Premetto, per quelle persone che coraggiosamente si metterano a leggere questo mio excursus, che ho riportato questa mia esperienzas scrivendo direttamente sul posto, ho scritto questo racconto pari pari come mi è nato sul momento, dandoci solo una sbirciatina senza fare troppe correzioni. Ci potranno quindi essere degli errori e una sua lettura potrebbe anche essere non molto lineare ed abbastanza lunga. D’altra parte, proprio sul finire del viaggio ho avuto un problema abbastanza serio di salute che fortunatamente si è risolto positivamente una volta tornato a casa, che però non mi ha dato modo di fare una elaborazione migliore di questa mia seconda esperienza in Myanmar.
Non è nemmeno il classico diario, dove si trovano anche informazioni utili per chi vuol visitare questo meraviglioso paese, visitando il classico quadrilatero entro il quale di solito si aggirano i turisti ed i cui vertici sono costituiti da Yangon, Bagan ,Mandalay ed Inle (quel tipo di viaggio e quelle info, le potete trovare nel viaggio che feci nel 2012). Questo racconto è una mia esperienza, per me molto positiva, che mi ha dato modo di vivere per una ventina di giorni un contatto più stretto con questo meraviglioso popolo.
Tornare in Myanmar dopo appena un anno è stato per me un “regalo” inaspettato.
Dopo lo splendido ed indimenticabile viaggio fatto nel 2012 alla scoperta di questo Paradiso, il Myanmar è rimasto il pensiero fisso che mi martellava in testa come unica meta per un prossimo viaggio nel sud est asiatico, area geografica che frequento con mete diverse da alcuni anni e da cui è difficile scollegarsi per altre aree del pianeta.
Come sempre mi informavo, leggevo su possibili altre mete per un futuro viaggio, ma i ricordi ricadevano sempre lì, nel paese dalle pagode d’oro, la Birmania o Burma come la rinominarono i colonialisti britannici, Myanmar come si chiama adesso.
Per questo 2013 avevo però scartato un viaggio, troppi problemi legati un po’ alla situazione economica mondiale che ha mandato particolarmente in crisi l’Italia ed a problemi personali. Mi stavo insomma preparando ed organizzando per un ritorno in grande stile in Myanmar nel 2014.
Poi alcuni mesi fa è accaduto l’inaspettato.
Mia moglie, che lavora come strumentista in sala operatoria di chirurgia plastica, ogni due anni circa si reca in missioni nei paesi in via di sviluppo dove mancano le più elementari strutture sanitarie con una organizzazione nazionale di volontari in chirurgia plastica ricostruttiva, mi dice che è in programma una nuova missione in un paese da scegliere tra Senegal e Perù, e se questa volta sono disposto ad accompagnarla come ho fatto poche altre volte. La cosa non mi tira più di tanto per vari motivi, in primis lasciare il mio boxerone bianco in parcheggio da mia suocera che inizia ad avere una certa età, la salute di mio padre, i figli e poi il costo del viaggio, che se per mia moglie che dovrà lavorare per 10 ore al giorno come volontaria sarà gratis, per me la cosa è diversa ed a quel punto preferisco risparmiare per tornare in un paese che preferisco. La cosa finisce lì, fino a che dopo circa un paio di mesi mi dice che è stata fissata la data della partenza e la durata della missione. Con uno strano sorrise mi chiede se ero sempre della stessa idea, visto che la sede scelta è con sorpresa di tutti Mandalay in Myanmar. Rimango pietrificato, in breve mi faccio un sacco di paranoie e rispondo alla sua domanda con un’altra domanda: quando si parte?
Il tempo per preparami è poco, per il visto non ci sono problemi, per gli altri documenti un po’ di più. Il ministero della salute Birmano chiede varie certificazioni, tra cui il certificato di iscrizione al collegio di appartenenza, lo stato di servizio, il curriculum vitae, il tutto tradotto in inglese ed autenticato. Altro problema il volo, in andata dovrò volare da solo perché l’aereo con cui parte la missione è già full, partirò due giorni prima con la solita compagnia, la Singapore Airline. Per il ritorno nessun problema. Il mio impegno in questa missione sarà comunque partime, darò una mano per quello che posso, non essendo quello propriamente il mio campo. Mi lascerò del tempo per vivere un po’ la vita di Mandalay.La partenza e Yangon
Il 6 Marzo 2013 alle 13 decollo da Milano con volo Singapore airline, con me la bella signora Carla, moglie di un noto fotografo milanese che ci raggiungerà assieme al resto del gruppo dopo due giorni, direttamente a Mandalay. Il volo come al solito per me è troppo lungo, nonostante i buoni servizi di bordo non finisce mai. Alle 06,30 atterriamo un po’ in anticipo a Singapore, terminal 3. Per fortuna il volo su Yangon è ancora Singapore Air e parte dal solito terminal, abbiamo poco più di un’ora per recarci al gate di partenza. Arriviamo comunque tranquillamente in tempo ed alle 7,55 decolliamo alla volta di Yangon dove atterriamo alle 09,30 ora Birmana. La stanchezza inizia a farsi sentire, disbrigo delle formalità doganali veloce. Una volta passato il controllo, ormai già collaudato mi dirigo subito allo sportello del cambio, lasciandomi dietro tutti gli altri turisti che ancora cercano di ambientarsi. Cambio un po’ di dollari, il cambio è 1 dollaro = 862 Kyat, poi usciamo dall’aeroporto, il caldo e l’umidità ci investe, insieme alla marea di taxi ed autisti che vogliono offrirci i loro servizi. Saliamo su uno dei tanti e ci facciamo portare al Season of Yangoon Hotel, facevamo prima ad andarci a piedi, bastava attraversare la strada molto trafficata, è proprio nei pressi dell’aeroporto. La scelta è caduta su questo Hotel proprio per la vicinanza all’aeroporto, in quanto domani avremmo la partenza molto presto per Mandalay. E’ un Hotel tranquillo e carino, con bagni decenti ad un ottimo prezzo. Dopo una veloce rinfrescata decido di fare un breve giro per il centro città, facendo da guida a Carla. Usciti dall’Hotel, in 5 minuti di cammino siamo di nuovo davanti l’aeroporto, contattiamo un taxi e con l’autista, grazie all’ottimo inglese che parla la mia amica ,ci accordiamo per la visita della zona centrale. Prima tappa la Sule Pagoda, una pagada che si trova proprio nel centro di una grande rotatoria. La Sule pagada, in se per se non mi dice molto, nonostante lo stupa d’oro alto 45 metri si trovi nel centro della città, ha una base ottagonale e racchiude vari reliquiari e centinaia di Budda con gli occhi bassi, ma in realtà è sotto l’influsso dei Nat. Il bello è tutta la zona circostante, con il suo traffico, la sua baraonda i