Le Highlands

Alla ricerca di quella Scozia selvaggia e desolata la cui idea resiste nell’immaginario collettivo

Scritto da: Mauro Brunetti

Sveglia alle sette. Rapidamente mi preparo, faccio colazione e carico Rosalina. Il bagaglio è assai ridotto: in una borsa metto tutti i viveri e nell’altra scarpe, jeans, sacco a pelo e qualche ricambio di emergenza. Infine tanica supplementare di benzina, ferri e tuta antipioggia (d’ora in avanti ‘ap’) attaccate esternamente. Alle otto sono già pronto per partire, la giornata è molto bella, anche se ormai ho capito che fidarsi del tempo qui è come fidarsi della parola di un malato di mente. Giusto il tempo di scaldare il motore e poi viaaa. Non ho una tappa precisa dove andare, deciderò di volta in volta cosa vedere e cosa saltare. Dopo un mese di permanenza a Edinburgo, ciò di cui sono sicuro e’ la voglia di saltare sistematicamente tutti iluoghi comunemente denominati ‘turistici’ e andare invece alla ricerca di quella Scozia selvaggia e desolata la cui idea resiste nell’immaginario collettivo.
Ad ogni modo partendo da Edinburgo la direzione è obbligata: Stirling: la città di William Wallace (Braveheart), che qui in Scozia viene ancora visto come una specie di Garibaldi nazionale. Purtroppo l’autostrada che collega le due città è tanto monotona quanto noiosa, ma pazienza. Arrivato nei pressi di Stirling decido di vedere il monumento alla memoria del sopracitato, che altro non è che un torrione alto trenta metri in cima ad una collina. Purtroppo la mia nota insensibilità artistica coniugata al fatto che il monumento distava dieci km di strada cittadina dallo svincolo autostradale non mi ha fatto apprezzare a pieno questo capolavoro dell’architettura scozzese. Dopo avere affrontato il traffico e gli infiniti semafori, ritorno alla rotonda dove mi infilo finalmente nello svincolo che porta ai territori del grande nord.
Immediatamente tutto cambia, dapprima la statale mantiene quelle lunghe traiettorie dritte tipicamente autostradali, poi piano piano cominciando a infilarsi nei boschi la strada si fa’ sinuosa: curva a sinistra, piega, raddrizzi, piccola salita, discesa e curva a destra e poi daccapo. Il manto è di ottimo asfalto inglese che, pensato per la pioggia (toh! come mai?), offre qualità di aderenza eccezionali, naturalmente a patto di lasciarci mezza ruota!
Oggi è sabato e tutti I centauri del luogo saettano per le strade, vere e proprie bande di dieci-quindici motociclisti, armati di tutto punto, incrociano la mia paciosa e tranquilla Rosalina.Tutti mi salutano con ampi gesti: c’è chi alza il pollice (tipo Fonzie), chi saluta alla John Waine o chi piu’ tradizionalmente alza semplicemente la mano. Questa goliardia motociclistica e’ qualcosa di straordinario, a dispetto del paesaggio, talvolta desolato, si è sempre coscienti di poter contare su qualcuno di loro in caso di necessita’. Il paragone con i comportamenti della Sicilia vengono spontanei, ma soprassediamo!
Arrivato allo svincolo per Oban, non resisto alla tentazione di continuare sulla strada più tortuosa, e decido cosi’ di arrivare a Fort Williams senza passare per Oban. La scelta viene subito premiata: dapprima un rettilineo di cinque km (gioia dei proprietari delle supersport) poi una salita montana dalla cima della quale si spazia su tutta la valle. Scatto un paio di foto e proseguo. Arrivo in una altipiano immenso, con la vista si può spaziare per decine e decine di km fino alle alte montagne in fondo.
Il colore è tutto uguale: marrone, attorno a me ci sono solo cespugli (tipo tundra sovietica) che ricoprono ogni cosa. La strada dell’altipiano è tuttavia parecchio frequentata da pullman di turisti e da qualche macchina. Al termine dell’altipiano si trova il passo di Glencoe, che a dispetto dei soli settecento metri offre paesaggi di spettacolare bellezza.
Scendendo il paesaggio torna nuovamente pieno di vita, boschi, case, auto e alla fine anche il mare! L’oceano Atlantico, ma no, questo è Loch Linnhe, un fiordo che bene o male traversa tutta la Scozia! ma non importa, quando vedo acqua io sto sempre bene. Pochi km di strada costeggiando il fiordo, e arrivo a Fort Williams, turistica città alle pendici della montagna piu’ alta di tutta la Gran Bretagna: il Ben Nevis, paradiso di tutti gli alpinisti scozzesi. Guardandolo dal mare sembra veramente imponente, tutto nero con la cima ricoperta di neve e nebbia. Ma la cosa veramente incredibile è che fa un caldo della madonna! il sole picchia e io, attrezzato per il peggio con due pullover e la mia tuta da astronauta nero opaco comincio a bollire.
Poco male, tanto ormai restano soli pochi km, giusto il tempo di costeggiare un tranquillissimo lago (stavolta dentro un bosco) e vedo subito il mio ostello che ufficialmente si trova nel paese di Laggan, che ufficiosamente è costituito da 5 (cinque) case lungo la strada. Naturalmente sono appena le due e notoriamente gli ostelli non aprono mai prima delle cinque. Approfitto del tempo morto per buttarmi su un prato e schiacciare un meritato pisolino all’ombra dell’ostello.

