Messico e Guatemala, sulle tracce delle antiche civiltà - I parte

Dalla capitale Mexico City alla frontiera guatemalteca attraversando le bellezze del Chiapas

Dopo aver visitato il Perù nel 2007 quest’anno arricchiamo la nostra conoscenza delle civiltà dell’America Latina con il Messico e il Guatemala.
Ed eccoci quindi la mattina del 27 febbraio alla partenza da Genova per Madrid: io e Marina, Leandro e il neo pensionato Claudio. C’è un po’ di amarezza per l’assenza di Laura e Franco, ottimi compagni di viaggio in Perù, in Giordania e in tante escursioni, impossibilitati a venire per motivi familiari.
Volo senza problemi: Genova 7.35 - Madrid 9.40 / 12.40 - Mexico City 17.55 (ora locale)
Compagnia: Iberia. Trattamento a bordo: decisamente mediocre.

NOTA: fotografie di Enzo Bevilacqua, Marina Traverso e Leandro RicciMercoledì 27 febbraio: ARRIVO A MEXICO CITY
Atterriamo nella capitale più o meno in orario. Gli adempimenti doganali e dei bagagli sono nella norma, l'incaricato che deve prelevarci in auto è fuori ad attenderci e intorno alle 20 entriamo in albergo.
Per le prime tre notti saremo ospitati all'Hotel Fiesta Inn. Incorporato in un centro commerciale, si dimostra ottimo per funzionalità e posizione centrale: è situato infatti al n. 76 della Avenida Juarez, a pochi passi dal Parque la Alameda e dal Palacio de Bellas Artes, non più di dieci minuti a piedi dallo Zòcalo (Plaza de la Constituciòn).
Avendo mangiucchiato tutto il giorno fra aeroporti e a bordo (anche se stenderei un velo pietoso sul catering Iberia), non abbiamo quella gran fame e preferiamo sgranchirci un po' le gambe nel centro commerciale e immediati dintorni. Verso le 22 a nanna, nella speranza di assestare il più possibile le sette ore di let-lag.

Giovedì 28 febbraio: MEXICO CITY, TEOTIHUACAN E DINTORNI
Ci svegliamo in un accettabile stato di forma e alle 9 diamo il via al programma di visite. La guida è un cordiale uomo di mezza età di nome Guillermo, l’autista è Manuel al volante di un confortevole pullmino.
Prendiamo la direzione nord e dopo pochi minuti facciamo tappa alla Plaza de las Tres Culturas: a breve distanza vi si trovano infatti le rovine precolombiane di Tlatelolco (cultura di Tenochtitlàn), la seicentesca Chiesa di Santiago Tlatelolco (cultura spagnola) e la moderna Torre de Tlatelolco, fino al 2005 sede del Ministero degli Esteri (cultura messicana moderna).
Poco oltre, eccoci al Santuario di Nuestra Señora de Guadalupe, meta di pellegrini provenienti da tutto il Messico e luogo di culto legato alla storia del pastore indio Juan Diego. Affermando di avere visto tre volte la Madonna sulla vicina collina, gli fu chiesto dal Vescovo di addurne le prove: tornato sul luogo dell'apparizione, la Vergine gettò una pioggia di rose su Juan che le raccolse nella "tilma" (mantello), senonché una volta di fronte all'alto prelato, al posto delle rose si rivelò un'immagine della Madonna. Era il 1531, si gridò al miracolo e fu deciso di erigere un Santuario sul sito del prodigio.
Il complesso è composto da una chiesa del 1700 che purtroppo dagli anni Settanta inizia a sprofondare, quindi l’interno è un enorme cumulo di impalcature che la sorreggono, e dalla grande chiesa circolare costruita nel 1976 dall’architeto Pedro Ramirez Vasquez (lo stesso del Museo di Antropologia). L'oggetto di maggior pregio e venerazione è naturalmente il quadro della Vergine avvolta in un mantello azzurro e rifinito in oro portato al Vescovo da Juan Diego, che campeggia sopra l’altare al centro della chiesa: dato il forte afflusso dei fedeli, il "traffico" è regolato da un tapis-roulant che scorre qualche metro sotto l'immagine miracolosa.
