Namibia, una tavolozza di colori! - Parte seconda

Ecco la seconda e ultima parte del resoconto di un magnifico viaggio in Namibia. La prima parte è disponibile su questo stesso sito, con il medesimo titolo.29.8.2004 - Sesfontein
Quello di oggi è un trasferimento breve, da Twyfelfontein dobbiamo raggiungere Sesfontein (Damaraland).
Lasciato il lodge facciamo una deviazione per visitare la foresta pietrificata, la montagna bruciata ed un piccolo canyon con particolari formazioni rocciose chiamate Organ Pipes (canne d'organo).
Lungo la strada incontriamo diversi villaggi di capanne e vediamo finalmente qualche bella faccina scura.
Arrivati a Sesfontein, presso un vecchio forte tedesco trasformato in lodge, quale alloggio ci assegnano la torretta centrale (stupenda su due piani).
Dopo tante giornate intense optiamo per qualche ora di relax, ci rifugiamo nel nostro “castello” per uscirne nel tardo pomeriggio, conosciamo in questa occasione un gruppo di ANM, qualche chiacchiera e una buona cena fanno sempre piacere. La serata si conclude con uno spettacolino canoro improvvisato da un gruppo di ragazzi locali, sono bravissimi, l’attenzione di tutti i presenti è totale, siamo deliziati dalla melodia delle loro voci.

30.8.2004 - Epupa Falls
Trasferimento alle Epupa Falls, all’estremo nord, dove il fiume Kunene segna il naturale confine con l’Angola, la distanza da percorrere non è eccessiva (circa 350 km) ma la pista è accidentata e soprattutto nell’ultimo tratto (80 km) si viaggia a velocità molto ridotta (30-40 km/ora).
Lasciata Sesfontein, lungo la pista diamo un passaggio ad una ragazza diretta ad Opuwo, unica cittadina tra questa località e la zona delle cascate.
La serenità della donna ci fa riflettere, qui passano poche auto, non ci sono mezzi, avrebbe potuto attendere ore prima di ricevere un passaggio oppure veder passare le auto senza che queste si fermino, ci sentiamo imbarazzati per rappresentare quella parte di mondo che ha tutto, troppo e nonostante ciò non è mai soddisfatta, abbiamo sempre qualche cosa di cui lamentarci.
Non riusciamo a fare grandi discorsi, la donna parla solo una lingua a noi sconosciuta, ci limitiamo ai gesti ed ai sorrisi, chissà perché deve raggiungere una cittadina così lontana dal proprio villaggio e chissà quando e come riuscirà a tornare?
Arrivati ad Opuwo salutiamo la nostra silenziosa compagna di viaggio, ci fermiamo solo il tempo necessario per fare il pieno di benzina (da questo punto in poi non se ne trova più) e scorta di acqua.
La popolazione qui è mista, si vedono rappresentanze di diverse etnie ed i primi Himba, li si vede ai margini della strada che gesticolano nel tentativo di fermare le auto, chiedendo in cambio di una fotografia denaro, alcol o tabacco. E’ sempre triste constatare gli effetti dannosi provocati dal passaggio del turismo. Non ci fermiamo.
Avvicinandosi alla zona delle cascate il paesaggio cambia, lungo la pista crescono enormi baobab, compare la vegetazione e non mancano gli ormai consueti animali.
Dopo gli ultimi 80 km di scossoni arriviamo finalmente in prossimità del fiume, è un sogno dopo giorni e giorni di strade polverose e di paesaggi aridi vedere tanta acqua, palme, verde.
Costeggiando il Kunene raggiungiamo Epupa Camp, piccolo campo tendato costruito tra la vegetazione sulla riva del fiume.
Preso possesso della tenda assegnata, qualche minuto di pausa e poi subito a vedere le cascate.
Nelle pozze d’acqua i locali fanno il bagno, lavano i panni, le donne riempiono le taniche, i bambini giocano festosi, vediamo tante scene spontanee di vita quotidiana, questa è l’Africa che riconosciamo e riscopriamo con emozione.
Dall’alto di una collina gustiamo il piacere di assistere ad uno spettacolare tramonto che tinge di tonalità calde il fiume, le cascate, la vegetazione rigogliosa e tutto quello che la vista abbraccia.
La serata al campo è piacevolissima, dopo l’ottima cena ci sediamo davanti al fiume, sotto un cielo incredibilmente stellato ad ascoltare i racconti di una guida di origine italiana che vive in Namibia da 35 anni, nel buio della notte sull’altra riva scorgiamo due punti rossi e luminosi, quasi certamente – dice la guida – sono gli occhi di un coccodrillo, rettile presente qui in discreta quantità.

31.8.2004 - Epupa Falls / Visita ad un villaggio Himba
La sveglia ed il buongiorno ci sono dati da simpatiche e dispettose scimmiette che corrono sul tetto della tenda e che lanciano ovunque i gusci di strani frutti di cui si nutrono, non c’è modo migliore di cominciare una nuova giornata.
Accompagnati da una guida locale andiamo a visitare un villaggio Himba, popolo fiero e dalla bellezza esagerata, in particolare le donne che sono coperte solamente da un gonnellino costituito da varie strisce di pelle, hanno corpo e capelli interamente cosparsi da una mistura di grasso animale e polvere di ocra rossa, acconciature composte da grosse trecce e monili al collo, polsi e caviglie che ne simboleggiano lo stato civile, a seconda degli addobbi è possibile identificare una donna nubile, sposata o sposata con figli. Sono figure stupende.
