Le Ebridi Esterne, che magnifica scoperta!

Uno sperduto arcipelago a nord della Scozia ripaga la sua scomodità con meravigliosi scenari e una tranquillità impensabile nel caos cittadino in cui siamo immersi

 

L’arcipelago delle Ebridi Esterne, indicato sulle carte locali come Outer Hebrides, Western Isles o Na h-Eileanan Siar (in Gaelico Scozzese) si estende per circa 200 chilometri al largo della costa nord occidentale della Scozia. Sembrano essere una sorta di barriera nel nord ovest della Gran Bretagna. Sono fortemente battute dai venti ed hanno un clima molto variabile. Sono comprese tra il 57° ed il 59° parallelo e tra il 6° e l’8° mediano ovest di Greenwich. Occupano una superficie di poco più di 3 mila metri quadrati e sono popolate da oltre 26 mila abitanti, quasi tutti parlanti il Gaelico Scozzese. La mia visita è stata limitata alla parte settentrionale dell’arcipelago, ovvero l’isola di Lewis con la penisola di Harris, cui si è aggiunta una breve escursione all’isola di Berneray.
La guida del Touring Club Italiano le riunisce insieme alle Orcadi ed alle Shetland in un unico capitolo “Le isole lontane”, in quanto oltre ad essere geograficamente le più distanti, sono anche poco sviluppate da una punto di vista turistico, argomento che è stato determinante nella scelta di questa meta.
Sono partito con le mie figlie mercoledì 7 luglio dall’aeroporto romano di Ciampino per raggiungere Edinburgh, da dove siamo proseguiti nello stesso giorno alla volta di Stornoway, il capoluogo dell’arcipelago. Siamo ripartiti la sera del 13 luglio trascorrendo una notte nella capitale scozzese, in modo da poter prendere il volo di ritorno per Roma il giorno successivo alle 6 e trenta del mattino…
Per programmare il viaggio ho acquistato la guida (in Inglese) relativa alle Highlands edita dalla Rough. Stabilite le date in base anche alle tariffe proposte in particolare dalla compagnia aerea Flybe, il vettore che collega Edinburgh con Stornoway, si è passati alla scelta dell’itinerario ed alla ricerca degli ostelli. Qui c’è stata una piccola sorpresa, visto che a differenza di quanto mi era capitato in precedenza, dei 5 ostelli federati solo uno era prenotabile. Gli altri erano descritti come estremamente semplici, dove valeva la regola del chi arriva prima e trova posto piazza il sacco a pelo sul letto e vi rimane sino a quando gli garba. Concludendo, decidevo di prenotare quello più vicino all’aeroporto per la prima e l’ultima notte, insieme a quello di Edinburgh. A ciò si aggiungeva il noleggio di una piccola autovettura, risultata preziosissima: se è vero che sulle isole è presente una discreta rete di autobus, la loro frequenza limita molto gli spostamenti.
Leggendo la guida, non ero riuscito a stabilire con esattezza un programma in quanto non si potevano calcolare né i tempi di percorrenza stradali, né il tempo richiesto per le visite ai monumenti ed ai siti naturali.
Parliamo di costi, abbiamo speso in totale 1760 euro, 710 euro per il volo (compresi 45 per viaggiare sul bimotore tutti e tre vicini al finestrino), 260 per il noleggio dell’auto, 288 euro per i sette pernotti (di cui 102 per l’ultimo) e poco più di 500 per il resto (benzina, alimentazione, visita a musei, souvenirs, traghetto ed altro). Quindi meno di seicento euro a persona. Non abbiamo mai mangiato al ristorante, non avendone quasi mai trovati, ma non ci siamo certo fatti mancare nulla a tavola!
Prima di iniziare il racconto, desidero ringraziare il dottor Sammartino che è riuscito con incredibile rapidità a risolvere un malanno che mi aveva colpito esattamente una settimana prima della partenza.

