Sui Sentieri delle Apuane

Tre giorni alla scoperta del parco naturale delle Alpi Apuane

Era ancora inverno quando Roberta ci propose questo itinerario, un breve trekking, organizzato dall’associazione delle Ciaspole, sulle Alpi Apuane. Subito ci interessiamo a questo itinerario ma, purtroppo, le date non sono congeniali per il lavoro di Marco così decido di andarci da sola. Da sola si fa per dire perché alla fine eravamo in 51.

Itinerario

11 giugno 2010
Partiamo alle 7 di mattina in direzione di LEVIGLIANI dove arriviamo poco prima di pranzo. La giornata è soleggiata e piacevole, forse un tantino calda per noi abituati al tempaccio che ormai da giorni ci perseguita.
Levigliani si trova ad una quota di 650 metri, in una posizione particolare ai piedi del CORCHIA, immerso nel verde dei boschi di castagno. Alzando lo sguardo verso le montagne vediamo le inconfondibili miniere di marmo. Appena lasciata l’autostrada abbiamo comunque avuto modo di confrontarci con una delle risorse portanti di questa zona.
Si dice che furono gli Apuani, di chiara origine Ligure, i primi ad abitare questo territorio, prima ancora di divenire un possedimento romano.
Fatto pranzo ci dividiamo i due gruppi per poter visitare le grotte turistiche dell’ANTRO DEL CORCHIA.
Queste grotte, circa 60 chilometri di gallerie e pozzi, sono situate in quello che si può definire il più grande sistema carsico attualmente conosciuto in Italia: il massiccio del monte Corchia. Per la presenza di tutte queste gallerie e grotte il monte Corchia è anche chiamato “La Montagna Vuota”.
Dal 2001 è stato attrezzato un percorso di circa 2 km, con passerelle e scalini, per consentire lo sfruttamento turistico della zona, ed è questo il percorso che, accompagnati da una guida, faremo anche noi all’interno di questo fantastico mondo sotterraneo.
La nostra guida è molto brillante e la visita oltre ad essere interessante è anche molto piacevole. Quando la guida è poco brillante si riduce ad essere un elenco di nozioni e informazioni che il povero turista ascolta sbadigliando, ma se la guida è brillante, come in questo caso, le stesse nozioni e informazioni sono assimilate dal turista con immenso piacere e anche con un po’ di avidità per quanto gli viene raccontato.
Dal paese di Levigliani prendiamo il bus navetta che ci porta all’imbocco dell’Antro e dopo aver indossato una maglia, all’interno della grotta le temperatore si aggirano intorno ai 6-7 gradi, e posato i nostri zaini siamo pronti per seguire la guida lungo le gallerie e le meraviglie di questo posto.
Il primo ad esplorare l’Antro del Corchia fu un certo Emilio Simi, un naturalista originario proprio di Levigliani, nel 1840.
Stalattiti, stalagmiti, colonne, perfino un laghetto, sono un esempio delle meraviglie che i nostri occhi incontrano via via che ci addentriamo nella grotta. La parte migliore, secondo me, è senza dubbio l’anello che percorriamo circa a metà percorso. Spettacolare!
Usciti dalle grotte ci prepariamo per la salita al rifugio. Il sole è veramente caldo. Prendiamo il vicino sentiero che sale zizagando per la montagna. Il caldo è forse l’aspetto peggiore di questa salita. Arrivati al passo dell’Alpino (m. 1080) godiamo subito di un bel panorama su quello che sarà, in parte, il nostro itinerario di domani: Monte Forato, Nona, Procinto. La giornata è splendida ed il panorama è molto bello.
Proseguiamo la nostra camminata ed arriviamo nella vallata di Mosceta dove si trova il RIFUGIO DEL FREO (m. 1180), dove passeremo la notte. Dalle grotte si raggiunge il rifugio in un’oretta scarsa.
Poco lontano dal rifugio c’è una fontana, che visto il caldo, viene presa d’assalto. Ci sono anche tre gatti che si aggirano indisturbati tra la gente. Sono belli paffuti!
Attendiamo l’arrivo del secondo gruppo per procedere con l’assegnazione delle camere. Lavoro arduo per il povero Walter che, in piedi davanti all’ingresso, tenta di distribuire le camere cercando di non fare torti a nessuno e cercando di mettere d’accordo tutte queste brave testoline. In tutto questo casino a me, Roberta, Fabrizio e Paola tocca l’unica cameretta da quattro.
Tempo di sistemarsi tutti nelle camere, di preparare i letti ed è giunta anche l’ora di cena. In queste occasioni i momenti dei pasti sono sempre dei momenti piacevoli, di relazioni sociali, chiacchiere e anche un modo per conoscerci meglio. La cena è stata ottima ed abbondante. Spettacolare la pasta al pesto alla genovese! Concludiamo la cena con una fantastica crostata farcita di cioccolata e ricotta che, una volta a casa, mi riprometto di fare anch’io!
Dopo cena il gruppo si sposta nel cortile del rifugio, chi seduto sulle panche, chi sulle scale o chi in piedi si trascorre quello che resta di questa serata in attesa di andare a letto. Alle 22 vengono spente le luci del rifugio, ma vista la lunga camminata del giorno dopo non è il caso di fare le ore piccole. Un piccolo gruppetto decide di fare due passi in direzione del Monte Corchia.
Dormire nei rifugi, non si sa come mai, non è mai un grosso spasso. Succede sempre che chi russa si addormenta subito e stranamente ha pure il sonno pesante. I poveretti con sonno leggero, tra cui la sottoscritta, sono sempre quelli che restano svegli perché non riescono ad addormentarsi con il concertino prodotto da tutti gli altri.
Non è mai facile condividere la camera tra tante persone, le esigenze e le abitudini di tutti non sempre sono in accordo, quello che penso si debba fare in queste occasioni è cercare di adattarsi anche un po’ agli altri lasciando magari da parte egoismi od esigenze personali.
Alle 22 le luci vengono spente e in poco il silenzio avvolge il rifugio, la maggior parte del gruppo è ormai a letto così come Paola ed io che possiamo tranquillamente addormentarci.
Più tardi rientrano Fabrizio e Roberta dalla loro passeggiata serale e anche se tentano di fare piano, i piccoli rumori di porte che si aprono, bisbigli, il tipico rumore di cerniere, borse, o solo il camminare sul pavimento di legno mi sveglia. Decidono anche di apportare una modifica all’arredamento della camera spostando i letti… mah…