L’esperienza tra gli Himba è molto emozionante e autentica, non c’è nessuna recita o danza a beneficio dei visitatori (noi soli con la guida) tutto ciò che vediamo è reale, nessuno tenta di vendere nulla.
Abbiamo chiesto al capo villaggio di visitare la piccola comunità, ha acconsentito, dobbiamo però osservare una regola ovvero non possiamo oltrepassare la zona dove è acceso il fuoco considerato sacro, sarebbe molto offensivo.
Sulle prime ci sentiamo a disagio, abbiamo l’impressione di disturbare, ci sentiamo intrusi, non riusciamo neppure, per paura di essere invadenti, a scattare fotografie, ce ne stiamo inebetiti ad osservare un popolo tanto diverso da noi, che pur essendo costituito da pastori semi-nomadi possiede fierezza ed eleganza inimmaginabili.
Il nostro disagio si scioglie quando, dopo aver notato i genitali infiammati e pieni di mosche di alcuni maschietti, chiediamo alla guida se possono essere utili e accettati disinfettante e pomata naturale alla malva che abbiamo nello zaino (un’amica infermiera prima di ogni viaggio ci rifornisce di ogni tipo di farmaco).
Non solo le donne del villaggio accettano, ma chiedono al ragazzo che ci accompagna di mostrare loro come si usano prima l’uno e poi l’altra.
Ci mettiamo seduti in cerchio, un primo piccolino viene “catturato” e sottoposto al trattamento, non sembra molto felice, ma senza fare storie si lascia ripulire, con un fazzolettino di carta, dalla terra e dalle mosche, il dramma sopraggiunge nel momento in cui si passa al disinfettante che, dalle grida del piccolo, deve bruciare e non poco. Siamo tesi ed in apprensione, il pianto del bimbo ci preoccupa (qui non sono abituati ai capricci) ci domandiamo se non sia stato più dannoso che utile usare una sostanza disinfettante su una parte così delicata… ma ormai è fatta, non resta che procedere con la seconda fase del trattamento: la pomata!
Si tratta di una crema per uso vaginale, è del tutto naturale, non dovrebbe far danno, mal che vada non farà alcun effetto.
Le donne tengono fermo il bimbo strillante, la guida spalma con delicatezza la pomata, noi stiamo col fiato sospeso… pochi secondi ed il piccino smette di piangere… evviva, ha funzionato! Le donne sorridono, il nostro sollievo è grande, io fatico a trattenere le lacrime.
Constatato il successo, la “cura” può essere estesa ad altri bimbi, il problema è acciuffarli. Dopo aver assistito al “martirio” del compagno di giochi nessuno si offre volontario, bisogna rincorrerli, medicarli, sentirli piangere e così via fino a che terminano il disinfettante ad anche la pomata.
Purtroppo al momento non abbiamo altro, ma in valigia, al campo, possediamo una buona scorta di entrambi, promettiamo di lasciare tutto alla guida in modo che possa recapitarlo al più presto al villaggio.
Ora ci sentiamo meno intrusi, le donne ci invitano a visitare l’interno di una capanna, scattiamo con discrezione (usando lo zoom) alcune fotografie ed infine ci salutiamo portando con noi tre donne ed un uomo che approfittano della nostra auto per un passaggio sino al fiume.
Prima di salire sulla jeep le tre donne stendono una coperta per evitare che la miscela rossa di cui sono cosparse sporchi i sedili, tanta premura ci stupisce… i “selvaggi” a volte siamo noi con la nostra presunzione.
Durante il tragitto, le donne e l’uomo parlano, gesticolano e ridono senza smettere un solo momento, chissà cosa si raccontano? impossibile capire anche una sola parola della loro lingua tribale, ogni tanto ci si scambia un gesto, un sorriso, questo è il massimo della comunicazione.
Raggiunto il fiume, prima di scendere dalla jeep, le donne, con cura e delicatezza, spalmano la miscela rossa, aiutandosi a vicenda, là dove la ruvida coperta ha prodotto qualche sbavatura, questo mi fa pensare che la “vanità” femminile è una dote innata, che si tratti di una costosa crema di profumeria o di grasso animale mescolato alla terra ovunque nel mondo la donna prova l’esigenza di essere sempre in ordine.
Anche se lontana dal loro modo di vivere, ambiente e tradizioni, dopo aver assistito al “ritocco del trucco” provo un enorme senso di comunione tutto al femminile.
Una delle tre è in attesa di un bimbo ed è con immenso orgoglio che ci mostra e indica il rosso pancione.
Ci salutiamo.
Siamo molto felici per questa esperienza verace e nello stesso tempo dispiaciuti perché i gruppi di Himba al naturale sono pochi, ripensiamo a quelli incontrati nei dintorni della cittadina di Opuwo, raggiunta da molti turisti solo allo scopo di fotografarli, proviamo tanta amarezza al pensiero dei molti che hanno abbandonato antiche tradizioni per mettersi in bella mostra ai bordi di una pista nel tentativo di “vendere” la propria immagine in cambio di denaro, tabacco o alcol.