Itinerario

Mercoledì 7 luglio 2010
Partiamo con il volo della Ryanair da Roma Ciampino intorno alle 11 e 30 con un lieve ritardo, che non ci peserà visto il tempo che avremo all’aeroporto di Edinburgh dove, con molta calma, acquistiamo qualche cibaria ad un prezzo onesto, cosa che non sempre capita nelle aerostazioni.
Il volo che ci porta alle Ebridi viene effettuato con un picclo bimotore ad elica SAAB 340, con appena 30 posti a sedere. Scopriremo qualche ora dopo di essere fortunati in quanto causa il forte vento, quel giorno tutti i traghetti e diversi voli per il nostro arcipelago sono stati cancellati. Arriviamo in perfetto orario, riceviamo come ad Edinburgh i bagagli imbarcati dopo pochissimi minuti, accolti sotto una pioggerella insistente dall’addetto dell’autonoleggio. Si sono fatte nel frattempo quasi le sette di sera, un orario che da quelle parti è sinonimo di coprifuoco per molti servizi.
Si rivela saggia la decisione di acquistare presso il negozio di una stazione di servizio degli alimenti (pane, affettati, confezioni, scatolame e biscotti) qualora non si trovasse un posto per mangiare, cosa che puntualmente accade, in quanto sulla strada non incontriamo né un ristorante né un pub.
La mia figlia più grande, Luisa, esordisce molto brillantemente come navigatrice. Grazie anche ad una dettagliata carta stradale che mi ero fatto spedire da un mio amico residente in Irlanda, raggiungiamo la nostra prima meta senza difficoltà, un bed and breakfast dove l’ostello di Kershader ci ha dirottato per un overbooking.
In una delle due camerette arrangiamo una cenetta simpatica, grazie anche alla presenza di un bollitore. Siamo passati dalle torride temperature di Roma al riscaldamento acceso.

Giovedì 8 luglio
Ci svegliamo presto per poter raggiungere presto l’ostello di Garenin. Arriviamo senza difficoltà, nonostante la strada per raggiungerlo non sia delle più semplici. Si tratta di un villaggio che ricorda quello dei Puffi, casette ad un solo piano con tetto in paglia. Un ragazzo alla reception del museo mi indica la “casetta” adibita ad ostello. Incredibile! La semplicità in assoluto, due stanze, una da sei posti e l’altra da otto, quattro letti a castello: troviamo tre materassi senza nulla sopra, vi piazziamo i nostri semplici sacchi a pelo insieme ad altri bagagli, in modo da rendere ben evidente la nostra presenza. Non vi è distinzione di sessi tra le due stanze, entrambe sono miste.
Mi sposto poi alla sala comune dove si trova il registro delle presenze, sul quale si devono indicare le proprie generalità insieme al tempo che si intende trattenersi. Il costo è di 10 sterline per me e 6 per le ragazze in quanto minorenni. Mi informo sul come pagare: qualora non incontrassi l’esattore (un volontario), posso lasciare il denaro in una cassetta dal chiaro nome “Honesty Box”.
All’interno sono presenti due bagni, uno con doccia. Qualcun altro è nell’edificio di fronte, ma non ne abbiamo quasi mai avuto bisogno. Tra le due camere da letto, come accennato, una sala comune con tutta l’attrezzatura per cucinare.
Sistemata la questione notte, si va alla ricerca (non facilissima) di un distributore di benzina, raggiunto il quale provvediamo nell’annesso negozietto anche a comprare delle cibarie sia per il pranzo che per la cena.
C’è il sole e tanto vento, dedichiamo il resto della giornata alla visita della costa nord ovest dell’isola di Lewis. Cominciamo con il porticciolo abbandonato di Nis e nel minuscolo villaggio di Europie attraversiamo il sentiero tra i campi per raggiungere la piccola chiesa di St. Moluag, suggestivamente isolata della campagna.
Vento davvero impetuoso al Butt of Lewis, il punto più a nord di tutte le Ebridi, sovrastato da un faro di rossi mattoni. Bellissime vedute sul mare in burrasca. Le ragazze vengono attratte da alcuni fiori i cui petali sembrano ciuffi di lana.
Si comincia a ridiscendere verso sud, fermandoci ad Arnol per visitare la Blackhouse, attiva sino al 1964. Si tratta di una struttura che ricorda le fattorie di Islanda e delle Fær Oer, ovvero l’unità di base per un nucleo abitativo. Il nome deriva probabilmente dall’oscurità del locale, le finestre sono sia foriere di luce ma anche di dispersione di calore. Al centro si trova un focolare alimentato con la torba, sopra il quale vi è un foro sul soffitto che permette la fuoriuscita del fumo. Sempre all’interno si trova la zona letto, la stalla per alcuni animali, un granaio, un fienile, un magazzino alimentare e tutto quanto necessario alla sopravvivenza. Di fronte i resti di un’altra blackhouse abbandonata nel 1920.
Un’altra decina di miglia e si giunge al Broch di Carloway, i resti di una torre fortificata che si riesce ad apprezzare grazie ad un disegno che ne mostra la in sezione la struttura originaria.
Rimane ancora del tempo, il sole troneggia ed in meno di un quarto d’ora siamo alle preistoriche Standing Stones di Calanais, delle grosse pietre piatte piantate nel terreno secondo uno schema probabilmente ispirato agli astri. Avevamo già visto una simile struttura alle isole Orcadi, sempre in Scozia.
Si rientra all’ostello. Dopo cena, una bella passeggiata sulla spiaggia sassosa. Trovandoci prossimi al 60° parallelo e al solstizio d’estate, il tramonto avviene dopo le 22. La temperatura non è alta, così rientriamo in ostello dove scambiamo quattro chiacchiere con un altro italiano, di Parma, che arriva dal nord, avendo già visitato sia le Shetland che le Orcadi. Per la cronaca, la stufa è accesa.

