Riprende qui il resoconto del mio viaggio di 17 giorni nelle Isole Argosaroniche: dopo Spetses e Hydra, trattate nella prima parte del diario dallo stesso titolo, è la volta di Poros, Ègina e Angistri per la conclusione dell’esperienza.
Ritengo che uno degli aspetti stimolanti dell’island hopping fra gli arcipelaghi greci consista nell’imprevedibilità e in un ampio margine di improvvisazione: infatti si parte con un programma di massima, ma talvolta accade che lo si cambi in corso d’opera, vuoi perché un’isola ci piace e vi prolunghiamo il soggiorno, vuoi perché al contrario una ci delude un po’ e la lasciamo prima del previsto, vuoi infine perché - magari su indicazioni di altri viaggiatori - inseriamo una meta non pianificata.
Eccone qui di sèguito un esempio!
Itinerario
Sabato 12 giugno 2010
Proveniente da HYDRA dopo una traversata di meno di un’ora, sbarco a POROS intorno alle 15: ho davanti quattro ore di attesa per il traghetto diretto a Ègina, che ho intenzione di impiegare per farmi almeno un’idea di massima dell’isola.
Ma, per la serie "idee chiare innanzitutto!" o, per dirla con Voltaire, "solo gli stolti non cambiano idea", diversi fattori mi inducono a mutare programma. Innanzitutto, la prospettiva di girare per quattro ore con i bagagli non mi sconfinfera molto, e poi l’isola mi trasmette indefinibili vibrazioni positive che mi invogliano a passarci almeno un paio di mezze giornate. Casca a fagiuolo una piccola agenzia di viaggio, dove una gentilissima (e carina) giovane signora mi risolve la logistica, commutandomi il biglietto del traghetto con quello delle 12,05 di domani e trovandomi una sistemazione per la notte. In realtà questa seconda incombenza ha successo solo dopo alcune telefonate infruttose: oggi infatti è sabato, l’isola è meta gradita per i fine settimana degli abitanti di Atene che dista poco più di due ore di navigazione, e in più in questo weekend c’è un raduno dei marinai di leva di tutta la Grecia con relativo afflusso di parenti e amici. Alle 16 eccomi quindi in possesso di una domatia che mi costa 40 euro, semplice ma pulita e soprattutto a pochi minuti dal molo dal quale partirò.
Ad uso dei futuri visitatori, faccio presente che i moli sono due: questo è riservato ai grossi traghetti con trasporto auto, mentre le navi veloci sono attestate a quello in cui sono sbarcato.
A rigor di logica Poros consta in realtà di due isole: la parte preponderante ha il nome di KALAVRIA, caratterizzata da una fitta vegetazione arborea, ma curiosamente la maggior parte della popolazione risiede a SFERIA, una specie di “foruncolo” all’estremità sud collegato da un sottile istmo e sede di Poros capoluogo. Di fronte è ben visibile la costa del Peloponneso (Galatàs), separata da un braccio di mare non più largo di mezzo chilometro: la “Kyriaki”, un traghetto per persone e automezzi, fa continuamente la spola fra le due coste. Scoprirò solo in sèguito che da Galatàs si può raggiungere con due ore di pullman Nauplia e il teatro di Epidauro: un’idea per una eventuale futura visita.
Data la brevità della mia permanenza, è a questa propaggine che limiterò le mie passeggiate. L’animazione della cittadina gravita sul vivace lungomare, in una sequenza di taverne, negozi e locali di ritrovo; perpendicolarmente, si dirama una successione di vicoli tortuosi, a tratti gradinati, che di tanto in tanto si allargano su piazzette che sono teatro della vita quotidiana degli abitanti. Domattina di buon’ora cercherò di raggiungere il punto culminante di Sferia, dal quale spero di avere una bella vista panoramica.
Concludo la serata con dei buoni souvlaki annaffiati dall’immancabile Mythos in una delle tante taverne sul mare.