suoi mercati. Ci rechiamo poi a fare una passeggiata ed entriamo nello Strand Hotel, il grande albergo storico di Yangon in stile coloniale. Entrati in un atrio spazioso veniamo cordialmente salutati dal personale. Sul soffitto girano lentamente pesanti ventilatori dalle pale dorate. Sul tavolo della reception la foto degli scrittori che hanno soggiornato in questo Hotel ai tempi della colonizzazione inglese, manca solo la foto di Orwell. All’interno c’e tutto, parrucchieri ,spa, boutique,sala da te con mobili pregiatissimi. Questa atmosfera contraddice molto la vera realtà birmana, quella è un’altra Yangon. Ci sediamo al bar e beviamo un ottimo mojito locale. Continuiamo poi il nostro mini tour per la visita del grande Budda disteso ed infine sul calar del sole e molto stanchi facciamo la visita al monumento principe del Myanmar, la Shwedagon Paya. E’ questo il momento che ti fa passare la fatica, camminare di nuovo a piedi scalzi attraverso questa meraviglia, mi riporta alla visita dell’anno prima quando c’era la festa annuale di questo importante monumento. La Shwedagon non è solo un tempio, ma una vera e propria città arroccata sulla collina che domina Yangon. Un labirinto di cupole, di santuari, di volte ricoperte d’oro irte di guglie ravvivate da campanelle che tintinnano come in una musica da fiaba. scandita dai mormorii dei monaci e dei fedeli in raccoglimento con le mani giunte sopra la testa. E’ già tardi, almeno per la vita dei birmani e decidiamo di andare a cena in un elegante ristorante nei pressi della pagoda, il Padonmar, ristorante che avevo già conosciuto l’anno scorso. La signora Carla per ringraziarmi della bella giornata trascorsa si offre di pagare una splendida cena a base di menù birmano. Rientriamo poi in albergo per un riposo rigenerante, in vista della partenza di buon mattino del giorno dopo.
8 Marzo 2013 Mandalay
La sveglia suona alle 04,30 dopo una notte in cui ho dormito pochissimo, in meno di 10 minuti di cammino raggiungiamo l’aeroporto. Colazione con un bel “cappuccino” al bar dell’aeroporto ed alle 6 con il volo Air Bagan lasciamo Yangon alla volta di Mandalay, sede del nostro campo base, dove domani sera arriveranno gli altri membri della spedizione. Il nostro è un volo tipo pendolari, in quanto prima di arrivare a Mandalay farà uno scalo a Bagan per proseguire poi per Mandalay ed Heho. Durante la discesa su Bagan, si apre ai nostri occhi il meraviglioso spettacolo dei templi di Bagan. La sosta dell’aereo dura una trentina di minuti e dopo altri 45 minuti atterriamo a Mandalay, la città imperiale, una delle ultime capitali che molti Birmani considerano la vera capitale. Il nuovo aeroporto è abbastanza distante dal centro città, un aeroporto internazionale su cui cominciano ad arrivare anche aerei direttamente dagli stati vicini, in primis la compagnia Air Asia, ma dal prossimi Settembre ci si arriverà anche con la Bangkok Air. Ci vuole più di un’ora di Taxi per arrivare al nostro Hotel che è il Royal City Hotel Mandalay, molto spartano ma con tutte le comodità, in primis è vicinissimo al General Hospital dove opererà la nostra missione. E’ questa una zona abbastanza centrale con vicino alcune sedi universitarie, ci sono molti localini interessanti e c’è molta vita.
Mi riposo un paio d’ore e nel pomeriggio incontro un medico pediatra ed un anestesita che si trovano a Mandalay da alcuni giorni per visitare i pazienti già selezionati in precedenza che saranno sottoposti ad interventi chirurgici per esiti invalidanti di ustioni e traumi, tumori delle parti molli e malformazioni congenite. Più tardi ritroverò con molto piacere anche il medico birmano che ha fatto il lavoro di selezione dei pazienti preparandoli da un punto di vista clinico all’intervento, ha pensato anche a sdoganare il materiale arrivato dall’Italia. E’ il dottor Zin Htin Aung. Un medico conosciuto alcuni anni fa quando faceva la specializzazione in chirurgia plastica a Pisa, ricordo si faceva chiamare Zeno. Personaggio unico, parla discretamente l’Italiano oltre l’Inglese ed il portoghese. Dopo essersi specializzato a Pisa è partito per un anno di tirocinio in Brasile in uno dei più importanti centri mondiali di chirurgia plastica ed estetica. Mi sarà molto utile in questo mio soggiorno in Mandalay. Ceniamo assieme in uno dei tanti locali, frequentati in gran parte da studenti che frequentano alcune facoltà universitarie che ci sono nelle vicinanze del General Hospital. Durante la cena parliamo del più e del meno ricordando anche quando a Pisa in un locale di piazza delle Vettovaglie di nome il “Maniomio”, si esibiva come cantante e cabarettista, bravissimo nell’imitare Bennato.
9 Marzo 2013
E’ Sabato, mi sono alzato di buon mattino ed ho fatto una bella passeggiata al vicino palazzo reale, la strada pedonale che costeggia il fossato è piena di gente che fa footing, ogni tanto ci sono spazzi con attrezzature ginniche. Non fa ancora molto caldo ed è piacevole passeggiare. Cammino fino al Mandalay Hill Resort, dove soggiornai l’anno scorso e dove ebbi la fortuna di incontrare Aung San Suu Kyi. Faccio anche la visita della Kyauktawgyi Pagoda. La caratteristica principale di questa Paya è l’enorme Buddha seduto, figura scolpita da un unico blocco di marmo verde chiaro proveniente dalla cava Sagyin vicino Mandalay. Sempre nei pressi del Mandalay Hill, raggiungo la Kuthodaw Paya, meglio conosciuta come il più grande "libro" del mondo per le sue lastre di pietra incise di scritture buddiste. Non molto distante visito poi lo Shwenandaw Kyatung, che adesso è un monastero, ma alla sua origine si trovava all’interno del palazzo reale. Costruito interamente in legno, detto anche palazzo d’oro. Fu l’ultimo re Thibaw, alla morte del padre re Mindon, a far smontare questo capolavoro e farlo ricostruire fuori dalla cinta muraria, si dice che forse fece questo perché aveva paura che il fantasma del padre lo ossessionasse. Involontariamente però riuscì a salvarlo dalla distruzione nel confitto anglo nipponico, in pratica è l’unica cosa originale rimasta del palazzo reale. Tutti questi monumenti si visitano pagando un biglietto cumulativo di 10 dollari. Abbastanza stanco faccio ritorno in hotel, attraversando uno dei tanti mercati di questa città. Dopo una rinfrescante doccia, vado con Zeno a bere una bella Myanmar beer, rigorosamente ghiacciata. Poco dopo le 18 arriva il resto del gruppo, tre chirurghi, due strumentiste, un’altra anestesista, ed altri 3 accompagnatori. Sono felice di ritrovare mia moglie.
