un contributo diverso attraverso questo sito, un contributo per dare una mano a chi sta cercando informazioni su come passare al meglio i giorni di vacanza nei grandi parchi Tanzaniani.
Le notizie di carattere logistico si trovano ormai in tanti diari e, vista l’obbligatorietà di itinerari e il numero relativamente limitato di sistemazioni, direi che ormai non manca più niente a livello informativo.
Dunque come contribuire? Ho riflettuto sul fatto che, essendo appassionato di natura da tanti anni e avendo fatto diversi viaggi in Africa in passato, non ho potuto fare a meno di notare che molte persone che si recano in questo continente hanno certamente molto entusiasmo addosso, ma spesso non sono preparatissimi sui nomi ma soprattutto sulle abitudini degli animali che si apprestano a vedere.
Allora, vista anche la scarsità di guide al riconoscimento degli animali in commercio, mi sono chiesto: perché non dare un aiuto ai meno esperti a riconoscere gli animali che vedono e fotografano?
E’ ovvio che non posso avere la pretesa di stendere una guida completa, perché per poter descrivere tutti gli animali avvistati e fotografati dovrei stendere un diario di 100 pagine, ma perché non cominciare? Così ho deciso di buttarmi in questa impresa, corredando la descrizione di ogni singola specie con una foto più chiara possibile, dato che la foto è sempre il primo elemento di confronto, decisamente prima della noiosa descrizione.
Dunque chiariamo subito un paio di punti: troverete qui solo animali che ho visto nel corso del mio viaggio a NgoroNgoro, Serengeti e Manyara dal 15 al 29 gennaio 2012. Questo non significa né che siano i più facili da vedere (anche perché alcuni sono degli animali che non si vedono in altre stagioni), né che siano i più importanti o comuni in questo tipo di ambiente. Essendo la quantità di specie avvistate e avvistabili fortunatamente pressoché enorme, ho semplicemente steso un elenco, partendo da un gruppo di animali più conosciuti e andando via via descrivendo altre specie meno note.
Certamente nessuno ha bisogno di aiuto per riconoscere un leone, ma credo che molti di noi in realtà non conoscano tante abitudini o curiosità che riguardano animali facilmente individuabili come il re della savana, oppure ippopotami leopardi o elefanti. Ecco dunque che dove non servono notizie descrittive ho deciso di inserire delle curiosità o delle notizie che possono aiutare anche le persone meno esperte a comportarsi in maniera più corretta davanti agli animali, i quali vengono spesso disturbati da un ambiente ormai inevitabilmente troppo antropizzato ma soprattutto da comportamenti scorretti di persone che sono spesso però in buona fede.
Se questa breve guida risulterà utile a qualcuno, ne sarò felice e ne pubblicherò magari un seguito in occasione di altri viaggi africani, come alternativa alle solite cronache di avvistamenti animali.Abbiamo suddiviso i nostri 12 giorni di safari in 8 giorni al Serengeti, 3 al Ngorongoro e 1 a Manyara, sulla via del ritorno. Gli 8 giorni di Serengeti sono stati divisi a loro volta in 4 giorni nella zona sud, a Ndutu e 4 nella zona centrale di Seronera. La scelta è stata fatta esclusivamente nel tentativo di scegliere le zone più interessanti per gli animali, in base anche alla stagione. Gli animali sono tuttavia liberi e dunque non esiste una regola precisa per fare i migliori avvistamenti.
Nei parchi Tanzaniani e Kenioti io scelgo sempre di avere un driver, perché sono un appassionato di fotografia ed avere un driver mi permette di essere libero di maneggiare l’attrezzatura. Ho di solito un driver di fiducia e tendo a servirmi sempre dello stesso anche nei viaggi successivi.
Disapprovo con forza la pessima abitudine dei driver dei grossi tour operators di usare le radio perché questo contribuisce a creare pericolosi assembramenti intorno agli animali. Per questo motivo il mio consiglio per chi ama la natura è quello di boicottare questi tour operator perché non sono amici della natura. Il loro unico interesse è quello di soddisfare soprattutto i grossi gruppi (dove gli organizzatori cercano di far vedere a tutti le stesse cose) ma questo strumento è sempre più spesso deleterio. Mi spiego con un esempio: il nostro settimo giorno al Serengeti è stato poco felice: è arrivato un gruppo di 15 jeep di coreani, tutti equipaggiati con radio. Quel mattino, abbiamo avvistato un ghepardo, molto vicino alla pista e allo scoperto che si stava riposando. Lo abbiamo osservato da vicino assieme ad una seconda jeep arrivata dopo circa due- tre minuti. Passati ancora un paio di minuti è arrivata una delle jeep dei coreani, con il driver che ha provveduto a chiamare tutti gli altri. Nel giro di pochi minuti sono piombate sul luogo 12 delle 15 jeep, creando un pericoloso cerchio intorno all’animale che ha cominciato a guardarsi intorno nervosamente.
Non so cosa sia successo dopo, perché ci siamo subito allontanati, non era giusto creare un simile stato di confusione in un animale in libertà. Il motivo è semplice: il ghepardo non è solo un predatore, ma anche una preda: ha assoluto bisogno di avere la visuale libera, e non è un caso se il suo ambiente preferito sono le praterie libere da grossi ostacoli. Un anfiteatro di auto intorno a lui sono un fortissimo motivo di stress. Lui sa che per esempio il leone usa le auto per nascondersi e il leone è un suo pericolosissimo nemico.
Se capita di trovarsi in una situazione del genere è bene sapere che si fa un favore al povero animale andandosene al più presto possibile, lasciando il campo libero.
Ecco, questo è uno dei motivi per cui io proibirei le radio all’interno del parco, perlomeno per questo uso. E’inutile che si lancino le campagne per aiutare i poveri ghepardi se poi si finge di non sapere qual è uno degli strumenti più pericolosi per creare intorno a loro situazioni di stress.
Già non viene rispettato il divieto di costruire nuovi lodges e campi tendati all’interno del parco, aumentando pericolosamente la presenza umana all’interno dei parchi, se non si controlla anche il flusso dei mezzi perlomeno con la casualità, i tempi per animali come i ghepardi si prospettano molto bui…
Dunque lasciamo da parte queste considerazioni personali e cominciamo con una breve descrizione degli animali che non ha ovviamente, ci tengo a dirlo, nessuna velleità di scientificità, ma è frutto solo di studio personale nato dalla passione per la natura. Ho cercato comunque di verificare tutte le informazioni delle quali non ero certo per evitare il più possibile di dare notizie sbagliate. Se ci dovessero essere degli errori mi scuso fin d’ora.
La descrizione si divide in tre parti: ci sono inizialmente 10 animali conosciuti ed abbastanza comuni, ne seguono altri 10 un po’ meno conosciuti e per i quali i neofiti dell’Africa potrebbero cominciare ad avere alcune difficoltà ad attribuire un nome e concludo con 10 uccelli, dato che la ornitologia è la mia vera passione.
Ovviamente, come già detto, per gli animali più conosciuti ho cercato semplicemente di mettere notizie curiose o informazioni che possono aiutare ad approcciarli il più correttamente possibile, per gli altri ci ho aggiunto una descrizione che può aiutare a riconoscerli.
Infine una cosa molto pratica: quasi tutti i driver e le guide vi diranno il nome in Inglese dell’animale: ho dunque inserito tra parentesi il nome Inglese per aiutare a trovarne la corrispondenza.01 JENA MACULATA (SPOTTED HYENA)
Estremamente facile da riconoscere per la sua somiglianza ad un cane, la Iena è uno degli animali che raccoglie la maggiore antipatia tra noi umani. La cosa è dovuta probabilmente la fatto che in realtà la iena è molto più sgraziata di un cane, con la parte anteriore del corpo molto più sviluppata della posteriore, il che le conferisce una silhouette decisamente sgradevole con una specie di gobba al centro del corpo. Anche l’andatura è decisamente sgraziata: il diverso sviluppo di zampe anteriori e posteriori la fa procedere a balzelli, quasi come se fosse claudicante. Eppure la jena è una vera macchina da guerra. Benché sia considerata lo spazzino della savana, perché mangia praticamente tutto delle prede (rigurgitando solo il pelo e le unghie), in realtà la jena cattura la quasi totalità delle proprie prede, sfruttando la forza del gruppo. Resistentissima, proprio per lo sviluppo notevole della parte anteriore del corpo, prende spesso le proprie prede per sfinimento, sbranandole quando non riescono più a difendersi.
I maschi sono indistinguibili dalle femmine se non per le dimensioni. Nel branco sono i maschi i più piccoli, mentre le femmine hanno una massa corporea, da adulti, di circa il 20% in più (possono arrivare anche a 70 kg. e le più grandi si vedono in Sudafrica). Proprio per le maggiori dimensioni, il gruppo ha una organizzazione di tipo matriarcale: comandano le femmine e non c’è una vera capobranco ma viene stabilita una gerarchia che tutti rispettano. Questa è una cosa molto rara nel mondo dei mammiferi. La credenza, ovviamente falsa, che gli animali siano ermafroditi, nasce dal fatto che i sessi sono indistinguibili anche per l’aspetto esteriore dell’apparato genitale, con le femmine che sono dotate di un cosiddetto falso scroto che può trarre in inganno e di un clitoride molto sviluppato che può apparire un pene!
Esistono quattro specie di iene, ma le più comuni sono la maculata e la striata. Stranamente, pur essendo due generi e specie diverse (crocuta crocuta e hyaena hyaena) sono piuttosto simili. La striata è quella che si vede di più negli zoo, perché più facilmente addomesticabile se catturata da piccola; ha inoltre abitudini più solitarie ed un pelo più lungo della macchiata. A parte questo il mantello è molto simile, grigio giallastro con striature nel caso della striata e macchie nere nel caso della maculata. Le macchie tendono a scomparire con l’età. In Tanzania si avvista quasi sempre la macchiata. La striata è più comune a sud, così come la terza specie, la iena marrone, che si avvista nell’estrema punta dell’Africa. La si riconosce per il pelo più lungo e macchie meno distinguibili.
Vi è poi una quarta specie, la proteles cristata che è molto più piccola delle altre, si trova in sudafrica e in Afrikaans viene chiamata lupo di terra: ha però una dieta quasi esclusivamente insettivora, quindi è solo la morfologia che la accosta alle iene.
Tornando alla maculata se la si trova intenta a mangiare a volte è impressionante sentire il rumore delle ossa che si spezzano come fuscelli: la jena è infatti l’animale al mondo con il morso più forte, esercita una pressione fino a 800 kg per centimetro quadrato!
La credenza popolare che le jene siano estremamente cattive (una donna cattiva come una jena!) nasce probabilmente dal fatto che le madri sanno difendere i piccoli fino alla morte fino a quando sono piccoli e indifesi, ma li abbandonano alla loro sorte appena sanno difendersi. Non è raro vedere, in caso di contesa di poco cibo, gli elementi più forti scagliarsi contro i più deboli arrivando addirittura ad ucciderli e divorarli.

