Messico: trapianti d'Italia

Arrivarono alla fine dell’Ottocento dal Tirolo e dalla Lombardia: i loro discendenti coltivano ancora oggi caffè e canna da zucchero.

Contributo di Carlos Solito
da "La Nuova Ecologia"

Sembra un pezzo d'Italia trapiantato in Messico. E' la parte centrale dello Stato di Veracruz, una sottile e curva striscia di terra lambita dall'Oceano Atlantico nella costa centrale del Golfo.
Qui dalla fine del 1800 arrivarono continuamente italiani alla ricerca della cosiddetta isola felice. E l'hanno trovata.
"Erano 49 famiglie trentino-tirolesi e 52 lombarde quelle che partirono il 15 settembre 1881 da Livorno per approdare a Veracruz quattro giorni dopo. Uomini nel pieno delle forze, donne, anziani, bambini, tanti italiani lasciarono la loro patria per le calamità naturali, le autorità avide e gli usurai che avevavo portano via la terra, gli animali e la casa. E' così che iniziò la nostra avventura" racconta Don Domingo Jauregui Fernandez mentre indica sulle pareti di casa le foto ingiallite della nonna italiana Ernesta Angebhen.
La cucina è illuminata in un angolo da una fiamma che avvolge una pentola fumante. A preparare il pasto c'è la signora Angela Fernandez Demuner, la madre di Don Domingo. La famiglia è numerosa e tutti si danno un gran da fare per ottimizzare la produzione dell'azienda che vanta estesi campi di canna da zucchero dai quali ogni anno, attraverso due cicli produttivi, si vendono duecento tonnellate di pani di zucchero.
E' questo prodotto, insieme con il caffè, a fare l'economia della regione dello Stato di Veracruz.
Don Domingo ci propone di fare un giro per i suoi campi ormai mietuti, a mano, punteggiati da mucchi di canne pronte a essere caricate su grossi camion.
Le canne arrivano quindi nella piccola fabbrica e, dopo il passaggio in un torchio dove si estrae il succo, le fibre vegetali vengono messe a essiccare per le cartiere e alimentare la grossa fornace sotterranea che scalda le ampie vasche di metallo in cui il succo di canna arriva a una temperatura di 115-120° C.
Il compito degli operai è ora di miscelare continuamente il miele bollente con dei grandi mestoli e passarlo da una vasca all'altra, per poi colarlo sapientemente negli stampi. Da questi, dopo un po' di tempo, si tirano fuori solidi coni di zucchero successivamente posti in cartoni pronti per essere raffinati in un'altra fabbrica. E così via ogni sei mesi l'anno.
Qui nella colonia Manuel Gonzales sono tanti i discendenti degli italiani che fanno la stessa cosa. Nel 2006, tra l'altro, è ricorso il 125° anniversario della fondazione della colonia e ci sono state feste tutto l'anno.
Fortino Della Vecchia Pitoll, un dipendente di Don Domingo, ci invita nello storico bar La Central, che ha ben sessant'anni.
La tappa successiva è a Huatusco, nota soprattutto per gli aceos de cafè (mulini del caffè). Ad aprire la porta di un aceo sono la signora Olga e suo marito Alejandro, proprietari del raffinato hotel Los Cocuyos. Ci guidano a vedere tutte le fasi della lavorazione del chicco affidandosi alle spiegazioni di Josè Ramirez Coyotla, un uomo semplice sempre sorridente che lavora nella loro azienda da 23 anni.
Dopo il lavaggio in una grossa vasca, il caffè viene canalizzato con acqua in una macchina in grado di separare il chicco dalla polpa: il primo è messo a fermentare per una notte intera, la seconda si raccoglie in grossi mucchi per marcire e diventare concime. Il giorno seguente avviene la fase di essicazione del chicco fino a raggiungere il cosiddetto "stadio pergamino" al quale seguono altri trattamenti di pulizia per la tostatura.
Quest'area di Veracruz è un autentico paradiso per la produzione di un eccellente caffè "d'altura", la cui peculiarità sta nell'avere un corpo leggero e un grado di acidità molto intenso.
Proprio come quello che si consuma nel famosissimo Gran Cafè de la Parroquia nella città di Veracruz, a sud, la culla del carnevale messicano. A gestirlo sono i tre fratelli Fernàndez Ceballos: Fernando, Felipe e Angel.
Si può concludere la giornata sorseggiando un lechero, misto spumoso di caffè e spuma di latte, e seguendo l'antica usanza di battere con un cucchiaino sugli alti bicchieri per fare cenno ai camerieri di affrettarsi.

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