Da Burgos a Santiago in bici

Due settimane sulle due ruote attraverso le strade di Spagna

La programmazione delle vacanze estive, banco di prova per qualunque famiglia, per me e Franco si risolve ogni anno in una mini-crisi coniugale: il dibattito è acceso su tutti gli aspetti: dove andare, come andare, cosa portarci…
Gli unici punti sui quali non c’è discussione sono il periodo da investire (le ferie di Franco sono invariabilmente nella seconda metà di agosto) e la tipologia: sono categoricamente escluse le crociere, i villaggi turistici o similari e i pacchetti preconfezionati: siamo turisti fai-da-te.
Una volta superata la travagliatissima gestazione, però, fortunatamente ogni anno riusciamo a divertirci e ritemprarci, tornando dalle vacanze pienamente appagati.
Quest’anno non ha fatto eccezione: l’idea del Cammino di Santiago, di cui avevamo letto e sentito da vari amici in termini entusiastici (sia a piedi che in bici), ci attirava entrambi, pur se con diverse sfumature e motivazioni. In particolare, io, che sono una fifona, ritenevo insufficiente come preparazione fisica per una simile maratona il quotidiano uso cittadino della bicicletta (a cui sono abituata da qualche anno), intercalato da una o due uscite mensili su percorsi fuori strada. E dunque proponevo di rinviare la realizzazione di questo progetto ad altro anno, mettendo nel conto la necessità di uno-due mesi di adeguato esercizio precedente la partenza, così come consigliato dalle guide più affidabili; inoltre caldeggiavo l’acquisto di due bici tecnicamente più avanzate delle nostre. Franco, invece, si era irremovibilmente convinto che fossero pienamente all’altezza dell’impresa non solo le nostre biciclette, ma anche le nostre gambe: facile per lui, che non ricorda se ha imparato prima a camminare o a pedalare!
Alla fine, sulla prudenza e sul buon senso ha prevalso – fortunatamente – l’avventatezza.
…E siamo partiti.

ORGANIZZAZIONE
Riguardo al Cammino esistono in commercio diverse guide (noi abbiamo preso come riferimento principale quella edita da “Terre di mezzo”), e molto materiale interessante si può ricevere facendone tempestiva richiesta all’Ente per il turismo spagnolo in Italia. La “credencial”, invece – ossia il documento che attesta in chi la possiede la qualità di pellegrino, come tale ammesso negli “albergue” riservati a tale scopo – si può ottenere nelle tappe clou del Cammino, ossia a S. Jean Pied-de-Port o a Roncisvalle, o nei centri più importanti attraversati dal Cammino stesso. Noi ne abbiamo fatto richiesta al Centro Studi Compostelani di Perugia un mese prima della partenza, quando ancora tutto – ma proprio tutto – era in discussione.
Premesso che la nostra preparazione fisica non è – neanche lontanamente – a livelli professionistici, abbiamo ridotto il percorso prevedendo di partire da Burgos, saltando cioè i primi 300 km (che, pure, le guide consigliano caldamente), reputando fattibile per le nostre forze un percorso di circa 500 km in dodici giorni. Avevamo messo nel conto la possibilità di dover effettuare degli spostamenti intermedi in pullman, in caso di stanchezza, ma ciò non è stato necessario.
Per dei meridionali come noi il vero problema, una volta presa la fatidica decisione, è come far arrivare le proprie bici al punto fissato per la partenza. Infatti, coloro che vivono nel Nord dell’Italia possono recarsi a Roncisvalle o agli altri punti di partenza del Cammino noleggiando un pulmino sul quale caricano le proprie bici: ciò comporta poi circa 8-10 ore di autostrada. Il discorso cambia però se, oltre alla Francia del Sud, devi percorrere tutta l’Italia: in questo caso i costi lievitano, e devi aggiungere almeno venti ore di viaggio, il che scoraggia anche i più motivati.
Dunque, portando in spalla come unico bagaglio le nostre bisacce dal contenuto essenziale (i pellegrini ogni sera lavano i panni per garantirsi un ricambio quotidiano), ci siamo recati a Roma il 12 agosto con un pullman SAIS da Catania; l’azienda in questo periodo non consente di caricare biciclette sulle vetture, trattandosi di corse molto affollate: fortunatamente, dei nostri amici romani venuti in vacanza in Sicilia tornavano nella capitale proprio in quei giorni: abbiamo quindi chiesto loro di portarle con sé sul camper.
A Roma Ciampino abbiamo preso l’aereo della Ryanair per Santander: per le bici, da noi accuratamente smontate e impacchettate prima della partenza, come raccomandato dalla compagnia, abbiamo pagato un ragionevole supplemento come bagaglio sui generis. La lunga serie degli spostamenti si è conclusa con la tratta Santander-Burgos, effettuata con un pullman della compagnia ALSA.
Bisogna precisare che proprio la voce “spostamenti” è stata quella più rilevante del bilancio complessivo, sia in termini di tempi che di costi: la sistemazione negli albergue del Cammino, infatti, è molto a buon mercato, richiedendo però un certo spirito di adattamento (si tratta talvolta di stanzoni con materassini tipo palestra: è necessario avere con sé il sacco a pelo).E così, il 13 agosto, alle ore 19.30, nella plaza de Vega di Burgos, sotto gli occhi incuriositi dei passanti e dei clochards, due turisti a dir poco stravaganti spacchettano altrettanti scatoloni di cartone, dando inizio al montaggio delle biciclette, al gonfiaggio delle ruote, alla registrazione dei freni. Quando, intorno alle 21.00, l’opera può dirsi completata (con conseguente meticolosa destinazione degli imballaggi ai contenitori differenziati), decidiamo che possiamo attendere il giorno dopo per indossare pienamente la veste di pellegrini e ci concediamo una notte in un “normale”, confortevole albergo nel centro di Burgos, ovviamente dopo un rituale giretto by night della zona Cattedrale. L’aria fredda della sera ci ricorda che ci troviamo a quota 900 m.