Venerdì 9 luglio
Si visita la costa a sud di Garenin. Dalla carta la strada non sembra delle più veloci, in compenso è poco trafficata e ben asfaltata, anche se piuttosto stretta, di fatto a senso unico, con diverse piazzole per fermarsi in caso provengano due vetture in direzioni opposte.
Prima tappa l’isola di Great Berbera, dove mia figlia più piccola, Giorgia, è affascinata dalla moltitudine di pecore ed agnellini allo stato libero.
L’attrazione principale di Bernera è a Bosta, una ricostruzione di una casa dell’età del ferro, la cui struttura, pur essendo di un’epoca diversa, ricorda quella di Skara Brae alle isole Orcadi. Anche qui l’interno è buio, rischiarato solo dal solito fuoco di torba. Molto brava la guida nella sua spiegazione.
Subito fuori una mandria di mucche e vitellini, uno dei quali si fa accarezzare da Giorgia, letteralmente estasiata. Lì vicino una bellissima ampia spiaggia sabbiosa, che non apprezziamo appieno a causa di una pioggerella fastidiosa che ci obbliga a mangiare in macchina.
Nella località di Kneep è indicato un campeggio. Ci chiediamo se vi troveremo persone con quel tempo, soprattutto tende. Appena arrivati alla baia, oltre a scorgere una trentina di roulotte, notiamo anche una decina di tende, tutte ad igloo per meglio sopportare il vento. Passeggiamo sulla bella spiaggia alla ricerca di conchiglie.
Si arriva alla ancor più grande spiaggia di Uig Sands, la cui immagine è sulla copertina della nostra guida. Torna il sole e scopriamo anche numerosi nidi di uccelli sulla spiaggia. Scambio quattro chiacchiere con un Inglese che rimane sorpreso dalla scritta Svalbard sul mio cappello. Gli dò qualche suggerimento per programmare un giorno un viaggio lassù. Mentre le ragazze si divertono sulla sabbia io col mio binocolo mi dedico al birdwatching.
Sulla strada del ritorno incontriamo il primo supermercato del viaggio ad Aird Uig, piccolo certo, ma ci permette una cena più variata, con un piatto di pasta che fa contente le ragazze. Saliamo anche su al borgo per vedere un bel panorama e, da fuori, la stazione della Royal Air Foce.
A cena incontriamo una famiglia mista, lei di Milano, lui di Norimberga, figli scozzesi, residenti a Glasgow. Ci scambiamo informazioni su quello che si è visto, provenendo loro da sud e noi avendo visitato il nord. C’è poi da stabilire la prossima meta, ed io opto per l’ostello di Rhenigdale, in quanto mi sembra fuori mano, ed avendo noi la macchina possiamo arrivare presto, quando chi è partito ha lasciato il letto libero e i nuovi ospiti non sono ancora arrivati.
La notte precedente era arrivato un quindicesimo ospite, ed essendoci solo 14 letti, si era arrangiato con un materasso sul pavimento. Questa notte invece vi sono ben quattro postazioni libere.
Dopo cena, approfittando del sole, giriamo un po’ per il villaggio alla ricerca dei tanti coniglietti che si nascondono, ma neanche troppo, nell’erba.