Da domenica 13 a martedì 15 e da sabato 19 a lunedì 21 giugno 2010
Non sono nemmeno le sette quando mi metto in movimento lungo la stradina in salita che parte dalla mia camera: non conosco la direzione precisa, ma continuando a salire non potrò che raggiungere il punto più elevato. La strada asfaltata lascia presto posto a una mulattiera e poi a un sentierino che si sviluppa in un sottobosco di conifere, dal quale di tanto in tanto emergono grossi massi levigati dalle forme talvolta curiose. Si passa a fianco di una grossa torre cilindrica di avvistamento, un punto dal quale già si ammira un bel panorama verso minuscole isolette sottocosta, finché si arriva alla sommità della collina che domina l'isola, il golfo e la costa antistante: un punto panoramico estesissimo! Circondata da piccoli cipressi, c’è una cappelletta che una vecchina sta terminando di rassettare con grande amore: una tranquillità fuori dal tempo che invoglia a sostare a lungo.
A lungo sì, ma non troppo: dopo avere “esplorato” i dintorni per ammirare il panorama dai diversi versanti, ben presto si avvicina il mezzogiorno, ora di partenza della Apollon Ellàs, il traghetto della Hellenic Seaways.
La navigazione fra Poros ed ÈGINA ha una durata di un’ora scarsa. All’approssimarsi del molo vengo avvicinato da uno degli addetti alle manovre che mi chiede se ho intenzione di fermarmi qualche giorno sull’isola e mi propone una sistemazione presso la pensione del fratello. Una telefonata sul cellulare, e appena messo piede sulla banchina Ioannis è già lì ad aspettarmi: beh, segno che la pensione Elektra è davvero vicinissima al porto come descritto!
Sono in effetti non più di cinque minuti a piedi, in una via tranquilla ma al contempo vicinissima al lungomare che è il cuore del capoluogo. Intendo alloggiare qui per tre notti, più le ultime due al mio ritorno da Angistri. Una breve trattativa e dai 45 euro al giorno richiesti scendiamo a 40 comprensivi di abbondante prima colazione per una camera spaziosa, confortevole e pulita ai limiti del maniacale. Decisamente consigliata: contattare Ioannis Goumas, tel. 22970-26715, cell. 6938-726441.
Dopo i soggiorni in due belle isole come Spetses e soprattutto Hydra, per Ègina il confronto è difficile. Anzi, per quanti pongono le spiagge al primo posto nella valutazione di un’isola greca, dico subito che sono altri i punti di forza di Ègina. Ma di sicuro, di non poco rilievo e si può perdonarle il mare non strepitoso ma solo bello!
La frequentazione dell’isola, pur non mancando la presenza di stranieri, è in prevalenza di greci, grazie alla vicinanza con Atene (poco più di un’ora con i traghetti, 35 minuti con le navi veloci) che ne fa meta gradita per i fine settimana nell’arco dell’intero anno.
ÈGINA CITTÀ
Quello che immediatamente si nota già da un primo contatto è la vivacità, sia del lungomare sia delle strade interne, che subito predispone positivamente il visitatore: vivacità che si concretizza nella sfilata di taverne e locali di ritrovo, nell’animato mercato del pesce, nelle bancarelle di prodotti locali fra i quali spiccano i rinomati ed onnipresenti pistacchi, nel brulicare delle barche con i pescatori intenti alle loro attività, in alcuni coloratissimi barconi di vendita frutta, nelle simpatiche e decoratissime carrozzelle a cavalli.
Riguardo le eminenze storico-architettoniche, la prima in cui si imbatte entrando in porto è la graziosa chiesetta in stile cicladico con doppia cupola di AGIOS NIKÒLAOS THALASSINOS, protettore della gente di mare: è particolarmente suggestiva nella luce dorata del tramonto. Sull’estremità sud del porto, ben visibile da ogni punto del lungomare, è ubicata l’ottocentesca CHIESA DELLA PANAGÌA attorniata da un piccolo palmeto. Proseguendo verso l’interno, si incontrano dopo pochi minuti due siti interessanti: la CHIESA METROPOLITANA, caratterizzata da un elegante portico ad archi e da tre cupole rosse, e la TORRE DI MARKELOS, un’originale edificio di origine medioevale dai muri rosati, di importanza storica per essere stata sede del primo governo greco dopo la rivoluzione del 1821.