Verso le sei del pomeriggio (dopo essermi cambiato) ripeto il rito del mio pane-con-sardine buono e soprattutto economico! Certo però che a vedere gli altri prepararsi zuppe, risotti e quant’altro viene un pò di tristezza. Consumo rapidamente il mio pasto per uscire dalla cucina quanto prima possibile e cacciare dalla mia mente la tentazione di arraffare il piatto di qualcun altro. L’ostello è pieno di persone venute lì per fare del trekking sulle montagne, difatti si respira un pò l’ambiente dei rifugi alpini, con stivali, bussole, cartine e naturalmente puzzolentissime calze stese a svampare. Ormai sono le nove di sera, ma lungo la strada si possono ancora vedere gli ultimi motociclisti sfrecciare con le loro rombanti Ducati, Kawa, Suzi etc.
Da quando sono partito non ho visto una, dico una, Guzzi in GB.Comincio a pensare, infatti non essendoci Moto Guzzi in Gran Bretagna non ci saranno nemmeno pezzi di ricambio facilmente reperibili, e che succede se....ma guarda che bella giornata!, sono le dieci di sera e ancora c’è luce come se fosse giorno. Ora vado a letto, ho settato la sveglia alle sette, speriamo di non dare troppo fastidio.

Sveglia anzi, sveglie alle sette. Ostello di montanari! già dalle sei la camerata era rallegrata da un concerto di allarmi di tutti I tipi. Ma meglio così. Vado al refettorio, prendo nervosamente un piatto, ci metto la mia mela sopra, e la ingurgito cercando di farla apparire come una colazione sana e naturale, alla faccia di chi con ciotole, pane, marmellate e nutelle si riempie di zuccheri e prodotti ipercalorici. Alle otto e un quarto sono di nuovo in moto. Al primo bivio non sò decidermi dove andare, prima prendo la strada che porta alla isola di Skye, ma poi ci ripenso e prendo un altra strada che mi riporta indietro in direzione del famosissimo lago di Lochness.
Lungo una cinquantina di km, questo lago deve la sua notorietà alla presunta presenza di un qualche dinosauro sopravvissuto. In realtà dopo essercisi resi conto delle reali dimensioni del lago, è facile capire come tale legenda (o bufala) sia potuta sopravvivere per tanto tempo. La strada che lo costeggia sul lato sinistro è quello che mi piace chiamare ‘sogno d’asfalto’: veloce, piena di curve sincere, sospesa tra una montagna a sinistra e il lago a destra e immersa nel bosco, questa strada offre sicuramente quanto di meglio un mototurista possa pretendere.
Oggi è domenica mattina e le già poco frequentate strade sono pressocchè deserte. Così, sognando curva dopo curva, macino senza rendermene conto km e km. La mente rivolge un pensiero a tutti i miei amici che non sono qui con le loro moto a cavalcare insieme a me. Finito il lago si arriva a Inverness, ultima grande città prima di entrare nel nord west Highlands. La natura semindustriale della città mi convince molto poco e limita la mia permanenza a soli 15 minuti. In compenso con un lunghissimo ponte attraverso nientepopodimeno che il mare del Nord (solo un pezzetto s’intende). Dopo una trentina di km rientro una altra volta nella desolazione più totale: non una casa all’orizzonte, non un albero o un oggetto diverso da una montagna o vallata per chilometri e chilometri e chilometri in qualsiasi direzione si guardi.