Ci spostiamo di circa 50 km verso nord-est e raggiungiamo Teotihuacan. "Il luogo dove gli uomini si fanno dèi" (come era chiamato in lingua Nahuatl) è un sito di vastissime proporzioni edificato da un popolo del quale si sa ancora poco: vissuta più a lungo di Roma, di cui era coeva, la città fu abbandonata pochi secoli dopo avere raggiunto il massimo splendore fra il 200 e il 500 d.C. Lungo l'ampia strada detta Avenida de los Muertos si allineava una grande quantità di costruzioni, palazzi, luoghi di culto, edifici cerimoniali o deputati a funzioni amministrative, commerciali e abitative. Oltre al Templo de Quetzalcòatl, dedicato al Serpente Piumato, dio della terra, dell'acqua, dell'alba e dell'agricoltura, spiccano le splendide Piramidi del Sole e della Luna: le scaliamo entrambe (sono le prime di quella che sarà una lunga serie!) e l’emozione è notevole. Dall’alto lo spettacolo è veramente meraviglioso, tanto che ci soffermiamo a lungo sulle cime gustando fino in fondo lo scenario a 360° offerto dai due punti più elevati.
Ritorniamo in albergo per una rinfrescata, dopodiché abbiamo il tempo di ritagliarci qualche ora per uno degli spettacoli popolari irrinunciabili di ogni viaggio in Messico. Raggiungiamo Plaza Garibaldi, che da metà pomeriggio a tarda sera diventa luogo di raduno dei Mariachi: sono musicisti di tutte le età abbigliati con sgargianti costumi ricchi di ricami, alamari, borchie argentate che attendono un ingaggio per eseguire musiche tradizionali, o a domicilio per rallegrare occasioni importanti (matrimoni, battesimi, fidanzamenti, feste di laurea o di ogni altro tipo) o anche, semplicemente, eseguire serenate sulla piazza stessa. Il gruppo cosiddetto "tipo" è composto di 7-8 strumentisti, per lo più due chitarre, due violini, due trombe, un guitarròn, più raramente una vihuela (tipo di arpa) e la tariffa è di 100 pesos (circa 6 euro) a canzone.
Quello dei Mariachi dà veramente l'impressione di un mondo a parte e per noi l'occasione per osservare un vasto campionario di caratterizzazioni, sia fra i musicanti, sia fra i clienti e gli spettatori.
Ceniamo con una buona bistecca in un ristorante incorporato in un grande magazzino presso lo Zòcalo e alle 21, un po’ stanchi, tutti a letto.

Venerdì 29 febbraio: MEXICO CITY
Per un contrattempo familiare di Guillermo, da oggi ci accompagnerà una nuova guida, un giovane simpatico e preparato di nome Alejandro.
Ci conduce subito a Coyoacan, quartiere residenziale nella zona sud, molto tranquillo con piazzette e giardini molto curati. Qui visitiamo il Museo di Frida Kahlo, la “Casa blu” che fu l’abitazione della pittrice, moglie di Diego Rivera: molto interessante anche se alcuni quadri possono non incontrare il gusto di tutti. E' piacevole anche passeggiare fra le stradine di Coyoacan, considerato il quartiere degli artisti di Città del Messico.
E finalmente è il momento imperdibile del Museo di Antropologia, una ricca raccolta di tesori veramente straordinaria, tanto più apprezzabile per la concezione moderna e funzionale del percorso espositivo. Alejandro dà ampia prova di preparazione e passione elencando avvenimenti, date e divinità ma è tanto il fascino di statue, statuette, steli, rilievi, fregi e oggetti vari che la nostra attenzione, distolta da tanta bellezza, fatica a seguirlo. Per non parlare dell'enorme quantità di pezzi esposti, suddivisi in undici sezioni riferite alle varie culture succedutesi nella storia del Messico; citerò solo la sala della Civiltà Azteca, uno splendido allestimento nel quale spicca uno dei manufatti simbolo del Museo, vale a dire la pietra del Sole, scoperta quasi intatta nel 1790 sulla Plaza Mayor della Capitale e detta anche calendario azteco per via della quantità di simboli tipici appunto del calendario. Per la visita virtuale del Museo rimando al sito citato nei link (in attesa del relativo video di Leandro…).
La prossima meta è la Plaza de la Constituciòn, detta “lo Zòcalo”, su cui si affacciano la Cattedrale, il Palazzo Presidenziale e i resti di un tempio azteco.