Sabato 10 luglio
È sabato, abbiamo deciso di spostarci, le ragazze sono state veloci nel preparare i bagagli, mentre li carico in macchina si divertono ancora con i coniglietti.
Si punta al sud, si entra nella regione di North Harris, deviamo per Rhenigdale, la strada si fa stretta, dapprima una ripida discesa, poi si risale con una bella vista sul lungo fiordo sottostante, il Loch Shiphoirt, che sembra proprio un lago. Si incontra un laghetto, poi alla fine dell’ultima discesa ecco il borgo, un paio di case, sullo sfondo a mezza costa scorgo un piccolo edificio bianco, il nostro ostello. Una scala ci porta su, un piccolo ingresso, la cucina a destra, la sala comune a sinistra, un bagno ed una doccia di fronte a noi, proprio accanto alla ripida scala (tipo nave) che porta al piano superiore, una stanza da sei letti, divisa in due da un muretto, l’altra da cinque. La troviamo vuota e ci sistemiamo. Anche questo ostello è piccolo, semplice ma graziosissimo. Ci registriamo, decidendo di restarci per le due notti non ancora prenotate. Stendiamo qualche panno e ci lanciamo verso la penisola di South Harris.
Diamo un’occhiata all’immensa spiaggia di Traigh Losgaintir, caratterizzata da un tipo particolare di palude chiamato machair, la marea rientra addirittura di chilometri. Dopo aver passato un bel campeggio, ci fermiamo alla grande spiaggia sabbiosa di Traigh Scarasta, nota purtroppo per essere stata una delle tante località da cui gli abitanti furono prepotentemente cacciati ed i loro beni espropriati (i numerosi Clearances). È proprio una bella giornata, sono parecchi i bagnanti che accorrono, significativa anche la presenza di surfisti. La tentazione di un bagno è forte, e le ragazze non resistono a qualche secondo di acqua gelida… giusto per poter dire “Ce l’ho fatta”. Io purtroppo ho dimenticato il costume, ne approfitto per passeggiare ed assistere al passaggio di numerosi corridori impegnati in una competizione podistica.
Si prosegue verso l’estremità meridionale della penisola. Ci fermiamo al porto di Leverburgh per informarci (ma non c’è nessuno…) sul traghetto per Berneray. In compenso troviamo il secondo supermercato. Essendo sabato e sapendo che in questa regione vige un alto senso sabbatico, ci garantiamo le cibarie anche per la domenica, anche perché di ristoranti sulla strada non ne abbiamo ancora scorti.
Qualche altro miglio e siamo arrivati a Rodel, estremità sud della penisola, dominata dalla chiesa di St.Clement, semplice, in pietra, particolarmente vuota all’interno.
Torniamo percorrendo la Golden Road, così chiamata per quanto è costata realizzarla, ma è tanto tortuosa quanto bella e spettacolare, un susseguirsi di fiordi e laghetti. Raggiungo un poco provato dalla guida a slalom la strada normale.
A cena ci sediamo nel tavolo (cinque sole sedie) con una giovane coppia di Canadesi residenti in Scozia che hanno optato per dormire in tenda. Pagano poco meno di noi usufruendo dei servizi dell’ostello, preferiscono l’intimità della tenda alla comodità dell’ostello, alla loro età facevo anche io così.
Accolgo una coppia di Aberdeen sulla sessantina e li faccio sistemare nel settore con i due letti nella stanza grande.
Passeggiatina serale alla spiaggia del borgo, soliti dolcetti serali (ne abbiamo sempre trovati di buoni e freschi) e… buona notte!