10 Marzo 2013
La sveglia suona alle 8, oggi ci sarà da lavorare, ci rechiamo infatti al General Hospital, per preparare il necessario per l’inizio degli interventi previsto per domani. La missione si è portata tutto il materiale dall’Italia, dai ferri chirurgici ai fili di sutura ai medicinali, ecc. La giornata trascorre così abbastanza velocemente, ma alla sera è tutto pronto. Anche il personale medico ed infermieristico locale ci ha dato una mano ed è molto cordiale, mi sembra anche preparato adeguatamente e voglioso di apprendere cose nuove. Il General Hospital Mandalay, è un grandissimo ospedale, composto da molti dipartimente con varie specializzazioni. Nel tempo che sono rimasto a Mandalay non l’ho girato più di tanto, ma il blocco dove è inserito il Children Hospital mi ha veramente impressionato e da un certo punto di vista commosso.
I giorni a seguire saranno caratterizzati dal lavoro di equipe e saranno eseguiti molti interventi chirurgici con risultati ottimi. Gli operatori, specialmente le strumentiste si sono fatti un bel fondoschiena, lavorando in pratica per quasi dieci ore al giorno per un totale di 11 giorni lavorativi.
Personalmente non essendo parte integrante della missione ho dato una mano per quello che potevo, ma mi sono preso il mio tempo libero per girare un po’ questa città ed i suoi dintorni. Avevo due obbiettivi, quello di recarmi a Mrauk nello stato Rakhine, nella parte occidentale del paese, vicino al Bangladesh, dove sarei andato da solo, e quello di recarmi con mia moglie una volta finita la missione, nello stato Shan, nella città di Kengtung e Mong La.
In un tardo pomeriggio di questa Primavera caldissima ed umida di Mandalay dove non c’è un filo di vento, dove l’Irrawaddy scorre lento e liscio come l’olio e sembra di bronzo fuso, mi siedo con Zeno a bere la solita birra, gli espongo i miei progetti, ma lui mi boccia subito il primo, Mrauk.
Michele, mi dice, sicuramente ti perdi uno spettacolo unico, un posto bellissimo, sicuramente non avrai problemi e non ti accadrà niente, ma se vuoi un mio consiglio evita questo luogo, in questo momento c’è troppa tensione e non è sicuro, avrai occasione di andarci un’altra volta. Se vuoi vedere un posto interessante, fuori dai giri turistici, e temporaneamente vietato ai turisti, non lontanissimo da Mandalay, vai a Ruby Land, Mogok, la terra dei rubini, posso farti avere un lasciapassare e ti accompagnerò volentieri. Per quanto riguarda Kengtung, sarà sicuramente una bella esperienza per vedere una Birmania completamente diversa, Mong La è invece un posto vicino al confine cinese, ha conosciuto la sua gloria economica fin a pochi anni fa, adesso è in declino, ma sta già riprendendosi, non c’è poi molto da vedere e poi sorridendo mi disse: a Mong La si va per due cose, o per il gioco o per il culo! Non afferrai molto la battuta, ma la capirò quando mi recherò in quel luogo.
Seguo con piacere il suo consiglio, anche perché avere la compagnia di Zeno che conosce quelle zone e parla bene l’Italiano, per me è molto importante. Su Zeno non avevo dubbi che facesse parte di una famiglia molto facoltosa, me ne ero già accorto da quando era a Pisa, dalla vita che conduceva, adesso penso che sia anche molto legato a questo governo regime, D’altra parte questa missione, senza l’approvazione di questo governo non ci sarebbe mai stata e tanto meno in una sede così centrale ed importante come Mandalay.
Il primo fine settimana, di Venerdi, partiamo di buon mattino. Siamo in tre sulla potente Toyota di Zeno. Oltre noi due, c’è uno strano personaggio, Zeno mi dice che è un agente di polizia e che non potevamo fare a meno di portarcelo dietro, ci seguirà ovunque facendoci anche da guida. La prima parte di strada attraversa la parte pianeggiante alluvionale della piana di Mandalay, attraversiamo molti villaggi. Alla nostra destra imponente l’altopiano Shan, il panorama è bellissimo. Arrivati al posto di blocco di Poto, dopo i relativi controlli, la strada inizia a salire poi a scendere, è tutta una curva con migliaia di tornanti. Attraversiamo tratti di giungla, poi risaie ed ancora giungla. Dopo 5 ore di viaggio ci fermiemo in uno dei molti villagi incontrati per una pausa pranzo. Dopo altre due ore di interminabile salita un grande cartello ci accoglie, Welcome to Rubyland. Più di 7 ore di viaggio su di una strada non sempre al meglio, ma sicuramente tempo speso bene.
Questa zona famosa per i suoi rubini e pietre preziose, si trova a circa 200 Km da Mandalay ad una altezza di circa 1000 metri sul livello del mare e completamente circondata da montagne alte più di 2000 metri e ricoperte da foreste. In questa vasta aerea ci sono diversi villaggi, il centro più importante è la città di Mogok. Ci sono vari tipi di miniere, quelle a cielo aperto, in galleria e nei pozzi. Questa area è la prima produttrice al mondo di rubini, la leggenda dice che basta scoprire un pezzo di prato per trovare i rubini. Da queste parti il clima è moldo umido, ma la temperatura è fresca e piacevole. Prima di passare in albergo facciamo un giro per le strade di Mogok, dove vediamo persone di diverse etnie e come sempre non mancano i cinesi, che come mi dice la guida hanno in gestione diverse miniera. C’è anche un bel lago che fu scavato dagli inglesi, con lo scopo di lavare e setacciare il terreno estratto alla ricerca di pietre preziose. Al centro del lago c’è un tempietto che si raggiunge con una passerella. Tra le alture delle colline si intravedono alcune pagode che si raggiungono con scalinate zigzaganti. Il tempio di Kyauktawgyi che sovrasta la città do Mogok è il più importante della zona. Per strada non ci sono molte auto, ma molti pedoni e biciclette. Visitiamo una miniera a cielo aperto lì vicino. Notiamo che fuori dal suo perimetro ci sono molte persone, composte anche da bambini, che portano pale,piccozze e setacci, la nostra guida ci dice che dopo la chiusura serale della miniera, queste persone potranno accedere al materiale di scarto, portarselo via e setacciarlo. Quello che troveranno sarà loro, ma la spigolatura di questi detriti, oggi come oggi porta veramente a poco. Fa ormai buio, lo spettacolo dei disperati di questo nuovo Eldorado non mi piace e decidiamo di rientrare in albergo.