02 IPPOPOTAMO (HIPPO)
Conosciutissimo e facilmente riconoscibile, non vale la pena descriverlo morfologicamente.
Può essere invece utile far notare che è un animale che sa essere molto aggressivo e non va mai sottovalutata né la sua forza né la sua rapidità. Non è un caso che, dopo la zanzara, è l’ippopotamo che provoca più vittime tra gli umani in Africa. E’ un animale che ha bisogno estremo dell’acqua. Lo si vede a volte disteso al sole, ma in questo caso il suo corpo secerne una sostanza oleosa di colore rosa che serve a proteggerlo dal sole: una specie di crema abbronzante naturale! Ecco spiegata la differenza di colore che si può notare quando l’ippopotamo è fuori dall’acqua. In ogni caso l’animale non può stare al sole per periodi prolungati e deve rientrare in acqua per difendere la pelle delicata (sembra impossibile che lo sia!) dal sole. Particolare interessante, pur essendo un erbivoro, non si nutre di piante acquatiche, ma ha bisogno di uscire dall’acqua per nutrirsi. Lo fa soprattutto di notte e può arrivare ad allontanarsi anche diversi chilometri dalla riva anche se di solito resta a poche centinaia di metri.
E’ un animale gregario e i gruppi che si vedono sono di solito formati da un maschio con le sue femmine e i piccoli, mentre i maschi giovani vivono di solito in piccoli gruppi di singoli individui. A volte il maschio dominante tollera anche la presenza di altri maschi purché si sottomettano alla sua autorità.
Ovviamente i giovani maschi, man mano che crescano tenteranno di costruirsi un proprio harem o affronteranno maschi dominanti per sostituirlo. Le lotte sono cruente e si concludono spesso con la morte di uno dei contendenti, per le ferite inferte soprattutto con i canini. Se infastidito, l’ippopotamo attacca anche l’uomo con esiti quasi sempre fatali! Dunque bisogna approcciare gli stagni sempre con molta attenzione, soprattutto se non si è in auto, e guardarsi le spalle, perché spesso alcuni ippopotami sono fuori dall’acqua soprattutto al mattino presto.

03 COCCODRILLO DEL NILO (NILE CROCODILE)
Secondo solo al terribile coccodrillo di acqua salata australiano come potenza e voracità, anche il coccodrillo del Nilo è comunque da prendere con le molle. Lo si può trovare ovunque ci siano delle pozze d’acqua e, pur essendo un animale da acqua dolce, non disdegna neppure di spingersi al di fuori degli estuari dei fiumi in acque salate. E’ un animale che può arrivare sino a 6 metri di lunghezza, fortemente territoriale, e non esita ad attaccare chiunque invada il suo territorio, uomo compreso. E’ velocissimo in acqua è un po’ meno pericoloso fuori dall’acqua, anche se riesce a correre velocemente per brevi tratti. Per questo motivo non è consigliabile camminare lungo le sponde d’acqua se non si è certi che non vi siano questi animali, peraltro abilissimi nel nascondersi in acqua. Fuori dall’acqua riesce ad essere velocissimo solo per brevissimi tratti, può raggiungere la velocità di 12 metri al secondo, ma una trentina di metri dalla riva è senza dubbio una distanza rassicurante, sempre che lo si veda arrivare! La tecnica dell’agguato è infatti il metodo di caccia preferito. Un coccodrillo riesce ad avvistare la prede a parecchi metri di distanza e memorizzarne perfettamente la posizione: una volta memorizzata si immerge completamente, nuota sott’acqua non visto e riesce a riemergere improvvisamente proprio davanti alla preda, sfruttando al massimo il fattore sorpresa. Benché dotato di denti aguzzi, non li usa per masticare, ma per strappare la carne che deglutisce a pezzi interi. In periodi di abbondanza di cibo, ne nasconde una parte sott’acqua e la lascia frollare anche per diversi giorni.
Interessante il fatto che i muscoli che richiudono le fauci sono così potenti da poter spezzare le ossa alle prede. Quelli che li aprono invece sono debolissimi, tanto è vero che la bocca potrebbe essere tenuta chiusa anche dalla forza delle mani di un uomo (sempre ammesso che non sia libero di divincolarsi!)
Se si vede in pericolo, può immergersi e stare immerso anche per due ore, riducendo il suo battito cardiaco fino a 2-3 battiti al minuto per risparmiare ossigeno! Tuttavia in natura è difficile che rimangano immersi per più di 20 minuti, tempo comunque ragguardevole.
I coccodrilli non piangono. Le lacrime sono in realtà delle secrezioni molto particolari, prodotte da ghiandole poste vicino all’occhio: secernono un liquido che pulisce l’occhio, per evitare eventuali insorgenze di infezioni batteriche. Le ghiandole sono poste dietro la seconda palpebra. La lacrimazione è maggiore quando l’animale sta a lungo fuori dall’acqua, per cui l’occhio comincia ad asciugarsi. La diceria seconda la quale i coccodrilli piangono dopo aver divorato i loro piccoli è assolutamente priva di fondamento anche perché questi animali, caso più unico che raro tra i rettili, è pronto a sacrificare la propria vita per difendere i piccoli.
I coccodrilli si accoppiano durante la stagione secca e, visto, che ogni maschio cerca di accoppiarsi con più femmine, si assiste in questa stagione a violenti combattimenti. Si può anche sentire il loro verso, che somiglia ad un disperato muggito e contribuisce ad alimentarne la fama sinistra. Le uova si schiudono di solito all’inizi della stagione umida. Una interessante curiosità è data dal fatto che il sesso dei nascituri è determinato dalla temperatura del nido: quando la femmina prepara il nido deve porre molta attenzione alla temperatura, perché può variare di pochi gradi: se la temperatura è al di sotto dei 29 gradi o al disopra dei 34 le uova non si schiuderanno. Intorno ai 31-32 gradi nasceranno tutti maschi (il 100% di maschi a 31,6 gradi), man mano che ci si allontana da queste temperature la proporzione si inverte: a 29 gradi nasceranno tutte femmine.