14 agosto, lunedì – 1° giorno
Sarà il timore dell’impresa, sarà il fascino di questa città straordinaria, ma da Burgos non riusciamo a separarci tanto facilmente: visitiamo con calma la Cattedrale (e qui otteniamo il primo sello, ossia il primo dei timbri che vanno apposti, paese per paese, sulla credencial per attestare i propri spostamenti), ciondoliamo nelle piazze circostanti, costeggiamo il fiume Arlanzòn, il tutto a piedi. Alla fine, quando proprio non ci sono più scuse, facciamo ritorno in albergo per ritirare le biciclette lasciate in custodia, indossare la tenuta adatta e dare inizio al Cammino vero e proprio.
Sono le ore 15.00 quando ci mettiamo finalmente in marcia. Ci vogliono 10 km buoni di asfalto per uscire dall’abitato e imboccare il sentiero; le inconfondibili conchiglie gialle, che identificano tutto il Cammino, appena fuori città non si rintracciano tanto facilmente. Una volta preso il sentiero, però, la serie delle conchiglie è continua e non lascia dubbi. Attraversiamo per ore campi di grano falciato, senza il ristoro di un albero: siamo nella meseta, un altopiano che sembra infinito. Il sentiero è un dolce sali-scendi, che ci consente spesso di procedere affiancati; facciamo i primi incontri di pellegrini a piedi, con i quali impariamo a scambiarci l’augurio “buen camino!” che tante volte ripeteremo nei prossimi giorni. Superato Hornillos del Camino (uno dei tantissimi paesi che incontreremo con il nome contrassegnato dal percorso), il sentiero è piuttosto accidentato, e inoltre in ripida discesa… un autentico spasso per quella libellula di Franco! Io, invece, per eccesso di prudenza a un certo punto commetto l’imperdonabile errore di “stoppare” bruscamente la bici, e finisco per terra. Nulla di grave, ma considerato che come primo giorno abbiamo “già” percorso 31 km e che sono le 19.30, cogliamo l’occasione per fermarci: siamo prossimi all’albergue “San Bol”, gestito da due affabili giovani viterbesi. Le condizioni di questo primo ostello sono spartane: niente luce elettrica, acqua corrente a 50 m dall’edificio (ovviamente a temperatura di sorgente), servizi a 100 m. Un bel murale pieno di colori ci ricorda che questa è la casa dei venti, e infatti l’aria tira, eccome.
Qui si mette in discussione tutto ciò che avevamo letto nei reportage e nei libri: a letto presto negli albergue?!? Macché, dopo la cena (squisita: in cucina gli italiani non si smentiscono mai) a lume di candela e di torce, la comitiva degli ospiti – la maggior parte dei quali sono giovani e assai poco hanno dei peregrinos – si lascia prendere dalla magia di tre ragazze, scatenate percussioniste: si balla e si batte il tempo fino a notte alta, e noi andiamo a letto nella piccola camerata addormentandoci al ritmo dei tamburi.

15 agosto, martedì – 2° giorno
La sorpresa si ripete al mattino, quando alle 8.00 facciamo colazione con i pochi già svegli: solo due camminanti mancano all’appello perché già in marcia dall’alba (come da copione), gli altri ronfano. Questa esperienza rimarrà unica per tutto il nostro cammino.
Nel rimettere sulle bici il nostro bagaglio per ripartire, il portapacchi anteriore della mia si stacca… sistemiamo la borsetta sul sacco a pelo, chissà quando troveremo un fabbro che ci potrà saldare i due pezzi! Oggi, poi, è ferragosto.
Il paese successivo è Hontanas, in verità un borgo con una chiesa. …E’ incredibile, ma in un garage-officina due uomini in tuta da meccanico stanno armeggiando attorno a un camion: chiediamo se hanno un saldatore e, in effetti, con un po’ di impegno riescono a sistemarci il portapacchi (potenza di San Giacomo!). Intanto, mentre sto per entrare in chiesa, il prete sentendoci parlare si accorge che siamo italiani e ci dà il benvenuto; poi, durante la celebrazione della messa comunica alla piccola assemblea di fedeli la presenza di una pellegrina italiana in mezzo a loro: alla fine alcuni si avvicinano e salutano calorosamente.
Seguono le suggestive rovine dell’Hospital de San Antòn e poi Castrojeriz, dove visitiamo in fretta, per l’imminente chiusura, la Collegiata della Virgen del Manzano. Affrontiamo poi la salita rompi-polpacci all’Alto de Mostelares, in cui smontiamo di sella e spingiamo le bici sotto il sole ardente, trovandoci umilmente a tu per tu con i pellegrini a piedi che finora abbiamo tante volte superato. Dopo Puente Fitero, sul fiume Pisuerga, seguono Itero del Castillo e Itero de la Vega, e infine una breve sosta a Boadilla del Camino, giusto il tempo di una foto con la colonna gotica cui, nel Medioevo, venivano legati i condannati. Alle 19.30 giungiamo a Fròmista, facciamo appena in tempo a guardarci attorno e a visitare la bella chiesa romanica di San Martìn dalle torri cilindriche e dalla decorazione interna a scacchiera, e ci rendiamo conto che non è il caso di proseguire. Abbiamo percorso oggi oltre 42 km, è meglio cercare posto all’albergue comunale: qui troviamo conferma di quanto appreso sulle guide: chiusura delle porte e spegnimento luci previsto perentoriamente per le ore 22.00, uscita al mattino entro le 7.30. Ci affrettiamo a cenare e lavare i panni.