Due precisazioni: 1) questa è la quarta piazza più grande del mondo, superata solo da Piazza Tienanmen a Pechino, dalla Macroplaza di Monterrey (sempre in Messico) e dalla Piazza Rossa di Mosca. 2) Il termine Zòcalo, con il quale è definita quasi sempre la piazza principale delle città messicane, deriva dal fatto che è rialzata rispetto alle strade circostanti (costituisce - appunto - uno "zòcalo" = "zoccolo"), alto da qualche decina di centimetri fino anche un metro.
Entriamo nel Palazzo Presidenziale per vedere i murales di Diego Rivera che ricoprono i muri del piano superiore e relativo scalone di accesso: raffigurano, secondo l’artista che è il maggior rappresentante di questo tipo di arte, la storia della civiltà messicana dalle origini fino ai nostri giorni; sono veramente maestosi ed affascinanti per le scene riprodotte con grande incisività e realismo.
Passiamo alla Cattedrale, imponente spettacolo di altari e altarini riccamente dorati e decorati secondo i dettami del ridondante barocco latinoamericano.
Come sempre ci ritagliamo uno spazio per immergerci nella quotidianità locale, quindi girovaghiamo per la piazza e le vie adiacenti, praticamente un immenso teatro spontaneo a cielo aperto brulicante della più varia umanità: si va dai sedicenti "brujos" (stregoni) che con riti quanto meno bizzarri tolgono ogni tipo di malocchio a gruppi di figuranti in costume azteco che per far su qualche soldo inscenano danze propiziatorie, tutto molto animato e pittoresco.
Giunta l'ora di cena, la nostra intenzione di immergerci nei quartieri popolari alla ricerca di qualche localino tipico è frustrata da un temporale che si scatena non appena mettiamo il naso fuori dall'hotel. Ripieghiamo quindi sull'anonimo ristorante interno, dove ceniamo con un grosso filetto di pesce, comunque accettabile.

Sabato 1 marzo: MEXICO CITY - PUEBLA - OAXACA (km. 475)
Lasciamo definitivamente Città del Messico e alle 7.30 partiamo alla volta di Puebla, distante 125 km. dalla capitale.
Più o meno a metà strada, è d'obbligo una sosta per ammirare il Vulcano Iztaccìhuatl (m.5230) che in questa giornata serena sembra quasi di poter toccare: il Popocatèpetl, che con 5465 metri è la seconda elevazione del Messico (la prima è il Pico de Orizaba, 5700) rimane invece coperto dalla foschia.
Alle 10 arriviamo a Puebla, situata nella zona vulcanica detta "Anello di fuoco" e non di rado soggetta a movimenti tellurici. La cittadina, molto carina e ben tenuta, ci piace subito per la sua vivacità: visitiamo il centro storico coloniale nel quale è bello perdersi ammirando le raffinate architetture, il variopinto mercato, la cattedrale e la strada delle pasticcerie dove vendono i tipici “camotes” (bastoncini di patate dolci canditi): ne assaggiamo alcuni ma li troviamo piuttosto stucchevoli per l'eccessiva dolcezza. Puebla è rinomata per l'artigianato tessile, del vetro e della ceramica: questa è molto caratteristica e colorata, ma gli oggetti interessanti hanno prezzi elevati.
Mancano 350 km. alla meta e il pomeriggio è quasi tutto di trasferimento. La strada per Oaxaca è buona ma, essendo di montagna, molto tortuosa; valichiamo anche un passo oltre i 3000 metri. Fortunatamente il paesaggio è ricco di spunti interessanti come alcuni pendii di montagna completamente ricoperti di cactus: alcuni, veramente monumentali, si trovano in prossimità della strada, e non manchiamo alcune foto in posa davanti ai tre più imponenti, alti non meno di 5-6 metri.
Entriamo in Oaxaca, che è situata a 1550 metri di quota, poco prima delle 17 e capiamo subito che è un luogo destinato a entrare nell'album dei ricordi più belli. Posiamo quindi i bagagli in albergo e Alejandro ci accompagna subito in un primo giro orientativo lasciandoci poi liberi di immergerci nell’animazione che la città sprigiona: ad ogni angolo c’è infatti musica e gente che si aggrega e si diverte.
Il cuore è naturalmente lo Zòcalo (qui Plaza de la Independencia), che pullula fino a sera inoltrata - sia sulla piazza che sotto i portici - di orchestrine, gruppi di Mariachi, artisti di piazza, balli e spettacolini improvvisati.
