Questo diario riporta solo parzialmente la nostra esperienza in Brasile. Nel corso dello stesso viaggio abbiamo raggiunto anche altre zone del Paese tra cui le cascate di Iguazu. Tuttavia riporto qui solo la cronaca della visita al Pantanal, realtà completamente diversa e a se stante rispetto alle altre destinazioni, ma soprattutto molto meno conosciuta.
Date le caratteristiche del luogo, assolutamente privo di monumenti e siti storici, la descrizione dei nostri 11 giorni trascorsi lì, sarà improntata su di una parziale lista dei numerosi avvistamenti, con alcune caratteristiche salienti degli animali e dell’ambiente in cui vivono.
Gli avvistamenti di alcuni animali sono stati chiaramente molto frequenti, ma per ovvie ragioni cercherò di evitare inutili ripetizioni, nel tentativo di rendere il più possibile fluido il racconto.
E’ comunque importante sapere che chi va in questa enorme regione del Brasile, se sceglie la stagione giusta, non rimarrà mai deluso perché riuscira ad avvistare così tanti animali da poter rivaleggiare con i più bei parchi africani.
Il Pantanal è la più grande zona umida del mondo, entrata a far parte del patrimonio dell’Unesco a partire dal 2000. Si estende su una superficie di ben 150.000 Km. quadrati, ovvero una superficie che equivale a metà del territorio Italiano.
Qualcuno la definisce una palude ma in realtà è una piana alluvionale, che si riempie d’acqua durante il periodo delle piogge: alla fine del periodo, l’acqua pian piano si ritira, lasciando nella immensa pianura solo dei laghetti e degli stagni dove si concentra la vita animale. Il Pantanal racchiude uno scrigno di tesori, un vero paradiso per gli appassionati di natura ma soprattutto per i birdwatchers.
Rispetto all’Amazzonia, altra perla del Sudamerica, il Pantanal ha un grosso vantaggio: l’ambiente è diverso, più aperto, ed è molto più facile avvistare gli animali che si nascondono meno tra il fogliame della foresta.
Il periodo migliore per visitarlo va da maggio a ottobre, ovviamente durante la stagione secca (preferibile luglio-ottobre).15 agosto 2008
Arriviamo a Cuiaba, capitale del Mato Grosso il giorno di ferragosto: qui siamo in inverno, ma la relativa vicinanza ai tropici non ci fa certo rimpiangere l’estate che abbiamo lasciato in Italia. Ritiriamo l’automobile presa in affitto in un ufficio vicino all’aereoporto, non senza difficoltà, visto che nessuno parla Inglese… per fortuna il portoghese è una lingua abbastanza amica e riusciamo a spiegarci: mi faccio sostituire la ruota di scorta che è in condizioni disastrose (in Sudamerica è sempre bene controllare queste cose, anche con rent a car conosciuti!) e ci avviamo verso il parco: ci sono essenzialmente due strade che si addentrano nel Pantanal, entrambe raggiungibili da Cuiaba. Noi percorreremo quella ad ovest che in 104 Km. ci portà a Poconè, ultimo paesino prima dell’inizio della strada più famosa, la Transpantaneira: 145 Km di strada sterrata dal nome evocativo, che termineranno a Porto Jofrè, nel cuore del parco. Poconè si trova già al suo interno, ma non si vedono molti animali, perché l’uomo ha bonificato parte delle zone umide per adibirla a coltivazioni agricole. Nascono proprio da questo le discordanze quando si parla di superficie del Pantanal: alcuni gli attribuiscono “soli” 140.000 chilometri quadrati, altri più di 200.000, includendo molte aree strappate alla piana alluvionale dai fazenderos per l’agricoltura e l’allevamento, aree che si trovano tecnicamente all’interno della regione. Comunque la si veda, è una regione enorme. Come termine di paragone, l’Italia misura 300.000 chilometri quadrati!
A Poconè si possono fare le ultime provviste, e noi facciamo anche il pieno di benzina, perché sappiamo che non ci saranno altri distributori fino a Porto Jofrè, dove la benzina costa il doppio! Per la verità facciamo il pieno di alcool visto che la nostra auto va anche ad alcool, carburante molto più ecologico!
Dopo l’ultimo distributore comincia lo sterrato. Ancora pochi chilometri ed incontriamo una sbarra, dove un ranger svogliato ci fa passare senza chiederci nulla. Siamo ufficialmente nel cuore del Parco! Per il primo tratto, il panorama non cambia molto perché continuiamo a vedere campi coltivati, ma dopo 10 minuti appaiono i primi stagni e si cominciano ad avvistare gli animali più comuni da queste parti, i jacarè, (caiman jacarè foto 4+43). Il nome stesso latino ci dice che i jacarè sono una specie di caimani che si trovano solo in queste zone del Sudamerica e proprio qui nel Pantanal sono particolarmente diffusi: si calcola ce ne siano centomila nel parco: mi riesce difficile immaginare che sia una specie a rischio! Malgrado si trovino pressochè dappertutto, non costituiscono un vero pericolo. Questa specie di rettili non è aggressiva e molto spesso, se ci si avvicina, sono loro a scappare dall’uomo.
Qui se ne stanno tranquilli a godersi il sole, alcuni sono praticamente a ridosso della strada! Continuiamo verso il lodge dove soggiorneremo per i primi giorni, la Pousada passo de Ema (foto 5) che è una dependance dell’Araras eco lodge, www.araraslodge.com.br. Questo lussuoso lodge si trova al km. 32 della transpantaneira: la sua dependance, ben più modesta, ricavata da una fattoria tuttora in funzione, è invece situata in una delle rare stradine laterali, a 4 km. di distanza.
Quando arriviamo non tardiamo molto a renderci conto della differenza: mentre l’Araras Eco Lodge si trova immerso in un curatissimo giardino, questa fattoria non ha nulla che voglia farla sembrare diversa da ciò che è: un ranch dove si allevano cavalli!
Sul retro del fabbricato un piccolo stagno con un pontile in legno: visto che si sta avvicinando il tramonto, dopo aver scaricato i bagagli, ci piazziamo proprio vicino alla stagno per avvistare un po’ di fauna (foto 6). Oltre ai jacarè, vi sono parecchie specie di uccelli, tra cui il più simpatico è un rampichino del planalto (dendrocolaptes platyrostris, foto 7+8): un passeriforme dalle dimensioni all’incirca di un merlo, con un lungo becco sottilissimo, che si avvista controllando i tronchi. Del resto, il nome stesso fa immaginare come questo uccellino si diverta ad “arrampicarsi” sui tronchi alla ricerca di insetti di cui si nutre tra le cortecce. Quello che avvistiamo sta girando senza mai fermarsi intorno al tronco di un albero di acacia, pieno di spine. Come faccia a non farsi male è un mistero!