Una forte impronta è data dalla presenza in tutto il tessuto urbano di diversi palazzi in stile neoclassico edificati a partire dal 1828 per tutto il XIX secolo su ispirazione dell’analoga tendenza architettonica in voga ad Atene: per lo più destinati ad ospitare istituzioni, organi governativi o come dimora di armatori e capitani di lungo corso, alcuni sono ben conservati e tuttora abitati mentre altri sono in stato di abbandono più o meno avanzato.
Meritevole di una visita accurata, su una collinetta all’estremità settentrionale dell’abitato è il sito archeologico di KOLONA, così definito per la presenza dell’unica colonna rimasta in piedi del TEMPIO DI APOLLO del 6° secolo a.C. Oggetto di campagne di scavi tedesche e austriache fra il 1921 e il 1954 e poi fra il 1966 e il 1994, presenta resti di insediamenti succedutisi a partire dal Neolitico (circa 5° millennio a.C.) fino al periodo miceneo (1600-1200 a.C.): per quanto in degrado, sono ben distinguibili le varie destinazioni degli spazi, quali l’acropoli, lo stadio, il teatro, alcune tombe, il Bouleterion (sala delle riunioni), il Tempio di Artemide, oltre a tratti di mura delle diverse epoche.
Ideale completamento della visita (meglio ancora prima del sito) è l’adiacente MUSEO che espone numerosi reperti rinvenuti nell’area.
IL TEMPIO DI AFEA
Se del complesso di Kolona rimane ben poco in piedi, con il rimpianto di poter solo immaginare un sito archeologico che doveva essere splendido, il Tempio di Afea sorprende e affascina per il suo buon stato di conservazione (nei limiti di quanto può esserlo un edificio eretto 2600 anni fa): fatte le dovute proporzioni, il confronto con il Partenone di Atene non è poi così irriverente.
Il reperimento di tracce di insediamenti neolitici (circa 5000 anni fa) e di due templi precedenti a quello che vediamo ancora oggi, eretto intorno al 600 a.C.) spiegano chiaramente l’importanza che questa altura in posizione dominante deve avere avuto nel corso della Storia.
Campagne di scavi svolte da tedeschi e inglesi a partire dal 1811 portarono alla luce sedici statue in marmo di Paros raffiguranti scene della guerra di Troia: essendo la dea Athena la figura dominante, si credette che ad essa fosse dedicato il tempio, finché il reperimento nel 1901 di un’iscrizione con la citazione della divinità locale Aphaia indusse a correggerne l’attribuzione.
Raggiungo il tempio in autobus dopo 11 chilometri della strada che parte dal capoluogo toccando anche il moderno grandioso monastero di AGIOS NEKTARIOS - discutibilmente costruito a vaga imitazione di Santa Sofia di Istanbul - e il villaggio di Mesagros. Essendo un giorno feriale di metà giugno, mi godo il sito in quasi totale solitudine: anzi vi indugio a lungo anche perché l’idea di raggiungere la ben visibile spiaggia di Agìa Marina, situata a 4 km da qui all’estremità orientale dell’isola, è subito abbandonata alla vista della cementificazione galoppante che sta invadendo il sito.
PALEOCHÒRA
A un bivio verso nord in prossimità del già citato Agios Nektarios si dirama la deviazione per uno dei luoghi più suggestivi e sorprendenti in cui io mi sia imbattuto nella frequentazione delle Isole Greche: aggirato il grazioso convento femminile di Agìa Aikaterini circondato da cipressi, la strada in leggera salita conduce in circa 400 metri alla base della brulla collina di Paleochòra. È questo l’insediamento che i residenti fondarono a partire dall’896 abbandonando i centri costieri diventati bersaglio delle frequenti scorrerie dei pirati saraceni; esso fu per secoli il capoluogo di Ègina fino all’inizio dell’Ottocento quando quella minaccia andò scemando inducendo la popolazione a ristabilirsi sulla costa.
Oltre alle numerose abitazioni di cui restano solo le rovine e a lunghi tratti di mura, Paleochora annoverava secondo la tradizione 365 chiese delle quali oggi ne sono in piedi circa 35: tra queste, 20 presentano all’interno affreschi ben conservati e in certi casi splendidi. Contrariamente a quanto di norma accade in Grecia, esse sono tutte aperte e visitabili, grazie anche alle cure assidue da parte di volontari della zona.