16 agosto, mercoledì – 3° giorno
Rimettersi in cammino alle 7.30 non è il massimo della vita a questa longitudine: infatti solo formalmente non c’è differenza di fuso orario, ma in effetti le ore di luce sono spostate in avanti di quasi due ore rispetto alla situazione italiana. Così, quando la porta dell’ostello si chiude alle nostre spalle, ci immergiamo nel chiarore dell’aurora. C’è anche vento, eppure i “camminanti” sono in giro già da più di un’ora! Fa giorno quando entriamo in un borgo che non risulta neanche sulla carta ufficiale del Cammino, e cioè Villarmentero de Campos: qui scorgiamo un residuato della dittatura franchista, e cioè una piazza intitolata proprio al Caudillo. Segue Villavieco, la cui chiesa presenta un’ancona lignea come tante ne vedremo nelle altre chiese del nostro percorso, ma meno ricca di decorazioni e forse per questo più elegante. La sacrestia, in compenso, è arredata con scaffali molto “fioriti” di volute. Sta per cominciare la messa e la signora che di sua iniziativa ci ha accompagnato a visitare la chiesa si rammarica di non poterci perciò invitare a desayuno a casa sua.
Villalcazar de Sirga merita una sosta per la chiesa di Santa Maria de la Blanca, dal maestoso portale scolpito.
La situazione meteo peggiora strada facendo: giungiamo a Carriòn de los Condes che cadono le prime grosse gocce di pioggia, ripariamo le bici sotto il portico della chiesa di Santa Maria del Camino e visitiamo questa e il museo, ma all’uscita piove alla grande. Mentre ci interroghiamo sul da farsi, incrociamo gli sguardi perplessi di un’altra coppia di ciclisti, Alberto e Marisa, di Lecco. Non ci resta che attendere insieme l’apertura del primo ristorante e metterci comodi. I due ci raccontano di essere sul Cammino da domenica scorsa, hanno scelto di percorrerlo tutto su asfalto per abbreviare i tempi… e sperano di arrivare a destinazione già domenica prossima. Restiamo senza parole: porsi questo obiettivo significa percorrere 100 km al giorno di media, un ritmo che noi non potremmo sostenere e che inoltre ci impedirebbe del tutto di vedere ciò che di bello si incontra! Ma la loro vacanza è destinata a continuare sulle spiagge spagnole, alla fine del Cammino. Dopo pranzo ci salutiamo, convinti che le nostre strade non si incroceranno più. E, con il cielo cupo ma almeno senza pioggia, ci rimettiamo in sella. Percorriamo un tratto di asfalto, fino a Calzada de los Molinos, poi riprendiamo il sentiero: non passa molto che la pioggia comincia a venire giù a secchi, accompagnata anche da raffiche di vento. In questi casi non si ha scelta: se la meta non è vicina, fermarsi vuol dire congelare; continuando a pedalare hai almeno il calore del movimento muscolare. Ritroviamo l’asfalto, e un po’ di tregua dalla pioggia, a Calzadilla de la Cueza, un piccolo agglomerato di case in cui il titolare del minuscolo albergue prova a dissuaderci dal proseguire: il prossimo paese è “lontano” ben otto chilometri. Ma otto chilometri in bici non sono granché, e questo paese non presenta alcuna attrattiva. Quindi proseguiamo, e giungiamo a Ledigos di nuovo con abbondante benedizione di pioggia. Qui non discutiamo più, l’albergue è insignificante ma per oggi abbiamo incassato abbastanza acqua. Addirittura, anziché la solita camerata, troviamo (gran lusso!) una stanzetta a due letti e con lenzuola a corredo. Inutile pensare di cenare fuori: l’albergue per il borgo è tutto: bar, alimentari, ristorante, merceria,… La cena non è à la carte: ma il menu è caldo e ci va benissimo. Con piacere ritroviamo Alberto e Marisa, anche loro costretti a fermarsi dalla pioggia. Il nostro contachilometri oggi segna 47,14 km: andrà meglio domani?