Ci godiamo gli ultimi scampoli di calda luce serale nel silenzio più assoluto, cullati dal leggero sciabordio dell’acqua, mossa solo dal nuoto dei caimani e dai balzi dei numerosi pesci, impegnati nella loro unica occupazione, escluso il cibarsi: sfuggire ai numerosi predatori!
Nella fattoria lavorano due mandriani e le loro mogli, una delle quali si rivela essere una fantastica cuoca. Quella sera, come tutte le sere, mangeremo piatti tanto semplici quanto straordinariamente appetitosi, a base di carne, fagioli, riso, verdure cotte e patate.
16 agosto 2008
Sveglia all’alba: partiamo prima di colazione per fare il primo giro, come facciamo sempre quando il nostro viaggio è naturalistico. Gli avvistamenti cominciano subito con uno splendido tucano toco (ramphastos toco foto 9), con il variopinto becco splendente, illuminato dal sole. Ci sembra davvero strano vederlo in mezzo alla foresta, libero, visto che questo è un uccello che siamo abituati a vedere in cattività!
Proseguiamo lentamente verso la strada principale, fermandoci più volte ad osservare e fotografare gli uccelli. Ci impieghiamo quasi due ore a percorrere i pochi chilometri che ci separano dalla transpantaneira e questo la dice lunga sulla quantità di animali che riusciamo ad avvistare.
Nel Pantanal esistono 700 specie diverse di uccelli, 80 di mammiferi, 50 di rettili e 260 di pesci. Teoricamente sono tutti avvistabili lungo il percorso dei 145 Km della transpantaneira! In un solo giorno è possibile avvistare più di 100 specie diverse, e questo dà un’idea dell’abbondanza della fauna presente in questo parco nazionale.
Certamente le più difficili da avvistare sono le 260 specie di pesci: immergersi in queste acque non è certamente molto salutare e ne facciamo volentieri a meno!
Torniamo indietro per fare colazione, e ripartiamo per raggiungere nuovamente il primo grande stagno che avevamo avvistato ieri. Trascorriamo lì tutta la mattinata, a monitorare la fervente attività di quegli specchi d’acqua.
La strada è fiancheggiata da praterie verdeggianti, interrotte solo da rari cespugli dove si posano o trovano rifugio uccelli di tutte le taglie, e punteggiato da splendidi stagni bluastri. Le praterie sono interrotte senza soluzioni di continuità da macchie di vegetazione più fitta, dove trova cibo e rifugio la variegata fauna locale.
A parte i jacarè, gli unici animali di una certa taglia che avvistiamo nel grosso stagno sono dei bufali (foto 3), i quali non hanno nessun problema a convivere con i caimani: anzi, i grossi rettili tendono a spostarsi impauriti quando i quadrupedi entrano in acqua. Ovviamenti i bufali, pur essendo liberi, appartengono a qualche fazendero che ha la fattoria da quelle parti.
La convivenza fra le fazende e il Parco si è sempre dimostrata difficile. I fazenderos, gente dura ed abituata alle difficolta di questa regione inospitale per l’uomo, cercano da sempre di strappare terre alla natura e bonificarle. Questo porta ad una distruzione del delicatissimo habitat tanto che il governo centrale ha dovuto spesso intervenire per regolare l’equilibrio precario tra esigenze umane e naturali. Ora però questa gente ha cominciato a capire l’importanza del turismo e molti hanno cominciato a trasformare, almeno parzialmente, le loro fazende in centri di accoglienza per i turisti nella stagione secca. La scarsità di alberghi facilita questo trend, sicuramente da incoraggiare.
Verso le 11.00 il caldo si fa opprimente e siamo costretti ad arrenderci: intorno non c’è un solo albero dove andare a ripararci e siamo costretti a risalire in macchina ed andare a riposarci un po’ al lodge: benchè dormiamo nella dependance possiamo tranquillamente frequentare la struttura dell’Araras molto più adatta ad accogliere visitatori, visto che ha un bar e ristorante e questo si rivelerà un grosso vantaggio.
Aspettiamo che passino le ore più calde, dopodichè torniamo sui nostri passi, vogliamo dedicare tutta la giornata a quella grossa pozza.
Trascorriamo dunque il pomeriggio ad osservare la vita nell’acqua: i numerosi aironi bianchi (ardea alba foto 41 + 42) non sembrano preoccuparsi troppo della presenza dei caimani e la convivenza sembra abbastanza pacifica. Oltre agli aironi bianchi, bellissimi ed eleganti, vediamo anche parecchi aironi guardabuoi (bubulcus ibis). Le due specie differiscono prima di tutto nelle dimensioni: l’airone bianco può arrivare ad un metro di altezza, presenta uno splendido piumaggio bianco ed il becco giallo che diventa più scuro nella fase riproduttiva. L’airone guardabuoi, invece, è ben più piccolo, di solito non supera i 30 cm., mentre piumaggio e becco sono dello stesso colore dell’airone bianco, anche se il becco è più tozzo e corto. Deve il suo nome al fatto che spesso lo si vede in compagnia di bufali (soprattutto in Africa, è una specie che si trova quasi dappertutto!), buoi o cavalli, perché si nutre occasionalmente dei loro parassiti, anche se di solito preferisce prede più consistenti come pesci e anfibi: qui trova davvero di tutto!
Ma gli aironi da queste parti sono davvero tantissimi, di specie diverse: scorgiamo ai bordi del boschetto un bellissimo airone tigrato rossiccio (tigrisoma lineato foto 11+12), piuttosto comune da queste parti: il nome italiano riassume le due caratteristiche del giovane e dell’adulto, con il giovane che presenta un piumaggio che ricorda i disegni del mantello della tigre, disegni che tendono a scomparire con l’età adulta, lasciando il posto alle piume rosse sul collo degli esemplari adulti.
Ancora, ci deliziano con le loro rapide scorribande sulla riva gli ibis plumbei (theristicus caerulescens foto 13), dalle piume grigie scure, mentre sopra le nostre teste continua il via vai incessante di almeno una ventina di specie diversi di uccelli!
I posatoi sono invece pieni di martin pescatori, quasi sempre con una preda nel becco, pescata dalle acque piene di deliziosi pesci. I più comuni sono i martin pescatori verdi (chloroceryle americana, foto 40).