Dopo la cena ci spostiamo a parlare sulla veranda, fa abbastanza fresco ma è piacevole, la foschia del pomeriggio è sparita ed il cielo è uno spettacolo. Il nostro accompagnatore dopo che si è bevuto un paio di birre è più loquace, anche se io non capisco niente. Gli diamo una mancia per la compagnia di oggi e lui tutto contento ci lascia da soli, Zeno dice che probabilmente spenderà quei soldi in qualche bordello. Parliamo del più e del meno, di quando studiava a Pisa e di come era interessato ad apprendere la pratica specialmente dal personale paramedico. Parliamo anche di Myanmar, ma non della sua politica, gli chiedo se ci sono dei miglioramenti nel paese, se il turismo così in aumento può essere nocivo per le loro abitudini, specialmente per quelle dei villaggi. Zeno si mette a ridere dicendomi: avrai già visto il cambiamento dall’anno scorso quando sei stato qui, come vedi le banche internazionali stanno piano piano riaprendo i loro sportelli, da poco in moltissimi luoghi vengono accettate le carte di credito, anche se per ora solo la Mastercard, si può anche prelevare contante con quella carta dai pochi sportelli bancomat, ma vedrai come si moltiplicheranno in fretta anche quelli, per non parlare della telefonia, in progresso di giorno in giorno. Questo popolo non può continuare a vivere come nel medioevo. Poi mi dice: sai perché ti piace la Birmania? Perché ci rivedi il tuo paese di molti anni fa, quando anche voi non avevate tecnologie, quando le mucche servivano per i lavori in agricoltura, quando potevi giocare a pallone in strada senza problemi. Vi sembra che la gente sia così gentile perché è nella sua natura di esserlo, ma la verità è che qui c’è tanta gente povera che si china davanti a voi perchè siete ricchi. Questa gente, a causa di sfavorevoli circostanze nazionali ed internazionali, ha fatto un cammino più lento, ma non durerà molto. La Birmania è la regione più ricca del sud est asiatico, abbiamo tutto dal petrolio alle principali materie prime, ci manca solo la tecnologia, ma anche da questo punto di vista stiamo facendo passi da giganti. Come esempio guarda questo luogo è pieno di pietre preziose e le montagne che ci circondano, ancora vergini, sicuramente sono piene di rubini. Caro Michele, quando riguadagneremo il tempo perduto, il Myanmar non ti piacerà più, perché sarà sempre più simile all’Occidente. Si è fatto abbastanza tardi ed un po’ perplesso dalla chiacchierata con Zeno, stanco per l’impegnativa giornata vado a dormire.
Mi sveglio di buon mattino, le zanzare mi hanno massacrato, mai viste in tutti i miei viaggi tante zanzare come qui. Dopo la colazione con Zeno ed il nostro accompagnatore guida iniziamo la visita de Mogok, il tempo è molto variabile. Percorriamo la strada lungo il lago e ci rechiamo a visitare una miniera a tunnel, è questa una di quelle data in concessine a prezzi altissimi a privati, in genere cinesi. Il 90% delle miniere è gestito direttamente dal governo, il resto viene dato a privati con concessioni per l’estrazione di un massimo di 5 anni. Vediamo vari tipi di persone di etnie diverse. Attraversiamo poi un mercato multicolore dove si vende un po’ di tutto. Proseguiamo poi per Panchan, un sobborgo di Mogok, qui c’è un gran movimento di persone ed arriviamo nei presi di un fiume al mercato di Hia Pwe. E’ questo il mercato delle gemme, un mercato che si ripete due volte al giorno,al mattino e nel tardo pomeriggio. E’ un luogo con molti tavolini e sedie, dove vengono fatte le trattative per la vendita di rubini e pietre preziose. Vedo altri stranieri e Zeno mi dice che il temporaneo divieto di Mogok agli stranieri non è così rigido, ogni tanto vengono bloccati gli ingressi perché il governo vuole avere un maggior controllo della situazione. Per gli stranieri c’è il divieto di acquistare preziosi, lo si può fare solo nei negozi autorizzati di Mandalay e Yangon, questo naturalmente solo sulla carta, in realtà se uno ha soldi può provare a comprare. Sui tavolini vengono fatti vedere a richiesta vari tipi di pietre, quella più ricercata è il rubino sangue di piccione. I mercanti controllano il valore della merce illuminando con una piccola torcia il rubino da sotto. Zeno mi dice che il rubino è sempre un investimento in quanto non svaluta mai.
Dopo una sosta per il pranzo in un ristorante per locali, ci incamminiamo tra i vicoli della città visitando un laboratorio per la lavorazione e la levigatura del rubino, è questo un antico mestieri e ci sono anche lavoratori studenti che imparano questa arte. Lungo la strada ci sono anche molte gioiellerie sempre piene di gente. Continuiamo la nostra visita, il sole intanto ha bucato le nubi, e stà dando un aspetto rossastro e fiabesco al paese. Arriviamo poi in un negozio dell’UPAI, la società mineraria dello stato. Zeno che sembra conoscere il direttore mi invita a sedere. Ci viene servito un ottimo tè e poi ci vengono mostrati degli straordinari rubini, che mi dicono hanno prezzi stratosferici. Mi viene mostrata anche la differenza tra i rubini sintetici (quelli che in moltissimi casi vengono venduti in Italia) ed i veri rubini, quelli sangue di piccione che quando vengono illuminati dalla base, al suo interno mostrano vari tipi di venature e cromature. Lasciamo questo negozio con la consapevolezza che non potrò mai permettermi un gioiello di quel genere.
Ultima visita della giornata al tempio di Kyauktawgyi che si trova in posizione panoramica sopra Mogok. All’interno della pagoda ci sono 3 grandi statue del Budda che sorvegliano i molti fedeli in preghiera e le molte bacheche piene di donazioni, comprese pietre preziose. Dal tempio si gode un bellissimo panorama della città di Mogok al tramanto, questa città proibita, così ben protetta dai suoi molteplici bastioni, che piano piano sprofonda nell’oscurità, lasciando ai loro incubi ed alle loro speranze, queste persone che arrivando qui, siano esse ricche sfondate o poveri in canna, sono ossessionate da un unico colore, il rosso rubino. Finisce qui la mia escursione in Ruby land, la nuova Eldorado.