17 agosto, giovedì – 4° giorno
Dopo la colazione in albergue, partiamo: l’alba è già passata, ma il sole non c’è, coperto dalle nuvole. Percorriamo su asfalto il tratto fino a Sahagùn, una città con alcune costruzioni grandiose: l’Arco di San Benito, la chiesa di San Tirso… Ci sarebbe molto altro da visitare, ma la situazione meteo minaccia il bis di ieri, e oggi non vorremmo fermarci prima di aver percorso almeno 50 km: rischiamo altrimenti di non arrivare a Santiago nei tempi previsti. Dunque la sosta a Sahagùn dura appena un’ora, poi ancora asfalto fino a Calzada del Coto e infine sentiero. Qui si scatenano di nuovo gli elementi: una pioggia breve ma intensa, dalla quale non c’è modo di fuggire perché a perdita d’occhio non si offre alcun riparo. Saltiamo il pranzo ma, quando già è spiovuto, ci rifacciamo con una gustosa merenda a base di tapas a El Burgo Ranero. Quando alle 18.00 mettiamo piede a Mansilla de Las Mulas abbiamo appena preso l’ultima razione di pioggia, ma siamo soddisfatti: finalmente oggi abbiamo sfiorato i 60km! E saremmo in grado di spingere fino a Léon, ma perché farsi del male con tanta pioggia? Evidentemente non siamo i soli ad aver deposto le armi, l’albergue è già al completo e dobbiamo ripiegare su un hotel: prezzi più cari, e mancanza dell’atmosfera di condivisione tipica degli albergue. La cittadina è assai graziosa: las Mulas, cioè le mura, la circondano in buona parte e le conferiscono un aspetto d’altri tempi. Completa il quadro un bel nido di cicogna sul campanile della chiesa, completo di volatile.

18 agosto, venerdì – 5° giorno
8 chilometri sono sufficienti per meritarsi la prima colazione: prima di tanto, d’altra parte, non c’è proprio nulla di aperto; anzi, i villaggi che attraversiamo appaiono deserti: e sono già le nove passate! Siamo alle porte di Léon: riusciremo a raggiungerla senza bagnarci? E no! stavolta le condizioni meteo hanno anticipato: facciamo ingresso nella piazza della meravigliosa Cattedrale con una copiosa e fitta pioggia: sarà un segno del destino che impone di fare una sosta qui? Non avevamo bisogno del suggerimento, una sosta a Léon è d’obbligo. Prendiamo alloggio nell’albergue delle suore benedettine, dove lasciamo subito in custodia le bici (per oggi hanno fatto davvero poco, appena 19,50 km) e visitiamo a piedi la città, tra una raffica e l’altra di pioggia. Stupenda la Cattedrale Santa Maria la Regla, notevole San Isidoro, meraviglioso il Panteon Real per i suoi affreschi romanici dai colori ancora vivi (sebbene, precisa la guida che accompagna i visitatori, mai restaurati). Il pranzo lo facciamo in mezzo ai leonensi, in un affollato e caratteristico locale specializzato in tapas: per oggi niente menu del pellegrino.
L’aspetto più bello di Léon – lo ripetiamo, città bellissima e vivace – è stato però l’accoglienza dell’albergue: affollato, ma con una atmosfera di condivisione e rispetto reciproco tra i pellegrini, e di grande partecipazione delle suore al servizio che svolgono. L’offerta qui è libera, eppure al mattino non ti fanno mancare la colazione (che quasi nessun albergue offre). Il motivo che già da solo vale una sosta qui è poi la preghiera comunitaria della sera, ovviamente proposta con assoluta libertà di partecipazione a coloro che lo desiderano. Quando si vuole, si riesce a pregare insieme, anche se si è di lingue diverse: basta volersi capire.

19 agosto, sabato – 6° giorno
Sull’orario di uscita non si discute: alle 7.30 le porte dell’istituto si chiudono. Le stelle sono ancora ben visibili, ma i camminanti sono usciti da un pezzo quando il folto gruppo di pellegrini-ciclisti (ieri sera abbiamo contato ben 36 biciclette posteggiate nel cortile!) completa le operazioni di carico e si mette in moto quasi all’unisono. Prima di prendere la carretera torniamo a rivedere la Cattedrale: il termometro in piazza segna 9 gradi, e si sentono! Passiamo davanti al meraviglioso “Parador” di San Marco, oggi un hotel di lusso, sorto nel XII sec. come alloggio dei pellegrini, poi rimaneggiato in stile barocco: …alla faccia dei pellegrini!
Oggi la pioggia ci grazia, salvo che per una breve spruzzata alle porte di Astorga: entriamo in città stavolta sotto il sole delle 13.00. A quest’ora i musei sono in fase di chiusura, ma non c’è neanche da discutere: tabella di marcia o no, Astorga va visitata con calma: dunque pranziamo (ottimo il crocido maragato, una pietanza sostanziosissima che comprende un bollito misto di carne, seguito dalle verdure, dai legumi e dal brodo) e rinviamo al pomeriggio il giro turistico. In questa città constatiamo quel che finora avevamo appena percepito: la fortissima escursione termica tra la fase di soleggiamento pieno e il resto della giornata: pur essendo Astorga a 870 m di quota, nella fascia oraria tra le 15.00 e le 16.30 il sole è cocente. Possiamo solo sederci sotto gli alberi della piazzetta e attendere di goderci il refrigerio del Palazzo vescovile, oggi Museo de los Caminos (per chi ama Gaudì, un pezzo da non perdere).
Quando alle 19.00 abbiamo visto di Astorga tutto ciò che si poteva e abbiamo matato il cocido con una bevanda gassata, veniamo “corteggiati” dal titolare dell’albergue che gentilmente aveva preso in custodia le nostre bici: “Chi ve lo fa fare a procedere ancora? Rischiate di trovare già al completo gli albergue successivi!”… L’operazione “buttadentro” sta per riuscire, ma ci rendiamo conto che dobbiamo fare i conti con la sosta di ieri e il tempo incerto previsto per i prossimi giorni, meglio approfittare delle buone condizioni di oggi. E così, col sole in fronte, avanziamo fino a totalizzare 63 km, giungendo a Santa Catalina di Somoza: questo è meno di un borgo, è solo una chiesetta rupestre affiancata da cinque case e due albergue. Alloggiamo in uno di questi (“San Blas”), condividendo la camerata con altri due pellegrini soltanto. Come spesso accade, i camminanti dormono già alla grande alle 21.00, quando noi, svegli e con l’adrenalina a 2000, scendiamo a cenare. Nonostante la stanchezza, prendere sonno prima di mezzanotte non è semplice.