12 giugno 2010
Oggi è una giornata impegnativa. Sveglia presto, colazione e partenza alle 7.30, questo è il programma di inizio giornata.
Appena sveglia raccolgo velocemente le mie cose e decido di andare a sistemare lo zaino fuori del rifugio su una panchina. La camera è molto piccola e c’è già abbastanza caos e roba sparsa in giro che non è il caso di aumentare la confusione anche con la mia roba. Meglio le panchine fuori.
Mentre sistemo lo zaino uno dei micioni, per la precisione una miciona, del rifugio si sistema di fianco al mio zaino e osserva il mio lavoro. È proprio un bel gattone, mentre gli faccio qualche foto sembra quasi stare in posa come se fosse una diva. Simpatica!
Colazione abbondante e per le 7 e mezza siamo tutti pronti nel cortile del rifugio con lo zaino in spalla. Pronti... via!
Questa mattina, fortunatamente, in testa al gruppo c’è Walter che ha un ottimo, dal mio punto di vista, passo e soprattutto è regolare e costante. Bene bene… Sicuramente meglio di ieri pomeriggio dove il capo fila è partito con un passo che sembrava che perdessimo il treno!
Il nostro giro di oggi comincia con la salita su quella che è chiamata la Regina delle Apuane (qualcuno la definisce anche la madre delle Apuane) ossia la PANIA DELLA CROCE. Dal rifugio se ne vede la sommità e l’enorme croce posta sulla cima.
Il sentiero che percorriamo sale zigzagando sul fianco ovest della montagna. Salendo incontriamo un gruppo di mufloni (femmine e piccoli), ogni tanto qualche animale sovrasta dalla cresta. Come sulle Alpi, i mufloni non sono una specie autoctona ma sono stati introdotti nei secoli scorsi. Sono ungulati originari della Sardegna e della Corsica. Introdotto sulle Alpi e sulle Apuane si sono facilmente adattati anche se, gli inverni molto nevosi e rigidi mettono duramente alla prova questi animali. Hanno un corpo piuttosto tozzo e una colorazione marrone rossastra, caratteristica di questa specie. Qualcuno, vedendoli, sostiene che siano camosci ma il colore e la corporatura non sono per niente simili a quelli dei camosci e le femmine non sono nemmeno portatrici di corna. Le corna dei maschi ricordano quelle di un ariete e si sviluppano con questa particolare forma a spirale per tutto il corso della loro vita.
In passato queste terre erano abitate da orsi, lupi, linci e cervi. Mammiferi non più presenti nel parco. Come ho detto sopra in passato sono stati introdotti i mufloni e anche altre specie come le capre selvatiche ma di camosci nemmeno l’ombra. Quindi chi sostiene che siano camosci non ci ha azzeccato per niente!
Il gracchio corallino è il simbolo del parco, ma data la mia scarsa attitudine nel riconoscere gli uccelli dettata dal fatto che tanto in famiglia dispongo del mio tecnico faunistico di fiducia, oggi non ho molte speranze di riuscire ad avvistare o meglio riconoscere questo uccello. Peccato…
Facciamo una sosta, per qualche foto e per ricompattare un po’ il gruppo sparso su tutto il versante della montagna, in prossimità della cresta sull’anticima e poi proseguiamo verso la cima. Il sentiero è comodo e panoramico, proprio come piace a me. Peccato che la giornata non è splendida e le nebbie fanno capolino di qua e di la celando il panorama. In ogni caso vedere le vette emergere dal mare di nebbia è sempre uno spettacolo affascinante.
Raggiungiamo così la cima della Pania della Croce (m 1859). Un’enorme croce ne sovrasta la vetta, ecco perché era facilmente individuabile da lontano. La Pania della Croce è la quarta cima più alta delle Alpi Apuane.