Tornati al campo ci spostiamo, superando un ponte di corde, sull’isolotto che sta proprio in mezzo al fiume, con un certo timore di incontrare coccodrilli attraversiamo la vegetazione sino a sbucare su una spiaggetta, ci sediamo a terra e nella pace più assoluta osserviamo l’acqua che scorre vorticosa, le scimmiette dispettose ed il volo di diversi uccelli.
Anche così, senza far nulla, il tempo corre veloce, il sole sta già tramontando ed è ora di riattraversare il fiume e tornare al campo per la cena.
Questa sera ci si saluta, siamo pochi ed ognuno domani prenderà strade diverse continuando o concludendo il proprio viaggio.
Anche in questo affascinante luogo lascio un pezzettino di cuore.

1.9.2004 - Kamanjab
Lasciato il fiume Kunene ci spostiamo di 400 km per avvicinarci al Parco Etosha, non potendo raggiungerlo in una sola giornata, facciamo una sosta intermedia nei pressi di Kamanjab.
Ci sistemiamo presso Hobatere Lodge, una immensa proprietà che ospita diversi animali.
Non lontano dal nostro alloggio vediamo alcuni elefanti, sono i primi esemplari incontrati durante questo viaggio, siamo euforici, a piedi tentiamo di avvicinarci, ma scorgiamo una carcassa d’animale troppo fresca, qui sono presenti anche i felini, il buon senso o, meglio, la paura ci induce a rinunciare, non sapremmo davvero come comportarci nel caso di un faccia a faccia con un leone. In macchina è bellissimo avvicinarsi ai leoni… a piedi è decisamente altra storia.
Ci spostiamo, quindi, nei pressi di una pozza d’acqua e dall’alto di una torretta d’osservazione stiamo ad aspettare che gli animali vengano ad abbeverarsi, si stanno avvicinando un branco di zebre ed alcune giraffe, stiamo con il fiato sospeso, è indispensabile osservare il più rigoroso silenzio, purtroppo nel momento in cui sembra che le zebre, sempre molto guardinghe, abbiano finalmente deciso di avvicinarsi all’acqua, sulla torretta salgono due turisti vocianti, assistiamo con disappunto alla fuga in massa e di gran corsa delle zebre seguite dalle giraffe… accidenti ai due casinari!
Qui è presente anche il leopardo, con la speranza di poter avvistare il più elusivo e bello dei felini partecipiamo ad un safari notturno.
Si parte a bordo di una jeep scoperta, la guida cerca nel buio coppie di puntini fosforescenti che presto anche noi impariamo ad individuare, puntando poi su quei punti luminosi il potente raggio di una torcia si scorge un leone qua, una zebra là, una giraffa e così via, è molto emozionante scrutare nel buio immobile e scorgere un paio di occhi, ad ogni avvistamento le aspettative sono alte, si spera di vedere, seguendo il fascio di luce, il caratteristico manto maculato del leopardo, ma non è ancora giunto il momento di fare la sua conoscenza, ci dobbiamo “accontentare” di leoni, giraffe, zebre, antilopi e piccoli animali notturni.
Fatto un ampio giro nella tenuta, dopo un piccolo spavento per essere sprofondati per l’intera altezza di una ruota in una buca e non pochi sforzi per uscirne, torniamo al lodge soddisfatti, ma con un po’ d’amaro in bocca perché ancora una volta abbiamo “bucato” l’appuntamento con il leopardo.

2.9.2004 - Parco Etosha
Partiamo alla volta del Parco Etosha, siamo impazienti di varcare i cancelli di ingresso, di prendere possesso del nostro alloggio presso il Rest-camp di Okaukuejo e di iniziare al più presto l’esplorazione dell’area alla ricerca degli animali.
Iniziamo il fotosafari subito dopo mezzogiorno, è uno spettacolo continuo, ci sono animali a centinaia disseminati ovunque. Seguendo i percorsi autorizzati ci avviciniamo alle diverse pozze d’acqua, sempre ben segnalate, meravigliandoci ogni volta per la quantità di animali di tante specie diverse che insieme si abbeverano.
Questo è un modo abbastanza diverso, rispetto agli altri parchi africani, di osservare gli animali, qui, con le numerose pozze che richiamano tutte le specie, si perde un po’ il gusto della “caccia”, nella savana si può stare per lungo tempo in assoluta immobilità in attesa di un piccolo movimento, di una macchia di colore che preannunciano la comparsa – mai scontata – di un animale, in quel preciso momento scattano l’eccitazione e l’euforia per ciò che si sta vedendo, emozioni impareggiabili che qui all’interno dell’Etosha spesso mancano in quanto gli animali si vedono con facilità, tale “pecca” è però compensata dai numeri e dalla miscellanea, cosa che altrove è difficile trovare, si possono vedere branchi numerosi di elefanti, moltissime zebre o antilopi, ma difficilmente tutti insieme come invece accade qui.
Il nostro entusiasmante giro termina prima del previsto a causa dell’improvvisa foratura di un pneumatico, questo è un grosso problema, non tanto per il cambio della gomma, quanto per il fatto che all’interno del parco è proibito scendere dalle auto, pena una salatissima multa ed il successivo “invito” a lasciare l’Etosha.