20 agosto, domenica – 7° giorno
La prima sosta di oggi dopo un’ora di sellino è a Rabanal del Camino, un paese che ha mantenuto una sobria architettura in pietra. Raccogliamo le forze e cominciamo la salita su asfalto (qui il sentiero che corre parallelo è sconsigliabile per i ciclisti, perché troppo stretto e troppo ripido). Di quando in quando incontriamo ai lati della strada delle croci di ferro che, insieme alle ben note frecce gialle, ci danno conferma della retta via. In un paio d’ore raggiungiamo il villaggio di Foncebadòn, dove scambiamo quattro chiacchere con una signora italiana giunta fin lì in auto: il suo ruolo è di fare da “staffetta” al marito, che sta svolgendo il Cammino in bici da corsa. Pochi tornanti dopo, a 1517 m, ci attende la fatidica Cruz de Hierro, luogo-simbolo del Cammino, dove molti pellegrini lasciano un segno del proprio passaggio: bandiere, foto, bigliettini si affollano sul tumulo di pietre (anch’esse depositate dai pellegrini, in un rituale pagano che associa, alla deposizione di una pietra del paese di provenienza, la liberazione del proprio fardello di peccati). Nell’ambito di tali rituali però, incomprensibile, oltre che poco rispettoso dell’ambiente naturale, ci appare la posa di bottiglie di plastica, sandali consunti, bombolette spray e altro ancora che rende il tutto simile a una discarica di rifiuti.
La discesa dalla Cuz de Hierro offre brividi da montagne russe: la pendenza tocca il 26%, e Franco è gasatissimo ma si impone ogni tanto di interrompere le sue emozionanti volate (qui raggiunge i 66 km/h) per aspettare me che invece procedo col freno tirato. Attraversato il borgo di El Acebo, anch’esso contrassegnato dal segnale stradale triangolare di “pericolo: attraversamento pellegrini” (un segnale unico al mondo, credo), giungiamo al gradevolissimo paese di Molinaseca, caratterizzato da un bel ponte romanico sul fiume Meruelo. Sosta pranzo, e poi di nuovo in cammino alla volta di Ponferrada, la capitale del Bierzo, dominata dal grande castello medievale dei Templari, ricco di simboli esoterici e astronomici: non lo possiamo visitare perché già chiuso, e così “spingiamo” fino a Cacabelos. Qui la nostra intenzione di pernottare nell’albergue (particolarmente grazioso) va delusa: sono le 21.00 quando vi giungiamo, ed è già al completo. Sebbene ci offrano un posticino, a terra e all’aperto, preferiamo andare in cerca di qualcosa di più confortevole, e con i nostri 66 km sulle spalle (senza contare il notevole dislivello affrontato), alloggiamo in un hotel del centro, concedendoci perfino una signora cena con tanto di vino del Bierzo.

21 agosto, lunedì – 8° giorno
Oggi la giornata si presenta impegnativa anche più di ieri, e io la comincio già stanca. E così andiamo via da Cacabelos senza neanche una foto, e attraversiamo i paesi successivi con l’ansia della prova imminente: nella ridente città di Villafranca del Bierzo visitiamo la chiesa tardo-romanica di Santiago, e io sarei propensa ad avvalermi della bolla papale di Callisto III, che prevedeva una dispensa speciale per i pellegrini giunti fin qui, ma troppo deboli per affrontare la salita al monte Cebreiro e la discesa verso Santiago. Invece, bolla o non bolla, proseguiamo.
La breve sosta alimentare a Vega di Valcarce ci ritempra ma fa slittare la nostra salita al Cebreiro alle ore di maggiore soleggiamento. Scegliamo il percorso su asfalto, fortunatamente costeggiato per buona parte da castagni e noci; le numerose fontanelle, poi, sono un’autentica benedizione: ad ogni sosta ci bagnamo senza ritegno, rimettendoci in sella ancora grondanti. In questo tratto non incontriamo pellegrini a piedi, che evidentemente preferiscono il sentiero, ma diversi ciclisti, anch’essi imprudentemente alle prese con un percorso che non andrebbe affrontato con le temperature del pomeriggio: superandoci alternativamente tra una fontana e l’altra, alla fine ci ritroviamo tutti, accaldati e sconfortati, al riparo di un… raccordo autostradale che corre sopra le nostre teste. Io e Franco siamo gli ultimi a ripartire: la mia stanchezza è ai limiti. Un cartello stradale ci informa dell’ingresso in Galizia: per cominciare ci attende un paese insignificante, Pedrafita do Cebreiro, e infine una “stoccata” in salita di altri quattro chilometri, che però percorriamo con una temperatura già più mite. Quando, intorno alle 19.30, giungiamo al borgo di ‘O Cebreiro (1300 m), siamo stanchi ma molto soddisfatti: le soste sono state frequenti, ma non abbiamo mai dovuto spingere a piedi le biciclette, come invece abbiamo visto fare ad altri (forse con un bagaglio più pesante del nostro). Visitata la chiesa di Santa Maria la Réal e ammirate le pallozas (case in pietra con il tetto in paglia), ceniamo e, imprudentemente, ci rimettiamo in sella: abbiamo sempre l’ansia di portarci avanti per rientrare nei tempi e veniamo invogliati dal fatto che il sole è appena tramontato ma il cielo è ancora luminosissimo. Dopo una salita così, il delirio di onnipotenza ci persuade che nulla possa metterci in difficoltà: invece giungiamo al paese successivo, Hospital de la Condesa, che siamo entrambi sfiniti; dopo la ripida discesa iniziale dal Cebreiro, perfino il sali-scendi con lievi pendenze, fino a oggi affrontato con non-chalance, ora ci ha messo in difficoltà. La brutta notizia è che l’albergue è strapieno (…sono esauriti perfino i posti a terra!), e che anche l’unico bar-ristorante del borgo non ha posto: però la titolare interpella il proprietario di una casa rurale di Biduelo (9 km più avanti) che ci viene a prelevare con la sua auto (e carrello al seguito per le bici). Anche stanotte dormiremo comodi. Giunti a destinazione, restiamo all’aperto dieci minuti (di più non si può, tanto è il freddo) col naso in aria a guardare uno stellato magnifico, con la Via Lattea visibilissima, e poi a nanna: abbiamo percorso “appena” 54 km, ma sulle gambe ce ne sentiamo trenta di più.