04 GHEPARDO (CHEETAH)
Considerato il mammifero più veloce della terra, il ghepardo può superare per brevi tratti anche i 100 km. all’ora, raggiunti in soli tre secondi. Inoltre la lunga coda che funge da timone gli permette di curvare a velocità elevatissima. Per dare un termine di paragone, basti pensare che il cavallo al galoppo difficilmente supera i 70 chilometri all’ora! Confuso a volte dai non esperti con il leopardo, il ghepardo è molto più piccolo, tanto da non superare i 150 cm. di lunghezza (più 80 cm. di coda) e i 50 kg. di peso. Il miglior sistema per distinguerlo dal leopardo a prima vista è proprio la corporatura, il ghepardo appare sempre magro, quasi sofferente. Le femmine vivono da sole con i piccoli, mentre i maschi formano piccoli gruppi, a volte consanguinei. E’ la femmina che decide con chi accoppiarsi, e di solito non lo fa mai se non ha una serie di maschi tra cui scegliere, spesso si accoppia anche con più di uno.
Vive quasi esclusivamente in africa orientale e africa del sud, anche se ne esistono dei gruppi (molti non lo sanno) in Iran.E’ considerata specie in pericolo, e sembra che ne esistano solo circa 7.500 esemplari concentrati appunto nell’Africa australe e meridionale.
E’ una specie ancora soggetta al bracconaggio, sia per la pelle che per il fatto che spesso i bracconieri uccidono le madri per impadronirsi dei cuccioli, i quali, se presi da piccoli, sono facilmente addomesticabili.
Anche senza questi pericoli addizionali portati dall’uomo, la vita del ghepardo è forse tra le più grame tra i felini. Il ghepardo non è solo un predatore (con le conseguenti fatiche per procurarsi le prede) ma anche una preda. Lo è soprattutto da piccolo, quando la madre, di taglia decisamente più piccola degli altri felini, non è in grado di difenderli dagli attacchi dei leoni, suoi principali predatori. Per questo, dopo aver partorito da 1 a 8 piccoli (di solito 3-5) li deve spostare in continuazione, per far perdere le tracce ai predatori. Deve però allontanarsi spesso per cacciare e questo frequentemente costituisce una condanna a morte per i suoi cuccioli. La mortalità infantile dei ghepardi raggiunge anche il 90%, e se una madre riesce a mantenerne in vita 3 è un vero e proprio successo. Numeri più alti sono rarissimi. I piccoli hanno pelo grigio con folta criniera sul dorso, cosa che li aiuta a mimetizzarsi tra l’erba della savana, a volte la loro sola possibilità di salvezza. Secondo alcuni il mantello grigio li fa somigliare a piccoli tassi del miele, specie evitata da tutti gli animali della savana per il suo caratteraccio e i suoi denti aguzzi. Il mantello comincia a cambiare colore di solito tra i 3 e i 6 mesi, a seconda delle condizioni ambientali, ma qualche volta rimane invariato anche al di sopra dell’anno di età.
Solo dopo circa 40 giorni cominciano a seguire la madre, che spesso porta loro piccole prede ancora vive per insegnare loro a cacciare. In questo momento aumentano le possibilità di sopravvivenza che non sono comunque ancora molto alte. Solo verso i 12-20 mesi, nel momento in cui la madre li abbandonerà, avranno buone possibilità di portare a termine per intero il loro ciclo di vita, comunque abbastanza breve, in genere attorno ai 7 anni. La maturità sessuale viene raggiunta a circa due anni.
Questa loro ciclo di vita difficilissimo (anche da adulto può essere predato soprattutto dai leoni) fa facilmente immaginare perché questo meraviglioso ed elegante animale abbia una certa difficoltà ad uscire dal tunnel della specie in pericolo.

05 LEOPARDO (LEOPARD)
Sono ben pochi i felidi con una scelta di prede più varie del leopardo. Temutissimo anche dai Masai, molto più del leone, il leopardo è certamente il felino che l’uomo deve evitare di più. La sua dieta va da piccoli animaletti come lo scarabeo stercorario a grosse antilopi. Una preda di notevoli dimensioni può fornirgli cibo anche per una settimana, ma di solito il leopardo caccia ogni tre giorni, con frequenza doppia per le femmine con i cuccioli.
I cuccioli sono in media 2 o 3 e vengono svezzati per tre mesi. Restano con la madre per circa un anno, dopodiché formano spesso gruppi di fratelli che si sciolgono non appena arriva l’età riproduttiva. Il periodo di gestazione dura invece poco più di tre mesi.
Tecnicamente il leopardo potrebbe vivere in qualsiasi ambiente che gli garantisca cibo e riparo: per questo esistono parecchie specie diverse in giro per il mondo. Ma per quel che riguarda la specie avvistabile nei safari parliamo di una sola specie, la Panthera pardus pardus. Il leopardo si distingue dal ghepardo oltre che per la taglia, più grande e possente, anche per la presenza nella parte centrale del mantello di rosette nere (chiazze che ricordano una rosa o piccole orme di felino), mentre nel ghepardo sono semplice macchie tondeggianti su tutto il corpo, macchie simili a quelle sugli arti e sul muso del leopardo.
Le femmine sono molto più piccole dei maschi.
Tanto gli arti quanto le mascelle del leopardo sono estremamente possenti, adatte ad afferrare e immobilizzare anche prede più grande di lui. La forza degli arti gli permette anche di arrampicarsi sugli alberi dove può trascinare le prede per divorarle al riparo di attacchi di jene e sciacalli che da soli non gli creerebbero nessun fastidio, ma che in gruppo potrebbero riuscire a scacciarlo. Essendo relativamente al sicuro sugli alberi, non è raro avvistarlo proprio tra i rami dove spesso si stende per riposarsi o semplicemente per osservare l’ambiente circostante in pieno relax.

06 LEONE (LION)
Certamente il felino più conosciuto, non ha certamente bisogno di essere descritto. Unico tra i felini ad avere un comportamento decisamente sociale, in Africa orientale capita spesso di avvistare numerosi gruppi di leonesse con i piccoli, che sono quelli che entusiasmano di più i turisti. Sono delle vere e proprie nursery di femmine, di solito consanguinee che si organizzano per difendere i cuccioli e allo stesso tempo cacciare in gruppo. Considerato che un leone adulto ha bisogno di 5-6 chili di carne al giorno, non è difficile immaginare che questo animale sia considerato una vera e propria macchina di guerra, così come è facile immaginare che preferisca le prede più grosse. Tuttavia i leoni non attaccano quasi mai elefanti e rinoceronti, così come raramente prendono di mira le giraffe adulte, delle quali temono molto i pericolosissimi calci.
Il bufalo è la preda preferita, che avvicinano lentamente e con molta pazienza badando bene a mantenersi sotto vento. Essendo cacciatrici di gruppo le leonesse si organizzano in modo tale da accerchiare il gruppo di prede, con alcune di esse che irrompono nel gruppo seminando il panico e spingendo alcune prede proprio verso altre leonesse appostate. I ruoli non sono affidati al caso, ma la struttura sociale dei branchi ha già stabilito in precedenza quali sono le battitrici e quali sono invece le cacciatrici. I maschi, che vivono di solito isolati o a piccolissimi gruppi, ma non lontano dai gruppi di femmine, intervengono qualche volta di prepotenza, quando la preda è già cacciata, scacciando le femmine e pretendendo priorità nel banchetto.
I leoni maschi si allontanano dal gruppo familiare quando raggiungono l’età adulta: vivono inizialmente in gruppi di fratelli, per poi “accasarsi” con un gruppo di leonesse, magari scacciando un vecchio maschio. Le leonesse si allontanano dal gruppo per l’accoppiamento: a volte sono parecchi i leoni che seguono la stessa leonessa, ma una volta scelto il proprio maschio, gli altri si allontanano. La leonessa è in genere più ardente del maschio e gli si avvicina continuamente cercando di sollecitare l’accoppiamento. L’accoppiamento in sé dura pochissimo, ma si ripete a distanza di una decina di minuti per molte volte. Dunque se capita di vedere un accoppiamento, è uno spettacolo che può durare diverso tempo.
Le femmine partoriscono tutte nello stesso periodo e allattano indifferentemente i piccoli di tutto il gruppo.
Contrariamente a quanto si può pensare, benché il leone sia indubbiamente il re della foresta, non avendo alcun predatore in natura, Masai e tribù africane non lo temono quanto temono il leopardo.
Questo perché il leone tendenzialmente non considera l’uomo tra le sue prede e gli attacchi sono ben più rari di quelli del leopardo.

07 ELEFANTE AFRICANO ( AFRICAN ELEPHANT)
Il più grande mammifero della terra si può considerare come unico sopravvissuto di un numeroso gruppo di animali preistorici dotati di proboscide che popolavano la terra 50 milioni di anni fa.
Molto più grande del suo cugino asiatico l’elefante africano è dotato di lunghe zanne che altro non sono che i denti superiori particolarmente sviluppati: nei maschi adulti arrivano anche a tre metri ed è molto comune vedere maschi con zanne lunghissime a Ngoro Ngoro. Molti non sanno che oltre a questi denti, gli elefanti hanno anche 4 molari che cambiano di tanto in tanto. Ovviamente le zanne vengono usate per scortecciare gli alberi oppure negli scontri tra maschi per dimostrare la loro forza ed intimorire l’avversario. Tuttavia la cosa che genera più curiosità nell’uomo è proprio la proboscide che si può considerare un unico organo sostitutivo di labbro superiore e naso. Ed infatti l’elefante lo usa come tale, per annusare e toccare (potremmo dire che è anche una mano!). Con la proboscide l’elefante può sradicare alberi ma anche raccogliere un fagiolo, può stritolare una persona o raccogliere con delicatezza un cucciolo. La usa anche per bere, aspirando l’acqua e sparandosela in bocca. Può capitare di vedere anche un animale raccogliere la polvere e gettarsela addosso sulla pelle: lo fa per prevenire scottature solari ma anche per proteggere la pelle da insetti e parassiti. Allo stesso modo usa la proboscide come doccia, per rinfrescarsi. Un altro organo particolarmente grande come le orecchie serve invece, tra le altre cose, ad abbassare la temperatura corporea: quando l’animale sventola le orecchie, percorse da numerose venuzze, riesce a raffreddare la temperatura del sangue anche di 5 gradi. Ma bisogna fare attenzione quando si nota un comportamento del genere, perché potrebbe anche rivelare un certo nervosismo. L’elefante, come il bufalo e l’ippopotamo, soprattutto al di fuori dei parchi dove non è abituato alla presenza umana, potrebbe essere pericoloso perché non esita a caricare le automobili se infastidito.
Dunque è buona norma avvicinarsi lentamente e soprattutto avere sempre una via di fuga se ci si avvicina troppo o se si nota che, oltre a sventolare le orecchie gli elefanti tendono a pestare i piedi e barrire: potrebbe essere un preavviso di una carica.
Questi animali straordinari hanno nel loro cervello una vera e propria mappa del territorio dove vivono. Proprio per questo è sempre meglio evitare di tagliare loro la strada, perché molto spesso non scelgono a caso il punto dove attraversare una pista o la via di avvicinamento ad una pozza d’acqua. Costringerli a cambiare piano o itinerario perché ci mettiamo in mezzo, oltre a disturbarli crea in loro un certo nervosismo. A dimostrazione di questa loro mappatura del territorio potrà capitare di osservare che spesso il branco attraversa la pista a pochi centimetri da una automobile se essa stessa si trova nella direttrice del loro sentiero prefissato.
I grossi branchi con i piccoli sono sempre guidati da una femmina, mentre i maschi restano con il branco della mamma fino ad età adulta, dopodiché si separano e formano branchi di maschi, oppure vivono in solitaria, soprattutto in età avanzata.
La gestazione dura ben 22 mesi e il piccolo viene allattato per tre - quattro anni. Le femmine cominciano ad essere fertili intorno ai 10 anni e partoriscono in genere ogni 4 anni, ovvero fino a quando non allattano più il cucciolo precedente. I legami del gruppo sono comunque fortissimi ed un’altra elefantessa può fare da mamma ad un cucciolo non suo, rischiando anche la vita per difenderlo.