Non possiamo neppure fermarci in attesa di un improbabile soccorso, c’è l’obbligo di rientrare al campo ad un’ora prestabilita, anche questa infrazione comporta un’elevata multa ed un verbale.
Dobbiamo, per forza di cose, scendere dall’auto, sostituire la gomma al più presto e sperare che non passino i sorveglianti, c’è inoltre l’aggravante che siamo in mezzo agli animali, alcuni feroci, motivo per cui è assolutamente vietato uscire dall’abitacolo, siamo in un bel pasticcio, ma dobbiamo agire.
L’operazione è più complicata del normale, il cric è troppo corto, dobbiamo inventarci una “prolunga” con spessori vari, dopo aver trafficato a lungo, sempre facendo attenzione alle “bestie feroci”, riusciamo a sostituire il pneumatico, raggiungiamo poi per tempo l’ingresso del campo, è stata dura, ma ce la siamo cavata senza spiacevoli conseguenze.
Dopo cena si va al “cinema all’aperto”, ci sediamo davanti ad una enorme pozza d’acqua illuminata ed aspettiamo… per un po’ non succede nulla, i primi ad arrivare sono rinoceronti con relativi cuccioli, siamo molto emozionati, è la prima volta in assoluto che li vediamo, poi in processione continua arrivano proprio tutti.
Zebre e antilopi guardinghe si avvicinano alla pozza con timore, per scappare prima ancora di aver bevuto all’avvicinarsi o alla presunta presenza di un felino.
Per le giraffe è ancora più difficile, per bere sono costrette a piegare le lunghe zampe, posizione che le rende molto vulnerabili agli attacchi dei predatori.
Gli elefanti arrivano decisi ed indisturbati, prendono possesso della pozza sguazzando, bagnandosi con la proboscide, giocando con i piccoli, facendo tutti i loro comodi senza alcuna fretta o timore.
Per gli animali di piccola taglia l’abbeverata è un’operazione molto più complessa e frettolosa, spesso richiede più tentativi, ma alla fine tutti riescono a bere.
Quasi sempre la pozza e tutta l’area circostante sono affollatissime, gli animali più vulnerabili attendono pazienti, discosti dall’acqua, il proprio turno, tra tutta questa “confusione” si aggirano gli sciacalli sempre alla ricerca di un’occasione per cibarsi.
Durante il trascorrere delle ore succede anche che la pozza sia deserta, in quei momenti i nostri sensi si affinano, abbiamo messo a punto una “tecnica” che ci regala non poche soddisfazioni.
L’area attorno alla pozza è una spianata con pochi alberi e punti di riferimento, tutto è nero, memorizziamo le macchie più scure e immobili (massi, alberi, etc.) scrutando tutto l’insieme siamo in grado di individuare ogni nuova “macchia” che avvicinandosi si rivela poi un elefante, un altro, tutto un branco, la stessa cosa succede con gli altri animali, il “gioco” è meraviglioso, l’eccitazione sale alle stelle quando si percepisce un movimento e non sbagliamo un colpo, ogni nuovo punto nero lontano corrisponde ad un animale.
Davanti allo straordinario documentario offerto dalla pozza di Okaukuejo facciamo le ore piccole, siamo gli ultimi ad abbandonare la postazione e lo facciamo a malincuore perché gli animali che sfilano in processione sono sempre molti, ma la testa ciondola dal sonno e tra meno di 4 ore comincia una nuova giornata.

3.9.2004 - Parco Etosha
Sveglia prima dell’alba, all’apertura dei cancelli (ore 6 circa) siamo in pole position.
Questo è il momento migliore per assistere a scene di predazione, inoltre, nutriamo sempre la speranza di avvistare il leopardo.
Si comincia dalle piste e dalle pozze nei dintorni del campo, ciascuna regala immagini straordinarie: una ospita centinaia di zebre, un’altra raduna zebre e springbok, un’altra ancora è popolata da elefanti, springbok, impala, zebre, orici, kudu, facoceri, topi (non il ratto! si tratta di una specie di antilope) segue la pozza che oltre ad un mix di antilopi include le giraffe e così via, le pozze sono numerose, quasi tutte sono affollate da animali, tralasciamo quelle momentaneamente senza forme di vita, ci pare uno spreco di tempo attendere gli animali che prima o poi, nel corso della giornata, arrivano ad abbeverarsi, passando senza rimpianti alle successive.
Dove “bivaccano” i leoni, gli animali sono più cauti e guardinghi, ma non fuggono, il re dei felini se ha la pancia piena è un gattone sonnecchiante, che si muove solo per stiracchiarsi perdendo così tutta la sua grinta e “personalità”.
Per spostarci da Okaukuejo al campo di Namutoni dobbiamo percorrere circa 140 km, impieghiamo tutta la giornata sostando alle varie pozze, al Pan (immensa accecante distesa salina) ed al campo centrale di Halali. Il viaggio è ricchissimo di incontri, facciamo il “pieno” di animali, da non credere la quantità e, soprattutto, la mescolanza.
Verso le 16 arriviamo nei pressi del rest-camp di Namutoni, i cancelli chiudono alle 17,30, dopo 10 ore di “documentario” potremmo considerarci più che soddisfatti e decidere di oziare in attesa della cena, ma un sesto senso mi dice di andare a visitare un paio di pozze vicine al campo.