In quell’ambiente si ha una sensazione di vuoto infinito, ci si sente quasi preda delle vertigini ogni volta che si alzano gli occhi dalla strada. C’è solo la strada e la mia moto, la mia moto e la strada, null’altro.Dopo una ventina di km così decido di fermarmi sulla riva di un lago. Il paesaggio è sempre lo stesso: tundra a perdita d’occhio.
Persino il lago sembra privo di vita, non una pianta verde alle sue sponde, niente. Levatomi il casco il silenzio e’ totale, rotto solo da un paio di motociclisti temerari e da qualche rarissima macchina. Mangio qualche biscotto (nel frattempo si sono fatte le dodici!), scatto qualche foto e riparto.
Ora la strada si infila dritto tra le montagne, alte, desolate, con le cime coperte di neve, viene da chiedersi come debba essere questo posto in pieno inverno, con la strada chiusa per la neve e senza nemmeno quelle poche persone che per ora l’attraversano. Poi diventa tutta discesa, discesa fino al fiordo, s’infila in una gola e... riappaiono gli alberi, e compare Ullapool, che non e’ una parolaccia ma un graziosissimo paesino traverso al fiordo costruito proprio sull’acqua, quasi a sbarrarne l’accesso.
Prima di entrare faccio benzina. Man mano che si sale costa sempre di più passando dai 70 pence ( 2100lire) ai 79 pence (2400 lire) sempre per litro ovviamente (prezzi 1998, ricordatelo!!!).
Appena mi fermo sul lungomare un vecchietto mi si avvicina e attacca bottone. Mi racconta che prima della guerra lui aveva una motocicletta (di una marca incomprensibile), di cui non lesina di enumerandomene tutte le qualità. Poi, dopo uno sguardo attento mi chiede dove sia nella mia moto la catena di trasmissione e che razza di marca sia Moto Guzzi. Gli spiego che le Guzzi, che esistono dal 1921, non hanno la catena, ma un albero cardanico, che sebbene meno performante risulta comunque più affidabile. Poco convinto della mia spiegazione il vecchietto insiste a chiedermi se Rosalina si sia mai rotta in precedenza. Infilando prontamente una mano in tasca gli rispondo di no, dopodicchè ricordandomi che si sta facendo tardi lo saluto e riparto alla volta di Lochinver, dove dovrei passare la notte. Gli ultimi motociclisti tornano indietro o rimangono lì, cosa che mi fa supporre che da ora in avanti la strada non sarà più cosi’ scorrevole. E infatti la carreggiata diventa molto più piccola, quasi come una provinciale, ma senza mai smettere di entusiasmarmi, costeggiando le scogliere e i fiordi, sale e scende, sempre varia, sempre molto ‘twisted’.