22 agosto, martedì – 9° giorno
La cosa più ovvia che potessimo fare stamattina, dopo la colazione e le foto di rito alla chiesetta in pietra di fronte il nostro alloggio, era di saldare il conto e continuare il Cammino da qui, ben contenti di esserci risparmiati 9 km. Ma, sebbene dilettanti, io e Franco non siamo pellegrini d’acqua dolce: abbiamo quindi chiesto al proprietario della casa rurale di riaccompagnarci al villaggio in cui ieri sera ci aveva prelevato, affinché al nostro cammino non manchi nemmeno un metro!!! E così, pagato il disturbo per il servizio taxi, riprendiamo il percorso dal bar-ristorante di Hospital de la Condesa, affrontando l’Alto do Poio (1335 m) e godendoci il panorama sottostante immerso nelle nuvole di bambagia. Continuiamo su asfalto, prendendo la direzione di Samos: qui merita di essere visitata la chiesa mozaraba del IX sec. nota come “chiesa del cipresso”, dall’albero antichissimo che la affianca; nel monumentale convento benedettino, oggi in parte destinato ad albergue, non riusciamo invece ad entrare perché fuori orario: ci consoliamo con tapas, sidro e birra (ovviamente) Estrella Galizia; ci raggiungono intanto alcuni dei ciclisti italiani con cui ieri abbiamo condiviso le gioie e i dolori dell’ascensione al Cebreiro, e con i quali è d’obbligo scambiare le impressioni.
A Sarria, ultima grossa città del Cammino, giungiamo sotto lo spietato sole delle 15.30. Già da stamattina Franco, sentendo lo stridore dei miei freni, messi a dura prova da due giorni consecutivi di discese, ha sentenziato che bisogna sostituire i pattini posteriori (che in effetti sono arrivati al metallo), e dunque attendiamo l’apertura del negozio di biciclette per provvedere. Intanto ci soffermiamo nell’unica zona fresca del posto, ossia un piccolo parco accanto al Convento della Magdalena. Effettuato, sempre al riparo dal sole, il cambio freni, potremmo pure decidere di pernottare qui, visto che sono già le 19.00, ma evidentemente la disavventura di ieri sera non ci ha insegnato nulla: non vogliamo prendere atto che ci stiamo avvicinando alla meta, e dunque il numero dei pellegrini cresce ogni giorno di più: Sarria, per di più, si trova a 100 km circa da Santiago, per cui molti pellegrini a piedi la scelgono come punto di partenza per totalizzare il chilometraggio sufficiente ai fini della Compostela. Superiamo il borgo successivo, Barbadelo, dalla bellissima chiesa romanica, senza neanche informarci sulla disponibilità di posti nell’albergue e ci “buttiamo” sul sentiero. Cominciamo a porci il problema dell’alloggio solo a Ferreiros, e quando apprendiamo che non c’è posto se non all’aperto, siamo già troppo lontani dalla tappa precedente perché valga la pena di tornare indietro. Ritroviamo qui un pellegrino sivigliano, con cui avevamo scambiato qualche battuta lungo il percorso: ci incoraggia a proseguire per Portomarin (“appena 20 minuti in bici!”), dove si trova un albergue più grande di questo, e inoltre altri tipi di sistemazione. “Suerte!” è il suo augurio quando rimontiamo in sella.
Le ultime parole famose: i venti minuti sono in realtà quaranta, e la faccenda si complica anche perché fino a quando il percorso è su sterrato è costellato dalle ormai ben note frecce gialle, ma appena passiamo all’asfalto dobbiamo procedere a intuito, orientandoci con le luci che scorgiamo in lontananza, se si eccettua qualche rara e poco visibile indicazione; e intanto è buio pesto, notte di luna nuova.
Giungiamo a Portomarin che sono le 22.30, la stanchezza è tale che a questo punto potrebbero chiederci qualunque cifra per un pagliericcio: l’albergue, manco a dirlo, è al completo. Alloggiamo quindi in un normale hotel, ceniamo e crolliamo addormentati sotto il peso degli odierni 68 km (e dei 450 fin qui percorsi, che oggi si fanno sentire).