Torniamo soddisfatti verso sera al nostro lodge: in attesa della cena, la nostra camera ci ricorda che viviamo in un ambiente dove la natura la fa decisamente da padrona: quando azioniamo lo sciacquone del bagno, assieme all’acqua precipita verso il basso anche una rana! La scoperta la fa mia moglie che, non accorgendosi subito che è una rana, lancia un urlo alla vista di una macchia scura che scende per le pareti del water e tenta disperatamente di risalire! Quando il piccolo anfibio esce dalla tazza ci illudiamo che, complice lo spavento che anche lei deve essersi presa, vada alla ricerca di altri lidi… Pia illusione, la nostra ranocchia ci farà compagnia per tutto il tempo, rientrando testardamente ogni volta all’interno della vasca dello sciacquone e finendo inesorabilmente ad annaspare terrorizzata nella tazza ad ogni scarico!
17 agosto 2008
Il nostro giro pre-colazione ci riserva la vista ravvicinata con una coppia di splendidi Ani beccoliscio (crotophaga ani foto 14). Questi uccelli appartengono alla famiglia dei cucù e sono facilmente riconoscibili per il loro becco dalle grandi dimensioni, il colore completamente nero e si trovano in gran parte del Sudamerica. La loro caratteristica più curiosa è che fanno il nido in comune, un bel nido di 3-4 coppie che occupano e difendono insieme!
Non lontano veniamo attirati dal richiamo di un turaco (foto 15), certamente tutt’altro che armonioso: è un uccello estremamente chiassoso, dal verso stridulo e capace anche di imitare le grida di altri uccelli. Quando ci vede non sta zitto un secondo, continua a strillare, rompendo la pace e l’incanto vissuto fino ad allora. Non è colorato come altre specie di turaco africane e sudamericane, ma è comunque molto bello!
Al rientro, verso le otto, troviamo i due mandriani intenti a catturare cavalli per portarli nel recinto: è una scena di altri tempi, con i due uomini che catturano al lazo i cavalli e li trascinano all’interno di un piccolo box dove probabilmente verranno vaccinati (sono già marchiati) o comunque subiranno qualche controllo. I mandriani sono vestiti come dei veri e propri cow-boy, con pantaloni in cotone rivestiti di una gualdrappa in pelle, cappelli da cow boy dalle ampie tese e alla cintura, al posto della classica pistola, dei coltellacci che mettono i brividi solo a guardarli e che loro sanno ovviamente manovrare con grande abilità. Portano spesso anche una corda e una specie di frusta e sono abili cavalieri. Si vedono facilmente anche nella Transpantaneira e sono di fatto i padroni del territorio che conoscono perfettamente (foto 44+66) .
Oggi abbiamo deciso di andare ad esplorare i dintorni dell’Araras lodge, che si rivela essere molto interessante. Un sistema di passarelle sugli stagni circostanti ci porta all’interno di un boschetto, alla fine del quale è posizionata una torre di avvistamento, che domina un vasto acquitrino. Intorno ci hanno assicurato che c’è un folto gruppo di scimmie cappuccino (cebus apella robustus foto 16+17) che infatti vediamo gironzolare attorno alla torre di avvistamento. Sono curiose e controllano se per caso abbiamo qualcosa da mangiare. E’ proibito dar loro da mangiare, ma la confidenza con la quale si avvicinano ci fa pensare che molti non osservino il divieto. D’altra parte queste sono scimmie piuttosto timide in natura, tanto è vero che il maschio dominante spesso lancia grida di allarme anche quando si avvicina semplicemente un grosso uccello. La loro confidenza ci fa capire che non hanno assolutamente paura degli umani, dunque tutto ciò non torna con la loro naturale timidezza. Questi primati vivono in gruppi dove le femmine sono tutte imparentate tra di loro, mentre i maschi emigrano in età adulte verso altri gruppi. I gruppi sono composti da una decina di individui o più e quello che si avvicina a noi sembra essere un solo gruppo, con le femmine molto meno guardinghe dei maschi che si tengono a debita distanza.
Contrariamente a quello che accade di solito in natura, qui le femmine sone effettivamente molto più intraprendenti, soprattutto nel periodo della riproduzione: sono loro infatti ad inseguire i maschi dominanti per accoppiarsi e quando il maschio dominante è assente non disdegnano di accoppiarsi anche con altri maschi! Per attirare i maschi e dare il segnale che sono pronte per l’accoppiamento si cospargono il corpo di urina, cosa che non suona decisamente molto sexy a noi umani… per fortuna non percepiamo l’odore di nessuna femmina pronta per l’accoppiamento!
Saliamo sulla torre di avvistamento e ci godiamo dunque la vista a 360 gradi: da una parte il bosco, con le fronde degli alberi popolate da diversi gruppi di scimmie, dall’altra l’acquitrino dove scorgiamo alcuni cervi delle paludi (blastocerus dichotomous foto 18), tuttavia piuttosto distanti. Li rivedremo più vicini nei giorni successivi. Improvvisamente sentiamo invece un gran muoversi di frasche proprio sotto la torre e scorgiamo una grossa sagoma uscire dal bosco e rientrare immediatamente: è un tapiro! Cerco di fotografarlo, ma non mi riesce molto bene, visto che l’animale si è sempre tenuto a ridosso degli alberi. Il tapiro (tapirus terrestris foto 19) è di fatto un animale preistorico e, contrariamente a quanto comunemente pensato, raggiunge ragguardevoli dimensioni, tanto che può arrivare a pesare anche 300kg. E’ fondamentalmente erbivoro ed ha la curiosa caratteristica di muoversi di solito a zig-zag quando si nutre dei teneri germogli o delle giovani foglie degli alberi, suo cibo preferito. E’ molto timido e quando si vede in pericolo tende a nascondersi nel bosco o nell’acqua. Vive infatti sempre a ridosso di corsi d’acqua dato che ama molto questo elemento e, come gli ippopotami, ama molto oziare immerso completamente nell’acqua e nella fanghiglia.
La sera, al nostro rientro, troviamo all’Araras lodge una ranger e decidiamo di informarla dell’avvistamento, perché sappiamo che il tapiro non è così facile da vedere di giorno. Lei non ci crede e cerca di correggerci, dicendo che probabilmente abbiamo visto un maiale selvatico: non sa, la ragazza, che se c’è un animale che gli italiani conoscono molto bene è proprio il tapiro, viste le ben note trasmissioni televisive!
Visto che continua ad essere scettica, le faccio vedere la foto, ed è costretta ad ammettere che è proprio un tapiro! Ci conferma che sono animali molto elusivi anche perché tendono a passare la maggior parte della giornata nascosti tra la vegetazione o nell’acqua, diventando più attivi di notte.
