Il Perù da Lima al Nord (prima parte)

Dalla capitale alla catena dello Huascaràn passando per straordinari siti archeologici

Ciudad de Los Reyes, Città dei Re. La capitale del Perù ci accoglie con l’umida cappa grigia, la garúa, che l’opprime per quasi nove mesi l’anno. Fondata da Francisco Pizarro il 18 gennaio 1535, mutò in seguito il nome in Lima, una storpiatura di Rimac, “parlante”, appellativo con il quale è ancora oggi conosciuta la valle che ospita la metropoli, bagnata dall’omonimo fiume.

Itinerario

Non lontano dalla città, visitiamo il centro archeologico di PURUCHUCO, incuriositi dalla recente scoperta di un grande cimitero inca. I sovrani e i nobili defunti del Tahuantinsuyu subivano il processo di mummificazione e i corpi erano custoditi dalle panaca, le famiglie reali. Durante le cerimonie più importanti, le mummie partecipavano alle processioni per ricevere onori da parte della popolazione. I resti terreni delle persone meno importanti, invece, venivano sepolti secondo il ceto sociale e non mummificati, come nel caso di Puruchuco.
La zona archeologica è conosciuta sin dal 1956, ma solo fra il 1999 e il 2000 l’archeologo peruviano Guillermo Cock, assieme alla sua équipe, realizzò i primi scavi, culminati con la scoperta di oltre 2.200 mummie, tutte appartenute ad artigiani tessili, artisti fra i più considerati.
Le lunghe trecce dai capelli corvini, gli abiti intessuti e la posizione eretta contraddistinguono una delle mummie più famose, La Señorita, sepolta assieme a due bimbi, probabilmente i suoi figli. La giovane donna, non più di vent’anni d’età, morì dopo la conquista spagnola, fra il 1540 e il 1550. Fra gli inca, i morti venivano seppelliti in posizione fetale; la señorita, in cambio, si presenta distesa. Pare che la ragazza fosse stata battezzata e, alla morte, sepolta in un camposanto cattolico. In seguito, la famiglia di lei avrebbe trafugato la salma per collocarla fra i suoi antenati, ma la rigidità cadaverica non avrebbe permesso di farle assumere la classica posizione accucciata.
Altra mummia che desta curiosità è quella del Re del Cotone, così chiamata perché ricoperta da varie cappe del tessuto grezzo. In tutti i sepolcri, le mummie furono sepolte con ricchi abiti, arnesi da lavoro atti alla tessitura, ceramiche e cibi, affinché i morti potessero continuare il proprio mestiere nell’aldilà.
Puruchuco, tuttavia, non era solo un’estesa necropoli, ma un centro cerimoniale con palazzi e templi, fra i quali si distingue il Palazzo Inca, probabilmente una casa signorile costruita in adobe con un grande cortile che poteva servire per lo scambio, la distribuzione e il controllo dei prodotti.
Imbocchiamo la Panamericana Nord e, dopo aver visitato CARAL, la città più antica delle Americhe, proseguiamo alla volta del CALLEJÓN DE HUAYLAS.
Lasciata la costa, la strada sale fra valli e alte montagne fino a giungere a CATAC e ancora su, per inoltrarci nel PARCO NAZIONALE DI HUASCARÁN dove, alle falde dei nevai Pucaraju (5.346 m.) e Yanamarey (5.237 m.), si estende placida la bella laguna QUEROCOCHA. Una breve sosta e poi di nuovo avanti; ci inerpichiamo lungo una pista tortuosa, sino alla lunga galleria che funge da spartiacque fra il versante dell’oceano Pacifico, dal quale proveniamo, e quello dell’Atlantico. Siamo ad oltre 4.500 metri, ma non abbiamo il tempo di soffrire il soroche, il mal di altitudine sempre in agguato a queste quote, forse perché aiutati dall’infuso di foglie della coca che ci portiamo nel thermos. Oltre il tunnel, il panorama è magnifico; il CALLEJÓN DE CONCHUCOS, la bella valle dove fiorì una delle più importanti e misteriose civiltà dell’America Latina, CHAVÍN DE HUÁNTAR (1500-150 a.C.), si apre sotto di noi, quasi a strapiombo.
In breve tempo, scendiamo sino ai 3.180 metri, dove le acque del fiume Mosna accarezzano rovine antiche 4.000 anni. Lascio correre la fantasia ed entro nella città santa di Chavín quasi in punta di piedi.
Non sono turisti quelli che si muovono fra i templi e le piazze, ma dignitari che si radunano nel grande spazio quadrangolare perché fra poco la voce di Choquechinchay (“Giaguaro Dorato”) si farà udire per bocca dell’oracolo. Guai a non prestare attenzione alle direttive che il Giaguaro Dorato detterà, pena la morte. Ed ecco, dalle viscere della terra, salire al cielo la parola dell’oracolo; i funzionari s’inginocchiano, piegano il capo. Rabbrividisco e torno a guardare la realtà; la voce misteriosa è solo il sibilo del vento, ma forse, chissà…