Il giorno seguente, Domenica, dopo un lungo ma piacevole viaggio rientro a Mandalay.
La settimana dal 17 marzo al 23 marzo è stata l’ultima in Mandalay. Gli interventi programmati si sono svolti regolarmente. Il General Hospital è un grandissimo ospedale, noi lavoriamo in una sezione di questo grande nosocomio. Pur avendo una possibilità limitata, ho potuto constatare la buona preparazione del personale, anche qui però per quanto riguarda la struttura e la tecnologia è carente in molti settori, un po’ come era da noi molti anni fa. In questo periodo non ho visitato molto la città, solo piccole scappatelle nel tardo pomeriggio, dove usando i moto taxi, mi sono fatto portare un po’ in giro per la città. All’inizio c’è un po’ di paura per il gran caos del traffico, ma poi è divertente e molto funzionale. In genere visitavo qualche pagoda e rimanevo lì seduto a guardare i pellegrini, devotissimi, nonostante la povertà della maggior parte di essi, continuano a far offerte, ad applicare quelle lamelle d’oro alle statue del Budda. Si, sono poveri ma amano donare, il massimo piacere per loro è offrire, e qualsiasi pretesto è buono. Poi si sentono contenti e leggeri, il che è comunque apprezzabile. Inoltre sanno di avere un posto migliore nel ciclo che li porta da una vita all’altra. Ricoprire il Budda con foglie d’oro è come per noi una confessione, che dovrebbe alleggerirci dei peccati. Altre volte andavo sul fiume dove passavo il tempo ammirando la vita che si sviluppa lungo questo luogo, un giorno ho visto che preparavano una gigantesca zattera di bambù che poi avrebbero fatto scendere più a valle seguendo la corrente per vendere questo legname. Un autista, che poi era sempre il solito, mi ha portato a vedere uno splendido monastero in legno, lo Shwe In Kyaung, conosciuto anche come il monastero di teak. Questo grande ed elegante edificio, costruito completamente in legno di teak, fu costruito nel 1895 da ricchi mercanti cinesi. Le decorazioni in legno lungo le balaustre e sulle cornici del tetto sono di ottima qualità. Non deve essere una meta molto trafficata dai turisti, io non vi ho trovato nessuno. Solo una volta mi sono preso un pomeriggio pieno e me ne sono andato a vedere la Mahamuni Pagoda, con le stradine intorno piene di botteghe di scultori. Qui i fedeli tra i fumi degli incensi,fanno la coda per applicare sottili foglie d’oro sulla statua di bronzo di un Budda di 4 metri. Le lamelle hanno creato un tale spessore che è ormai quasi impossibile riconoscere i tratti originali dell’Illuminato. Le donne però non hanno accesso alla stanza del Budda e rimangono in preghiera un po’ distanti. Mandalay è come se fosse il Vaticano del Myanmar, più di 10000 monaci sono distribuiti in oltre 100 monasteri, qui, a parte la Shwedagon Pagoda di Yangon, ci sono i templi Buddisti più importanti della Birmania. Lo stesso pomeriggio decido poi di salire sulla collina di Mandalay che tanto mi aveva affascinato l’anno scorso. La mia prima intenzione era di salire a piedi, ma causa l’ora, il caldo e la stanchezza, salgo in taxi. Nei pressi della sua sommità, scendo, mi tolgo le infradito e con una scala mobile arrivo all’ascensore che mi porta in vetta dove un’ampia terrazza piena di statuette del Budda e di turisti muniti dei più sofisticati apparecchi fotografici, aspettano il tramonto. Dai 230 metri della sua sommità, rimango ancora incantato. La pianura sottostante è un tappeto di campi di riso che vanno a infrangersi contro l’Irrawaddy. Oltre il fiume, si protende come un’ombra incerta che sfuma nel blu scuro l’altopiano Shan.
Scendendo dalla collina si ammira la città vecchia, quella che re Mindon fondò nel 1857 spostandovi la capitale dalla vicina Amarapura. La vecchia città, completamente fortificata da mura che formano un quadrato di oltre 2 Km di lato, è anche protetta da un fossato largo 70 metri. Tutta l’area all’interno delle mura è sotto il controllo dell’esercito. Al suo interno si trova la copia fedele dell’antica reggia, quella originale fu completamente distrutta nel 1945 dagli inglesi per riprenderla ai giapponesi che l’avevo conquistata.
In questo periodo ho avuto modo di conoscere molti studenti che la sera si ritrovano nei vari locali della zona universitaria. Secondo me la vita ed il comportamente degli studenti birmani è molto simile a quella che ho avuto modo di vedere in Italia. Sempre di più sono quelli vestiti all’occidentale, sempre più tecnologici. Devo anche render merito alle donne birmane, che sono di una bellezza unica. Una sera con mia moglie sono andato a vedere il mercato notturno, che si trova non lontano dal nostro albergo, ma non mi è piaciuto più di tanto, forse conviene andarci un po’ prima e non dopo la cena come abbiamo fatto noi. Per quanto riguarda i pasti, in genere si mangiava in albergo, ma io dopo un paio di sera ho preferito provare qualche locale nei dintorni, e siccome conoscevo dall’anno scorso il B.B.B. dove si cenava anche all’occidentale, ho finito per andare quasi sempre lì.
La missione in Mandalay si conclude con una conviviale cena di arrivederci in un locale del centro di cui non ricordo il nome. Erano presenti anche alcune autorità locali del governo, ed alcuni infermieri e medici del General Hospital che hanno collaborato in maniera molto qualificata per il buon esito della missione. Dopo i saluti di rito rientriamo in hotel, domani si parte per quattro giorni di vacanza. La maggior parte del gruppo si recherà a Bagan, mentre io con Natalina ed altre due persone che avevano già visitato il Myanmar abbiamo scelto Kengtung, la capitale Birmana del Triangolo d’oro. Abbiamo organizzato il tutto tramite una agenzia locale in città. Ci ritroveremo poi tutti a Yangon per il rientro in Italia.