Quella sera, alla nostra posada, Teresa la cuoca supera sé stessa, preparandoci un piatto unico a base di riso, carne e fagioli. Accompagnato dalle verdure cotte si rivela essere ua vera prelibatezza dal sapore rustico e deciso.
18 agosto 2008
Giornata ricca di emozioni: cominciamo subito con l’avvistamento di un albero, proprio a ridosso della transpantaneira, pieno di ara giacinto, i rarissimi pappagalli che sono comuni solo in questo parco. Gli ara giacinto (anodorhyncus hyacinthinus… ma non potevano trovargli un nome più semplice?! Foto 21+22), sono una specie classificata come “endangered” ovvero in pericolo di estinzione. Ad un visitatore del Pantanal riesce difficile crederlo perché in questa zona è abbastanza facile da avvistare: è comunque l’unica zona al mondo dove è così comune. Dunque tanto vale approfittarne!
I volatili, divisi in coppie, eseguono evoluzioni sui rami, affondano il becco tra le piume dei partners, spiccano piccoli balzi roteando sui rami a testa in giù. Purtroppo, dopo una ventina di minuti, spaventati da un’auto che sopraggiunge ad alta velocità, si alzano in volo e spariscono tra la boscaglia.
Riposte le macchine fotografiche, giriamo a destra, verso Poconè e il primo grosso stagno che abbiamo già visitato due volte. Sappiamo che è uno dei più ricchi di avifauna della zona, ma quello che avvistiamo appena arrivati non sono uccelli. Giusto al centro dello stagno più grande, alla nostra destra, una famiglia di lontre giganti emerge dal pelo dell’acqua quasi a voler controllare se il loro territorio di caccia sia sgombro da predatori. E’ un momento emozionante, perché non eravamo così sicuri di riuscire ad avvistarle!
Le lontre giganti (Pteronura brasiliensis foto 23+24), infatti, fanno degna compagnia agli ara giacinto come specie in via d’estinzione: delle 13 specie di lontra esistenti al mondo è la più rara! E’ stata decimata negli anni dalla caccia intensiva per le pelli, tanto che in pochi decenni si calcola che la popolazione sia diminuita dell’80%. Si sa pochissimo delle sue abitudini, il che non aiuta a preservare la specie, anche se è certo che è un animale definito “ad ombrello” ovvero una specie la cui conservazione comporta benifici all’intero habitat, quindi anche alle altre specie che convivono. Ragione di più per lottare intensamente per la sua salvezza. Sono animali di grossa taglia e alcuni maschi adulti possono arrivare a due metri di lunghezza. Un’altra caratteristica importante è la loro socialità: vivono in gruppi di una decina di individui ed insieme cacciano, giocano, allevano i piccoli, difendono il loro territorio.
La famigliola ci delizia con le sue imprese di caccia, anzi, di pesca! Non è facile seguirle nei loro spostamenti, perché scompaiono sott’acqua per lunghi tratti, per poi apparire magari anche a 100 metri di distanza con la preda in bocca, spesso nascondendosi dietro le foglie di piante anfibie. Vederle mangiare è un vero spettacolo: strappano le carni dei pesci a piccoli bocconi, aiutandosi con le zampette anteriori che sembrano delle piccole mani, senza mai trascurare di controllare l’ambiente circostante. Appena consumato il pasto si rituffano instancabili alla ricerca di altri pesci che costituiscono tutta la loro dieta. Corriamo avanti e indietro per diverso tempo nel tentativo di localizzarle e quando il sole si fa più cocente, abbandoniamo a malincuore la pozza e andiamo a passare le ore più calde a Poconè, dove ne approfittiamo per rifare il pieno.
Nel pomeriggio torniamo invece nei prati antistanti il lodge dove avvistiamo diversi capibara (Hydrochoeris Hydrochaeris… sì, una “a” al posto della “o” nel nome della specie, mah! Foto 25+26). A parte il solito nome impronunciabile latino, la cosa più divertente di questo animaletto è che per la chiesa il capibara è un pesce! L‘equivoco nasce ufficialmente dal fatto che la chiesa aveva interpretato erroneamente le prime descrizioni pervenute dai missionari nel XVI secolo: l’animale, che neppure somiglia ad un pesce, è stato classificato come tale e lo strafalcione non è mai stato corretto. Niente di male, direbbe qualcuno, se non fosse per il fatto che, data la classificazione teologica, nel periodo di quaresima, non potendo mangiare carne ma solo pesce, il buon cristiano brasiliano può mangiare la carne di capibara. Non male come assurdità!
In realtà si presume che non sia stato un vero e proprio errore e che la decisione presa a quel tempo fu una decisione di comodo, dovuta al fatto che gli indios si cibavano della loro carne: proibirla avrebbe comportato una fuga di conversioni. Una ulteriore dimostrazione dello spirito pratico dei Gesuiti, ma anche di come gli interessi a volte prevalgano sulla spiritualità!
Le foto allegate non lasciano dubbi sul fatto che l’animale non sia dotato di pinne e branchie e sia un roditore, non un pesce, pur essendo un ottimo nuotatore! In questo periodo le femmine hanno i piccoli che non si staccano mai più di un metro dalla madre. I capibara sono predati dai giaguari, dalle anaconde e dai Jacare, per cui devono stare sempre vigili e attenti.
Il giardino è affollato anche da picchi, aironi, cardinali crestati, Ibis, Pavoncelle, Jacana, garzette.
La sera, prima di rientrare al passo da Ema, scambiamo due chiacchiere con la ranger che rientra alla base dopo aver accompagnato un gruppo. Dopo l’episodio del tapiro abbiamo guadagnato la sua fiducia e, dato che le diciamo che vorremmo vedere ancora le lontre, ci consiglia di andare alla Posada Rio Clarinho, diversi chilometri più avanti, e di chiedere di fare un tour, specificando però di volere come guida Peshinho, che ci assicura essere il più bravo. Prendiamo nota e ci avviamo verso il nostro alloggio e la ricca cena di Teresa.