Quella di Chavín de Huántar era una società retta da sacerdoti astronomi, scienziati studiosi dei cieli, della terra e della natura, deputati alla compilazione di calendari agricoli. Da ogni parte dell’antico Perù e oltre, giungevano pellegrini recando offerte in cambio di previsioni per la semina e il raccolto e predizioni per il futuro.
In Perù, i cicli stagionali sono irregolari, a causa del Fenomeno del Niño, originato dall’incontro della fredda corrente di Humboldt con la calda del Niño, al largo della costa, e le conseguenze possono essere catastrofiche.
Fra i compiti dei religiosi vi era quello di prevedere, con la massima sicurezza possibile, l’insorgenza del fenomeno. Uno degli strumenti a loro disposizione era il mullu (Spondylus princeps), una conchiglia dei mari caldi del nord che i pellegrini recavano in offerta a Chavín, prima dell’inizio delle attività agricole. Le informazioni sulle località di raccolta del mollusco erano indispensabili per misurare le condizioni di riscaldamento dell’oceano, infatti, se la conchiglia veniva pescata al di fuori del proprio habitat naturale - a sud - significava che si era verificato un aumento di temperatura delle acque e la conseguenza era un maggior rischio di siccità o di pioggia. In relazione a questi studi, i sacerdoti fissavano le date per l’inizio dell’attività agricola.
Chavín non aveva necessità di esercito; era la Città Santa e nessuno avrebbe mai osato profanarla. I sacerdoti, uomini e donne, studiavano i movimenti degli astri, registravano gli spostamenti del sole e le fasi lunari; erano governanti pacifici, ma il terribile Giaguaro Dorato, il Felino Volante, che osservava da lassù - la stella Sirio, appartenente alla costellazione del Cane Maggiore - esigeva onori e tributi. Una o più volte l’anno, i sacerdoti sceglievano gli eletti, solitamente fanciulle e fanciulli, incaricati di raggiungere il dio per recargli le suppliche del popolo. Essere scelti significava onore, gloria e gioia eterna e i ragazzi facevano a gara per fungere da messaggeri. I prescelti venivano preparati per lunghi mesi, purificati nei sotterranei sacri, drogati con il Sanpedro, un cactus allucinogeno, e sacrificati nella piazza circolare. La loro essenza s’involava verso la dimora celeste e la vita eterna.
Ci avviciniamo alla prima importante struttura del sito archeologico, il Tempio Antico. Al centro di una piattaforma quadrangolare, in una depressione profonda 2,10 metri, si apre la piazza circolare, lo spazio sacro dove, presumibilmente, venivano sacrificati i “messaggeri”. Incise sul muro occidentale, immagini di felini e vari personaggi paiono sfilare in processione, recando in mano il cactus allucinogeno e suonando il pututu, la grande conchiglia marina usata, in seguito, anche dagli Inca come strumento musicale o tromba per gli eserciti.
Dalla piazza circolare salgono due scalinate in direzione est e ovest; da quest’ultima si accedeva ad una piattaforma e ancora più su, fino alla sommità del tempio da dove i sacerdoti studiavano i cieli.
L’altro grande edificio è il Tempio Nuovo, circondato in gran parte da una cornice scolpita con immagini di felini, uccelli e serpenti al di sotto della quale - e a dodici metri dal suolo - sono incastrate le Cabezas Clavas, le “teste chiodo” raffiguranti spaventosi volti umani. Le cabezas servivano, forse, da forche per punire i dignitari colpevoli di gravi mancanze.
La nostra attenzione è attratta dai misteriosi sotterranei, un labirinto buio e tetro che si snoda sotto al tempio con camminamenti, piccole stanze e canali di scolo che giungono sino al rio Mosna. All’incrocio di quattro sentieri sotterranei, si erge una possente stele a forma di lancia, conficcata nel terreno; è il Lanzón, forse il monumento più famoso di Chavín, raffigurante una divinità dalle caratteristiche antropomorfe, la bocca a due zanne, mani e piedi muniti di artigli rapaci, capelli e sopracciglia in forma di serpenti.
Dall’interno del sotterraneo, il sacerdote principale dettava al popolo le direttive del dio; la sua voce, grazie a sofisticati condotti di aerazione, si espandeva all’esterno, nella grande piazza dove i dignitari erano chiamati a raccolta. Chavín de Huántar era il luogo dove si concentravano le forze della natura e per tale motivo fu eletto a centro sacro.
Passeggiamo ancora qualche minuto attraverso l’ampia area archeologica, ammirando il Portico dei Falchi, l’Architrave dei Giaguari, l’Altare di Choquechinchay e, lanciando un ultimo saluto alla Città Santa, riprendiamo il cammino lungo il Callejón de Conchucos.

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