Scendiamo dal versante opposto da cui siamo saliti, con un sentiero piuttosto dritto in mezzo ad una pietraia. Oltrepassiamo il bivio verso il rifugio Rossi (veramente carino) e proseguiamo in falso piano verso un piccolo colle. Due punti del sentiero sono attrezzate con catene per permettere un più agevole passaggio, nulla di difficile.
Oltrepassato il primo colle ci aspetta quello che Walter ci aveva più volte descritto come un prato molto dritto e fetente… infatti è così. Fortuna che c’è la nebbia così non vediamo quando è lunga questa discesa! Il sentiero corre a zig zag per questo enorme prato veramente dritto. In un attimo in cui si apre la nebbia abbiamo modo di vedere un gruppo di animali, sembrano mufloni, ma sono lontani e scappano via subito.
Ci fermiamo in prossimità della foce di Valli per ricompattare il gruppo che è sparso lungo tutto il versante di questo ripido pratone.
Da qui un sentiero, in falso piano, percorre tutta la cresta fino a portarci ai piedi del MONTE FORATO. Il sentiero di per sè è particolare, a tratti è un pochino più impegnativo perché il terreno e sdruciolevole e sassoso ma nel complesso è un bel tratto di sentiero. Sarebbe una bella balconata, peccato per la nebbia, altrimenti sarebbe stato molto panoramico. Ma come si dice, non si può avere tutto!
Monte Forato deve il suo nome alla presenza di un bel foro, che visto da lontano con la nebbia confonde un tantino. Il foro è formato, sovrastato da un’enorme arco. È veramente suggestivo e la nebbia che sale dal buco contribuisce a dare fascino a questo particolare luogo.
Dopo aver consumato il nostro pranzo ci incamminiamo nuovamente. Il sentiero passa ancora in cresta per poi abbandonarla su un colletto. Da qui il sentiero, un bel sentiero largo ed in terra battuta, prosegue nel fitto del bosco.
Il miraggio di una bella fontana fresca ci fa aumentare il passo. Effettivamente l’acqua fresca è proprio piacevole dopo tutte queste ore di cammino. Ci rendiamo conto di aver aumentato il passo quando non vediamo comparire il resto del gruppo, a qualcuno viene anche in mente che forse hanno preso qualche bivio sbagliato ma poi, dopo una ventina di minuti iniziano a comparire anche gli altri.
Ripreso il sentiero ci attende ancora un’oretta di marcia. Arrivati a Stazzema attraversiamo il paese, in un tipico caldo estivo, e finalmente raggiungiamo il nostro autobus…
In autobus attraversiamo i paesi della Versilia, luoghi che mi riportano alla mente le mie vacanze estive di quando ero bambina. Tutti gli anni trascorrevamo 2-3 settimane in campeggio in questi luoghi. Il clima è già vacanziero e mi sembra così lontana la solitudine del rifugio di ieri sera e mi sembra che da quando ero bambina, sebbene il mondo è andato avanti, poco sia cambiato. Ci sono ancora i bagni lungo la strada e la gente che va e viene passando tutto il suo giorno su queste assolate spiagge, ci sono ancora le pinete e ci sono ancora le edicole che vengono cartoline, ciabatte e le solite cose da spiaggia.
Pernottiamo in un ostello che è vicino al mare e dopo esserci fatte una bella doccia, in attesa che arrivi l’ora di cena, io e Paola andiamo a respirare un po’ di aria di mare. Qualcuno decide di fare anche un bagno.
Per la cena non dobbiamo nemmeno spostarci infatti, ci aspetta una bella cena a base di pesce direttamente nel ristorante dell’ostello. Io non sono un estimatrice di vongole e derivati per cui non è che apprezzi in modo particolare, comunque la cena è stata carina.