19 agosto 2008
Partiamo pieni di speranza verso la Pousada, dove appena giunti chiediamo di fare il tour in barca con Peshinho. Ci dicono che lo avvertiranno e sarà lì nel primo pomeriggio. Nell’attesa non ci mancano neppure qui gli spunti per osservare altri animali. Anche qui il giardino è pieno di altri uccelli, tra cui il Jabiru (Jabiru mycteria foto 27+28+29). Questo splendido cicogniforme è uno dei simboli del Pantanal e lo abbiamo ovviamente già avvistato nei giorni precedenti. E’ un uccello imponente, arriva anche a 1.30 metri di altezza ed è simile al marabù. Come lui è un uccello spazzino e si nutre di carogne, oltre che di pesci. Costruisce i suoi nidi generalmente in cima agli alberi e, dato lo spessore del nido stesso, spesso i piani inferiori sono utilizzati da altri uccelli come i parrocchetti che ne fanno a sbafo il proprio “condominio”, senza pagare le spese! La cosa che lo rende molto bello e allo stesso tempo riconoscibilissimo, è una vasta area sul collo di colore rosso scarlatto (il piumaggio è bianco ed il becco nero) che gonfia nel periodo riproduttivo. Il volo è spettacolare, dato che ha una apertura alare che supera facilmente i due metri!
Verso le due torniamo all’imbarcadero (la pousada si trova lungo un affluente del Rio Cuiaba) e troviamo il nostro uomo intento a pescare i piranha che userà poi come esca per attirare le lontre. Il fiume è talmente pescoso che in 10 minuti quasi riempie il secchio: non c’è da meravigliarsi se il Pantanal è così ricco di animali! Peshinho è un ometto piccolo, sui cinquant’anni con un ampio cappello a tesa ficcato in testa: ha l’aria di essere un esperto del luogo, uno che sa il fatto suo e capiamo subito perché la nostra amica ranger ce l’ha consigliato.
Partiamo con una piccola barca di alluminio a fondo piatto e, dopo una sosta per osservare jacarè e Caracara, arriviamo in una piccola insenatura dove l’acqua è quasi ferma e ricca di giacinti d’acqua.
Il nostro piccolo pescatore ferma la barca e lancia subito un paio di acuti fischi che rompono il silenzio. Quasi immediatamente, dalla folta vegetazione a riva arrivano rumori di rametti spezzati e foglie calpestate. Le lontre lo hanno riconosciuto e si precipitano in acqua! Fin troppo facile, pensiamo! Nel giro di pochi secondi fanno capolino dall’acqua i musetti di due lontre, due giovani maschi che si gettano a capofitto sui pesci lanciati dalla barca. Per questi animali, pescare da soli non sarebbe troppo difficile, vista la pescosità delle acque, ma un bel pesce fresco già morto, che non serve inseguire, per i giovani maschi è una tentazione irresistibile!
Ci vengono molto vicini, ma la loro propensione a tuffarsi sott’acqua e l’abitudine di riemergere dove sono protetti dalla vegetazione, rende molto difficile fotografarli bene.
Presi dall’entusiasmo, decidiamo così di venire anche il giorno seguente, per un’altra escursione. Chiediamo a Peshinho se è meglio la mattina o la sera e lui ci risponde che è indifferente, per cui decidiamo per la mattina, visto che il luogo si presta meglio alla luce del mattino.
20 agosto 2008
Il giorno dopo rimaniamo subito un po’ delusi perché Peshinho non c’è e ha mandato un altro a sostituirlo. Andremo nello stesso posto, ma, nonostante i suoi richiami apparentemente identici, le lontre non si faranno vedere, i pesci resteranno a lungo a galleggiare sull’acqua e il viaggio sarà una delusione. La sensazione che Peshinho abbia un feeling speciale con questi animali aumenta!
Ci rassegnamo e torniamo indietro all’ora di pranzo, fermandoci ad uno scalcagnato bar lungo la Transpantaneira, l’unico esistente, a poche centinaia di metri dall’araras lodge, dove sorseggiamo un fantastico smoothie (bevanda a base di latte e frutta fresca) all’ombra di un albero. Ci fa compagnia un ara giacinto che ci osserva con curiosità e, complice il silenzio rotto solo dai versi degli uccelli, ci sentiamo immersi in un vero paradiso terrestre.
Passiamo poi gran parte del pomeriggio sotto un albero di mango, dove alcuni parrocchetti chiriri (brotogeris chiriri foto 32+33) stanno banchettando con i succulenti frutti. Per arrivare alla polpa si esibiscono in divertenti evoluzioni, spesso in equilibrio precario, e gli spunti fotografici sono facili e numerosi.
In zona ci sono oggi anche parecchie spatole rosa (Ajaia Ajaja foto 31) che ci volano spesso sopra la testa. Il piumaggio di un delicato color rosa rende questi uccelli molto belli a vedersi, anche se la testa è tutt’altro che attraente: spelacchiata, praticamente implume, con un becco un po’ ridicolo, fatto appunto a forma di spatola,è però estremamente utile all’animale perché viene utilizzato per la pesca. Il becco semiaperto viene mosso avanti e indietro nel fango a mò di setaccio per raccogliere piccoli molluschi e gamberetti. Quando sono in compagnia, spesso le spatole si dispongono in fila per pescare meglio: un’eventuale preda sfuggita ad uno può essere mangiato dall’altro! Qui nel Pantanal è presente solo la versione con il piumaggio rosa, la cugina con le piume bianche non c’è.
La giornata si conclude con uno dei tramonti più spettacolari che ci sia capitato di vedere nel Pantanal: ce lo godiamo dal bordo di uno stagno, con vista sui rami rinsecchiti di un albero, dove alcuni aironi e alcune spatole cercano rifugio per la notte (foto 34+35).
Noi invece ci prepariamo per l’escursione notturna che abbiamo prenotato: un camion a cassone scoperto, dove sono state sistemate alcune panche, verrà a prenderci dopo cena, e ci avventureremo per alcune strade secondarie nel bosco, alla ricerca di animali notturni.
Si parte dopo le 9: la sera la temperatura cala e c’è bisogno di un maglione, perché si arriva a 13-14 gradi. Con noi ci sono altre 6 persone, che fanno parte di un gruppo alloggiato all’Araras. Nella parte anteriore del cassone un ranger regge una lampada che fornisce luce supplementare, oltre ai fari, ed illumina il terreno e gli alberi alla ricerca di vita. La nostra speranza è quella di avvistare un formichiere, specie quando passiamo vicino a dei grossi termitai, ma non c’è nulla da fare.
Avvistiamo invece un simpatico orsetto lavatore che, disturbato dalla intensa luce del faro, resta imbambolato a guardarci per alcuni secondi, prima di fuggire a gambe levate nella boscaglia!
