La decisione di estendere il nostro viaggio in Brasile fino al Maranhao matura a seguito del BIT, il Borsino del Turismo Internazionale che si tiene ogni anno a Milano a febbraio. Non potendoci andare personalmente, chiedo a Leandro, un amico, di rastrellare quanto più materiale sia possibile relativo al paese, nebulosa ipotetica meta del nostro viaggio estivo. Ed è così che in un dépliant per la prima volta vedo i laghetti azzurri nel deserto di sabbia bianca dei Lençois Maranhenses e ne rimango totalmente affascinata. Un paio di mesi dopo, acquistati i voli intercontinentali, il programma di viaggio è redatto, in modo da poter acquistare anche i voli interni, assolutamente necessari in questo gigantesco paese anche qualora si decida di visitarne solo una piccola parte, come faremo noi.
Ma decido di lasciare al caso l’attraversamento di questa regione così ricca di luoghi di interesse eppure così poco conosciuta, senza fissare tappe, mete prestabilite o programmi, pronta a ispirarmi al momento.
Oltretutto i vari preventivi richiesti ad alcune agenzie locali che ci mettevano a disposizione una macchina per l‘intero periodo erano veramente molto onerosi, ma anche abbastanza diversi tra loro: nell’impossibilità di scegliere il migliore, di scartare tappe o aggiungere mete per via della laconicità della Lonely Planet e del poco materiale reperito in Rete, decido con Ivo di lasciare il tutto al caso, in modo che sia il viaggio stesso a farci decidere poco per volta cosa vogliamo vedere.
Itinerario
15/8/2008
Il nostro viaggio nel Maranhao inizia la mattina del 15 agosto quando un volo Voegol partito da Recife, dopo uno scalo a Fortaleza, ci scarica a Sao Luis, capitale dello Stato. Il pilota ci ha anche permesso di ammirare dall’alto i Lençois, oggetto primario del nostro soggiorno qui, suscitando l’ammirazione e la sorpresa di tutti i passeggeri (nel caso, scegliere i posti sulla destra, guardando la cabina di pilotaggio). Il Maranhao è infatti una meta nuova non solo nel panorama internazionale: anche per i brasiliani è motivo di curiosità ed orgoglio per la sua unicità.
L‘impatto a Sao Luis è micidiale: abituati a giornate ventilate di sole, con frequenti se pur limitate precipitazioni, e temperature perciò idilliache attorno ai 25°C, i 35 e più gradi umidi che ci attendono all’uscita dal velivolo ci stendono.
Il secondo choc lo abbiamo in taxi: in questa città la gente guida come pazza e arriviamo alla nostra Pousada con un misto di mal d’auto e nausea per il gran caldo soffocante. La Portas da Amazonas è un po’ più piccola di come me l’aspettassi ma piena del fascino che il sito e la brochure trovata in fiera a Milano facevano sperare di trovare. Si tratta infatti di un’antica casa coloniale al centro della zona restaurata della vecchia Sao Luis, restituita al suo splendore dalla sapiente opera dei due proprietari italiani. Di solito preferisco evitare ristoranti e hotel di proprietà di italiani “fuoriusciti”, sia perché non cerco mai scampoli d’Italia all’estero, sia perché trovo spesso stucchevoli questi “ricongiungimenti” con gente con cui hai a che spartire solo la nazionalità e al massimo un po’ di voglia di fuga.
Alessandro, però, uno dei proprietari, mi aveva molto favorevolmente colpito sia perché mi aveva fornito, ancora prima che prenotassi, parecchie informazioni - non il solito copia-incolla, per intenderci - sia perché non aveva insistito per “vendere” il suo pacchetto (la pousada ha annessa anche una piccola agenzia di viaggi) ma al contrario mi aveva convinta con un “vieni qui e vedrai che ci inventiamo qualcosa”, filosofia molto vicina al mio spirito di viaggiatrice libera da vincoli.
Alla Pousada aspettiamo per una ventina di minuti che la stanza sia pronta per poter lasciare gli zaini e per darci una bella rinfrescata, operazione resasi necessaria nel giro di pochi minuti dal nostro atterraggio. Intanto osserviamo il fitto via-vai di turisti e viaggiatori in questa pousada che è veramente al centro del movimento turistico della città. Tutte le agenzie contattate mi avevano infatti proposto questo alloggio e già mi ero fatta l’idea che fosse molto gettonata: da lì l’esigenza di prenotare anticipatamente per due notti, in modo da dedicare il giorno dell’arrivo alla visita di Sao Luis e il successivo alla vicina Alcantara, altra città coloniale nelle vicinanze.