08 BUFALO NERO AFRICANO (AFRICAN BUFFALO)
Il bufalo nero africano è il bovino più diffuso in Africa. Facile da riconoscere, visto che ha l’aspetto classico del bovino, il suo riconoscimento diventa ancora più semplice se si osserva la testa che è caratterizzata dalla vicinanza della base tra le due corna. Nei maschi adulti si avvicinano ancora di più fino a coprire tutta la parte occipitale, lasciando libera solo una linea mediana che sembra una riga tra i capelli!
Ce ne sono 4 o 5 specie diverse, ma il nome generico di bufalo nero africano e il suo corrispondente inglese le raggruppa tutte per semplicità.
Con il suo peso che varia tra i 600 e i 900 chilogrammi, il bufalo rappresenta il “piatto preferito” dei branchi di leoni, proprio perché la sua mole permette di sfamare un branco di leonesse di medie dimensioni. Tuttavia non è una preda facile, perché sono veloci, agili e resistenti nella corsa ed è anche possibile, che, passato il primo momento di panico, i bufali si organizzino fronteggiando anche i leoni. Per questo motivo le leonesse in caccia devono essere rapide e organizzate!
Singolare invece il fatto che le femmine tendano a non abbandonare mai il maschio, per cui se fosse il maschio a soccombere sotto i colpi dei predatori, molto spesso anche le femmine si espongono al pericolo di essere sbranate perché tendono a rimanere vicine al loro maschio.
Vivono in branchi spesso di 100 capi o più, anche se i branchi sono formati da strutture familiari più piccole, comprendenti un maschio, alcune femmine e alcuni piccoli o giovani. Queste strutture familiari si riuniscono a volte a formare diversi branchi per cui non è raro riuscire a vedere gruppi anche di 400 o 500 bufali. I capi branchi possono essere diversi, di solito maschi di grossa taglia, anche se di fatto è una femmina anziana a guidare il branco, al maschio viene affidato il compito di difenderlo.
Molti maschi vivono solitari e si riuniscono ai branchi solo nel periodo di riproduzione. Anche i maschi anziani di solito vivono da soli ma non sono per niente delle prede facili per i leoni, a meno che non siano malati. Sono proprio questi gli esemplari più bellicosi, quelli che a volte caricano anche gli umani, se disturbati.
Il periodo degli amori varia secondo le condizioni atmosferiche. La gestazione si protrae per 11 mesi e il vitello nasce coperto da un mantello rossiccio.

09 GNU (BLACK/BLUE WILDEBEEST)
Assieme a bufali e zebre sono senza dubbio il pasto preferito dei grandi predatori. Gli gnu vivono sempre in grossi branchi, che si spostano con il cambiamento delle stagioni, nel perenne inseguimento dei pascoli migliori. La loro migrazione influenza fortemente la presenza di altri animali, visto che i grossi branchi di gnu sono spesso inseguiti dai grandi predatori.
Le specie sono due (connochaetes gnou e connochaetes taurinus), ma non sono facilmente distinguibili: una è leggermente più grande (circa un metro e mezzo di altezza) e più scura. Sia maschi che femmine sono dotate di corna anche se quelle delle femmine sono leggermente più corte.
Si riconoscono, oltre che per le forme e l’andatura vagamente sgraziata, per il lungo pelo sulla parte inferiore del collo che forma una specie di barba caratteristica.
Le due specie si distinguono invece più facilmente per la stagione di riproduzione: la specie gnou partorisce solo a marzo, mentre la taurinus partorisce in aprile e agosto/settembre.
I grossi banchi sono in realtà costituiti da più piccoli branchi costituiti da harem di maschi che, nella specie taurinus, può arrivare anche a 150 femmine. In realtà nel gruppo ci sono anche i giovani maschi che non costituiscono un pericolo per il maschio dominante e si sentono protetti dagli adulti.
Le enormi mandrie possono arrivare ad essere composte da migliaia di individui e non è raro, nel periodo della migrazione per la ricerca dell’acqua e dei pascoli migliori, trovare un’unica mandria che può essere lunga anche oltre 10/15 chilometri.

10 GIRAFFA (GIRAFFE)
Altro animale del quale non serve certamente fornire la descrizione, quello che però a volte sfugge agli osservatori è la differenza tra le varie specie di giraffa, soprattutto le due più diffuse, la reticolata e la Masai. Nel Serengeti si vedono giraffe Masai, riconoscibili per le loro chiazze irregolari e di dimensioni decisamente diverse. La giraffa reticolata, molto diffusa particolarmente a Samburu, ha invece chiazze più regolari, che ricordano un po’ un guscio di tartaruga.
I maschi possono superare i 5 metri, mentre le femmine sono più piccole e generalmente dalle chiazze meno marcate. Sia maschi che femmine sono dotate di corna, che in realtà sono escrescenze ossee ricoperte di pelle. Il nome giraffa deriva dall’arabo xirapha, che significa “cammina velocemente”
I suoi predatori principali sono leoni leopardi e iene, anche se gli esemplari adulti sono abbastanza temuti soprattutto dai felini, per la potenza dei loro calci. La giraffa è particolarmente vulnerabile quando deve bere, perché la sua stazza non le permette di abbassare il capo con molta facilità. Per bere è costretta a divaricare gli arti anteriori. Dato che normalmente il cuore deve pompare il sangue con molta forza per raggiungere la testa, quando è in posizione eretta, nel momento in cui la testa si abbassa, entrano in azione una serie di valvole unidirezionali che regolano il flusso del sangue per evitare danni al cervello. Un vero capolavoro della natura. Tuttavia quando la giraffa si trova in questa posizione un po’ goffa, è certamente vulnerabile, quindi l’avvicinamento all’acqua avviene sempre con molta circospezione.
Le femmine si accoppiano con i maschi dominanti, che per stabilire il loro dominio ricorrono ad un rituale non violento definito “necking”. Consiste nell’intrecciarsi del collo con piccoli urti della testa. E’ un rituale che si ripete spesso tra i giovani maschi, o all’arrivo di un nuovo maschio nel territorio. Il vincitore sancisce il suo successo, simulando la monta dell’animale vinto.
Il periodo di gestazione è lunghissimo, intorno ai 15 mesi, e la mamma partorisce quasi sempre un piccolo, molto raramente due.

11 SCIACALLO DALLA GUALDRAPPA (BLACK BACKED JACKAL)
E’ certamente lo sciacallo più facile da avvistare in Kenia e Tanzania ed è anche abbastanza facile da classificare. Non molto dissimile da un cane o una volpe lo sciacallo dalla gualdrappa si riconosce per il mantello bruno rossiccio con una macchia grigio/nera a forma di sella sul dorso (da qui il nome gualdrappa). La coda è di colore nero ed irsuta, simile di aspetto a quella della volpe ed è l’unico sciacallo ad avere la punta della coda bianca. A dispetto del nome, che evoca disgusto, se l’animale è sano è anche molto piacevole da vedersi, con un simpatico musetto a metà tra il cane e la volpe.
Si nutre non solo di carogne, fungendo da spazzino della savana, ma, se queste scarseggiano, si procura piccole prede da solo: topi, tartarughe, serpenti. Si possono avvistare sia animali solitari, sia piccoli gruppi familiari o consanguinei. Sono animali estremamente territoriali e marcano il loro territorio con l’orina: gli scontri per il territorio non sono però così cruenti ed in genere si risolvono con atteggiamento di sottomissione dell’animale perdente.
Il Serengeti è uno delle poche zone dove si sovrappongono tutte e tre le specie di sciacallo: oltre a questo, lo sciacallo striato e il dorato.
Entrambi i genitori collaborano alla crescita della prole: di solito la femmina partorisce 4-5 cuccioli ed il maschio va a caccia mentre la femmina allatta i piccoli. Quando il maschio ritorna alla tana la famiglia lo accoglie mugolando a coda alzata. Il maschio rigurgita il cibo che spesso la femmina mastica di nuovo e consegna ai piccoli. Le tane sono quasi sempre in vecchi termitai abbandonati.
I piccoli dipendono dai genitori fino a 10 mesi / un anno, anche se cominciano a cacciare da soli a 8 mesi. Non cacciano in branco ma lo fanno molto spesso in coppia. La loro tecnica di caccia, soprattutto quando cercano di catturare la loro preda preferita, i piccoli di gazzella, è davvero interessante. Mentre uno distrae la madre, provocandola fino a farsi caricare, l’altro, che si tiene sempre defilato quasi a far dimenticare la sua presenza, cattura il piccolo, lo uccide e lo porta fuori dalla portata della madre.
Se si vedono invece gruppi di sciacalli significa che c’è una carogna in circolazione, l’unico caso in cui gli sciacalli si riuniscono in branco, peraltro manifestando la loro litigiosità e aggressività, non solo nei confronti dei loro simili, ma anche nei confronti degli avvoltoi che contendono loro la carogna.

