Dobbiamo ammettere che siamo partiti per la Giordania senza molte aspettative, e forse, proprio per questo le sorprese che ci ha riservato sono state tante e piacevoli.
Nella fase di organizzazione dell’itinerario abbiamo scelto di dedicare del tempo alla scoperta anche di luoghi meno battuti, come ad esempio quelli degli Enti Governativi per la conservazione della natura.
Il primo impatto non è dei migliori, visto che il tragitto notturno in taxi verso l’albergo ci offre la sua parte più degradante, poi confermata al nostro risveglio.
Gli edifici, spesso costruiti a metà, senza intonaco e disposti in maniera disordinata sul territorio sono infatti frutto di una espansione demografica senza controllo e lo sventolio delle onnipresenti buste di plastica nere appese agli alberi o abbandonate ai bordi delle strade sono un altro cattivo aspetto di questa mal gestita urbanizzazione.Scegliamo Madaba come punto di appoggio per visitare i siti dislocati nella parte settentrionale del paese: le rovine romane di Jerash, senza dubbio una delle migliori conservate fuori dall’Italia, tanto che la vista della piazza ovale e del cardo che si godono dalla cima del teatro danno ancora l’idea della magnificenza del luogo, costruito tra l’altro a migliaia di chilometri dalla capitale e ai confini dell’impero.
Gli splendidi mosaici di Madaba, tra i quali più che quello famoso della S.George Church, apprezziamo quello della sala di Ippolito nel parco archeologico, offrono traccia del periodo storico successivo, quello bizantino, così ricco di fenomeni legati all’arte sacra.
In questa zona comunque, si incontrano diversi luoghi sacri alle tre religioni monoteiste più diffuse, il che, se da un lato conferma l’animo tollerante e pacifico dei giordani, dall’altro ha permesso a diversi monumenti di conservarsi grazie proprio al comune interesse. Così ad esempio ci capita di incontrare musulmani in visita ai mosaici del convento cristiano sul Monte Nebo, come del resto accade sulla collina panoramica che accoglie i resti di Mukawir.
Non essendo attratti dalle caotiche metropoli, non troviamo molto interesse in Amman, se non nei classici siti di interesse archeologico, dove inoltre smog e traffico rendono poco piacevole anche passeggiare.
Lasciata la città, infatti, ci dirigiamo per un pò di “refrigerio” e tranquillità in una spiaggia del mar Morto, guidando su strade panoramiche che abbracciano la visuale su buona parte della depressione occupata dal lago salato.
La sensazione che si prova di galleggiamento è indescrivibile e incredibile, anche se il caldo asfissiante e l’immancabile pizzicorio dovuto al sale che comunque appare dopo un quarto d’ora di ammollo, fanno apprezzare l’acqua ristoratrice dell’adiacente piscina.
Dopo qualche giorno lasciamo questa zona del paese e guidiamo in direzione est di Amman, dove le case poco a poco si diradano lasciando l’orizzonte aperto e senza ostacoli visivi.
Dopo diversi chilometri di pianura brulla e desertica non è difficile quindi scorgere le sagome dei due interessanti edifici così vicini e così distanti per concezione.
Sono infatti chiamati castelli del deserto e sono, il primo, Qasr Kharana, un imponente caravanserraglio, antico luogo di riposo per pellegrini e viaggiatori, il secondo, Qusayr Amra, un luogo di ristoro per il corpo e per lo spirito, adornato da stupendi affreschi ben conservati, che lo hanno elevato non a caso a sito patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO.
Il nostro interesse per la zona sono però soprattutto le due riserve faunistiche poco più a est, per cui decidiamo di fare base al lodge eco sostenibile ottimamente gestito dalla Royal Society Conservation of Nature.
Qui vicino, in mezzo ad una mare di camion che fanno spola con la vicina frontiera saudita, sopravvivono ad alterna fortuna due lodevoli progetti naturalistici.
La riserva di Shaumari, nata per accogliere i pochissimi esemplari rimasti al mondo di orice bianco, ora studia e conserva diverse specie giordane in via di estinzione: se da un lato l’orice ormai vive in stato di semilibertà, e comincia ad essere reintrodotto in altre zone della Giordania e nei paesi limitrofi, dall’altro la riserva permette ad una trentina di persone, tra veterinari, ricercatori e inservienti, di guadagnare sul lavoro svolto al suo interno.
L’oasi di Wetland invece sta perdendo la sua originale vitalità, a causa del dissennato sfruttamento delle sue risorse idriche, sebbene dalla torretta di osservazione si riesca ancora a contemplare in silenzio la fragile natura circostante, comprensiva sia di diversi uccelli stanziali, visto che agosto non è periodo migratorio, che di un’altra specie reintrodotta nella zona, il bufalo d’acqua.
Anche per le difficoltà in cui opera quindi, è da encomiare il lavoro svolto dal RSCN anche per le attività dirette alla popolazione locale, coinvolta in cooperative su progetti di lavoro sociale ed ambientale.
Con questi pensieri arriviamo a Karac, località famosa per le rovine del sopravvalutato castello crociato: è sicuramente imponente, tanto che si rimane a bocca aperta quando lo si scorge in lontananza la prima volta, però essendo una fortezza costruita per scopi difensivi non offre all’interno quegli scorci artistici degni della fama che si trascina.