Ma tutto il tessuto urbano di Oaxaca merita di essere gustato a fondo: è un susseguirsi ininterrotto di piacevoli scoperte, dal reticolato di stradine a saliscendi alle facciate color pastello, dagli eleganti edifici coloniali, in certi casi riconvertiti a "posadas" che sembrano essersi fermate nel tempo, ai sorprendenti patios che si rivelano improvvisi al varcare di un portone, ai raffinati balconi in ferro battuto, fino alla calda tonalità della pietra locale usata per le numerose chiese che al tramonto sembra accendersi di luce propria.
Per la cena, Alejandro ci ha prenotato uno dei migliori tavoli a “El Asador Vasco”, un bellissimo ristorante con veranda sullo Zòcalo: i gamberi ordinati da Claudio, per quanto buoni, non sono giganti come scritto sul menù, impeccabili invece i nostri filetti di pesce.
L'Hotel Aitana (Calle Crespo 313) in cui passeremo due notti è una piacevole residenza storica, tranquilla (appena 23 camere) e pulita, a pochi minuti dal centro, con un bel patio interno in cui è servita la colazione.

Domenica 2 marzo: OAXACA E DINTORNI (km. 120)
Dopo l'abbondante colazione, ci rechiamo a circa 50 Km verso sud-est per visitare Mitla, cittadina insignificante ma famosa per il suo sito archeologico.
La località, il cui nome significa "terra dei morti", fu la città sacra degli Zapotechi e centro principale del loro regno dopo l'abbandono di Monte Albàn nel 700-800 d.C. Il complesso consta di cinque gruppi di edifici di cui solo due sono stati portati alla luce. Il più importante è il Gruppo delle Colonne, una serie di costruzioni che circondano una piazza centrale: fra queste, decisamente singolare è il Patio de las Grecas, i cui muri presentano l'unico esempio in tutto il Centroamerica di decorazioni fatte non con figure di uomini, divinità o animali ma bensì con complessi motivi geometrici (greche, appunto), ottimamente conservati, qui e là con tracce dell'originaria coloritura. Il Gruppo della Chiesa è invece l'insieme di rovine di una struttura simile che fu usata come materiale da costruzione della vicina chiesa cinquecentesca di San Paolo Apostolo.
Lasciata Mitla, sulla via del ritorno verso Oaxaca facciamo sosta nel villaggio di Santa Maria El Tule dove si può ammirare, di fianco alla pittoresca chiesa bianca abbellita da da finiture azzurre, un albero imponente detto appunto “El Tule”; si tratta di un ahuehuete (cipresso di Montezuma) del quale una targa in pietra elenca queste misure: altezza 42 m, diametro 14 m, peso 630 tonn., età circa 2000 anni.
Poco oltre facciamo sosta in una distilleria (El Mitleño) mooolto artigianale di mezcal, l'acquavite di agave che insieme con la tequila è la bevanda nazionale del Messico. All'esterno vediamo i cumuli di agave posti a fermentare, all'interno le varie fasi della distillazione; dopo i dovuti assaggi del prodotto nelle diverse stagionature, ne acquistiamo anche qualche bottiglia rigorosamente con il verme (gusano) all’interno.
Credo sia doverosa una spiegazione: essendo numerosi i distillati contraffatti spacciati per mezcal, viene messo nelle bottiglie un particolare verme che vive nel "cuore" delle piante di agave e solo nel mexcal autentico rimane intatto per anni senza deteriorarsi, dando così la garanzia di originalità dell'acquavite. Secondo una tradizione, chi beve l'ultimo bicchiere della bottiglia ha il diritto di papparsi il gusano! Ma anche no, volendo…
Nel pomeriggio ci rechiamo al sito del Monte Albàn sulle alture di Oaxaca, una decina di km a sud-ovest della città. Gli Zapotechi si insediarono qui verso il 500 a.C. dando luogo per circa dodici secoli ad una civiltà assai florida e abbandonando poi il luogo per motivi misteriosi. Dopo circa un secolo (circa 800 d.C.) i Moxtechi trasformarono l'area in un elaborato cimitero. Ad oggi sono venuti alla luce oltre 200 siti funerari, alcuni dei quali ricchi di oggetti preziosi (oro, ambra, argento, giada, turchese) custoditi nel Museo Regionale di Oaxaca (vedi più avanti). Il sito è in posizione dominante su una collina: superata la biglietteria, si sale per una decina di minuti lungo uno sterrato fino ad avere all'improvviso un colpo d'occhio spettacolare sull'intera città; si ha la sensazione di una Teotihuacàn in dimensioni ridotte, ma nonostante gli edifici siano meno imponenti di quella, la posizione teatrale e l’ottimo stato di conservazione ne fanno un luogo di grande suggestione.