23 agosto, mercoledì – 10° giorno
Stamattina, prima di partire, una promessa solenne: non dobbiamo più mettere a dura prova, con la nostra avventatezza, la generosità di San Giacomo. Quindi alle 18.00 metteremo punto, anche se il paese cui saremo giunti non dovesse essere di nostro gradimento. Con questi proponimenti ci mettiamo in sella senza neanche visitare la chiesa-fortezza di San Nicolàs (aprirà solo alle 10.30, non è il caso di attendere tanto), e attraversiamo, con brevi soste, Gonzar e Palas de Rei. Ci scappa perfino un pranzetto, dettato più dall’esigenza di riposarci che da vero appetito. Quando giungiamo a Melide sono davvero le 18.00, e ci dirigiamo all’albergue con la supponenza di chi è convinto di essere molto, molto in anticipo… Invece apprendiamo che i posti letto sono già al completo, ma che vi sono numerosi materassini per sistemarsi a terra in uno stanzone. Stavolta io non sono disponibile a discutere allungamenti di percorso: accettiamo la sistemazione che ci viene proposta (l’offerta in denaro è libera, naturalmente) e ce ne stiamo a gironzolare per la città. Dopo la visita al Museo de la Terra de Melide, ceniamo nella celeberrima pulperia “Ezequiel”, un locale che oltre al rinomato pulpo gallego (squisito!) ha ben poco assortimento da offrire: non mancano i tipici “pimientos”, piccoli peperoni (non piccanti) fritti e serviti caldissimi: l’abbinamento pulpo-pimientos a noi sembra cibo degli dei, che sia la fame?
Distanza percorsa oggi: appena 42 km, ma che importa? Ormai siamo a poco più di 50km dal Santo! Dopo aver ciondolato in centro, chiudiamo la serata con un’altra birra, servirà a conciliarci il sonno nella camerata in cui si prevede un concerto di… fiati.

24 agosto, giovedì – 11° giorno
Ma è possibile? Alle 8.15 sono già partiti tutti? Siamo rimasti soltanto in sei nella camerata, i più pigri o i più stanchi. Ci alziamo per abitudine, io dormirei ancora per un’ora buona. Con un po’ di impegno potremmo arrivare oggi stesso a Santiago, magari di sera tardi… ma io non ne sono tanto sicura, comincio a pedalare per inerzia e stento per tutta la mattina. Ciliegina sulla torta, in un tratto impegnativo di sentiero in salita la catena della bici di Franco si spezza. Siamo a circa sette chilometri dal paese più vicino, Arzùa, dove la guida segnala la presenza di un’officina di biciclette: la prospettiva di spingere fin lì non ci sorride, ma siamo rassegnati: tra gli attrezzi che ci siamo portati dietro non c’è lo smagliacatena… Vedendoci “in panne”, si ferma un gruppetto di ciclisti veneti con i quali ci eravamo già incrociati e salutati cordialmente varie volte negli ultimi giorni: mettono mano ai loro arnesi e la catena, con il loro aiuto, alla fine è rimessa a posto (ma ci vuole un’ora di tentativi a sei mani, all’insegna del buonumore collettivo); ci ripromettiamo di bere insieme qualcosa al prossimo incontro, magari già a Santiago: loro di certo ci precederanno, infatti sono alleggeriti del bagaglio che, anziché sulle bici (come nel nostro caso) si trova in un pulmino che li segue a debita distanza, a mo’ di staffetta, guidato a turno da uno di loro. Superiamo Arzùa e ci fermiamo a fare uno spuntino in un posto di ristoro sul sentiero: i tavoli sono delle ruote di carro! Tutto il seguito, per oggi, sarà un ininterrotto bosco di eucaliptus e pini, intervallati da poche fattorie e qualche villaggio. A Labacolla avremmo la meta in pugno: solo uno strappo in salita e poi… No, ci fermiamo per evitare di arrivare allo stremo delle forze. 45 km per oggi bastano.

25 agosto, venerdì – 12° giorno
“Che vuoi che siano queste poche gocce? Tra un’ora al massimo siamo in Cattedrale per la messa dei pellegrini, vedrai!…”
Macché, l’ultimo giorno di Cammino è bagnato anch’esso di pioggia e di sudore. Saliamo, sotto una pioggerellina continua, fino al Monte do Gozo: da qui procedere diventa difficile a causa della folla di pellegrini a piedi, ma infine, mentre la pioggia rinforza, giungiamo in città.
Il nostro contachilometri segna complessivamente 549 km.
Ci dirigiamo per prima cosa nella plaza de Obradoiro e cerchiamo riparo sotto la loggia del Palazzo del Rajoy, antistante la Cattedrale. Qui, come già abbiamo tante volte fatto in questi giorni, lasciamo fiduciosamente le bici e andiamo alla Oficina do peregrino, dove ritroviamo, nella lunghissima fila, molti dei visi incontrati nei giorni passati: chi è arrivato appena adesso, chi ha prima cercato una sistemazione: ci chiediamo reciprocamente notizie e attendiamo il nostro turno. Infine, ammessi a colloquio uno per volta, otteniamo la Compostela. È un momento emozionante: a prescindere da qualunque credo religioso, viene rivolto ufficialmente il benvenuto alla tomba di San Giacomo Maggiore e l’augurio “que el Santo Apòstol conceda, con abundancia, las gracias de la Peregrinaciòn”; se poi sei credente, il Cammino riveste un significato ancora più profondo.
Soltanto nel tardo pomeriggio visitiamo la Cattedrale per la prima volta: ci torneremo nei prossimi giorni per la messa del pellegrino (domani) e varie altre volte per ammirarne i dettagli. Non siamo però riusciti ad assistere al rituale del “Botafumeiro”, il grandioso incensiere che viene fatto oscillare nella navata centrale in occasione delle solenni celebrazioni.