12 IRACE/PROCAVIA (ROCK HYRAX OR DASSIE)
Benché l’irace abbia la forma e la dimensione di un coniglio, i suoi dati genetici dicono che è strettamente imparentato a mammiferi come l’elefante e il rinoceronte, il che fa decisamente sorridere, visto che di certo non gli somiglia! Si vedono soprattutto tra le rocce, che costituiscono il loro habitat e rifugio ideale. I cuscinetti delle piante dei loro piedi, infatti, sono inumiditi da secrezioni ghiandolari che favoriscono la presa e, assieme al dito opponibile degli arti posteriori, consentono loro di arrampicarsi agevolmente anche su rocce molto scoscese. Sono estremamente adattabili a situazioni estreme, dato che necessitano di quantità limitate di acqua e si nutrono di qualsiasi tipo di vegetazione. La pelliccia è di colore grigio bruno ed è una cosa interessante notare come nelle aree più umide il colore sia più scuro, mentre è più chiaro nelle aree più secche. Vive in colonie miste solitamente composte da pochi animali (ma possono arrivare anche a 30-40 individui).
Un maschio può avere un harem solitamente di 3-7 femmine e difende con veemenza il proprio territorio nel periodo della riproduzione. Le femmine vanno in estro in modo tale da partorire nella stagione delle piogge.
Amano stare al sole, soprattutto al mattino, ma evitano di farlo quando le temperature sono particolarmente elevate, preferendo riposare all’ombra. Si nutrono soprattutto al mattino dopo essersi goduti il sole e nel tardo pomeriggio. Sono animali prevalentemente diurni e non amano molto il freddo. Quando fa freddo può capitare di vederli rannicchiati uno contro l’altro per riscaldarsi.
Il nome inglese di Dassie sembra sia una storpiatura di Das, che in olandese vuol dire tasso, dato che i primi boeri lo chiamavano così per la sua vaga somiglianza al tasso.

13 OTOCIONE (BAT EARED FOX O LONG EARED FOX)
E’ un canide molto simile alla volpe ed infatti il nome inglese è bat-eared fox. Sono proprio le enormi orecchie la caratteristica morfologica che permette di riconoscerli con una certa facilità.
Sono animali prettamente notturni, anche se capita ogni tanto di vederli di giorno, generalmente molto vicino alle tane e più spesso al mattino. Fortemente territoriali, usano segnare il loro territorio con l’urina, comportamento che, come nel caso di molti canidi, si accentua quando sono disturbati o infastiditi, a mo’ di sfida e avvertimento nei confronti degli intrusi.
Si nutrono prevalentemente di larve e insetti, anche se non disdegnano uccelli, uova, serpenti e piccoli mammiferi. Termiti e scarabei stercorari costituiscono comunque la maggior parte della loro dieta e proprio per questo non dipendono molto dall’acqua, dato che ottengono la maggior parte dei liquidi proprio dagli insetti. Particolare interessante è che hanno ben 48 denti, più di qualsiasi altro mammifero non marsupiale. Le lunghe orecchie, segno di un ottimo udito, vengono utilizzate proprio per carpire i movimenti di larve e termiti nel terreno: avvicinando le orecchie al terreno riescono a carpire il rumore di una larva che si muove! Se capita di osservarli si potrà notare che molto spesso, quando riposano, tendono a guardare in alto, soprattutto se cuccioli. Sono infatti predati soprattutto dalle aquile, anche se devono spesso guardarsi anche da predatori di terra come sciacalli e i felini di una certa taglia.

14 MANGUSTA STRIATA (BANDED MONGOOSE)
Ne esistono ben 35 specie, ma quella più facile da avvistare da queste parti è la Mangusta striata. Il nome stesso ne evoca l’aspetto: ha il pelo grigio con striature trasversali nere. Le manguste che vivono nelle zone più umide sono di colore più scuro di quelle che vivono nelle regioni più aride. Vive soprattutto nella aperta savana ed è abbastanza facile avvistarla, perché è un animale ad attività prevalentemente diurna. E’ più facile vederla vicino ai termitai perché si nutre anche di termiti e utilizza quelli abbandonati come tana e rifugio. Oltre alle termiti la sua dieta prevede uova, minuscoli animali e altri insetti.
Vive in grossi gruppi di 15/20 individui, costituiti soprattutto da femmine e giovani, mentre i maschi stanno di solito alla larga e si avvicinano solo nel periodo della riproduzione, dando peraltro un contributo pressoché nullo all’allevamento della prole. Particolare interessante è che all’interno del gruppo sono solo le femmine dominanti che si accoppiano e restano legate alla prole per lungo tempo alla quale insegnano le tecniche di caccia e di procacciamento del cibo. Uno studio interessante ha dimostrato come le manguste usino due tecniche per rompere, ad esempio, un uovo: alcune lo tengono tra le zampe e lo rompono con il capo. Altre lo gettano a terra contro un sasso. All’interno delle stesso gruppo si possono notare entrambe le metodologie comportamentali, ma i figli usano sempre la tecnica insegnata loro dalla madre!
Questo animali è famoso per essere un grande cacciatore di serpenti, tra cui il cobra: va ricordato che non è per nulla immune al veleno del cobra: se morsa, anche lei morirebbe, ma la sua abilità sta nell’essere molto più veloce del cobra e riuscire ad afferrargli la testa quasi sempre prima di essere morsa. Quasi sempre.

15 GENETTA (GENET)
La genetta è un mammifero dalle dimensioni simili a quelle di un gatto: interessante il fatto che oltre ad assomigliare ad un gatto, fa le fusa, ha le unghie retrattili, è ghiotto di topi e roditori ma non è un felino! Appartiene infatti alla famiglia dei viverridi, la stessa dei suricati.
E’ un grande arrampicatore e proprio per questo ha la coda molto lunga, per poter mantenere l’equilibrio sui rami. E’ un animale prevalentemente notturno, ma può capitare di avvistarlo con un certa frequenza al campo di Ndutu, Serengeti (in realtà Ndutu fa parte amministrativamente di Ngoro Ngoro, anche se geograficamente si trova nel Serengeti). Qui si fa vedere soprattutto la sera ma a volte anche durante il giorno. Data la sua silenziosità nel muoversi può capitare a volte di passarle molto vicino e di non vederla.
I maschi sono più grandi delle femmine ma raramente superano i due chili. Hanno il pelo di colore grigio-marrone, maculato, anche se può capitare di vedere alcuni animali di colore nero e non è raro neppure l’albinismo. Gli occhi sono molto grandi, anche per le sue abitudini notturne e riesce a vedere le prede anche con una luce molto tenue. La pelliccia è davvero molto morbida e pulitissima, visto che dedica molto tempo alla pulizia. Se si ha la fortuna di toccarla (è possibile toccare le genette di Ndutu se ci si avvicina con molta circospezione) è davvero un piacere.
La femmina partorisce da due a 4 piccoli e i cuccioli stanno con la madre fino a circa un anno di età.
Secondo recenti studi paleontologici sembra che la genetta sia stata introdotta in Europa (dove peraltro non è molto comune avvistarla) proprio da popolazioni provenienti dall’Africa. D’altra parte era sicuramente comune in Egitto nel periodo della civiltà Egiziana e data la sua parziale attitudine ad essere addomesticata veniva usata come cacciatrice di topi in alternativa ai gatti.
L’abitudine di tenere genette in casa ha preso piede anche in Europa fino al medioevo, quando è stata sostituita completamente dal gatto domestico che era di più facile gestione. L’allontanamento dai luoghi abitati in Europa ha portato alla drastica diminuzione di animali, probabilmente per la forte presenza di predatori (volpi, lupi, rapaci) in un ambiente ristretto. Fortunatamente è ancora abbastanza diffusa in Africa.
La sua dieta è varia, oltre a piccoli mammiferi ed anfibi, può mangiare anche vegetali, frutta, insetti.
Cerca spesso la vicinanza dell’uomo, e dei luoghi abitati, anche in Africa, perché può essere un deterrente alla predazione dei suoi principali nemici, i felini.