A ideale completamento di Monte Albàn, rientriamo in Oaxaca per visitare il Museo Regionale, ospitato nel chiostro dell'ex Convento di Santo Domingo: i reperti del sito archeologico esposti non sono moltissimi, ma tutti di grande pregio e valorizzati dalla razionalità dell'allestimento. Merita attenzione anche la parte restante dell'edificio, uno dei più importanti monasteri domenicani della regione: di recente restaurato dopo i danni subiti quando fu usato come caserma, ha il suo aspetto più prezioso nei bassorilievi policromi in stucco bianco minuziosamente decorato in oro che ricoprono le volte, le pareti, le nicchie, le cupole e ogni centimentro quadrato degli interni.
Ma, come detto, più che nelle eminenze architettoniche - che pure non mancano - Oaxaca si fa amare nel suo insieme, tanto che ci rituffiamo subito nell'animazione cittadina che pervade strade e piazze, in un susseguirsi ininterrotto di scene e scorci sempre nuovi. Né può mancare un giro nel mercato Benito Juàrez, nel quale spiccano le bancarelle che vendono una delle specialità locali: le cavallette fritte. Le abbiamo assaggiate? Non ve lo dico!
A conclusione del nostro soggiorno in questa magnifica città, dopo cena assistiamo ad uno spettacolo di danze popolari nel bellissimo patio della Casa de Cantora "La Guelaguetza”, molto coinvolgenti, anche per la varietà e lo splendore dei costumi.

Lunedì 3 marzo: OAXACA - TUXTLA GUTIERREZ - SAN CRISTÒBAL DE LAS CASAS (km. via terra 63)
La prima parte del trasferimento odierno avviene in aereo con un volo di linea per Tuxtla Gutierrez dove arriviamo alle 9.40. A riceverci ci attende la nuova guida, di nome Josè Luis, che ci dà il benvenuto in Chiapas; ci porta subito all’imbarcadero per la discesa del Cañòn del Sumidero, due ore di barca (60 km.) tra discesa e risalita. Il cañòn, che è formato dal Rio Grijalva, in alcuni punti è veramente imponente e malgrado la velocità riusciamo a scorgere alcuni coccodrilli e varie specie di uccelli: c'è da dire che il pilota della lancia, evidentemente esperto per le innumerevoli navigazioni compiute, sa bene dove rallentare per i vari avvistamenti.
Certo, dopo avere visto il Grand Canyon del Colorado, il Cañòn del Colca in Perù, le Gorges du Verdon in Provenza… è una gara perduta in partenza!
Facciamo una breve sosta a Chiapa de Corzo, cittadina con un piacevolissimo Zocalo alberato al cui centro spicca La Pila, una monumentale fontana in mattoni del 1562 che si dice ispirata al diadema della regina Isabella di Castiglia.
Sono le 14,30 quando giungiamo a San Cristòbal del la Casas, bella città di 120.000 abitanti situata a 2100 metri di altezza, circondata dalle montagne della Sierra Madre. L'Hotel Casa Vieja che ci ospita (Calle Adelina Flores 27) è davvero ciò che si può dire una dimora di fascino e non sfigura al confronto con le tante belle case coloniali che sono l'orgoglio della città: l'ingresso-reception immette in un incantevole patio (vi si serve la colazione) circondato da un porticato a colonne dal quale si sale ai tre piani delle camere che si affacciano su ballatoi esterni, il tutto in un trionfo di legno massiccio di pregio.
Notiamo subito una spiccata somiglianza con Oaxaca, nel reticolato di strade a saliscendi, nelle case dipinte a colori vivaci, nella vitalità dello Zòcalo, negli infiniti spunti di interesse che si incontrano ad ogni angolo, con l'aggiunta di un clima ideale in ogni stagione.
Appunto lo Zòcalo (qui Plaza 31 de Marzo) è il cuore dell'animazione, situato com'è al centro della direttrice nord-sud (Avenidas Miguel Hidalgo / 20 de Noviembre / Lazaro Cardenas) che è l'ampia zona pedonale sulla quale immancabilmente ci si trova a gravitare andando a zonzo per la città.