Trascorriamo a Santiago quasi per intero i successivi tre giorni: l’albergue è in periferia (noi, ovviamente, continuiamo a usare la bici anche per gli spostamenti in città), ma è particolarmente confortevole e consente una sosta “lunga”, a differenza dei precedenti che ammettevano un solo pernottamento. Durante la permanenza in città, ritroviamo molti dei pellegrini che, a piedi o in bici, avevano incrociato nei giorni scorsi la nostra strada: con i nostri soccorritori veneti riusciamo a bere una birra insieme, con tutti gli altri è un festoso abbracciarsi.
La visita d’obbligo a Finisterre la facciamo in pullman (io non intendo rimettermi in sella per spostamenti così lunghi) in una sola giornata – ma, col senno di poi, non è una buona idea: il bello, lì, è fermarsi per vedere il tramonto, e invece l’ultima corsa di rientro a Santiago è alle 18.00, quando il sole è ancora alto! Avremmo fatto meglio a noleggiare un’auto per muoverci con maggiore libertà, pianificando eventualmente un pernottamento. In questa gita si offre ai nostri occhi lo spettacolo desolante della devastazione prodotta, a macchia di leopardo, dai numerosi incendi verificatisi durante il mese di agosto, cui la stampa ha dato molto risalto.
Ripartiamo da Santiago per l’Italia il 28 agosto, sempre con la compagnia Ryanair, dopo aver affidato le nostre bici a un corriere che, a un prezzo ragionevole, ce le farà recapitare direttamente a casa nostra, togliendoci così la preoccupazione di smontarle, imballarle e portarcele dietro (“Velocìpedo”, Rùa de San Pedro, 23; tel.981580260- Santiago).

CONCLUSIONI
“Il Cammino è di tutti, il Cammino è per tutti” non è solo uno slogan recitato dalle guide turistiche. Tutto dipende dalla velocità che si vuole imprimere al proprio procedere, dalla propria voglia di soffermarsi, dal tempo di cui si dispone.
Ciascuno troverà delle bellezze che anche al migliore osservatore possono essere sfuggite: lo stellato nei villaggi più sperduti, il colore rosato delle pietre per effetto della luce crepuscolare, il cielo che in questa parte di Europa sembra più grande che mai…
Massimo rispetto da parte nostra nei confronti di coloro che percorrono – per intero o anche in parte – il Cammino nel modo più tradizionale, e cioè a piedi: è una vera e propria prova fisica e psicologica. Noi, a conclusione di quella che – nonostante la fatica – consideriamo una vacanza, ci siamo convinti che la bicicletta rappresenti il mezzo ideale per questo genere di esperienza: lento abbastanza da non far perdere nessuna sensazione, ma tuttavia con la dinamicità che ti consente di non disperare se trovi un albergue tutto esaurito, o se nel villaggio in cui contavi di far colazione non c’è aperto né un bar né una bottega.
In dodici giorni consecutivi di sellino abbiamo sperimentato da una parte la forte sensazione di essere totalmente immersi nel mondo che ci circondava, dall’altra la vulnerabilità di un mezzo che non pone nessun filtro tra te e qualunque pericolo esterno: forse per questa intrinseca “umiltà” la bici è stata – a buon diritto – ammessa tra i mezzi consentiti al pellegrino.
Possiamo affermare di non aver commesso, nella programmazione e nella realizzazione dell’idea, grossi errori. A quelli di minore entità hanno sopperito l’abilità tecnica di Franco, il comune spirito di adattamento e, forse, il bonario intervento di San Giacomo.
Franco e Grazia Fontana

3 commenti in “Da Burgos a Santiago in bici
  1. Avatar commento
    @SERGIO
    10/07/2011 18:15

    COMPLIMENTI PER IL VIAGGIO, CHIEDIAMO SE C' E LA POSSIBILITA' DI SAPERE LE ALTILEMTRIE DELLE MONTAGNE .... CI SIAMO CHIESTI SE QUALCUNO DI NOI FOLESSE FARE GLI ULITMI 10 KM A PIEDI CHE COSA CI CONSIGLIATE ( PUTROPPO GLI ALTRI VENGONO IN MACCHINA ). GRAZIE

  2. Avatar commento
    rosa
    14/07/2008 17:33

    Ciao,avrei intenzione di arrivare a Sarria in treno( di cui non conosco gli orari)e lì acquistare una bicicletta, magari usata con porta zaino,e arrivare poi a Santiago percorrendo i sentieri.Che ne dite, è fattibile? Dove si trova il negozio di biciclette a Sarria?

  3. Avatar commento
    giulio43
    20/05/2007 00:33

    complimenti, molto ben scrritto e ricco di informazioni utili di dettaglio.

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