Strada facendo vediamo 4 leoni che stanno banchettando con gli ultimi brandelli di un orice (leggeremo poi sul libro degli avvistamenti del campo che la caccia è avvenuta durante la mattinata, la vittima è appunto un orice ed i predatori 8 leoni) finito lo “spuntino” i leoni si spostano verso la pozza cui siamo diretti, li seguiamo a distanza e… quella che si presenta davanti ai nostri occhi è un’immagine da rivista: i 4 felini stanno bevendo contemporaneamente e le loro figure si riflettono nell’acqua.
Sono scene queste che si imprimono nella mente indelebilmente, non potevamo chiudere in modo migliore una già ricchissima giornata.
Raggiunto il rest-camp, attendiamo il tramonto che ammiriamo dalla terrazza panoramica del vecchio forte, quando il sole cala dietro la linea dell’orizzonte è sempre un momento magico!
Dopo cena diamo un’occhiata alla pozza illuminata, meno scenografica rispetto a quella di Okaukuejo, proviamo sollievo nel vedere che al momento non ci sono molti animali, la notte scorsa abbiamo dormito solo 4 ore, siamo molto stanchi, decidiamo di lasciarla subito, prima dell’inizio della processione, perché poi sarebbe difficile farlo.

4.9.2004 - Rundu
Sveglia all’alba (che novità!) per un ultimo giro nel parco alla ricerca del leopardo, se va buca questa, proseguendo il viaggio, non ci saranno altre occasioni.
Percorrendo un giro ad anello che include tre pozze, aguzziamo la vista, ma ahimè del leopardo non c’è traccia, ci dobbiamo “accontentare” di zebre e giraffe, le “mie” splendide e adorate giraffe che pare si siano radunate per salutarmi un’ultima volta.
Tornati al campo facciamo colazione, caricati in macchina i bagagli puntiamo verso nord per raggiungere la cittadina di Rundu nella Regione del Kavango.
A parte una fermata a Tsumeb alla ricerca di una Banca non facciamo altre soste, vogliamo arrivare a destinazione prima possibile.
Il viaggio procede senza intoppi, arrivati a Rundu nel primo pomeriggio ci sistemiamo al Kavango River Lodge, piccolo insieme di bungalow, semplice, carino, abbarbicato sul fianco di una collina con una superba vista sul fiume Okavango che – unico nel suo genere – non sfocia in mare, ma si esaurisce in Botswana tra le sabbie.
Il fiume è molto invitante, cerchiamo di capire se sia possibile navigarlo, il nostro alberghetto non organizza escursioni, ma ci indirizza ad un vicino Lodge (Ngandu Safari Lodge).
Prenotata l’escursione in barca, che avrà inizio tra un paio d’ore e durerà fin dopo il tramonto, scendiamo verso la riva, qui le persone sono “integre”, il turismo non ha ancora prodotto danni, lo straniero è solamente un diversivo e un’occasione per fare festa.
Al nostro arrivo comincia uno spontaneo “carosello” di esibizioni: c’è chi si tuffa in acqua, chi si arrampica sugli alberi, chi compie acrobazie, il tutto condito da saluti e sorrisi, non meritiamo tale onore, ma ce lo godiamo divertendoci.
Alle 16 ha inizio la navigazione a bordo di una chiatta a motore che risale lentamente il fiume contro corrente, il panorama è stupendo, le rive sabbiose ci regalano spaccati di vita: c’è chi pesca, chi lava i panni, chi, con pochi secchi, formando una sorta di catena umana bagna gli orti, chi lavora i campi, nessuno ozia, ma non c’è neppure frenesia.
Dopo aver navigato per un bel tratto, la barca inverte la rotta e fa ritorno al punto di partenza a motore spento seguendo semplicemente la calma corrente.
Tutto quanto sopra descritto, unito al silenzio, allo scorrere placido dell’acqua ed ai colori del più bel tramonto ammirato fino ad ora, ci infonde un senso di pace e appagamento totale, non potremmo desiderare niente di più o di meglio.
La navigazione termina, è ormai buio ed è sabato, contrariamente allo spopolamento che si verifica sempre e ovunque al calar del sole, qui le persone si radunano per trascorrere una serata di festa, da ogni dove convergono famiglie e gruppi di giovani, chi con la musica, chi con cibo e bevande. Bella, davvero bella questa parte d’Africa autentica, dove lo stile di vita è rurale, semplice, non dominato dallo spettro della miseria.
L’escursione si conclude con un passaggio sul cassone di un pick-up tra i saluti e le risate del “pubblico” che assiste alla nostra partenza.
Prima di addormentarmi, passando, come sempre, in rassegna le immagini della giornata, mi dico che alle persone del luogo ed a noi oggi è capitato qualche cosa di straordinario, di diverso dal solito, da ricordare e, forse, raccontare. A noi, anche se immeritata, è toccata la parte migliore, ricorderemo sempre con affetto le manifestazioni spontanee di accoglienza. Loro… chissà?... forse!... ricorderanno quanto sono buffi, impacciati e strani i tizi con la pelle sbiadita, gli occhi chiari e l’aspetto che fa pensare al malaticcio… beh speriamo di essere stati ridicoli a sufficienza in modo tale che possano divertirsi a lungo e di gusto raccontando di noi.