E proprio questa via è il teatro di un curioso episodio personale: mentre sostiamo in un localino a bere qualcosa, incontro Roberto, un amico ex-collega ferroviere con cui ho lavorato per circa dieci anni, che passeggia tranquillamente con moglie e nipotino; superato il momento dello stupore e degli abbracci mi racconta che il figlio si è sistemato qui da anni e quindi viene spesso a trovarlo. Incredibile.
Su due dei lati dello Zòcalo, tutto contornato da portici, si affacciano due delle principali eminenze architettoniche di San Cristòbal, il bianco Palacio del Municipio in stile neoclassico e la cinquecentesca Cattedrale: l'originalissima (e fotografatissima) facciata vede un'alternanza di statue di santi e motivi floreali stilizzati, il tutto nei quattro colori - giallo, bianco, rosso e nero - che nella visione maya del mondo simboleggiano le quattro direzioni.
Godendo dell'atmosfera di questa bella città, arriva l'ora di cena, che risolviamo con un menu di carni miste in un ristorante consigliatoci da Josè Luis. Senza infamia e senza lode.

Martedì 4 marzo: SAN CRISTÒBAL DE LAS CASAS E DINTORNI
Iniziamo la giornata girovagando per il mercato cittadino, coloratissimo come un po' tutti quelli dell'America Latina: frutta, legumi (fra cui un'enorme varietà di fagioli secchi), candele, stoffe, utensili casalinghi e molti oggetti di artigianato. Un'ulteriore attrattiva consiste negli sgargianti costumi tradizionali indossati da uomini e donne Tzotzil e Tzeltal che affluiscono dai dintorni della città.
Il programma odierno prevede la visita di due villaggi dell'etnia Chamula, per la precisione del gruppo Tzotzil: sono Zinancantan e San Juan Chamula, ubicate rispettivamente a 19 e 11 km a nord-ovest di San Cristòbal.
Il primo non offre molto: dopo una sosta sulla piazza del paese, la cui chiesetta è un trionfo di decorazioni floreali che letteralmente sommergono gli altari, si visita una delle case del paese, dove sono all'opera le donne con il tipico costume - gonna nera con camicetta e mantella in varie tonalità di blu - che producono con il telaio "a cintura" bei tessuti ricamati.
A San Juan Chamula, nella chiesa di San Juan Bautista - previa registrazione al locale ufficio del turismo, cui provvede Josè Luis - si può invece assistere a rituali incredibili. Sulla porta d'ingresso un cartello avverte che fotografare e filmare è proibito, con pene che vanno da fortissime ammende all'arresto. Un ragazzo invita a riporre gli apparecchi negli zaini.
Gli indios entrano facendosi il segno della croce, ma una volta varcata la soglia i riti sono tutti pagani. Sulle pareti laterali si allineano senza soluzione di continuità una serie di variopinte cappelline in legno - spesso rudimentali - dedicata ciascuna a un Santo, che è fatto segno dai fedeli con preghiere ma anche con imprecazioni, evidentemente per grazie richieste e non concesse. Nella chiesa non vi sono panche e il pavimento è completamente ricoperto di aghi di pino e da una quantità di candele accese: vi sono sparsi vari capannelli, in ognuno dei quali uno sciamano ("curandero") tiene le mani ai ''pazienti'' cercando di curarli. Sul sottofondo, quattro musicisti - tre chitarre e una fisarmonica - suonano ininterrottamente lo stesso motivo, un andamento quasi ipnotico. Come bevanda, tiene banco la cocacola, che gli sciamani bevono in gran quantità per emettere rutti fragorosi che dovrebbero contribuire a scacciare gli spiriti maligni.
Un altro rituale consiste nel portare in chiesa un gallo vivo, che viene preso per le zampe, passato sopra le candele, poi sopra la testa del malato - in modo da assumerne la malattia - infine gli viene tirato il collo e, portato a casa, viene bruciato in modo da distruggere il male.
Lasciato questo luogo fuori dal tempo, rientriamo in San Cristòbal, dove abbiamo ancora il tempo di recarci nella parte alta (sud-occidentale) della città: una larga scalinata, affiancata da alberi ed aiuole con ingenue raffigurazioni religiose di gusto popolare, porta al punto culminante occupato dall'ex convento di Santo Domingo caratterizzato - come la scalinata di accesso - dai colori bianco e giallo. Molto esteso il panorama su tutta la città.