Una volta sistemati, ci rendiamo conto che è ormai ora di pranzo e ci ricordiamo di un “ristorante a chilo” intravisto a pochi portoni di distanza, dove prontamente ci rechiamo. Si tratta di un classico sistema di ristoro brasiliano ma fino ad ora non ci era capitato di usufruirne: consiste in un self-service dove al posto di un prezzo a piatto, c’è una bilancia per pesare quanto si è prelevato dai vassoi e un addetto che calcola il costo totale, indipendentemente dalla scelta e dal numero di pietanze selezionate. Completa il servizio, la consegna al tavolo delle bibite. Diciamo che per un pasto normale, si spende veramente poco (19,90 Rs al chilo) e il Don Franciscus cucina piatti discreti.
Rientriamo in hotel convinti a rimandare la visita della città a causa del sole implacabile che letteralmente arroventa le strade e ne approfittiamo per cercare di organizzare i giorni a venire. L’agenzia è piena ma quando alla reception capiscono che siamo italiani e che abbiamo bisogno di informazioni, viene prontamente chiamato Alessandro, che sicuramente si era appena ritirato per il pasto o per un po’ di riposo e che nel giro di pochi minuti si mette a nostra disposizione. Si ricorda di me e delle mie perplessità, a cui ora se ne aggiunge un’altra: durante una conversazione a Fernando de Noronha, una giovane coppia di Sao Paolo che aveva visitato i Lençois l’anno precedente ci ha consigliato di accedere al parco non da Barreirinhas, come fa la quasi totalità dei turisti, ma da Santo Amaro, piccola cittadina all’estremità opposta del deserto, più vicina a Sao Luis ma un po’ più difficile da raggiungere. Ed è questa la prima richiesta che facciamo ad Alessandro, chiedendo allo stesso tempo il suo consiglio circa la validità della dritta ricevuta.
Ed è così che il nostro appena abbozzato programma di viaggio subisce una completa rivisitazione: Alessandro ci conferma che Santo Amaro è un posto interessante, poco turistico (e questo per noi è motivo di grande attenzione!) ma scomodo da raggiungere con i mezzi. In particolare fatichiamo a far entrare andata e ritorno più visite nei giorni a nostra disposizione, calcolando che nei giorni che restano dobbiamo coprire la non poca distanza che ci separa da Recife, aeroporto di partenza per l’Italia. Fatichiamo alla ricerca dei giusti incastri fino a quando ad Alessandro viene in mente che da Santo Amaro potremmo noleggiare un fuoristrada per effettuare l’attraversamento del deserto fino ad Atins e da lì risalire il fiume Prejuicas fino a Barreirinhas da dove riprendere il viaggio programmato. Prima fa una telefonata per accertarsi che l’attraversamento del deserto sia possibile, visto che gli erano giunte voci che questa attività era stata proibita e poi cerca di chiamare Santo Amaro, sia per prenotare una pousada che per cercare un mezzo: malgrado parecchie chiamate nel corso della giornata, risulta impossibile contattare Santo Amaro ma ci dice di non preoccuparci, visto che andando lì, alla pousada saranno sicuramente in grado di procurarci un fuoristrada. E così gentilmente ci svincola dalla prenotazione per la seconda notte a Sao Luis e anticipiamo la partenza all’indomani, per avere più tempo in caso di contrattempi o ulteriori modifiche da apportare al programma.
Non resta altro da fare che concentrare la visita della città al solo pomeriggio: poco convinti di farcela e sotto un sole che ancora ci rallenta movimenti e cervello, cominciamo a girovagare nei dintorni della pousada, nella zona più massicciamente restaurata che rivela quale gioiellino dovesse essere Sao Luis ai tempi d’oro. Una visita agli sportelli automatici delle banche nella piazza principale sui cui troneggiano la cattedrale e vari edifici neoclassici di un bianco abbagliante, ci permette di osservare i giochi della marea nella baia, attualmente quasi completamente asciutta, su cui si fronteggiano la vecchia e la nuova Sao Luis, con i suoi edifici moderni e svettanti.