5.9.2004 - Caprivi / Mudumu National Park
Partiamo alla volta del Caprivi: affusolata striscia di terra all’estremità nord-orientale della Namibia, lunga 500 km, che si insinua tra Angola, Zambia, Botswana e Zimbabwe.
Percorriamo i 450 km che ci separano dal Mudumu National Park senza soste con una sola eccezione per fare il pieno di benzina. Da non credere… c’è una pompa a mano, l’operazione di rifornimento è lunghissima, mentre attendiamo facciamo amicizia con Johanni, timido ed educato ragazzino che ci guarda incuriosito e che, in un primo tempo, non osa avvicinarsi, poi però si fa coraggio e scambiamo quattro chiacchiere. L’inglese parlato dai ragazzi che frequentano la scuola è per noi “selvaggi” (nel senso che conosciamo giusto qualche frase) un sollievo, ci intendiamo benissimo.
Il serbatoio finalmente è pieno (per essere precisi la Hilux ha ben due serbatoi che consentono un’autonomia di oltre 800 km) salutato Johanni riprendiamo il viaggio attraverso un paesaggio decisamente monotono e inquietante, non ne comprendiamo la ragione, ma per chilometri e chilometri la vegetazione è bruciata, ovunque ci sono i resti di incendi di grandi proporzioni, non sappiamo se, come purtroppo avviene in altre zone africane, siano il risultato di un tipo di sfruttamento del terreno alquanto discutibile oppure se gli incendi siano scoppiati durante il conflitto angolano o che altro, sta di fatto che non ci aspettavamo un tale disastro, siamo dispiaciuti per la popolazione e per gli animali che certamente se ne sono andati.
Superata la cittadina di Kongola la situazione migliora, il paesaggio, anche per la presenza di un bel fiume, si fa meno aspro, ricompare il verde e si materializzano minuscoli villaggi di capanne.
Lasciata la strada principale, seguendo una pista polverosa per diverse decine di chilometri raggiungiamo il Parco ed il Lianshulu Lodge che si trova al suo interno.
Il posto è splendido, ringraziamo mentalmente chi ci ha consigliato di non perdere tempo lungo la strada e di arrivare qui al più presto.
Una simpatica e cordiale biondina (sudafricana o tedesca? chi lo sa?… tanto è uguale, non cambia nulla!) ci informa in merito alle possibili attività cui possiamo partecipare, ci mostra i vari ambienti ad uso comune ed, infine, ci accompagna al bungalow che ci è stato assegnato… una meraviglia! Si tratta di una costruzione in legno con tetto di paglia, ben nascosta tra la vegetazione ed affacciata sul fiume.
L’interno è molto spazioso, arredato con gusto, due pareti sono costituite da vetrate, una si apre su una terrazza che dà direttamente sul fiume ed è posta di fronte ai due lettoni gemelli, la seconda, che sta di fianco ad uno dei letti, ci permette di vedere la foresta, non ci sono tende, ma nessuno può guardare all’interno, la stessa cosa vale per gli altri bungalow: sappiamo che ci sono, ma non li vediamo.
C’è anche un ampio spogliatoio/guardaroba ed, infine, il bagno che ci lascia ancora più a bocca aperta di quanto già non siamo… fino all’altezza dei due lavabo le pareti sono di legno, il resto è tutto a vetri (sempre senza tende) con vista fiume e foresta, questo vuol dire che anche facendo la doccia o qualsiasi altra “funzione” possiamo osservare gli elefanti che si abbeverano di fronte.
Naturalmente non c’è traccia di modernità quali serratura alla porta d’ingresso, telefono e televisione, qui c’è un unico “canale” visibile: lo spettacolo offerto dalla natura e dagli animali!
In caso di emergenza (immaginiamo per via di ipotetici attacchi di animali) dovremo utilizzare una specie di tromba da stadio, ci è stato raccomandato di non farne un uso sconsiderato.
Istruiti a dovere la biondina ci lascia, ci piazziamo sulla terrazza in totale contemplazione di quanto succede al di là del fiume ed in ascolto dei cori di rane, insetti, ippopotami e quant’altro.
Potremmo stare “rinchiusi” qui per tutto il tempo della nostra permanenza senza mai sentirci confinati, naturalmente lo facciamo solo nei momenti di pausa tra un’attività e l’altra.
Alle 15, dopo aver onorato squisiti dolcetti accompagnati da una tazza di tè fumante, facciamo la prima escursione.
Con una chiatta si naviga lungo il fiume che in quest’area si chiama Kwando e segna il naturale confine con il Botswana, proseguendo nel suo corso cambierà nome in Linyanti ed infine Chobe, realizziamo così che dal bungalow quel che si vede a poca distanza (il fiume in quel punto non è molto largo) è già Botswana.
Navighiamo sull’acqua tappezzata di ninfee intravedendo attraverso la trasparenza le lunghe radici che terminano sul fondale. Il fiume è popolato da numerosi pesci, coccodrilli ed ippopotami, sulle rive si alternano uccelli multicolori, coccodrilli sonnecchianti, springbok e tra la vegetazione si scorge una quantità esagerata di piccole scimmie, dopo alcune ore a tutto ciò si aggiungono gli splendidi colori di un tramonto da cartolina.
