Rwanda, non solo gorilla

Contributo di Barbara Lomonaco
da "La nuova ecologia"

Il Rwanda sorprende in mille modi, uno per ognuna delle sue colline.
Stretto fra la Tanzania a est e l'enorme Congo a ovest, è una piccola nazione con poco più di otto milioni di abitanti.
Ma a noi, da questa parte del mondo, il suo nome evoca ancora il ricordo del genocidio del 1994. Il fantasma di quella tragedia, che portò all'uccisione di 800.000 persone in soli tre mesi, aleggia sospeso nell'aria.
Quello di Gikongoro è l'emblema più duro del genocidio rwandese e uno dei tanti memoriali diffusi nel Paese. Tragico teatro di un'imboscata in cui morirono 27.000 persone, è un luogo di una tristezza sommessa, che "galleggia" in un tempo che non scorre. I corpi dei caduti, riesumati, giacciono allineati su tavoli di legno nelle aule di una scuola; in altre ci sono le ossa. E gli abiti pendono appesi a una corda nello spazio e nel silenzio. Testimoni, forse, della voglia di rimproverare al resto del mondo il mancato intervento contro quell'inaudita ondata di violenza.
Ma che cosa accadde nel 1994?
Il genocidio rwandese è il risultato del progetto di sterminio di un sistema dittatoriale: gli Hutu contro la minoranza etnica dei Tutsi e gli stessi Hutu contrari al regime.
Dopo la prima guerra mondiale i Belgi assunsero il controllo coloniale del Paese sostenendo i privilegi della élite Tutsi. Quando le istanze di indipendenza si fecero pressanti, i Belgi cominciarono ad appoggiare gli Hutu.
Nel 1973, dopo l'indipendenza, il generale Habyrimana, Hutu, prese il potere con un colpo di stato. La sua dittatira durò ventun anni. Il 6 aprile 1994 il suo aereo venne abbattuto mentre rientrava da una conferenza a Dar-es-Salaam.
L'attentato segnò l'inizio del massacro. Qundo raggiunse il suo apice, le Nazioni Unite ritirarono i Caschi Blu. Nello stesso periodo, il Sudafrica festeggiava Nelson Mandela e la fine dell'apartheid.

Ma visitare il Rwanda vuol dire anche poter godere di un viaggio senza venditori ambulanti, commercianti del sesso e mediatori improvvisati che il turismo, in Africa più che altrove, si trascina tristemente dietro.
Durante i faticosi spostamenti, stipati nei minibus, su e giù tra gli eucalipti e le casuarine, gli scenari cambiano e seguono il tempo, quello che scorre nei libri di Kapuscinski o in quelli di Terzani: al rallentatore.
I canti collettivi si diffondono dalle piroghe sul lago, dalle ripide strade sterrate, colonne sonore del tempo trascorso pazientemente solo per mettere insieme un pasto, trasportare l'acqua o raggiungere la scuola.
Il viaggio in Rwanda è un viaggio solidale: mentre il terreno scorre sotto le suole, i soldi spesi finiscono nelle tasche delle famiglie.
I servizi turistici sono pochi: oltre la soglia degli sparuti e costosissimi alberghi a molte stelle il Rwanda scompare e l'alternativa sono le piccole guest houses gestite dagli stessi rwandesi.
"Veniamo dal Congo, una parte della famiglia è ancora lì. L'albergo è chiuso e manca ancora la luce ma se vi accontentate delle candele…" è la voce di Jean Claude, il proprietario di un piccolo albergo a Cyangugu, nel sud del Paese. In molti sono rientrati dall'esilio forzato nei Paesi limitrofi solo da qualche anno. Per ricominciare.
Prima del genocidio il turismo era una voce importante dell'economia, ancora di più lo è adesso.
Eppure la maggior parte dei turisti resta solo lo stretto necessario per la visita al tesoro che il Paese gelosamente custodisce: i gorilla di montagna, alcuni tra i pochi esemplari che ancora esistono sul pianeta.
Il Parc National des Volcans, in effetti, merita la sua fama. E' parte di un'area montuosa tra Rwanda, Uganda e Congo, le Birungas: nove vulcani, di cui tre attivi. Fitta trama umida di foresta pluviale montana, il parco si estende oltre i 2400 metri di quota. Al confine con il cielo il vulcano Karisimbi, che impone la sua maestosa presenza dall'alto dei suoi 4507 metri.
E' un parorama di una bellezza primordiale, nel quale circa 150 gorilla circolano liberamente. Trovarsi davanti a una famiglia allargata di questi "antichi uomini" in paciosa siesta pomeridiana è un privilegio prezioso.
Il Silverback, il maschio dominante, si trascina in attività pigre e casuali, sonnecchia mentre i piccoli giocano sotto la sguardo "distrattamente attento" e i richiami puntuali delle madri. Un incanto a pochi passi dal visitatore.
L'armonia intatta di questo scenario giurassico è però disturbata da una nota stonata: uno di quei lodge da centinaia di dollati a notte che feriscono il continente. Costruito fuori dal Parco, occupa una delle più belle alture dell'area e racconta di un tursimo che invade l'Africa con i suoi privilegi.
Come se fosse un parco giochi.

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Viaggiatore: danibi