Domenica 11 luglio
Visto il tempo incerto, lascio riposare un po’ di più le ragazze, ci godiamo una bella colazione anche con le uova, prima di lanciarci verso l’isola di Scalpay, che risulterà essere l’unica delusione del viaggio. Nel frattempo ci siamo resi conto che questa nostra avventura alle Ebridi Esterne sarà limitata alla parte settentrionale dell’arcipelago, rimandando le isole del sud ad una successiva visita, magari unita a qualche altra località scozzese. In ogni caso, da quel che ci hanno raccontato, sia Barra che St.Kilda meritano un ritorno.
Decisamente più interessante l’escursione verso Huisinis, su una strada che la guida definisce stretta e ventosa. Effettuiamo numerose soste sia all’andata che al ritorno, la prima è presso una vecchia stazione baleniera di cui non rimangono che una ciminiera ed alcuni ruderi di edifici. La strada sale ed in prossimità di una cascata sorge un edificio rosso, la scuola elementare. Scorgiamo un’aquila. Spesso dobbiamo fermarci perché la strada è occupata da pecore che non hanno alcuna intenzione di spostarsi. Quasi all’improvviso ed inatteso appare il castello di Abhainnsuidhe, un palazzo ottocentesco in stile baronale scozzese con un bel prato antistante, sorprende in una strada dove a parte l’asfalto non si notano tracce umane.
Dopo il castello una graziosa cascata dove in certi periodi è possibile vedere la risalita dei salmoni.
Arrivati alla fine della strada a Huisinis, il tempo è tornato bello. Questa nuova immensa spiaggia sabbiosa è il premio che riceviamo questa domenica. Le ragazze si rituffano in mare, mentre io scalando poche decine di metri mi godo il panorama sull’isola di Scarp, abbandonata dai suoi duecento abitanti nel 1971 ed ora privatizzata e dotata di un esclusivo resort.
Ci godiamo un paio d’ore al sole su questa bellissima tranquilla distesa, prima di rientrare alla base dove ceniamo in compagnia di una famiglia scozzese che dorme in tenda. Un signore britannico ascolta in macchina la radiocronaca della finale dei campionati mondiali di calcio, e pensare che durante tutto il viaggio non abbiamo mai guardato la televisione.

Lunedì 12 luglio
Lasciamo il tranquillo ostello di Rhenigdale (che insieme a quello di Garenin metto nella mia ideale lista dei preferiti) diretti al porto di Leverburgh. Come già avevo notato in altri Paesi nordici, non vi è la minima struttura a terra, se non una sala d’attesa con servizi igienici (molto puliti). La biglietteria è a bordo, sulla banchina vi è solo un tabellone luminoso che indica gli orari dei giorni feriali e di quelli festivi, le cancellazioni previste nei giorni successivi a causa della bassa marea, un numero telefonico per avere ulteriori informazioni. Sorge spontanea una domanda, andiamo con la macchina o solo a piedi? Il trasporto passeggeri ci costa poco più di 21 sterline, per la macchina dovremmo aggiungerne 48, ma la preoccupazione è un’altra, non si può prenotare il traghetto del ritorno, ma solo mettersi in fila. Tradotto in fatti, un bello stress durante le cinque ore che trascorreremo sull’isola. Mi informo con una coppia che va senza vettura, mi confermano che possiamo tranquillamente visitare a piedi l’isola di Berneray, la più settentrionale delle isole del sud.
Siamo a bordo, fuori c’è molto vento, ma siamo in diversi armati di fotocamere e binocoli a scrutare il paesaggio di questo infido stretto marino. Il fondale pullula di scogli non emergenti, il mare è puntellato di boe e paletti, il pilota deve effettuare un percorso a slalom piuttosto complesso per giungere a destinazione senza procurare danni al battello.
Arriviamo e notiamo le rapidissime procedure di sbarco. Diamo un’occhiata alla cartina e iniziamo la passeggiata verso l’ostello, dove abbiamo pensato di mangiare.
La coppia con cui ho parlato si ferma ben presto in un locale che è il primo ristorante che incontriamo, è una sala tè che fornisce anche alcuni piatti a pranzo e su prenotazione a cena. Proseguiamo e la mia attenzione è attratta da un centro informazioni, dove apprendo che vi è un punto per avvistare le foche. Mi spiegano come raggiungerlo e mi indicano anche dove si trova l’ostello. C’è una grande tranquillità, i pochi automobilisti che passano ci salutano con la mano. Raggiungiamo il “viewpoint” e… i pinnipedi ci sono! Col piccolo binocolo, tanto leggero quanto prezioso anche in questo viaggio, scorgiamo una decina di foche sugli scogli, compresi due piccoli. Se fossimo venuti in macchina, molto probabilmente ci saremmo persi questo spettacolo!
Il paesaggio sembra quasi ovattato, complice una pioggerellina che di tanto in tanto ci costringe ad aprire gli ombrelli. Intravediamo un villaggio con case di paglia, alcune sono abbandonate, alcune bianche ospitano l’ostello. Entriamo nella sala cucina che utilizziamo lasciando un’offerta all’organizzazione che gestisce le strutture dell’arcipelago. Certamente è situato in posizione idilliaca sulla spiaggia, permette anche di apprezzare l’alternarsi delle maree, l’unica obiezione che gli rivolgo è che essendo distribuito su più locali, per andare da una camera ai bagni o alla sala cucina si deve uscire… un po’ come essere in tenda!
Ci intratteniamo nel villaggio dove pascolano liberamente pecore belanti ed agnellini curiosi. Sulla strada del ritorno ci corrono incontro due cani, sono alla ricerca di carezze! Uno dei due è incurante dei richiami del padrone, preferisce rimanere a farsi accarezzare da noi. Siamo immersi da diversi giorni in una realtà veramente lontana dai ritmi frenetici e caotici della nostra città. Ripassiamo davanti alla scogliera delle foche, scattiamo un paio di foto al terrapieno che collega Berneray con North Uist prima di risalire sul traghetto, un pochino stanchi ma soddisfatti della passeggiata.
Sbarcati in orario, ci dirigiamo verso l’ostello di Kershader, piccolo anche se decisamente più moderno dei precedenti. Vi incontriamo la coppia scozzese che era con noi a Rhenigdale. Dopo esserci sistemati ed aver cenato, passeggiamo sulle rive del fiordo. Passano pochi minuti ed arrivano sia il sole che stravolge i colori sia un piccolo gregge di pecore. Ancora una volta siamo affascinati dalla bellezza e della semplicità del paesaggio.