Terminata l’incantevole escursione gustiamo il piacere di fare la doccia ammirando, attraverso le vetrate, le ultime sfumature infuocate nel cielo quasi buio, che incredibile sensazione!
La cena non può che essere intima (siamo solo 4 ospiti) e ottima, il fuoco dopo cena è suggestivo, il percorso fino al bungalow scortati da un guardiano (perché si potrebbero incontrare gli ippopotami) è decisamente avventuroso, i minuti prima di addormentarci potendo ammirare il cielo nerissimo “acceso” da milioni di stelle sono magici.
Si può desiderare di più?

6.9.2004 - Caprivi / Mudumu National ParkSveglia alle 6, colazione veloce, subito dopo si parte con una jeep scoperta per un safari all’interno del Parco. A quest’ora fa piuttosto freddo, sui sedili però troviamo alcune coperte che non restano ripiegate e inutilizzate a lungo. E’ troppo simpatica questa del safari con la coperta addosso.
Esploriamo, per oltre 4 ore, il Parco, il cui ambiente è costituito in prevalenza da bush ed ampie zone paludose ricche di acqua e vegetazione dove si avvicendano numerose famiglie di elefanti.
Con l’alzarsi del sole sale anche la temperatura, ci liberiamo gradualmente delle coperte e di vari strati di indumenti esponendo inevitabilmente braccia e gambe agli attacchi di fameliche mosche Tse-tse che però impariamo a non temere, basta tenerle d’occhio e scacciarle con un gesto delicato.
Le ore di safari ci regalano avvistamenti in continua successione di elefanti, bufali, facoceri, springbok, kudu, zebre, babbuini, impala e numerose varietà di uccelli, nel fiume stazionano coccodrilli e ippopotami, dei leoni vediamo solo le impronte.
Pur non avendo avvistato felini non ci possiamo lamentare, la “caccia” è stata comunque ricca di emozioni.
Poco prima di mezzogiorno torniamo al lodge, ci sediamo a tavola per il secondo round della colazione: un’esagerazione di squisitezze a scelta tra verdure, pesce, insalate e diverse altre pietanze. Alla faccia della colazione! Tè, caffè e dolci prima del safari ed ora il “salato”.
Il ristorante è collocato su una terrazza ombreggiata costruita a palafitta sul fiume, possiamo così, “senza tregua”, continuare ad osservare gli animali mentre piccoli uccelletti colorati fanno banchetto con le nostre briciole.
Presi gli accordi per una seconda “crociera”, ci avviamo per un paio d’ore di pausa verso il nostro “rifugio”, attraversiamo un pratone disseminato di graziosi Xero (somigliano agli scoiattoli) il documentario prosegue poi, mentre siamo comodamente seduti in terrazza, con gli elefanti che affollano l’altra sponda del fiume e le scimmiette che si rincorrono sui rami degli alberi.
Alle 15 non disdegniamo il rito del tè e poi di nuovo in barca in direzione opposta rispetto a ieri per accarezzare i papiri del Botswana e per godere per l’ultima volta della quiete di questo Parco e della sua abbondanza di animali e uccelli fino a che il tramonto colora la scena ed impreziosisce il tutto con i suoi caldi colori.
La giornata si conclude con una cena raffinata, un po’ di conversazione attorno al fuoco, un breve ed emozionante safari a piedi alla ricerca degli ippopotami che col buio escono dall’acqua per cibarsi tra la vegetazione.
L’ippopotamo, contrariamente a quanto rappresentato dal protagonista della pubblicità Lines (Pippo) è un animale estremamente feroce, seguiamo alla lettera le istruzioni del guardiano per evitare situazioni di pericolo, il clima di aspettativa è elettrizzante, ma a quanto pare i bestioni questa sera hanno scelto un luogo diverso per cibarsi. Pazienza!
Ci addormentiamo guardando il cielo stellato cullati dal “coro” delle creature che popolano questo incantevole posto.

7.9.2004 - Otavi
Siamo riluttanti a lasciare quest’oasi di pace e bellezza, ma non possiamo permetterci divagazioni, da oggi comincia l’inesorabile avvicinamento a Windhoek, i nostri giorni di vacanza stanno per esaurirsi, è triste, ma non ci sono alternative.
Viaggiamo per tutta la giornata percorrendo in totale 810 km, concedendoci solo brevi e necessarie soste.
Temevamo un po’ questa tappa così lunga, ma viaggiando su strade in prevalenza asfaltate con traffico inesistente non è stato troppo massacrante.
Arriviamo al Khorab Safari Lodge di Otavi un’oretta prima del tramonto, non ci aspettavamo grandi cose da questo alloggio, l’abbiamo scelto valutandone la vicinanza alla strada principale ed in considerazione del fatto che quel che ci serviva durante la sosta intermedia tra il Caprivi e la Capitale era solo un letto e la possibilità di cenare.
Abbiamo però constatato che, in Namibia, anche le strutture meno pretenziose, pur essendo semplici sono molto curate, hanno sempre un particolare che, nel loro piccolo, le contraddistingue e rende la presenza di chi vi alloggia piacevole e confortevole. Il Khorab Safari Lodge non fa eccezione, ha poche camere, essenziali, ma spaziose che si affacciano su un bel giardino fiorito, tutt’intorno una vasta proprietà che raduna diversi animali, proprio qui vediamo per la prima volta l’Eland, la più grossa delle antilopi (ha le stesse dimensioni di un cammello) ed un’altra antilope, dal manto scuro, mai vista prima di cui, purtroppo, non ho annotato il nome.