La zona sottoposta a restauro è purtroppo molto limitata: la città necessita di considerevoli finanziamenti per permettere il recupero dei tanti edifici in totale abbandono; di molti restano i soli muri perimetrali e le finestre dei piani alti si aprono sul solo cielo azzurro, che richiama l’azzurro delle poche piastrelle ancora al loro posto, gli azulejos di origine portoghese che decoravano tutti gli edifici della città, con una vastità di fogge e fantasie. Gli azuleios sono in effetti un po’ il simbolo di questa cittadina e i semafori “piastrellati” ci strappano più di un sorriso.
Girovaghiamo per qualche ora: visitiamo il bel museo dedicato alle tradizioni folcloristiche che hanno molto spazio in questa città festaiola. Si è appena concluso il Bumba meu boi, una festa lunga due mesi, ricca di musica, teatro e rappresentazioni, eppure anche oggi sono previstI festeggiamenti e concerti a varie ore, in giro per il centro. Questa Casa da Festa è innanzitutto una bella casa coloniale interamente restaurata a raccontare la vita quotidiana di chi vi abitava. Poi raccoglie costumi, accessori teatrali e molto di più, relativi ai festeggiamenti. Intanto, nel giardino di una casa poco distante, notiamo che iniziano le prove di un concerto di musica jazz.
Continuiamo a gironzolare seguendo le indicazioni dei vari cartelli che illustrano un tracciato prestabilito ma poi ci perdiamo nelle tante viuzze ormai affollate, nei vari sali-scendi pieni di botteghe, nelle strade trafficatissime, fino a quando, stanchi e provati, torniamo verso “casa”. La città si sta lentamente colorando di vari toni di arancione e approfittiamo del tramonto per gustarci un’ottima caipirinha in una piazzetta piena di gioventù locale ben vestita e ragazzini impegnati in una sfida calcistica: un classico brasiliano in un ambiente di insospettato benessere.
Ma il sorprendente lo vediamo quando riemergiamo dalla nostra stanza per cena: la città è trasfigurata. Una vera e propria fiumana di gente, fitti capannelli in prossimità di piccoli locali, una distesa di tavolini occupati da giovani esuberanti in una ampia piazza che ore prima era completamente deserta, musica a tutto volume e qualche musicista qua e là. Dopo un ennesimo giretto, la stanchezza ha la meglio e optiamo per una semplice cena a base di pizza nel locale di fianco alla pousada e andiamo a nanna. La vita notturna di Sao Luis è famosa e sicuramente merita ma non rientra tra le nostre priorità, quando ci aspettano una levataccia e, finalmente, i Lençois.
16/8/2008
E’ ancora buio pesto, quando scendiamo nella hall ad attendere il taxi che Alessandro stesso ci ha prenotato. Purtroppo pare che sia troppo presto anche per l’autista, che non ha sicuramente seguito il nostro esempio e ieri sera deve essere rimasto in giro a divertirsi. Siamo già seriamente preoccupati quando il guardiano notturno ci informa che il tipo ha telefonato e si scusa, che non si è svegliato per tempo ma sta arrivando. Ed è perciò a tutta velocità (tanto per cambiare) che attraversiamo la città che si sta ridestando, per raggiungere la stazione degli autobus e comprare il biglietto per Santo Amaro, col timore di non trovare più posto.
Partenza puntuale e dormita generale fino a quando il sole non ha la meglio sulle tendine tirate e ci obbliga a guardarci un po’ intorno. La strada è buona e facciamo alcune soste in villaggi animatissimi di colorati mercati prima di fermarci a Sangue, nostra tappa intermedia. In realtà Sangue, che non si pronuncia come in italiano ma che a noi fa un po’ impressione lo stesso, è solo una casupola sul lato della strada, sorta in corrispondenza dell’incrocio tra la strada asfaltata e la pista sabbiosa che piega verso nord, con una veranda provvidenziale e una latrina in distanza, dove ci si ferma ad aspettare la coincidenza per Santo Amaro (o per Barreirinhas e Sao Luis, se la provenienza è contraria). La veranda è interamente occupata dal solito ingombrante gruppo di Avventure nel Mondo e già mi preparo psicologicamente alla lotta che si scatenerà per occupare i pochi posti disponibili, nel caso fossimo costretti a condividere un mezzo. Invece ho sottovalutato l’organizzazione brasiliana. Quando finalmente arriva, noto che i posti sul mezzo fuoristrada che è preposto al trasporto fino a Santo Amaro sono già riservati e contati al momento dell’acquisto dei biglietti a Sao Luis, quindi non ci sono problemi. O meglio, ci sono ma solo per due signore che hanno comprato il biglietto solo fino a Sangue ma che vogliono andare a Santo Amaro e che dopo essersi accaparrate un sedile, tra vari strepiti si vedono costrette a scendere e aspettare un non ben precisato mezzo che forse arriverà più tardi. Di fronte a questa scena, ho un brivido al pensiero che abbiamo comprato proprio gli ultimi due biglietti disponibili, e un egoistico sospiro di sollievo. Perché obiettivamente, qui, non si ha l’impressione che ci sia molto traffico!