Altopiano Shan, Kengtung e Mong La
E’ Sabato di prima mattina quando con un po’ di magone, lascio questa città caotica, per certi versi contrastante e sempre più cinese. Mandalay si ama o si odia, personalmente me ne sono innamorato, sarà difficile dimenticare la sua atmosfera, la sua religiosità, la sua gente di strada, gli studenti con cui ho condiviso un po’ di vita serale. La mattina è già calda e c’è foschia. Mandalay, sillabe cariche di nostalgia, forse per via di Kipling, che in verità non ci mise mai piede – si fermò per qualche giorno a Rangon nel 1889 e visitò la pagoda di Moulmein - ma scrisse una poesia rimasta celebre che dice più o meno cosi: “Una volta che hai sentito il richiamo dell’Oriente, niente altro conta più per te. Solo questi odori di aglio e spezie e il sole e le palme e il tintinnio dei campanelli dei templi”.
Percorriamo in auto la strada che costeggia il palazzo reale e poi la 80° strada, un po’ il centro della città, con tutti i suoi localini, i suoi nuovi edifici vicino ad altri fatiscenti ed infine l’autostrada che ci porta all’aeroporto abbastanza lontano dalla città. Non c’è un volo diretto il Sabato, e prenderemo l’aereo torpedone che prima di arrivare a Kengtung, fra scalo ad Heho ed a Kunhing, dove è vietato scendere se non si ha un permesso.
Nel primo pomeriggio arriviamo alla nostra meta, in un piccolo aeroporto con una striscia di asfalto come pista immersa nel verde della foresta. La strada che ci porta in 5 minuti in centro al nostro hotel, il Princess Hotel, è piena di messaggi propagandistici del governo.
Kengtung si presenta ai nostri occhi come una città molto bella. Si trova a 1200 metri sul livello del mare ed ha un clima mite, è circonada dalle montagne che la separano dalla vicinissime Thailandia, Cina e Laos. Chiusa al turismo fino a metà degli anni 90 è adesso raggiungibile dalla Birmania solo in aereo. Vi si può accedere anche via terra dal confine Thailandese, ma in questo caso solo per visitare Kengtung ed i suoi dintorni, infatti al confine viene ritirato il passaporto e lasciato un permesso per la visita di questa zona. E’ stata per molti anni crocevia di un traffico di droga tra i più importanti al mondo. Adesso da quello che ci dice la guida, la coltivazione dell’oppio è stata ridotta drasticamente dal governo, anche se all’interno di queste foreste è sempre più in aumento la produzione di una droga più reditizia dell’oppio e di facile fabbricazione. Una metamfetamina che ha invaso il sud est asiatico e che si sta affacciando anche in europa. I suoi effetti sono devastanti, specialmente sul cervello, è la micidiale Ya Baa.
Dopo aver lasciato i bagagli mi faccio una breve passeggiata nei dintorni, fa un po’ caldo, ma accettabile, non c’è la gran confusione che ho trovato in altre città, sembra tutto molto più pacato. Faccio un giretto lungo il bel lago Neung Ting al centro della città, sulla strada si vedono vecchi palazzi coloniali che si specchiano nelle sue acque, c’è anche il vecchio circolo riservato solo agli inglesi, mi da l’impressione che questo centro sia molto simile a quello descritto da Orwell nel suo libro “Giorni in Birmania”, ambientato appunto a Kauktada (centro che avrei voluto visitare, ma che nessuno conosce). Ci sono anche nuove costruzioni e moltissime pagode, credo che ce ne siano una trentina, anche se qui non vengono chiamate Paya, ma Wat, come in Thailandia. Anche i monaci non hanno l’abito del solito colore, ma tendono più all’arancione. Per certi versi sembra di esssere più in Thailandia che in Myanmar. Durante il mio giretto esplorativo ho notato anche alcune chiese cattoliche ed un orfanotrofio gestito da suore. Alle 18,30 è già buio pesto e vengo a sapere che avremo corrente elettrica per altre 4 ore, poi verrà tolta fino al mattino. Andiamo a dormire presto, domani sarà una giornata dura perché andremo a visitare alcuni villaggi e ci sarà da camminare.
24 Marzo 2013 Domenica
Sveglia di buon mattino, oggi faremo trekking per visitare alcuni villaggi tribali, speriamo di farcela, non sono in grande forma e mi sento le gambe molto appesantite. Partiamo con un fuoristrada, siamo in 4 più la guida e l’autista. Iniziamo a percorrere una strada sterrata, completamente rossa, ai nostri lati coltivazioni e foresta. Dopo alcuni chilometri proseguiamo a piedi. I primi 30 minuti sono abbastanza duri, almeno per me, si sale quasi sempre. Il primo villaggio che incontriamo è un villaggio della tribù Akka. Ci accolgono un sacco di bambini che corrono al villaggio per avvertire del nostro arrivo, le donne avvisate del nostro arrivo si sono vestite dei loro abiti tradizionali, classico il loro copricapo ornato di perline braccialetti e monete, in questo villaggio c’è anche una chiesa cattolica. Naturalmente cercano di venderci la loro merce che non è niente di particolare. La mia impressione è che questo trekking sia molto turistico. Continuiamo il nostro cammino fino al villaggio della tribu degli Eng detti "denti neri" per l'abitudine di masticare betel, usano bei monili d’argento, gli unici con i denti bianchi sono i cani. Facciamo qui una sosta più lunga per un frugale pranzo al sacco. Purtroppo io non sto bene, mi sento come se mi avessero spezzato le gambe ho dolori un po’ da tutte le parti, specialmente alle articolazioni e mi sta montando la febbre. Nel pomeriggo continuiamo la nostra camminata tra risaie, campi coltivati e foresta arrivando nel punto più alto del nostro cammino, al villaggio della tribù dei lahu. Queste popolazioni portano costumi neri e vivono di caccia ed agricoltura, le loro case sono su palafitte, ci intratteniamo un po’ con loro,che come gli altri cercano di venderci le loro mercanzie. Purtroppo io non apprezzo più di tanto lo spettacolo di questa giornata, sto troppo male e sento che la febbre sta salendo vertiginosamente. La guida mi consiglia di saltare l’ultimo villaggio da visitare e dopo una discesa di 15 minuti trovo il fuoristrada che con mia moglie mi riporta in Hotel. Salgo in camera, ho un freddo cane e la febbre supera i 39. Mia moglie si prende cura di me, mettendomi del ghiaccio sulla testa che mi sembra scoppiare da un momento all’altro, mi da una tachipirina. Nel frattempo tramite la nostra guida che fa da interlocutore, viene a farmi visita un medico della missione cattolica che si trova in Kangtung. Esclude che sia un attacco di malaria, come poteva sembrare, ma comunque mi da 3 compresse da prendere nell’eventualità si fosse sbagliato, potrei aver contratto una forma virale, ma è difficile dirlo senza eami di laboratorio appropriati. Per fortuna ho diversi medicinali portati dall’Italia. L’unico rimedio è il riposo, cercare di abbassare la febbre e bere molto. A scanso di equivoci mia moglie mi fa anche una terapia antibiotica come prevenzione a complicazioni. Trascorro la notte tra un incubo e l’altro, quello che più ricordo è una donna della tribù Akka, da cui volevo comprare il suo bellissimo copricapo adorno di monete, mi chiedeva in cambio il mio cane, un boxer bianco che per me è come un figlio, per farlo allo spiedo. Il mattino seguente mi sembra di star meglio, la febbre è scesa sui 37, ma sono un rottame. Mi spiace perdere la giornata odierna che comprendeva la visita guidata della città con il suo variopinto mercato e le varie pagode. Rimango a letto tutto il giorno e grazie alle terapie che sto facendo la febbre non è più risalita. Sono più che deciso per il giorno seguente a continuare il tour di questa zona con l’escursione a Mong-La, l’ex patria del più grande trafficante di droga, l’imprendibile Khun Sa. Natalina resta con me anche se la invito a visitare il mercato che dice sia molto caratteristico.