Anche la cucina in questo Lodge lascia il segno, gustiamo uno dei migliori filetti di tutto il viaggio, siamo dispiaciuti per la “vittima”, un Eland, ma in Namibia è cosa assolutamente ordinaria mangiare carne di orice, springbok e di diversi altri animali selvatici, le prime volte sembra una crudeltà poi ci si adatta alle usanze locali e bisogna riconoscere che la carne è eccellente.

8.9.2004 - Waterberg Plateau / Windhoek
Abbiamo a disposizione l’intera giornata per percorrere gli ultimi 360 km di questo lungo e straordinario viaggio.
Ci permettiamo una deviazione per avvicinarci al Waterberg Plateau, giusto per vedere com’è fatto, si tratta di un imponente altopiano di roccia rossiccia lungo 50 km e largo 16 che si innalza dal suolo piatto per 150 m, lo costeggiamo per diversi chilometri ammirandone le ripide pareti rocciose il cui colore spicca tra il verde della vegetazione, in questa zona vediamo i termitai più grandi di tutta la Namibia.
Tornati sulla strada principale proseguiamo, senza ulteriori soste, fino a Okahandja dove visitiamo un grande mercato permanente di artigianato.
I venditori sono piuttosto assillanti, facciamo qualche acquisto, vorremmo poter curiosare di nuovo e liberamente tra i piccoli stand, ma ci sentiamo troppo pressati rinunciamo, pertanto, ad un secondo giro.
Percorriamo, infine, gli ultimi 70 km, nel tardo pomeriggio raggiungiamo Windhoek e l’Hotel Villa Verdi, da qui siamo partiti oltre 3 settimane fa ed esattamente qui termina il viaggio.
Rimandato a domani l’ultimo giro in città, facciamo una doccia, sistemiamo i bagagli, dopo di che, in attesa della cena, ci piazziamo sui lettini a bordo piscina per fare il pieno degli ultimi caldi raggi di sole africano.
Rispetto a quando siamo arrivati la temperatura è molto cambiata, ora è possibile cenare all’aperto e sostarvi, senza rabbrividire, fino al momento di andare a dormire, l’inverno australe sta cedendo il posto alla stagione più calda.

9 e 10.9.2004 - Windhoek / Italia
Il volo per l’Italia parte alle 16,10, abbiamo ancora qualche ora a disposizione che sfruttiamo visitando il centro città.
Nei giardini in prossimità della Christuskirche (chiesa luterana tedesca dallo stile insolito che vede la mescolanza tra il neogotico e l’art nouveau) troviamo alcuni venditori (di manufatti artigianali) dal carattere placido che sembrano disinteressati a noi turisti, riusciamo così a fare serenamente alcuni acquisti di oggetti e statue in legno più belli ed anche meno costosi rispetto a quelli esposti a Okahandja.
Ci spostiamo poi nella centrale zona pedonale, anche questa occupata da artigiani ambulanti che espongono cose molto interessanti, esauriamo così con altri acquisti le ultime banconote namibiane.
Stiamo per lasciare la via quando un uomo ci rincorre proponendoci un magnifico ippopotamo ricavato da un unico pezzo di legno molto duro, è un capolavoro, ma è troppo grosso e, soprattutto pesante, inoltre non abbiamo un solo spicciolo in moneta locale… però è troppo bello per lasciarlo qui ed, inoltre, l’artigiano ci fa tenerezza mentre lo lustra con un panno. Comunichiamo all’uomo di possedere solo Euro, calcoliamo un cambio più favorevole a lui per non dare l’impressione di fare gli strozzini e per 30 Euro concludiamo la trattativa con piena soddisfazione da entrambe le parti.
Carichi anche di quest’ultimo nuovo “fardello” cerchiamo l’ufficio postale per la spedizione delle cartoline infine facciamo un giro per negozi.
E’ ormai tempo di tornare in hotel, risistemare per l’ennesima volta i bagagli che non ne vogliono sapere di chiudersi, caricata tutta la roba in macchina ci rechiamo presso l’Agenzia di autonoleggio per la riconsegna del mezzo.
Fatti i controlli all’auto, il proprietario ci rende, dietro presentazione di scontrino, l’intera somma spesa per l’acquisto di un nuovo pneumatico, spesa resasi necessaria a seguito di una foratura che aveva danneggiato irreparabilmente una delle 4 gomme.
Società onestissima, siamo pienamente soddisfatti delle prestazioni dell’auto e della professionalità del titolare che, poco dopo, ci accompagna in aeroporto e ci saluta.
E’ davvero finita!
Il viaggio di ritorno è lungo, facciamo un primo scalo a Johannesburg ed un secondo a Francoforte, arrivando a casa dopo 24 ore. Siamo molto stanchi, frastornati, abbiamo ancora “la testa tra le nuvole”, ma, soprattutto, siamo totalmente appagati da quanto ci è stato regalato dal Paese dai colori sfumati. E’ stato un grande viaggio in tutti i sensi.
Grazie Namibia!

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