Questo tipo di procione non è lo stesso del Nord America. Il nome Italiano è procione granchiaiolo (procyon cancrivorous foto 36) ma il fatto che appartenga allo stesso genere - procyon - la dice lunga sulla somiglianza. Come il suo parente americano, ha gli occhi decorati da una striscia di pelo simile alla mascherina della banda bassotti, che gli da un’aria da simpatica canaglia. E’ un animale notturno e sappiamo che uscire di notte è il solo modo per avvistarlo. Si ciba principalmente di granchi, che qui trova in abbondanza. Una curiosità: il nome di orsetto lavatore gli deriva dal fatto che ha l’abitudine di lavare le prede prima di mangiarle. In mancanza di acqua, le strofina contro l’erba per cercare di ottenere lo stesso risultato. Un animale decisamente molto pulito! Avvistiamo anche parecchi gufi e rapaci notturni, ma purtroppo neppure un formichiere! E’ lo scotto da pagare per non essere allo zoo! Rientriamo comunque soddisfatti (ed infreddoliti) alla base, dopo oltre un’ora e mezza di escursione.
21 agosto 2008
Il nostro ultimo giorno al Passo da Ema ci riserva per la mattinata in compagnia di uno dei mandriani, che si è offerto la sera prima di accompagnarci per una breve passeggiata lì intorno. La passeggiata non è molto fruttuosa per quel che riguarda gli avvistamenti, ma interessante per la zona di folta vegetazione che attraversiamo. Non possiamo fare a meno di ammirare quell’uomo che si fa strada a colpi di machete senza temere nulla (il Pantanal è popolato per esempio da serpenti velenosissimi) e che cammina sicuro di se all’interno di un bosco che per noi, poveri cittadini imbelli, è tutto uguale: se ci abbandonasse lì saremmo sicuramente dispersi e preda del giaguaro!
La passeggiata ci permette però di godere anche della bellezza della vegetazione, che, nei giorni precedenti, non abbiamo saputo apprezzare perché molto presi dalla fauna. Benchè questa sia la stagione secca, sono molti gli alberi in fiore, in particolari ci colpiscono due specie molto diffuse con dei meravigliosi e delicati fiori gialli l’uno e addirittura viola l’altro (foto 39).
Torniamo alla nostra rassicurante automobile per percorrere il più possibile i luoghi dove abbiamo fatto i più begli avvistamenti: ne approfittiamo per tornare un’ultima volta a Poconè per il pieno, perché domani ci inoltreremo ancora più a sud.
Non vediamo né otarie né altri grandi animali, ma è ugualmente divertente osservare gli aironi e i martin pescatori che catturano le loro prede, quasi sempre piranha di varie dimensioni. Proprio in un albero non lontano dalla strada, avvistiamo anche il nostro primo colibrì (foto 38)!
Questa sera la nostra cuoca Teresa supera se stessa, con una sontuosa cena a base di dourado alla griglia, un pesce locale, tipico del Pantanal, accompagnato da una salsa a base di peperoni. Un ottimo commiato per i nostri primi interessantissimi 7 giorni.
22 agosto 2008
Dalla Posada passo da Ema, come già detto, ci sono 4 chilometri per arrivare alla Transpantaneira. Da lì, svoltando verso sud, 78 km di strada polverosa ci porterà verso la Pousada Jaguar al km.110. Sappiamo già che lungo il percorso le fermate saranno numerose, dunque, dopo aver salutato i mandriani e le mogli, puntiamo subito verso la meta.
Dopo qualche miglio incrociamo subito un Jacarè in mezzo alla strada, che sembra non avere nessuna fretta di togliersi di torno. D’altra parte loro sono i veri padroni di casa! Attraversiamo molti dei 125 ponti di legno che caratterizzano il percorso di questa mitica strada, alcuni in condizioni buone, altri un po’ compromessi dalle piene e dalle piogge che si abbattono sul luogo durante la stagione umida (foto 43+45).
Arriviamo al lodge nel pomeriggio inoltrato, come avevamo previsto le soste sono state numerose: il lodge è relativamente recente, dotato di diverse piccole costruzioni dalle quali sono ricavate una dozzina di stanze, di standard decisamente superiore a quelle del nostro alloggio precedente.
Tuttavia non c’è davvero la stessa atmosfera rurale, che tanto avevamo apprezzato. Per tre giorni sarà la nostra nuova base, da dove tenteremo l’avvistamento del giaguaro e dell’anaconda, i veri sovrani del Pantanal.
Il proprietario parla molto bene l’inglese e con lui decidiamo di fare una prima escursione in barca lungo il Rio San Lorenzo, il fiume che passa per Porto Jofrè, la località che segna il punto di arrivo della Transpantaneira, 40 km più a sud. Ci accordiamo per il giorno seguente.
Nel frattempo, neppure il tempo di riporre i bagagli che già la natura circostante ci chiama. Dietro la nostra camera, un gigantesco tegu comune (Tupinambis teguixin foto 46+47) sta curiosando in cerca di cibo. La cuoca del lodge, vedendo il nostro interesse, rientra in cucina e se ne esce con un uovo, per attirarlo: il lucertolone non se lo fa ripetere due volte e accorre per prenderselo. I tegu appartengono alla famiglia dei varani, possono essere lunghi anche più di un metro (questo è almeno un metro e venti) e sono dotati di zampe robuste, tanto che i giovani possono correre anche su due sole zampe!
Non lontano c’è anche un albero con almeno una decina di cicogne americane (mycteria americana foto 48). Anche per questa cicogna il collo e la testa glabra non ne fanno certamente una bellezza, tuttavia è un uccello maestoso, che è un piacere vedere volare.
Ma la mia attenzione viene attirata soprattutto da quello che considero uno dei più begli uccellini del Sudamerica, non per niente lo uso in questo sito come mio avatar! E’ il pigliamosche vermiglio (pyrocephalus rubinus foto 49), chiamato in Sudamerica anche Sangre de Toro, per il suo colore rosso vivo. E’ grande quanto un passero, con il corpo completamente rosso e solo la testa nera. La sua rapidità nel volo fa sì che quando lo vediamo passare, sembra una piccola palla di fuoco volante! Fortunatamente questo è particolarmente confidente e si lascia osservare, posandosi a più riprese su un paio di cespugli secchi vicini alla strada. E’ un vero capolavoro della natura per grazia ed eleganza.