Il giorno seguente, Martedì mi sembra di star meglio anche se sono molto acciaccato, non ho in pratica mangiato quasi niente. Alle 8 con la solita compagna partiamo per Mong La, per arrivarci serve un permesso che viene rilasciato gratuitamente dall’ufficio immigrazione che si trova dietro il mercato. Per averlo non si paga niente ed in 20 minuti viene rilasciato, conviene farselo fare dalla guida o dall’autista di un taxi. Si può arrivare a Mong La, circa 80 chilometri, anche in pullman, ma è più consigliato affidarci ad un taxi collettivo. La strada che percorriamo attraversa risaie, campi coltivali, foresta ed alcuni villaggi. Durante la strada ci sono alcuni controlli della polizia birmana e della milizia Shan che gestisce l’ordine di questa zona. Proprio all’ultimo check point, dopo il controllo dei documenti, dalla guardiola escono due giovanissimi soldati che imbracciano due temibili M16, si avvicinano all’auto per controllare e si soffermano proprio sulla mia persona, non so, debbo avere proprio un brutto aspetto, comunque dopo che l’autista paga la tassa d’ingresso e lascia una mancia al ragazzo, passiamo senza problemi. Dopo pochi chilometri e circa due ore di viaggio, davanti a noi si presenta una vallata e sul fondo la citta di Mong La. E’ questa una zona a statuto speciale, controllata da un esercito privato al cui comando c’è U Sai Lin, un cinese/wa capo del ESSA, esercito dello stato Shan orientale, e principale ex trafficante di droga della zona. Davanti a noi un grande Budda dorato che indica la città. Mong La è molto diversa dal resto del Myanmar, vicinissima al confine cinese, è in tutto e per tutto una città cinese, dalla lingua che vi si parla, alla moneta corrente. Qui si paga tutto con lo Yuan cinese, la moneta birmana è carta straccia. Denominata anche la Las Vegas dell’Asia, Mong La ha vissuto i suoi tempi d’oro fino al 2006, quando il governo cinese ha proibito ai propri connazionali di recarvisi, per poter controllare così l’enorme uscita di denaro che si perdeva in questa zona, in particolar modo per il gioco d’azzrdo. In quei tempi nella vicinissima città cinese di confine, atterravano circa 20 earei al giorno, che portavano in Mong La migliaia di cinesi, circolavano auto lussuosissime, si costruivano nuove strade e lussuosi hotel. L’attrazione principale, oltre i molti casinò, era la prostituzione, c’erano locali di questo tipo per tutti i gusti ed in pratica anche se una persona vinceva al casinò, lasciava poi la vincita nei vari bordelli, specialmente in quelli con la scritta Lady Boys, (ora ricordo e capisco la battuta di Zeno) era come una bella fontana, in cui l’acqua che zampilla non si perde mai, viene riciclata ed il tutto finiva nelle tasche di U Sai Lin. Con la stretta del 2006, tutto l’apparato è andato in crisi, ma non per molto, infatti il famigerato boss ne ha inventata una nuova. Conoscendo la fissazione dei cinesi per il gioco e la loro potenzialità economica, ha pensato di creare strutture per il gioco online, facendo così divertire e spendere cinesi e non, direttamente dalla poltrona di casa, con enormi introiti nelle proprie casse e con minor spese. Chiaramente così non è stato per i molti bordelli, in gran parte oggi chiusi, per i lussuosissimi hotel e per l’economia locale. Adesso il guadagno per queste strutture viene fornito dai turisti normali e dai puttanieri che entrano via terra dal confne Thailandese, ma sicuramente i loro guadagni sono molto ridotti. E’ questa anche la zona dove c’è la maggior coltivazione del papavero da oppio e la produzione di eroina e metanmfetamine. U Sai Lin una volta insediatosi al potere ha dichiarato che tutta la zona è stata epurata dalle droghe, prendendo anche soldi dalla comunità internazionale, riconvertendo quelle zone per l’agricoltura. Naturalmente tutto questo sulla carta, in verità, si sa con certezza che subito dietro la montagna le coltivazioni del papavero è ancora molto attiva. Ci dirigiamo verso il nostro hotel che si trova proprio in centro, tutto l’ambiente è molto lussuoso, ma molto anonimo e freddo, compreso il personale e la gente incontrata per strada, sono quasi tutti cinesi, con la pelle bianche slavata da museo delle cere. Le cose da vedere a Mong La sono, oggi come oggi, il mercato, che ho definato il mercato degli orrori per le atrocità fatte sugli animali, il museo dell’espiazione della droga, provate ad indovinare chi l’ha costruito? ed i vari locali di “svago”.