13 giugno 2010
La meta di questa mattina è l’antico borgo di COLONNATA (523 mslm). Colonnata fa parte del comune di Carrara e si trova sulle pendici delle Alpi Apuane in quello che è conosciuto come il BACINO DI GIOIA, una della maggiori cave che produce in particolare marmo venato, arabescato e bardiglio. Quando si parla di Colonnata sono due le cose che vengono in mente: il lardo e le cave e noi avremo modo di conoscerle entrambe.
Le origini di questo borgo si collocano intorno al 40 a.C., dove sorse un insediamento per dare alloggio agli schiavi che venivano impiegati nelle cave. L’origine del nome per taluni deriva dal vocabolo latino columna, ossia colonna che stava ad indicare le colonne di marmo che da qui venivano estratte per essere inviate a Roma a decorare case e palazzi, per altri invece potrebbe esser la fusione di altri due termini latini collis o columen ossia colle o sommità. Insomma… origine di certo latina ma con due diverse interpretazioni.
Come in passato anche oggi la storia del borgo è sempre stata caratterizzata dall’attività delle cave di marmo. Marmo che trova il suo impiego anche nella produzione del celebre lardo. Si pensa che l’allevamento dei suini sia stato introdotto dai Longobardi e che la presenza dei ricchi boschi di castagno ne ha di certo favorito lo sviluppo.
Ad attenderci ci sono due guide naturalistiche che ci accompagneranno alla scoperta di questa zona. Il borgo ha mantenuto il suo aspetto originale, stretti vicoli in pietra costeggiati da case in pietra. Tutto molto suggestivo.
Dopo aver attraversato l’abitato di Colonnata lo lasciamo alle nostre spalle per percorrere un breve sentiero che ci porterà su un punto panoramico, il sentiero attraversa un bel bosco di castagni, alcuni alberi sono veramente imponenti! Dal punto panoramico, la vista che si estende fino al mare, ci permette di meglio vedere questa zona e le sue cave di marmo. Fa solo parecchio caldo!
Ridiscesi in paese ci aspetta un bel pranzo con salumi e prodotti del luogo. Il lardo, servito con scaglie di cioccolato fondente, è il piatto forte del pranzo. L’antica tradizione, che ne fa del lardo di Colonnata un prodotto unico ed eccezionale, vuole che il lardo venga posto, subito dopo la macellazione, a stagionare in vasche scavate nei blocchi di marmo. Ogni strato di lardo viene accuratamente cosparso di sali ed aromi. Il lardo rimane in queste vasche o conche per circa sei mesi. Si dice che questo particolare tipo di preparazione gli conferisca proprietà e caratteristiche uniche.
Dopo pranzo, accompagnati da un’altra guida, molto brillante e simpatica, andiamo alla scoperta dell’affascinante e duro mondo delle cave di marmo. Si pensa che le cave fossero già utilizzate durante l’età del rame dai primi abitanti di queste zone. Utilizzavano il marmo per produrre utensili od oggetti decorativi. Fu soltanto in epoca romana che iniziò a svilupparsi la vera e propria attività estrattiva. Il bianco marmo di queste zone era un ottimo elemento per abbellire ed impreziosire le dimore patrizie romane. Con le invasioni barbariche l’attività di estrazione del marmo quasi si ferma ed è di nuovo con la diffusione del Cristianesimo che richiese enormi quantità di marmo per abbellire ed arredare edifici religiosi che l’estrazione del marmo riprese a pieno regime.
Michelangelo, tanto per ricordarne uno famosissimo, fu solo uno degli artisti che impiegò questo materiale nella creazione delle proprie opere.
Ancora oggi l’estrazione del marmo continua, e sebbene le condizioni di lavoro dei cavatori non sono più le stesse di una volta rimane pur sempre un lavoro molto duro che in passato ha ucciso tante persone. Le condizioni fortunatamente non sono più le stesse, oggi la tecnologia e il progresso consente di usare macchine e mezzi che un tempo non c’erano, ma nonostante questo, ci sono alcuni aspetti di questo mondo e di questo lavoro che ancora mantengono la durezza e il rischio che questo lavoro comporta. La maggior parte del marmo estratto oggi viene esportato o portato altrove per la sua lavorazione, è in corso di studio un progetto per fare in modo che la maggior parte del prodotto estratto venga lavorato in queste zone e non portato altrove. Insomma, il marmo è una ricchezza che queste zone devono gestire oculatamente e far sfruttare nel miglior modo possibile.
Terminiamo la nostra visita dinnanzi ad una cava. Abbiamo ancora il tempo di comperare, nel piccolo negozio di fronte, qualche souvenir e poi riprendiamo il nostro viaggio verso casa.
È così anche questi tre giorni stanno per finire, anche questo piccolo viaggio si sta per chiudere. È stata una bella esperienza, un bel viaggio in un bel luogo insieme a tante persone piacevoli.

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