In un batter d’occhio è già ora di cena e proviamo anche la cucina del Jaguar, che si rivela essere ricca e gustosa quanto quella del Passo da Ema. Ceniamo in compagnia di una coppia di giovani spagnoli e dopo cena il proprietario ci chiede se siamo interessati ad una uscita notturna: certo che siamo interessati! Saltiamo sul solito cassone del camion e ci avviamo verso sud: dopo un paio di chilometri il camion gira su una laterale e subito cominciano gli avvistamenti: un paio di crab eating fox (cerdocyon thous foto 50): uso il nome inglese perché quello Italiano, cerdocione, non è molto bello. Sono dei canidi che, come lascia intendere il nome, dividono con gli orsetti lavatori la passione per i granchi. Ne vediamo una coppia, uno ha ancora il granchio in bocca e ci guarda sorpreso, come lo avessimo beccato con le mani nel vasetto di marmellata! 500 metri dopo ne avvistiamo un’altra coppia. Tra i rami vediamo invece diversi succiacapre: lo so, anche in questo caso il nome fa un po’rabbrividire ma in inglese è equivalente: goat sucker! Il nome alquanto infelice ed ingrato deriva da una antica credenza popolare che lo considerava succhiatore di sangue degli ovini. La credenza nasceva dal fatto che l’animale veniva spesso visto al crepuscolo volare sopra gli ovini, intento a catturare gli insetti di cui si ciba. L’ignoranza popolare, oltre al fatto che il suo verso è un po’ sinistro, ha contribuito a dare questa cattiva nomea a questa splendida famiglia di uccelli notturni, famosi per il loro mimetismo tra rami e foglie secche: se non si è allenati all’avvistamento può capitare di passarci anche a pochi metri snza vederli.
Quello che abbiamo avvistato è il succiacapre coda a forbice (hydropsalis brasiliana foto 51) ed è quasi invisibile, accucciato tra le foglie. Tra i rami avvistiamo invece tra gli altri uccelli notturni anche uno splendido gufo dello stige (asio stygius foto 37).
Sulla via del ritorno è la volta di un pericoloso serpente velenoso che attraversa la strada: è la vipera di Bothrops (bothrops atrox, foto 52) o ferro di lancia, così chiamato per la testa a forma di punta di lancia. Non abbiamo visto tanti serpenti qui al Pantanal, ma questo è senza dubbio il più pericoloso di tutto il Sudamerica: il suo morso causa la paralisi dei muscoli e la morte per arresto cardiaco in pochi minuti. Meno male che siamo al sicuro ad un paio di metri di altezza!
23 agosto 2008
Mentre la coppia di spagnoli si unisce ad una escursione con piccolo gruppo di brasiliani arrivati a tarda sera, accompagnati dal proprietario, noi ne approfittiamo per esplorare meglio i dintorni: qui la vegetazione è più fitta, e le vaste radure che caratterizzavano la zona più a nord dove abbiamo trascorso il primo periodo sono quasi scomparse. Tuttavia la concentrazione di animali è quasi la stessa: ovunque si volga lo sguardo c’è qualcosa in movimento!
A due passi dalla mia stanza, mi diverto ad osservare un picchio passerino (veniliornis passerinus foto 53) scavarsi la nuova tana sul ramo di un vecchio albero. E’a non più di 5-6 metri da me e sembra non essere per nulla interessato alla mia presenza. Sullo stesso albero, dalla parte opposta un fornaio rossiccio fa la spola per nutrire i suoi pulcini: è un via vai continuo ed instancabile, con i piccoli che non finiscono mai di pigolare e reclamare cibo.
Il fornaio rossiccio (furnaius rufus foto 54) deve il suo nome al fatto che il nido somiglia proprio ad un minuscolo forno: lo costruisce portando piccole quantità di terra che cementifica con l’aiuto della saliva, è dotato di una cupola perfetta e l’interno è dotato di un ingresso parzialmente a labirinto e una camera più grande. Insomma è una vera opera d’arte. I piccoli, che stanno nella seconda camera più interna, al richiamo dei genitori si infilano nella prima e si affacciano per prendere il cibo.
La cosa più straordinaria è che questo piccolo capolavoro di architettura viene utilizzato dal fornaio una sola volta, dopodichè il nido abbandonato viene usato da altri uccelli. Ne consegue che gli alberi circostanti sono pieni di nidi!
Il cielo sopra il lodge è anche zona di passaggio da uno stagno all’altro e ne approfittiamo per fotografare voli di ibis, di spatole rosa e soprattutto di ara giacinto, che volano sempre in coppia.
Ma l’emozioni più forti le viviamo spostandoci nei luoghi percorsi la sera prima durante l’escursione notturna: prendiamo una strada che portava ad un vecchio centro studi della fauna locale, ora abbandonato probabilmente per mancanza di fondi. In quello che era forse il giardino del centro ci sono alberi ad alto fusto popolati da uccelli variopinti. Fa capolino da un buco scavato forse da un picchio un’amazzone fronteblu (amazona aestiva foto 56). Dopo un bel po’, mi accorgo che sullo stesso albero, mimetizzato come solo un uccello notturno sa fare, sta dormendo un grosso succiacapre, il nittibio codalunga (nyctibius grandis foto 55): si trova ad oltre 10 metri di altezza, ed è talmente simile al tronco che lo ospita, che ne sembra la naturale prolunga di un ramo. Benchè sia visibilissimo da terra, quando chiamo mia moglie e glielo indico ha grossissime difficoltà ad avvistarlo, a dimostrazione del fatto che il mimetismo è una incredibile dote di questi uccelli.
Neanche il tempo di goderci la vista del nittibio che arriva una coppia di tucani aracari orecchiecastane (pteroglossus castanotis foto 57), che prende subito possesso del proprio nido in un albero vicino e ci guarda con aria minacciosa. La decorazione del grosso becco, che ricorda vagamente dei denti scoperti, fa certamente un po’ impressione. Fortunatamente sappiamo che lui teme molto di più noi di quello che noi temiamo lui e non gli passa neppure per l’anticamera del cervello l’idea di attaccarci!
Dopo una intensa mattinata ed un ottimo pranzo, partiamo per Porto Jofrè dove ci imbarchiamo sulla barchetta a fondo piatto del proprietario del lodge. Ci sono con noi anche i ragazzi spagnoli: lui si rivela essere un profondo conoscitore della fauna del luogo. Chiediamo a sua moglie se è ornitologo, lei scuote le spalle con divertita rassegnazione e ci dice che è “ingeniero”, quasi come se fosse un grave handicap! L’ornitologia, ci dice, è solo una passione.
Scrutiamo le alte rive del fiume bucherellate dai nidi dei martin pescatore (foto 58), alla ricerca del giaguaro, ma non siamo molto fortunati. I giaguari vengono a volte avvistati quando si recano ad abbeverarsi o semplicemente oziano lungo le rive del fiume. Non è facile vederli e lo sappiamo bene. In compenso, si fanno vedere molti altri animali a cominciare dai numerosi skimmer dal becco a cesoia (rynchops niger foto 59), uno strano uccello dal becco lunghissimo e apparentemente sproporzionato che vola posizionando il becco sul pelo dell’acqua: tenendo il capo reclinato, lascia il becco semiaperto. Quando la preda entra nel becco, lo chiude, alza la testa e la ingoia al volo: è un piacere guardarli pescare, non si finisce mai di meravigliarsi di quanto la natura sappia essere ingegnosa!