Ci sono anche alcune pagode, tutte di recente costruzione, una molto grande, proprio vicino ad una chiesa cattolica anch’essa di recente costruzione, entrambe fatte costruire dall’ateo U Sai Lin . Ci sono poi le attrazioni principali, almeno per un certo tipo di persone, che sono i casinò ed i bordelli. Facciamo un breve giro per il centro recandoci al mercato. Non vedo la gente che sorride come abituato a vedere in questo paese, sono persone molto scontrose che non amano nemmeno che si facciano foto o video. Al mercato oltre alle varie mercanzie, c’è un settore che fa rabbrividire, è quello dove in piccole gabbie sono rinchiusi vari tipi di animali, anche razze in via di estinzione. Ho visto serpenti, orsetti, scimmie, cani, pelli e peni di tigri, ed il tutto per il palato dei cinesi. Animali che venivano anche uccisi e sezionati sul posto. Veramente non ho mai avuto molta simpatia per il popolo cinese e dopo quello che ho visto la mia repulsione verso di loro è aumentata all’infinito. Decidiamo di fare una sosta per il pranzo, ma chi ne ha voglia? Mangiamo solo un po’ di riso, io rigorosamente in bianco e dopo decido di andare a vedere il museo dell’espiazione della droga. Al suo interno ci sono alcune sale, nella prima manichini ad altezza naturale rappresentano giovani occidentali drogati e giovani asiatici che sono riusciti ad uscire da questa schiavitù. Poi sale con foto dove si vedono come erano i campi di papavero una volta e le culture agricole che ci sono adesso, cataste di oppio che vengono bruciate ed ex trafficanti costretti a spararsi un colpo di revolver in testa, con questa che si spappola come un melone. C’è anche una mini coltivazione di papavero dove alcuni addetti ci mostrano come viene estratto l’oppio. Più giro queste sale e più mi rendo conto come sia diversa la realtà, come questo luogo sia stato creato ad arte per illudere la gente che la situazione è cambiata. Ultima tappa prima della cena, un altro luogo dell’orrore, ci porta lì la nostra guida in auto, lungo la strada si vedono attrazioni che ai tempi d’oro dovevano attrarre molti turisti, vasche di coccodrilli in abbandono, un centro per lo spettacolo degli elefanti ormai in disuso e moltissimi locali ormai chiusi. Arriviamo poi in un centro dove rabbrividisco, ci sono gabbie piccole con dentro orsi a cui viene estratta la bile per venderla ai cinesi che la credono un medicamento miracoloso. Le povere bestie vivono una sofferenza indescrivibile, la puzza del posto fa venire la nausea e non riesco a restare.
Rientro in albergo per un breve riposo ed una doccia, mi sento molto debole anche se nascondo questo a Natalina, non voglio perdermi le schifezze che mi riserverà la serata. Di notte la città si illumina con tutte le sue luci multicolori, sembra un controsenso con il resto della Birmania, dove in moltissimi casi l’energia elettrica dopo una certa ora veniva a mancare. In strada si vedono molte persone, sembra che questa città, quando fa buio, dia il meglio di se stessa, immagino cosa doveva essere prima del 2006, quando le sue attività erano al 100% e quando tornerà ad esserlo tra non molto. Ceniamo in un locale rigorosamente non cinese, cena a detta degli altri non male, io non faccio testo, prendo un nasi goren alle verdure. Dopo la cena facciamo visita al casinò, l’ambiente è molto elegante, io non amo il gioco e non me ne intendo, ci sono tavoli con diversi tipi di giochi ed una grande sala con slot machine, girano anche alcune ragazze cinesi una più bella dell’altra. In strada c’è abbastanza movimento, ci sono alcuni go bar e locali con la scritta Lady boys che mi sembrano i più gettonati. Dopo un breve giro rientro in hotel, non sto bene e mi è tornata la febbre, domani ci sarà il rientro a Yangon e da lì in Italia. In camera Natalina mi da un’altra tachipirina e mi dice che non abbiamo più l’età per fare certe esperienze di viaggio. Mi ha assicurato che il prossimo viaggio, se mai ci sarà, sarà di completo relax su una bella spiaggia, d’altra parte dice che non ho più venti anni, che non posso fare quello che facevo a quell’età e che nemmeno posso recuperare quello che avrei voluto fare e che non ho fatto. Gli rispondo che prima di fare un viaggio di quel tipo, in una Alcatraz dorata preferisco rimanere a casa sulla spiaggia di Tirrenia. Vado a dormire ripensando al copricapo Akka che non ho comprato, a quei poveri animali visti nel pomeriggio e provo una profonda repulsione per tutti i cinesi, ma penso che anche noi non siamo da meno, tenendo in gabbie animali da pelliccia che poi vengono gasati per non sciupare il pelo ed a tutte le sperimentazione che vengono fatte su una gran parte di animali cavie.
Il mattino seguente, il 26 Marzo, subito dopo la colazione, riprendiamo la strada per l’aeroporto di Kengtung, il viaggio scorre veloce, anche se le mie condizioni fisiche sono un disastro. Il nostro volo Air Bagan, decolla con 45 minuti di ritardo e dopo un breve scalo ad Heho, arriviamo a Yangoon. Dall’oblò osservo il delta paludoso, i rami del fiume che nel loro movimento sinuoso ricordano le movenze di una dea Indù, le macchie lucenti che devono essere le sommità degli stupa sacri, mi riportano alla Birmania che più amo. Qui dobbiamo ritirare i bagagli e fare di nuovo il chek in con la Silk Air, questa volta direttamente su Milano via Singapore.
A Yangon ritroviamo il resto del gruppo e tutti parlano in maniera entusiasta della loro sosta a Bagan, non ne avevo dubbi. A Singapore, abbiamo 4 ore di sosta che trascorrono velocemente in questo meraviglioso e funzionale aeroporto. Cerco di riposare, la febbre mi è salita di nuovo e vedo una certa preoccupazione sui volti dei mie compagni. Non vedo l’ora di rientrare per fare degli accertamenti più approfonditi. Comunque la Singapore Air, prima del docollo mi fa un bel regalo, due assistenti di volo si avvicinano e mi dicono che se voglio posso passare alla busines class, visto che ci sono dei posti vuoti, accetto ben volentieri, ed in quelle belle poltrone che si stendono completamente, mi addormento subito dopo il decollo.
Conclusione
Una volta, quando non conoscevo il Myanmar, era la Thailandia di cui mi ero innamorato. C’ero stato nel 1976, avevo 18 anni, ero ancora un ”bimbo”che si era preso un periodo sabbatico. Casualmente al seguito di una ragazza olandese conosciuta a Bombay, avevo lasciato gli amici e la strada che stavamo percorrendo che ci avrebbe portato, seguendo 'Hippy trail' (di moda in quegli anni) a Katmandu. Arrivai con lei in Thailandia, a Samui dove rimasi per alcuni mesi. Quella era una Thailandia completamente diversa da quella di adesso, ma molto simile al Myanmar di oggi. Rimasi affascinato, estasiato ed una volta tornato a casa, la nostalgia del Siam non mi ha più abbandonato, nemmeno quando vi sono tornato e l’ho trovata profondamente cambiata in peggio. Gli amici scherzando mi dicevano che ero affetto da Thailandite, una strana malattia che colpiva chi era stato nel paese del sorriso.
Bene, a distanza di quasi quaranta anni, e grazie alla cura Myanmar, penso di essere guarito da quella patologia, anche se ho l’impressione di aver contratto un’altra malattia che difficilmente potrà essere curata, “la Birmanite”, l’unica cura è quella di tornarvi il prima possibile.