16 CERCOPITECO ( CERCOPHITECUS)
Una delle scimmie più intelligenti e anche di più facile avvistamento in Tanzania. Facilmente riconoscibili per il loro pelo di colore chiaro e per gli “attributi” maschili di un assai improbabile e singolare colore azzurrino, i cercopitechi vivono in grandi famiglie chiassose che si rifugiano sugli alberi in caso di pericolo. Contrariamente a quanto si può pensare, i cercopitechi non temono particolarmente i grandi predatori (mammiferi) perché sono rapidi nella fuga e a ripararsi appunto negli alberi. I loro principali predatori sono i rapaci, in particolar modo l’aquila dal ciuffo, che è rapida nel piombare nel gruppo e artigliare la propria preda.
I cercopitechi sono anche abili nuotatori e non è raro vederli attraversare fiumi a nuoto durante i loro spostamenti. La loro capacità di adattamento nell’alimentazione li rende decisamente odiati dagli agricoltori che considerano una invasione di cercopitechi una vera e propria piaga. I danni alle colture sono a volte sono davvero considerevoli.
Ne esistono ben 45 specie, che differiscono il più delle volte semplicemente dal colore della pelliccia, anche se volte anche le dimensioni sono una caratteristica che li differenzia: basti pensare che i più grandi possono raggiungere i 50 kg. di peso, mentre i più piccoli, i cercopitechi nani, non superano il chilogrammo di peso.
La specie che si avvista più comunemente in Tanzania è il cercopiteco verde o il cercopiteco grigio-verde. Le sue abitudini prettamente diurne fanno sì che sia un animale facilmente avvistabile nei parchi Tanzaniani.
Una cosa molto curiosa è che spesso immagazzinano il cibo in speciali tasche delle guance in modo tale che nel caso arrivi qualche pericolo, possono scappare con il cibo in bocca.

17 IMPALA (IMPALA O ROOIBOK)
Gli impala sono probabilmente le antilopi più rumorose: quando sono in calore i maschi emettono dei rumorosi grugniti e i cuccioli belano. Inoltre, quando si sentono minacciati tendono a sbuffare rumorosamente.
Si riconoscono per il mantello di colore che va dal rosso fulvo al marrone e presenta striature nere e sia sul fianco che sulla coda. Sono antilopi di taglia media, e possono raggiungere i 75 chili di peso e il metro di altezza. Le corna sono a spirale e vengono usate per i combattimenti. Nel periodo degli accoppiamento si assiste molto facilmente ai combattimenti dei maschi per il territorio e per la conquista delle femmine: per il maschio dominante la vita è certamente molto dura visto che deve combattere in continuo con altri maschi, guidare il branco di femmine e accoppiarsi con esse. I maschi sconfitti o giovani si radunano generalmente in branchi di “scapoli”. Le femmine partoriscono generalmente un solo piccolo. Dopo pochi giorni madre e piccolo si riuniscono in branchi di femmine con i piccoli. Nella stagione umida i branchi tendono invece a diventare più grandi. Il sistema di difesa dei branchi è estremamente efficace, con le impala sentinella, che si danno il turno ai margini del branco stesso, che lanciano segnali di allarme in caso di pericolo. Gli impala in allarme diventano delle prede molto difficili, quasi impossibili
Vederli correre è un vero piacere perché spiccano salti lunghissimi, caricandosi sulle zampe posteriori, stendendole per poi atterrare su quelle anteriori. Non lo è certamente per i predatori, che, se perdono l’effetto sorpresa, difficilmente riescono a catturare questa antilope se non con la tecnica dell’agguato. Con i suoi salti, alti anche fino a tre metri, e lunghi fino a 10 metri, l’impala supera praticamente quasi tutti gli ostacoli della savana. Tuttavia se li si vede correre e saltare, non è detto che siano inseguiti da un predatore: a volte, infatti, corrono e saltano semplicemente per divertirsi.
A differenza della gazzella di Thomson il nome Afrikaan Rooibok non è molto usato.

18 GAZZELLA DI THOMSON (THOMSON’S GAZELLE O SPRINGBOK)
Certamente la gazzella più comune in Africa, anche in Tanzania è letteralmente impossibile non riuscire ad avvistarla.
Animale agilissimo, è una gazzella di piccole dimensioni, dal mantello a tre colori principalmente: bruno rossiccio nella groppa, ventre bianco separato da una riga nera all’incirca a metà del corpo, che corre lungo il fianco.
Benchè il nome inglese sia Thomson’s gazelle, anche i popoli di lingua inglese usano in gran parte il nome afrikaans springbok che vuol dire antilope saltante.
Hanno bellissime corna ad anelli, lunghe, appuntite e piegate leggermente all’indietro. Frequentano indifferentemente la savana o pascoli meno ricchi di acqua, se non addirittura deserti (famose le gazzelle della Skeleton coast, in Namibia)
Possono raggiungere i 60 chilometri all’ora e per sfuggire ai propri predatori compiono continui balzi e cambi di direzione. Il principale predatore è il ghepardo, mentre i leoni tendono ad ignorarle, non solo perché preferiscono prede più grandi (una gazzella di Thomson adulta raggiunge al massimo i 25 kg) ma anche perché è un animale troppo rapido ed agile per loro.
Si vedono spesso in numerosi gruppi, divisi per sesso (gruppi di maschi o gruppi di femmine) con i giovani che stanno fino ad una certa età con le femmine per poi formare a loro volta dei gruppi. Nel periodo della riproduzione i maschi tendono a formare degli harem che difendono con aspri combattimenti dalle invasioni di altri maschi.
I gruppi si mescolano molto spesso con altri gruppi di gazzelle, soprattutto con la più grande gazzella di Grant. La competitività tra maschi è comunque rivolta solo a maschi della stessa specie.

19 GAZZELLA DI GRANT (GRANT’S GAZELLE)
Le si avvista molto spesso in Kenya e Tanzania, mescolate ai branchi di gazzelle di Thomson.
La si distingue da quella di Thomson prima di tutto perché più alta (quasi un metro negli individui adulti) ma anche perché manca della caratteristica striscia scura sul fianco tipica delle Thomson.
Si cibano di foglie ed erba e sono tra i pochi ungulati che si riescono a vedere anche sotto il sole torrido, dando a volte l’impressione di non essere per niente infastidita da sole e alte temperature. Di solito si vedono in branchi di una ventina di individui, ma quando acqua e cibo tendono a scarseggiare i gruppi si riuniscono e diventano più numerosi. Sono tra le gazzelle più aggressive e i maschi ingaggiano combattimenti per difendere il territorio, anche se la loro aggressività sfocia nel combattimento solo come ultima risorsa: si fronteggiano ai limiti del loro territorio, ma prima di ricorrere al combattimento, si grattano nervosamente il corpo con le corna, fingono indifferenza brucando, agitano la coda. Solo se nessuno dei due rinuncia si affrontano per pochi secondi.
Queste loro dispute territoriali sono legate direttamente all’harem di femmine che possono “mantenere”: più grande è il territorio, maggiore sarà il numero di femmine che possono sfamare e che dunque entreranno nel loro territorio.
Essendo molto cacciate dai grandi predatori hanno sensi molti sviluppati, in particolar modo vista e udito, e hanno grande velocità e resistenza nella corsa. Sono inoltre tra le gazzelle che riescono a resistere per più tempo senza bere e questo dà loro modo, nel periodo delle nascita, di appartarsi in zone di savana particolarmente siccitose e prive di acqua, dunque poco frequentate dai grossi predatori. Le femmine al momento del parto si appartano e dopo il parto ingeriscono subito la placenta per evitare che l’odore attiri i predatori. I piccoli imparano presto a camminare ma sono molto vulnerabili nei primi giorni di vita, fin che non hanno imparato a correre. Dopo ogni poppata la mamma stimola il proprio piccolo a defecare, massaggiando con la lingua la zona anale e ingurgita gli escrementi in modo tale che non rimangano odori intorno al piccolo. Quel che si dice amore materno!
I piccoli sono più spesso vittime degli sciacalli che la madre a volte affronta senza paura. Dato però che spesso gli sciacalli cacciano in coppia, mentre uno la distrae, l’altro separa il piccolo dalla madre per ucciderlo. Ci sono però dei casi in cui gruppi di madri riescono ad affrontare più sciacalli. Le madri sono comunque molto vulnerabili quando hanno i piccoli, perché sono restie a scappare quando arrivano i predatori e questa indecisione risulta spesso fatale.
Quando sono in branco, le gazzelle di Grant hanno un sistema di difesa simile a quello delle impala, con individui sentinella che si alternano al margine del branco. Quando avvistano un pericolo cominciano a sbuffare e fare dei piccoli saltelli sul posto, segnale che sono molto vicine alla fuga.