L’unica cosa a cui bisogna fare veramente molta attenzione sono le pecore, innumerevoli pecore con pericolosissimi agnellini che ruminano beati ai bordi della strada traversandola di frequente, incoscienti del pericolo che loro e io corriamo. Non sia poi mai a suonare il clacson!, panico generale e fuggi fuggi in tutte le direzioni compresa quella sbagliata! Ad ogni modo arrivo a Lochinver, paesino molto piccolo e molto (troppo) tranquillo sull’oceano. Finalmente mi fermo e mi rilasso su una panchina. Ahh che bello, ma che ore sono? l’una? e io che cazzo faccio qui per quattro ore? Quasi quasi arrivo fino a Durness, il paese più a nord di tutta la Scozia, vabbé allora faccio benzina e parto, ma come! la pompa e’ chiusa!, mi restano cento km di autonomia più il supplementare, dovrei farcela... Dopo dieci minuti di tira e molla con la mia stanchezza mi decido un po’ di malavoglia a ripartire.
La strada stavolta è davvero molto (ma tanto tanto) tortuosa, zeppa di dossi con ‘blind summit’ e curve cieche, finché ciliegina sulla torta arriva la bestia nera, l’infernale invenzione del dottor Mengele per decimare i turisti: la ‘single track road’, ovvero strada a doppio senso di marcia ma a carreggiata singola!
Immaginate una striscia di asfalto larga due metri e mezzo, senza strisce, catarifrangenti, guard-rail, che segue metro per metro le asperità del suolo. Aggiungeteci centinaia di pecore kamikaze tutt’attorno e il quadretto è fatto. Se nel frattempo, non contenti della vostra situazione vedete una macchina (o più frequentemente un camion) venirvi addosso sbucando improvvisamente da una curva, niente paura! il dottor Mengele ha pensato anche a questo! Basta infatti fare corretto uso delle bombature della strada ogni cinquanta metri, e fare passare il veicolo che viene dalla direzione opposta. I problemi sorgono quando ci si incontra ai famosi venticinque metri! Per fare ottanta km impiego due ore e un quarto, ma alla fine (con un mal di testa bestiale) arrivo. Durness, sperduto angolo del mondo, selvaggia bellezza della terra che finisce per lasciare posto all’oceano.
In tutto una ventina di case tutte molto distanti l’una dall’altra. Trovo l’ostello, che apre tra un ora. Mentre incateno Rosi arriva un cicloturista, ovvero uno di quelli che viaggia per centinaia di km spostandosi in bicicletta. Subito lui mi saluta e ci mettiamo a parlare raccontandoci le reciproche esperienze di viaggio. Lui si chiama John, ha quarant’anni e viene da Glasgow, dove ha lasciato moglie e figli per girare in una settimana tutto il nord west Highlands, e mi racconta della strada fatta per arrivare fino a qui.
Dopo avere lasciato il bagaglio e fatta una tonificante doccia, io e John andiamo insieme a visitare la Smoot Cave, ovvero uno strettissimo fiordo nel cui interno si trova una vasta cavità con una bellissima cascata al centro.

Poi facciamo un salto nella spiaggia li vicino e alla fine ci ritiriamo stanchi (lui soprattutto) ma soddisfatti nell’ostello per la cena. Nel frattempo sono arrivate altre due persone: un tedesco e un olandese. Insieme al gestore ci mettiamo a parlare del più e del meno. Arrivato alla cena sono così contento di tutta quella compagnia che per l’occasione apro ben tre scatolette di sardine, con il proposito di condividere il mio pasto con gli altri ospiti.
Salvo che per l’olandese il mio ‘banchetto’ non riscuote successo più di tanto, anzi alla fine John mi offre un piatto della sua zuppa di broccoli. Buonissima! Prima di andare a dormire mi fermo ad ammirare la luce, che a dispetto dell’orario (circa le undici), illumina ancora di una tonalità azzurrognola tutto il paesaggio.

Mi sveglio come sempre di buon mattino, faccio colazione con gli altri e poi carico Rosalina. Dopo reciproci saluti e auguri di buona fortuna ognuno di noi riprende la sua strada: bicicletta, moto, auto e a piedi (l’olandese). La strada si presenta subito estremamente impegnativa, single track con forte vento di traverso e tante tante pecore.
Costeggio il Loch Eriboll, fiordo desolato oltre ogni dire. Ormai mi restano solo trenta km di autonomia prima di ricorrere al supplementare. Con crescente preoccupazione mi accorgo che I tre paesini lungo la strada sono il realtà tre distinte fattorie. La situazione precipita quando dietro consiglio di John mi avventuro in una ‘scorciatoia’: la s.t. diventa ancora più stretta, piena di brecciolino e di buche e pecore come se piovessero. Dopo dieci minuti di quella tortura percorsa ad un massimo di trenta, con un rinnovato fortissimo mal di testa butto la spugna e decido di riprendere la strada che avevo programmato passando da Tongue. Arrivo dopo circa mezz’ora, molto più rilassato e contento per il bel sole che mi riscalda le ossa. Faccio finalmente benzina (pagata a peso d’oro!) all’unica pompa, supermercato, edicola, ferramenta e quant’altro della città e riparto. La strada e’ sempre s.t. ma molto più scorrevole. Procedendo a una media di cinquanta ci si può permettere persino di distrarsi per ammirare la tundra infinita, che ora è però interrotta dal bellissimo Loch Loyal, di cui la strada ne sfiora più di una volta i bordi.