Nonostante il limitato appeal turistico (non mi stancherò di sottolineare quanto sia distorta la diffusa opinione per cui le Isole Greche sono solo “mare, mare, ancora e solo mare”), che peraltro ha il risvolto di trovarsi in un sito praticamente deserto, Paleochora merita assolutamente un approfondimento: all’uopo, raccomando di munirsi della guida “Aegina today and yesterday” della Tekni/Toubis che riporta a pag. 60 una dettagliata mappa con 37 luoghi di visita e relativa sentieristica. Inutile fare qui un elenco di chiese, chiesette e cappelle dedicate a questo o quel Santo che avrebbe poco senso, ma raccomando di dedicare al sito non meno di tre o quattro ore, che peraltro volano grazie al fascino che emana e alla varietà delle attrattive che vi si incontrano.
PÈRDIKA E L’ISOLA DI MONÌ
Una carrozzabile in direzione sud lungo la costa occidentale di Ègina congiunge in nove chilometri il capoluogo a Pèrdika. Il tratto offre diverse spiaggette di facile accesso, la più bella delle quali è la sabbiosa Marathonas, attrezzata ma senza eccessivo impatto. Un paio di chilometri a nord di Pèrdika non manca invece, incombente su un alto promontorio, un gigantesco ecomostro costituito da “casermoni” di cemento in rovina evidentemente mai occupati e testimoniato da un cartello rugginoso “Aegina Maris Hotel Bungalows”: una bruttura come poche, per la quale si può solo auspicare l’abbattimento e la galera per i responsabili!
Pèrdika è un villaggio di pescatori reso piacevole da un lungomare sopraelevato brulicante di taverne. Dal molo partono dei battellini per l’antistante isoletta di Monì; la frequenza è... casuale (sono comunque diversi al giorno), la traversata dura una decina di minuti, costo è di 5 euro A/R da pagare al ritorno, la cui ora si concorda con il barcaiolo.
A pochi metri dall’attracco c'è un baretto con qualche ombrellone e sdraio, ma ci si può anche piazzare all'ombra degli alberi subito dietro. Proprio questa fitta copertura arborea sul versante nordoccidentale favorisce la presenza di pavoni, cervi, capre dalle corna contorte che vi circolano liberamente, anche perché l’isola è riserva naturale protetta: non ci sono infatti alloggi - per fortuna - e non è ammesso pernottarvi né attendarsi.
Riguardo al mare, una sola parola: strepitoso, con una gamma di colori difficilmente descrivibile che le foto rendono solo in parte. Ma la bellezza di Monì è anche nel suo insieme: la parte dove la gente sbarca e fa il bagno è solo la costa nord dove c'è qualche minuscola insenatura sabbiosa, al massimo qualcuno fa trecento metri fra gli sterpi per vedere l'altro lato dell'istmo. Un bel valore aggiunto potrebbe essere, scarpe robuste ai piedi, farne il periplo costiero - peraltro non privo di punti disagevoli - salendo anche sui tre cucuzzoli rocciosi fino al più alto (quota 179) dove sorge l’immancabile cappelletta: il panorama da lassù deve essere vastissimo.
Da mercoledì 16 a venerdì 18 giugno: ANGISTRI
L’isoletta, sei chilometri di navigazione a sud-ovest del porto di Ègina, ha una superficie di 14 km e ospita 700 residenti. E’ collegata in pochi minuti di aliscafo, ma anche - una soluzione più intonata all’atmosfera rilassata che la caratterizza - con un simpatico battellino azzurro e giallo che effettua nella giornata quattro corse di andata e ritorno della durata di un quarto d’ora.
Proveniente da Ègina, sbarco intorno a mezzogiorno dal “Flying Dolphin” nel porto di
Mylos, nota anche come Megalochori, da cui parte immediatamente il bus in coincidenza diretto al capoluogo Skala. Si tratta dei due principali centri abitati, ubicati alle estremità della costa settentrionale. Sul molo non ci sono affittacamere in attesa, ma il lungomare è una sequenza di taverne e strutture ricettive, cosicché in pochi minuti entro in possesso di un bello studio che mi costa in totale 105 euro per tre pernottamenti (arrotondati a 100 al momento del saldo).