I numerosi e giganteschi alberi lungo la riva ospitano anche parecchi nidi di tessitori, a volte davvero enormi, perché sono nidi a condominio, dove vivono parecchie coppie di questi uccelli.
Li si vede andare avanti indietro, in una frenesia ed attività tipica da grande città (foto 60)!
Lungo le spiagge ci sono anche parecchi capibara con i piccoli, scorgiamo numerosi avvoltoi, aironi bianchi ed anche un bellissimo esemplare di airone plumbeo (ardea cocoi foto 61) che ci osserva indifferente da un albero. Questo airone si trova solo qui in Sudamerica, e deve il suo nome al colore delle penne, di un grigio plumbeo inconfondibile.
Dopo circa un’ora e mezza di navigazione siamo costretti a tornare indietro e anche al ritorno non saremo fortunati, per quel che riguarda animali diversi dagli uccelli. Ritenteremo domani!
24 agosto 2008
E’ il nostro ultimo giorno intero al Pantanal e siamo davvero contrariati, perché, benchè soddisfattissimi per la parte ornitologica, non abbiamo avvistato né i formichieri, né un giaguaro, né una anaconda, anche se sappiamo che questa è forse la più difficile! Dunque oggi usciamo di nuovo in barca e se necessario staremo tutto il giorno sul fiume! Anche stavolta si uniscono a noi gli spagnoli, con i quali abbiamo chiacchierato tutta la sera precedente per cercare di dare un nome a tutte le specie osservate: la somiglianza delle nostre lingue non ci ha reso difficile capirci: quasi tutti gli uccelli hanno un nome simile (per esempio, il martin pescatore in spagnolo risponde al nome di martin pescador, decisamente comprensibile!)
Stavolta siamo ben armati con creme solari (sappiamo quanto picchia il sole), cappelli e bibite rinfrescanti. La prima parte della giornata trascorre tranquilla: passiamo davanti ad una americana attrezzatissima, piazzata sotto un albero di fronte ad un’ampia spiaggia, che sta chiaramente appostata per aspettare il giaguaro. La avevamo vista anche il giorno precedente e ci fermiamo per chiedere se ha avuto fortuna. Niente da fare. Avvistiamo altri skimmer, aironi vari, tessitori, una bella poiana dal collare in volo, uno sparviero striato, ma dei nostri animali manco l’ombra.
Arrivati al punto dove il Rio san Lorenzo incontra il Rio Paraguay, il fiume che formerà le cascate di Iguazu parecchie centinaia di chilometri più a valle, siamo indecisi su quale direzione prendere: decidiamo alla fine per il Rio Paraguay e la scelta ci premia… neanche 5 minuti e scorgiamo un movimento lungo una ripida sponda del fiume. La nostra guida aumenta subito la velocità della barca e si avvicina rapidamente: uno spettacolare esemplare di anaconda femmina sta emergendo dall’acqua e si mostra in tutta la sua rilucente bellezza. E’ enorme, lunga più di 5 metri e non sembra essere molto spaventata: ci avviciniamo fin quasi a poterla toccare e confesso che provo una certa inquietudine! So che non salterà certamente sulla barca, ma averla lì, a non più di due metri, mi permette di farle dei bei primi piani ma, vederla attraverso il teleobiettivo quasi mi spaventa!
La luce non è purtroppo delle migliori ma non possiamo certo pretendere troppo, siamo davanti ad uno degli animali simbolo del Pantanal, difficile da vedere per le sue abitudini elusive!
L’anaconda gialla (Eunectes notaeus foto 62+63+64) è certamente uno dei serpenti che fa più presa nell’immaginario collettivo. Protagonista involontaria di ampie pagine di letteratura e di cinematografia, è spesso oggetto di luoghi comuni ed esagerazioni. Più piccola del suo parente stretto, l’anaconda verde, raggiunge comunque dimensioni ragguardevoli. La femmina è più grande del maschio e proprio per questo noi abbiamo capito che ci siamo trovati davanti ad una femmina, per giunta particolarmente grossa, dato che è lunga 4-5 metri, mentre il maschio non supera di solito i tre metri. Questo serpente è noto per avere un caratteraccio: è tutt’altro che timido, per questo ho provato un po’ di disagio quando ci siamo avvicinati troppo. Certamente noi umani siamo considerati in genere una preda troppo grande, ma anche un semplice morso di dissuasione o difensivo può essere molto doloroso. Un sistema empirico ma molto efficace che i locali usano, per difendersi dall’eventuale attacco e stretta tra le spire degli esemplari più grandi è quello di versare alcool nelle fauci del serpente che mollerà subito la presa scappando. Ovviamente per una cosa del genere occorre essere in due, chi è stretto tra le spire non può certo difendersi! E’raro comunque che questa anaconda faccia qualcosa di diverso dal soffiare o mordere, proprio perché noi siamo considerati una preda troppo grossa e dunque rifiutati, per fortuna!
Ecco perché si può senza dubbio affermare che la cinematografia ne ha ingigantito la sinistra fama.
Osservarla muoversi è davvero affascinante: persino mia moglie, che è terrorizzata dai serpenti, è riuscita ad apprezzarne la bellezza. Le pelle è lucida, pulita, quasi scintillante. Scivola elegante sulla terra, con sicurezza, come se sapesse molto bene cosa fare e dove andare. Si mostra in tutta la sua bellezza per due o tre minuti, dopodichè decide di rituffarsi nelle acque limacciose del Paraguay e sparire alla nostra vista, lasciandoci soli con l’emozione che ancora ci fa tremare le gambe!
Continuiamo la nostra navigazione per il resto della giornata, ma dopo un simile avvistamento solo il giaguaro riuscirebbe a farci eccitare. Purtroppo non lo vediamo e ci dispiaciamo molto, dovremo confidare nel nostro prossimo viaggio!
25 agosto 2008
E’ giunto il tempo di ripartire: dopo 10 giorni pieni di avvistamenti ancora non ci sentiamo appagati e vorremmo restare, ma domani mattina presto abbiamo un aereo che ci porterà via da Cuiaba. La visita al Pantanal è stata davvero appagante. Ci avviamo in mattinata lentamente verso Poconè: sappiamo che potremmo ancora vedere tante cose, abbiamo intenzione di assaporare anche questa ultima giornata, non c’è nessun dubbio che lo faremo.
La promessa è di tornare a visitare questo meraviglioso parco brasiliano, il giaguaro ci aspetterà!