Esaltato da quel posto, dal sole e dalla guida, mi fermo parecchie volte lungo la strada per godermi fino all’ultimo quel posto. Ormai sto scendendo verso sud e le strade andranno via via a migliorare, inoltre se si vuole il mio viaggio di ritorno verso casa comincia proprio da qui. Dopo sessanta km circa la s.t. finisce. Peccato, ormai mi ci stavo cominciando a divertire. In compenso ritrovo il famoso sogno d’asfalto scozzese. Ripasso da Inverness e, senza fermarmi, proseguo per Tomintoul, piccolo paesino interamente dedito alla produzione al commercio (e al consumo) di.... Scotch Whisky! Il paesaggio ora è ritornato quello di prima, pieno di foreste e di paesini. Anche la strada ricorda ora le assolate statali dell’interno della Sicilia (ad un certo punto mi sembra pure di vedere un albero di ulivo! (ma poi mi accorgo che é un acero). Arrivo a Tomintul con le consuete tre ore di anticipo, e conseguente pisolino ristoratore.
Alle cinque l’ostello apre. Scopro che il gestore dell’ostello è una simpatica ragazza di nome Kristie, che insieme al suo boyfriend si prende cura della baracca (non eufemisticamente parlando). Prima di cenare faccio una passeggiata in paese, e dopo avere comperato un paio di cartoline, mi incammino per un piccolo sentiero che mi porta dritto dritto in una bellissima foresta. Alla sera, dopo aver cenato (stavolta pane, sardine e zuppa come quella di John!) vado in un pub a scambiare quattro chiacchiere con un paio di persone conosciute li’ per li’, e poi vado finalmente a nanna.

Che tristezza dovere tornare a Edinburgo! per fortuna che ancora ci separano trecento km di bellissima strada. Appena uscito da Tomitoul la strada inizia subito a salire, devo infatti traversare le Cairngorn Mountains, rinomata località sciistica della zona. Per fortuna la stagione delle nevi é finita (da non troppo) e al posto di bianche discese ci sono verdi vallate piene di indomiti scarpinatori. Le montagne devono essere anche piene di conigli, a giudicare purtroppo dal numero di sfortunate bestiole spiaccicate sull’asfalto. Superato il Cairnwell Pass la strada scende con pendenze allucinanti, e spesso sono costretto a mettere la seconda (frenando!) per potere rallentare.

Terminate le funamboliche discese la strada riprende il suo ritmo naturale, ovvero le ormai consuete e piacevolissime curve con dossi da ottovolante. Purtroppo il pazzo divertimento finisce presto perchè a causa di una interruzione il traffico è deviato su una strada piccolissima e senza possibilità di sorpasso. Peccato! L’ultima parte del tragitto é tutta superstrada con un pezzo di noiosissima autostrada. Arrivando a Edinburgo, grazie ai cartelli fin troppo chiari, sbaglio strada finendo all’aereoporto (dieci km oltre la mia uscita).
Odio Edinburgo!

2 commenti in “Le Highlands
  1. Avatar commento
    nicola
    19/05/2005 13:49

    CREDO SIA IL SOGNO DI TUTTI QUEI MOTOCICLISTI COME ME E EVIDENTEMENETE COME TE QUELLO DI FARE UN VIAGGIO COME IL TUO. CON LA COMPAGNA PIU CARA E IL DESIDERIO DI AVVENTURA. CONGRATURAZIONI. NICOLA

  2. Avatar commento
    Lyasan
    20/03/2005 23:06

    Wow, che bello questo diario di viaggio, complimenti per il fascino delle due ruote... quanto vorrei vivere anch'io un'esperienza simile!!!

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