Martedì 13 luglio
Ci attende una giornata complessa, in serata avremo il volo per Edinburgh, per cui abbiamo preparato i bagagli in modo da poterli imbarcare sul quel piccolo bimotore (sulla Ryanair valgono regole diverse).
Incontriamo sulla strada una piccola mandria di pony, breve sosta prima di puntare alla spiaggia di Tolsta. Arriviamo alla fine della strada dove un ponte chiamato Bridge to Nowhere ricorda che il progetto per la strada per il Butt of Lewis si è fermato qui. Da ammirare una cascata, un laghetto ma soprattutto la grande spiaggia sabbiosa di Garry Beach. In un negozietto ci siamo procurati l’occorrente per un nuovo bel pic-nic sulla spiaggia. Dando un’occhiata al cielo terso credo che anche lì sia proprio arrivata l’estate, proprio il giorno che partiamo… Sarò smentito, seguiranno tre giorni di pioggia! Ma oggi è estate, sole, mare, tanti uccelli, belle rocce, passeggio un poco e scorgo col mio piccolo binocolo sul versante sud, sopra una scogliera, una colonia di gabbiani con tanti piccoli. Nel mare sottostante nuoticchiano tante paperelle. Abbiamo notato molte varietà di uccelli, non siamo esperti in materia, ma dotati di un prezioso libretto comprato alle Faer Oer, durante il nostro viaggio, oltre ai già citati gabbiani e all’aquila, abbiamo avvistato allodole (alauda arvensis), passeri, ballerine bianche (motacilla alba), pettegole, piovanelli.
Fa davvero caldo, e pensare che abbiamo sempre dormito con coperte pesanti! Torniamo a Stornoway, girovaghiamo per le poche strade pedonali, vistiamo il piccolo ma interessante museo locale e ci dedichiamo alla ricerca dei souvenir, e non ve n’è certo abbondanza.
Inizia il viaggio di ritorno, atterrati ad Edinburgh si prende un taxi per l’ostello prenotato a gennaio. Caro, 88 sterline per una tripla con bagno, è a cinque stelle e le vale tutte. Di un ostello ha giusto il fatto che ci si deve preparare il letto. Si accede con carte magnetiche, altro che gli ostelli delle Ebridi dove si lasciava tutto ed era sempre aperto.
Ci attende la sveglia molto presto, il volo è alle sei e mezza… Una doccia, la sistemazione dei bagagli e si dorme.

Mercoledì 14 luglio
Mi alzo alle quattro e sono contento di essermi svegliato. Veloce nescafè, chiudo la mia valigia e sveglio le ragazze, veloci anche loro, poco prima delle quattro e mezza troviamo alla reception un telefono collegato con il radio taxi, in meno di cinque minuti arriva una vettura che prima delle cinque ci lascia all’aeroporto. Piove e fa fresco. Rapido check-in, quindi tranquilla colazione e gli ultimi acquisti… compreso lo stemma SCOTLAND per lo zaino. Tre ore di volo e siamo a Roma, c’è il sole, fa caldo e soprattutto tanto traffico sulla strada per casa. Abbiamo trascorso una settimana senza problemi di caldo, di traffico, di parcheggio e di microcriminalità, questa sì che è stata una vera vacanza!

 

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