20 ELAND (ELAND)
Una delle più grandi antilopi d’Africa ha purtroppo la fama di essere anche la più buona da mangiare, e questo spiega certamente perché sarà sempre molto difficile da avvicinare. Molti viaggiatori tornano a casa inevitabilmente con questa antilope fotografata di spalle, proprio perché non si ha neanche il tempo di avvistarla che già sta prendendo la fuga. Dotata di udito e olfatto acutissimi, quasi leggendari, se ci si trova sopravento vi è la certezza che l’antilope avvisterà o sentirà noi prima che noi possiamo vedere lei. Purtroppo anche questo aspetto ha fatto sì che l’Eland sia cacciato da sempre, con i cacciatori che hanno sempre raccolto la sfida da preda “difficile” e dunque hanno perseguitato la specie. Anche nei parchi dove sono protetti gli Eland hanno comunque la tendenza a tenere le distanze dall’uomo e proprio per questo è raramente visibile da vicino.
Il maschio è facilmente riconoscibile per la giogaia che ha sulla gola, una gobba sulla spalla e una spazzola di peli neri sulla fronte (se si riesce a vederli!). Ve ne sono diverse specie e la specie Eland gigante è considerata l’antilope più grande d’Africa. Anche le sue splendide corna a spirale che in alcune specie possono superare anche il metro la rendono appetibile come trofeo di caccia. Nel caso non si riconosca ancora da queste caratteristiche, basterà cercare le strisce bianche verticali nel manto marrone, caratteristiche sia dei maschi che delle femmine. Sono animali dal carattere dolce, e proprio per questo, si vedono facilmente mescolati ad altre antilopi più piccole. I branchi possono essere di dimensioni variabili, da pochi elementi a diverse decine.
La sua adattabilità a sopravvivere anche dove altri bovidi non riescono, grazie al fatto che ha una dieta molto varia, ha probabilmente contribuito a salvarla dall’estinzione a dispetto della caccia selvaggia dello scorso secolo. Disperdendosi in un territorio molto vasto, è riuscita a salvarsi.
Ora è ovviamente protetta in tutti i parchi anche se il bracconaggio soprattutto per i trofei di caccia non l’hanno ancora messa al sicuro.

21 AQUILA MARZIALE (MARTIAL EAGLE)
Marziale: mai nome fu più appropriato. E’ la più grande aquila dell’Africa e solo a guardarla incute rispetto e timore. L’apertura alare supera i 2,5 metri e può pesare fino a 6 chili. Il becco ed il piumaggio superiore sono di colore grigio mentre il ventre è candido, sia nel maschio che nella femmina. E’ un’aquila ferocissima e tra le sue prede ci sono piccole antilopi e piccoli mammiferi, tra cui anche l’Otocione citato prima. La si vede più facilmente nella savana aperta, con pochi alberi, mentre rifugge dalla foresta fitta, proprio perché nidifica su alberi isolati.
E’ una specie considerata in pericolo, perché nel passato veniva abbattuta dagli agricoltori in quanto la si considerava un pericolo per il bestiame. In realtà la predazione di animali dagli allevamenti è minima, e grazie ad una politica di conservazione e il calo della persecuzione, l’animale è in leggera ripresa, anche se è considerata ancora vulnerabile grazie anche allo scarso tasso di riproduzione (una femmina depone di solito due uova e non tutti i piccoli raggiungono l’età adulta).
Vive in tutta la parte meridionale dell’Africa, ma non è facilmente avvistabile come altri grandi rapaci.

22 NIBBIO BRUNO (BLACK KITE)
Se vi capita di essere a Ngorongoro e di fermarvi in uno dei posti da pic nic più famosi, sarete certamente assaliti da questo rapace, uno dei meno timorosi nei confronti della presenza umana.
Basta uscire dall’auto e mettersi a mangiare perché arrivi il nibbio di turno a rubarvi il panino prendendolo anche direttamente dalle mani.
Proprio questi (in generale tutta l’Africa subsahariana) sono i luoghi dove ama svernare, mentre d’estate è facile vederlo non solo nelle nostre campagne, ma spesso anche in città, dato che, come già detto, non è particolarmente infastidito dalla presenza umana, anzi, essendo un animale opportunista, ne è attratto se sa che può ricavarne del cibo, cosa piuttosto rara nei rapaci, di solito molto timidi. Sia da noi che in Africa può capitare di vederlo visitare le discariche, oppure in Africa molto spesso è attratto dai mercati all’aperto. Se visitate un mercato e vedete volteggiare in cielo un rapace marrone è molto probabile che sia un nibbio bruno, in attesa di piombare su qualcosa da mangiare!
Proprio perché di colore uniformemente marrone, non è facilmente distinguibile da molti altri rapaci, anche se uno dei tratti distintivi che possono aiutare al riconoscimento è la coda leggermente biforcuta, che agita in continuazione per cambiare direzione. E’ infatti un abilissimo volatore, come la maggior parte dei rapaci, ed è rapidissimo nelle evoluzioni e nelle picchiate che gli consentono di rubare il cibo o predare piccoli roditori o uccellini. Spettacolari i voli nel periodo riproduttivo, con maschi e femmine che spesso si agganciano in volo con gli artigli e si esibiscono in picchiate mozzafiato. I nidi vengono fatti nelle chiome degli alberi, in genere sulla sommità ad oltre 10 metri di altezza, e nel periodo della cova il maschio nutre la femmina e dopo la schiusa entrambi nutrono i piccoli anche se di solito è il maschio ad impegnarsi di più. La cova dura un mese e i piccoli si rendono indipendenti dopo circa un mese e mezzo. Non c’è dimorfismo sessuale e neppure mute stagionali e si riconoscono solo i giovani dagli adulti.

23 FALCO GIOCOLIERE (BATELEUR)
Il suo nome piuttosto insolito (come del resto l’aspetto) deriva dal fatto che possiede ali molto lunghe che spesso si toccano alle estremità in volo e questo, più il fatto che possiede una coda cortissima che per governare il volo piega in continuazione, da l’impressione che sia sempre in una fase di gioco e divertimento.
E’ molto facile da riconoscere non solo per le sue penne scure, ma anche per il becco giallo e rosso, caratteristiche piuttosto rare in un rapace. Femmine e maschi sono quasi uguali, con la femmina che ha le penne delle ali leggermente più chiare. Le coppie che si formano rimangono tali per tutta la vita e tendono ad usare sempre lo stesso nido, con i giovani che ancora devono giungere a maturità (che arriva dopo ben 7 o 8 anni) che danno una mano nel nido.
Gli immaturi hanno le penne di colore marrone.
Lo si vede spesso appollaiato sulle cime degli alberi, a guardare verso il basso in cerca di malcapitate prede. E’ uno dei pericoli maggiori per i serpenti, che assieme agli uccelli e i roditori sono alla base della sua dieta. Si nutre però anche di carcasse, tanto che può capitare di vederlo addirittura scacciare gli avvoltoi da qualche animale morto.

24 CAVALIERE D’ITALIA (PIED STILT)
Questo piccolo trampoliere si avvista negli specchi d’acqua poco profondi. E’ lungo al massimo 40 centimetri, e si riconosce per la sua colorazione caratteristica: nere sono le ali e la parte superiore, mentre il ventre è di colore bianco. Le lunghe zampe sono invece di colore rosso e si notano soprattutto durante il volo perché sono molto più lunghe del corpo e non vengono ritratte.
E’ un uccellino estremamente rapido ed elegante in volo, anche per il fatto che è leggerissimo, raramente supera i 200 grammi.
La specie che si trova in Africa è assolutamente identica a quella che si può vedere anche qui in Italia o in Europa, soprattutto nelle lagune e nelle paludi.
E’ un uccello socievole e lo si trova sempre in piccoli gruppi: maschi e femmine sono abbastanza simili, a parte alcune differenze che si notano soprattutto nel periodo degli amori. Chi non ha l’occhio allenato difficilmente riuscirà a distinguerli, tuttavia il maschio ha una macchia nera sul collo che diventa sempre più grande man mano che invecchia.
E’ un uccello che compie piccole migrazioni, quindi, a differenza delle cicogne, è alquanto improbabile che gli esemplari che si trovano in Tanzania verranno un giorno visti in Italia, anche se non impossibile.
Il nome scientifico Himantopus, deriva dal greco e significa “piede legato” ed è riferito alla lentezza con cui cammina.
Lo si nota nelle rive dei fiumi laghi e paludi perché la sua dieta è a base di larve, insetti e piccoli pesci. Proprio per questo ama di più le acque stagnanti rispetto alle acque correnti.
I piccoli hanno la cattiva abitudine di uscire presto dal nido, cosa che li rende estremamente vulnerabili alla predazione, a casa nostra dal falco di palude, in Africa da varie specie di rapaci.

25 BUFAGA (YELLOW-BILLED OXPECKER / RED-BILLED OXPECKER)
È il simpatico uccellino della famiglia degli storni che fa da fedele compagno ai grandi animali come il bufalo, il rinoceronte o l’ippopotamo. Il bufaga ha la caratteristica di nutrirsi degli ectoparassiti di questi e altri grandi mammiferi, la cui simbiosi porta reciproci vantaggi. Da una parte l’uccellino è ghiotto di larve, insetti e soprattutto zecche che costituiscono una vera piaga (oltre che un fonte di infezione) per i mammiferi di grossa taglia. E’ facile osservare delle antilopi o delle zebre che arrivano addirittura a bloccarsi quasi in trance quando sono sottoposte all’ispezione di questi uccellini che arrivano persino a controllare il naso e l’interno delle orecchie degli animali.
Restando impalati senza muoversi, trasmettono il messaggio al bufaga che la loro ispezione è gradita.
I bufaga si avvalgono per le loro pulizie di potenti e lunghi artigli, che utilizzano per arrampicarsi sul corpo dell’animale, come fosse un tronco, e dal becco, forte, allargato alla base e leggermente arcuato verso la punta, con il quale strappa le zecche dalla pelle degli animali.
Secondo alcuni studiosi, più che una simbiosi è una forma di parassitismo, perché è stato notato che a volte questi uccellini si nutrono anche del sangue dei loro ospiti, andando a frugare tra le piccole ferite della pelle. Resta comunque il fatto che liberano la pelle da parassiti molto fastidiosi.
Per quel che riguarda il riconoscimento, esistono due specie di bufaga, una dal becco colore rosso e l’altra dal becco color giallo. In entrambi i casi le penne sono di colore scuro e l’occhio di un bel colore rosso acceso.