Gironzoliamo ancora per strade e stradine a saliscendi di San Cristòbal facendo venire l’ora di cena, che consumiamo con una grande abbuffata di carne alla brace e verdure al ristorante Miura, in Real de Guadalupe 26, la via parallela a quella del nostro hotel; la formula è la gioia dei bulimici: per un prezzo fisso, i camerieri continuano a portare carne finché non si dice basta!

Giovedì 5 marzo: SAN CRISTÒBAL - PANAJACHEL (LAGO ATITLÀN) (km. 350)
Oggi passiamo in Guatemala, in una giornata che sarà quasi del tutto di trasferimento.
Josè Luis, visto che ci riprenderà in consegna al rientro in Messico, ci propone di lasciare parte dei bagagli in custodia a casa sua: è una buona idea, potremo viaggiare più leggeri nei cinque giorni di permanenza in terra guatemalteca.
Facciamo circa due ore d’auto in un paesaggio alpino molto bello prima di arrivare a Ciudad Cuauhtemoc, ultima cittadina messicana prima del posto di confine di La Mesilla. Josè Luis ci affida a Rafael, la nostra guida in Guatemala: piccolino, capelli ispidi, carnagione olivastra, profilo pronunciato, dà l'impressione di un vero maya.
Ci troviamo nel consueto caos di una polverosa località di frontiera: automezzi di ogni genere che si incastrano clacsonando in tutte le direzioni, empori e venditori ambulanti con ogni genere di mercanzia, varia umanità che cerca di sbarcare il lunario giocando sul momentaneo spaesamento di chi arriva in un Paese nuovo e fornendo servizi quantomeno dubbi; "brillano" improvvisati cambiavalute che equiparano il dollaro all'euro, facendo finta di non sapere che oggi la valuta europea vale 1,30 bigliettoni verdi! Figuriamoci! Intanto non brucia niente, ci approvvigioneremo di quetzales alla prima banca che incontreremo.
Rafael - che già si capisce è uno che la sa lunga - ci fa intanto accomodare su un enorme ed elegante fuoristrada, preleva i nostri passaporti e in pochi minuti provvede velocemente al disbrigo delle formalità doganali: possiamo partire senza alcun grattacapo per Panajachel.
Lasciato l'abitato, il paesaggio cambia completamente, c’è una vegetazione fittissima, la strada sale molto tortuosa e poco scorrevole per la presenza continua di dossi (topes) per rallentare l'andatura, in questo tratto un vero tormento: anche in aperta campagna, basta la presenza di una casa isolata per piazzarne due o tre in successione.
Scavalchiamo due passi, uno a 2600 e l’altro a 3000 metri: su quest’ultimo, in pieno ambiente alpino, troviamo una nebbia fittissima che, unita ai lavori in corso per la costruzione della nuova strada, ci crea una certa apprensione per la visibilità ridotta a pochi metri. Rafael comunque si dimostra subito, oltre che ottima guida, anche valido autista.
Quando iniziamo la discesa su Panajachel abbiamo una bella vista dall'alto sul Lago Atitlàn e del nostro albergo (Hotel Atitlàn) dove arriviamo intorno alle 18. L’albergo è bellissimo, tutto in stile spagnolo con enormi giardini e parco.
Dopo avere preso possesso delle camere, Rafael si presta, pur essendo un servizio non dovuto, a ricondurci in auto a Panajachel, cittadina che offre tutti i servizi di base. Dopo avere cambiato un po' di valuta nella banca locale, per la cena ci orientiamo, su consiglio di Rafael che provvede anche opportunamente alla prenotazione, sul Restaurante Casablanca, considerato "One of the 100 best restaurants in Central America". La fama non è immeritata e il menu, a base di pesce di lago, è decisamente soddisfacente per qualità e prezzo.
Il rientro in hotel avviene con una bella passeggiata digestiva di tre chilometri.

Nei prossimi cinque giorni ci dedicheremo ai luoghi salienti del Guatemala, per poi rientrare in Messico ad ammirare gli straordinari siti archeologici dello Yucatàn e concludendo la vacanza con tre giornate di relax al mare.
Sarà la seconda e ultima parte del diario di viaggio, di prossima pubblicazione -naturalmente - su Ci Sono Stato!

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