Noi siamo qui soprattutto per i wadiis, quindi al contrario della maggior parte dei turisti, ci fermiamo qualche giorno in città. Grazie a Samir, il simpatico egiziano che gestisce il Tower Castle, organizziamo dei trekking nelle zone vicino ancora fortunatamente poco battute dal turismo.
Il Wadi Numeira, ma soprattutto il Bin Hammad è un canyon attraversato da un fiume in cui è possibile effettuare escursioni di una giornata camminando praticamente da soli, immersi nell’acqua e in uno scenario sorprendentemente lussureggiante, per poi finire la camminata nella vicina e rilassante hot spring, poco frequentata tranne il venerdì.
Sul minibus per Tafila ricordiamo ancora con piacere i tardi pomeriggi passati a sorseggiare the sui tavolini del Tower Castle ad ammirare il passaggio della sonnecchiante vita cittadina, interrotto dai pullman granturismo che accompagnano turisti del circuito tutto compreso scortati inspiegabilmente da guardie armate.
Forse la spiegazione di questo, almeno in parte, la troviamo nella tappa successiva del nostro viaggio, Wadi Mousa, città cresciuta attorno alla fama di Petra, in cui si nota la perdita della cordialità o dell’ospitalità giordana, a favore delle consuete scene spilla soldi, tipiche dei luoghi di turismo mordi e fuggi.
Nonostante questo, Petra è un luogo indimenticabile e se si ha voglia, come noi, di presentarsi agli ingressi al sorgere del sole, si ha la possibilità di godere della vista dei primi monumenti ancora in solitudine; tra l’altro data l’estensione del sito, ciò permette una visita approfondita per ammirarne la magnificenza delle opere che questo antico popolo ha consegnato alla storia.
I siti famosi e probabilmente più interessanti dal punto di vista architettonico sono il Tesoro e il Monastero, tanto che si forma una lunga scia di persone che congiunge le due tombe; però per godere appieno della spiritualità di questi luoghi bisogna cercare il proprio angolino quasi solitario uscendo dagli itinerari più battuti.
Rimaniamo affascinati dalla discesa che parte dall’Altura del Sacrificio e raggiunge da dietro il centro città. Qui si scorge solo poco alla volta la maestosità del gruppo di tombe denominate del Soldato, la cui ricostruzione dà il senso di reverenza e ammirazione che già gli antichi viaggiatori dovevano avere passando davanti a questo luogo di culto dei morti.
Le meraviglie che ci offre la Giordania non sono ancora terminate, visto che ci troviamo prima dell’alba sul mezzo che ci porta nel Wadi Rum, il deserto reso celebre dalle gesta e dalle scene del film su Lawrence d’Arabia.
Il paesaggio è degno della sua fama, anche se per gustarne il fascino bisogna allontanarsi dalle numerose jeep; in questo modo si possano ancora assaporare il silenzio e i colori accesi di questo luogo, in cui la presenza del vento accentua il senso di solitudine.
E’ interessante discorrere a cena con i beduini che organizzano questi tour scambiandosi sincere opinioni sul rispettivi modi di vivere, anche se appuriamo che i loro sono ormai lontani dalle tradizioni nomadi e sempre più vicini alla vita sedentaria dettata da standard occidentali.
Prima di coricarci in tenda, il deserto ci regala l’ultima emozione, visto che dopo la stellata serale, in cielo è comparsa una luna quasi piena, che permette di camminare per le dune illuminate a giorno, una sensazione ormai dimenticata nei nostri cieli inquinati dalle luci della città e dallo smog.
L’ultima parte del nostro viaggio ci porta a riposarci sulle spiagge a sud di Aqaba, dove scegliamo un resort con spiaggia privata, così da garantirci quella riservatezza non possibile nelle sporche spiagge pubbliche.
In questa zona, lontani dalla città, il mare è molto bello e pulito e fortunatamente la barriera corallina è ancora abbastanza integra e abitata da una miriade di pesci colorati che ci offrono, ogni volta che ci tuffiamo in questo giardino, uno spettacolo appassionante, come l’avanzare quasi goffo del pesce palla o l’andatura danzante ed elegante del pesce scorpione.
I tentativi di conservazione sono tangibili, visto che il numero di barche è limitato.
Tutto questo però credo che non possa avere un futuro florido, tenuto conto delle strutture alberghiere che stanno nascendo su tutto il litorale, che sicuramente avranno un impatto devastante sul fragile ecosistema marino; sarebbe un vero peccato assistere al declino anche di questo paradiso naturale se non fosse in grado di resistere alle regole del business.
Siamo ormai al termine di questo viaggio, scriviamo gli ultimi appunti alla fine dell’ennesima ottima cena in un rinomato ristorante libanese della capitale; manca ormai poco al volo di ritorno, tempo che passiamo discutendo su quali siano state le più belle cose visitate; scopriamo che inaspettatamente rispetto alle previsioni iniziali, (mentre ormai i camerieri stanno sparecchiando la tavola), che non troviamo un accordo su quale sia stata la migliore.
Sukran Giordania per quanto ci hai regalato.