Skala e Mylos distano un chilometro e mezzo e sono in pratica l’una il proseguimento dell’altra, affacciate su una spiaggia quasi ininterrotta che alterna tratti di sabbia e ghiaia. E’ la passeggiata che intraprendo nella prima mezza giornata sull’isola, che prolungo poi verso sud in direzione della spiaggia di Dragonera: senonché dopo circa un chilometro scopro una deviazione che porta, se pur lungo un pendio un po’ infido fra le sterpaglie, a un’incantevole caletta senza nome dove godo del piacere di un lungo bagno in assoluta solitudine.
Il servizio bus è piuttosto efficiente e prevede una corsa circa ogni ora che copre il tratto Skala - Mylos - Dragonera - Limenaria, quest’ultima situata all’estremità sud-est. Scopro però con piacere che (e qui aggiorno la Lonely Planet “Isole della Grecia” edizione 2008), che il percorso è stato prolungato di due chilometri terminando ad Apònisos.
E’ questo il luogo che ritengo il più affascinante di Angistri, tanto da tornarci due volte. Di fronte alle poche case e all’unica taverna che compongono l’abitato si adagia l’isolotto di Alònisos, non più di 150 metri per 50, unito alla terraferma da una passerella di una ventina di metri. Un chilometro più al largo, l’isoletta di Doroussa, due gobbe rocciose su una delle quali sorge a quota 79 metri la chiesina di Profitis Ilias (ma esisterà un’isola greca in cui non ci sia un Profitis Ilias?).
Il tutto compone un quadro assolutamente originale, impreziosito da un mare dall’infinita tonalità di colori, nel quale vale la pena indugiare in lunghi bagni. Piccolo problema è l'abbondanza di ricci di mare, quindi è richiesta un minimo di attenzione nel punto dove ci si immerge, ma già dopo pochi metri l’acqua è oltre l'altezza d'uomo. Decisamente consigliate le scarpette di gomma.
Ma non finisce qui. Poche decine di metri all'interno si estende uno specchio di acqua (salmastra?) molto bassa dove evidentemente crescono alghe o microrganismi che danno colorazioni particolarissime. Salendo un po' un pendio roccioso (secondo voi l'ho fatto o no?), si può addirittura comprendere in un’unica ripresa video il mare e il lago. Per unirli in un’unica foto bisognerebbe salire di più, ma francamente l’altura è un po' troppo impervia. E’ comunque esplicativa la foto che è esposta sul molo di Ègina accanto agli orari del battello, evidentemente scattata da un velivolo.
Ma perché nessuna guida fa cenno a uno scenario così particolare, unico direi?
A questo punto, si può prolungare la passeggiata verso Limenaria (ho già detto che sono non più di un paio di chilometri), lungo la quale si incontra la graziosa chiesetta di Agios Nikòlaos con annesso piccolo cimitero immersa tra fasce coltivate a ulivo. Un luogo di così profonda suggestione dà spunto a una riflessione, che cioè in un tale contesto anche il pensiero della morte è meno terribile: uno dei tanti aspetti che ci fanno amare le isole greche.
Limenaria è un paesotto sonnacchioso che offre qualche bello scorcio fra vicoli, piazzette e sottopassi, nonché una taverna con pergolato “che più familiare non si può”, visto che esiste solo un menù del giorno, vi si parla solo greco e i soli avventori oltre il sottoscritto sono indigeni.
Il “campionario” delle spiagge dell’isola è completato da quella di Halkiada. Dirigendosi da Skala verso est, si tralascia la strada che sale al villaggio collinare di Metochi per seguire un sentiero che corre alto sulla costa rocciosa interrotta solo dalla spiaggetta di Skliri, prima in sottobosco per poi portarsi sulla sommità di un promontorio che si protende su tre lati sul mare sottostante: la spiaggia, di sabbia e ghiaia chiara che digradano in un’acqua trasparente, si estende ai piedi di una vertiginosa falesia ed è raggiungibile con un percorso ripidissimo che richiede molta attenzione oppure (preferibile) via mare. Essendo appartata, è prediletta dai naturisti.