26 BUCORVO (GROUND HORNBILL)
Qualcuno lo definisce un animale inquietante, e probabilmente questa sensazione di “pericolo” nasce dalla sua camminata che ricorda molto da vicino quella dei grandi predatori preistorici. D’altra parte le sue dimensioni sono ragguardevoli, può anche superare il metro per 5 chili di peso.
Il becco particolarmente pronunciato e minaccioso completa il quadro descrittivo di questo stranissimo uccello. Pur essendo in grado perfettamente di volare lo fa molto raramente, quando è minacciato o quando non riesce a farsi largo tra gli ostacoli. Preferisce camminare tra l’erba, catturando in continuazione insetti, che costituiscono generalmente la maggior parte della sua dieta. Si nutre però anche di piccoli mammiferi, topi, piccoli anfibi, carogne.
Ne esistono due specie, ma in Tanzania si avvista soprattutto il bucorvo cafro, dal caratteristico becco nero e dalla pelle intorno all’occhio e i bargigli di colore rosso vivo (nell’altra specie, il bucorvo abissino, la pelle non presenta questa colorazione). Impressionanti anche le lunghe ciglia degli occhi, una caratteristica decisamente umana! Le ultime penne delle ali sono bianche, ma questa è una particolarità che si nota solo in volo, non quando le ali sono ripiegate, cioè quasi sempre! In Tanzania si vedono più comunemente al parco del lago Manyara. Curiosità interessante è che questo uccello molto difficilmente si riproduce in cattività.
Si vedono di solito da soli o in piccoli gruppi, composti da un maschio dominante, alcune femmine e giovani, che dipendono dagli adulti fino all’età di 6 mesi/un anno. I maschi sono più grandi delle femmine ed hanno i bargigli più pronunciati. Molto interessanti da osservare quando hanno i piccoli, tendono a catturare gli insetti, posizionarli abilmente ai margini del becco, per poterlo aprire di nuovo se devono catturare altre prede. Quando hanno nel becco parecchi insetti, vanno finalmente a nutrire il piccolo.

27 INSEPARABILI DI FISCHER (FISHER’S LOVEBIRD)
Bellissimi pappagallini colorati, sono autoctoni, originari proprio della Tanzania, dove si avvistano in molte regioni. Assolutamente facili da riconoscere, hanno il becco di colore rosso vivo, come sono rosse le piume attorno al becco. Il colore va via via sfumando fino ad arrivare all’arancione della testa, al giallo scuro del collo, chiaro nel petto e termina con il verde nel resto del corpo, con variazioni bluastre nella parte superiore del corpo per alcune sottospecie. Maschio e femmina sono praticamente uguali sia per colori che per dimensioni. Quello che li rende ancora più belli è un cerchio bianco intorno all’occhio, che si chiama anello perioftalmico (presente comunque in molte specie di uccelli) e che rende l’impressione che l’occhio sia ancora più grande e più vivo di quello che è in realtà.
Gli inseparabili sono soggetti tuttora a cattura per essere allevati in cattività, grazie al loro carattere giocoso e socievole, il che li ha portati sull’orlo dell’estinzione. Ora sono protetti, anche se questa pratica continua clandestinamente. Fortunatamente esistono degli allevamenti organizzati che hanno abbattuto i costi (grazie anche alla facilità con cui si riproducono in cattività) e la cattura da parte dei bracconieri non è più lucrosa come lo era in passato. Sono molto amati per l’allevamento in casa, come animale da compagnia, in quanto se trattati bene perdono tutte le loro istintive paure e socializzano molto bene con l’uomo. Grattati sul collo gonfiano le penne per la soddisfazione! Si avvistano molto spesso in prossimità delle pozze d’acqua perché amano molto fare il bagno. Tra l’altro lo fanno ancora più spesso quando stanno covando le uova, perché aumentando l’umidità intorno alle uova stesse hanno maggiori garanzie di schiusa. Si vedono spesso a coppie, ma ancora più spesso a gruppi famigliari anche di 10- 20 individui.

28 GRU CORONATA (BLACK-CROWNED CRANE)
E’ la tipica e inconfondibile gru simbolo dell’Africa orientale, perché è proprio in queste regioni che si avvistano più facilmente (oltre che in alcune parti dell’Africa meridionale). Impossibile da confondere, la gru coronata si riconosce proprio per la “corona” ovvero per una cresta di colore oro-argenteo, formata da speciali penne filiformi, e per la testa caratteristica: l’occhio è di un azzurro intenso e le penne del capo sono nere sulla sommità e bianche nella zona delle guance. Presenta un bargiglio di colore rosso intenso e un altro inserto rosso appena sotto la corona. Il piumaggio è grigio sul petto, più scuro sul dorso con inserti bianchi sulle ali. Un’ altra caratteristica della gru coronata è l’abilità con cui sa posarsi sugli alberi, cosa che le altre gru non sanno fare. La si avvista più facilmente nelle vicinanze di acquitrini poco profondi, perché benché abbia il becco molto corto, caratteristica poco comune tra gli uccelli acquatici, predilige proprio zampettare tra il fango e l’acqua poco profonda alla ricerca di larve, piccoli anfibi e insetti. Può però capitare di vederle anche seguire grandi mammiferi per catturare gli insetti che vengono disturbati al loro passaggio e dunque si fanno facilmente individuare per il loro movimento. E’ una gru piuttosto grande, arriva a superare anche il metro di altezza, non c’è dimorfismo sessuale, ed il peso è intorno ai 4 chilogrammi. E’ una specie facile da avvistare soprattutto a Ngorongoro.

29 OTARDA DI KORI (KORI BUSTARD)
Con il suo peso che varia, in età adulta tra i 12 e i 18 chilogrammi, l’Otarda di Kori è uno degli uccelli volatori più pesanti al mondo. Per la verità capita raramente di vederla volare, ma quanto succede si rimane impressionati dalla massa enorme di questo uccello di colore bianco avorio sul petto e marrone scuro sul dorso.
E’ proprio a causa della sua mole, e dell’enorme sforzo prodotto nel volo, che le Otarde di Kori ricorrono al volo solo quando si vedono minacciate e in pericolo, oppure quando vengono spaventate. D’altra parte le lunghe zampe gialle sono provviste di tre sole dita, chiaro indice di abitudini terrestri. Come molti altri uccelli ha però una vista eccellente. Maschio e femmina sono uguali, a parte il fatto che la femmina è un po’ più piccola. Il maschio si riconosce facilmente nel periodo degli accoppiamenti perché tende a gonfiare le penne del collo e del petto, allargando le ali, per corteggiare le femmine. Il collo diventa fino a quattro volte più grande e le ali vengono abbassate fino a far toccare terra alle penne primarie. Una volta avvenuto l’accoppiamento, che dura pochissimo, il maschio riserva la parata ad un’altra femmina, dato che è poligamo, anche questa cosa non comunissima tra gli uccelli. Si avvistano di solito animali singoli che tendono a restare tra l’erba alta della savana. Di solito seguono gli animali di grossa taglia per nutrirsi di insetti che fuggono al loro passaggio, oppure prediligono anche zone che sono state devastate da incendi perché ripuliti dall’erba che nasconde gli insetti.

30 GHIANDAIA MARINA PETTOLILLA (LILAC-BREASTED ROLLER)
Sicuramente uno degli uccelli più popolari in questa parte d’Africa, uno di quelli che una volta avvistati non si dimenticano più e soprattutto non si confondono con altri. E’ la specie più bella tra le specie di ghiandaia (equivalente inglese è lilac brested roller ovvero ghiandaia dal petto lilla, come in Italiano). È un uccello un po’ più piccolo del corvo, ma con colori ben più sgargianti! Prevale l’azzurro e il verde e si riconosce da altre specie simili di ghiandaie marine presenti in Tanzania per il petto appunto color lilla. La si avvista di solito in zone alberate, anche se comunque aperte, ama posarsi su pali o tronchi di alberi morti da dove osserva l’ambiente circostante in cerca di prede, che sono di solito insetti, piccoli rettili, topolini. Per lo stesso motivo, a volte si posa anche su animali di grossa taglia, ben sapendo che attorno a loro gli insetti si muovono e sono dunque maggiormente visibili. Cattura molto spesso le prede posandosi a terra e le mangia indistintamente sul posto oppure volando di nuovo sul palo da cui era partito. Comportamento quest’ultimo che somiglia molto a quello dei martin pescatori e dei gruccioni, che d’altra parte fanno parte dello stesso ordine, oltre a somigliarsi per le bellissime colorazioni del piumaggio.
Non ci sono differenze tra i due sessi quindi maschio e femmina sono indistinguibili. Il corteggiamento è spettacolare perché avviene in volo e sono uccelli monogami. I piccoli hanno le penne di colore grigiastro ma sono difficili da vedere, visto che i nidi non sono allo scoperto ma su buchi di alberi. Usciranno dal nido solo quando avranno il piumaggio colorato.
Ha un verso inconfondibile, decisamente forte, anche se non capita facilmente di sentirlo.

Alla prossima puntata.

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