Tra sobbalzi, slittamenti e soste per sistemare i pesi, dato che il mezzo affronta dislivelli e cumuli di sabbia a tutta velocità, pencolando pericolosamente, attraversiamo zone semi-desertiche, passiamo di fianco a qualche casa isolata e a un paio di capanne con biliardo, lasciamo 3 o 4 passeggeri in mezzo al nulla, ci scortichiamo contro rovi e sterpaglia varia e in uno dei vari guadi ci laviamo anche i piedi. Finalmente, dopo un’ampia… laguna o ansa di fiume, è difficile da stabilire, ecco qualche casa e qualche albero, che segnano la periferia della ridente cittadina di Santo Amaro.
L’autista ci lascia alla Pousada Agua Doce che Alessandro aveva tentato di contattare ieri: il primo impatto è tragico perché il posto sembra deserto. Dopo qualche minuto arriva finalmente la… direttrice, cameriera, contabile, segretaria, perché poi ci accorgeremo che fa tutto lei, e ci lascia parecchio tempo in ansia per la nostra sorte, visto che pare non ci siano camere. Già mi vedo ad elemosinare un’amaca a casa d’estranei quando finalmente ci completa il suo pensiero dicendo che non ci sono camere doppie. Accettiamo di buon grado una tripla e scarichiamo il bagaglio in una superbasic stanza già abitata da una nutrita colonia di zanzare e insetti vari: del resto, dà direttamente su un prato riarso che si affaccia sulla laguna di acqua stagnante, non possiamo di certo sorprenderci.
Lasciamo due zampironi accesi per spiegare agli abitanti che dovrebbero gentilmente organizzarsi diversamente per la notte, e raggiungiamo nuovamente la factotum per spiegarle il nostro problema logistico per l’indomani e per incaricarla di trovarci un autista, come suggerito da Alessandro. La signora casca un po’ dalle nuvole alla nostra richiesta ma parte immediatamente, agendina alla mano, a contattare gente, mentre noi ci accomodiamo nell’ampia veranda che fa da sala da pranzo, bevendo qualcosa e cominciando a studiare il menù per il pranzo. Del resto, sia l’incertezza per la nostra sorte che il sole implacabile al di là della veranda, scoraggiano qualsiasi tentativo di esplorazione della zona, e perciò attendiamo pazientemente. Ogni tanto chiedo a che punto siamo ma purtroppo la ricerca non dà esito positivo. Dal canto mio, ho in tasca il numero di un’agenzia di Barreirinhas che ci aveva già dato la sua disponibilità a venirci a prendere ma trovare un auto direttamente a Santo Amaro sarebbe più logico.
Mentre consumiamo il pasto, ecco sopraggiungere la ragione del fully booked della pousada: 4 coppie di italiani con ben tre fuoristrada, tre autisti e due guide al seguito, rientrano dalla gita alle dune per concedersi una doccia nelle stanze cortesemente lasciate a loro disposizione, prima della partenza per Sao Luis.
Inganno l‘attesa del pranzo e soprattutto del mio mezzo per l’indomani, ascoltando qualche stralcio di conversazione: capisco quindi che il gruppo verrà lasciato a Sangue per prendere il pullman mentre i fuoristrada rientreranno vuoti a Barreirinhas. Mi armo di faccia tosta e chiedo agli autisti se uno di loro non sia disponibile e interessato a farci fare la traversata dei Lençois. La contrattazione dura circa 3 minuti, il tempo di abbassare il prezzo di una cinquantina di Reais per raggiungere la quotazione fatta dall’agenzia suggerita da Alessandro. 500 è veramente un cifrone ma pare che siano questi i prezzi per questo genere di servizio e perciò non gioco al ribasso: siamo già contenti così, con un mezzo e un simpatico autista a nostra disposizione senza ulteriori patimenti, cosa che rende contenta anche la signora la cui ricerca è rimasta infruttuosa. Rimaniamo d’accordo che Marsilio Jr sarà qui domani alle 7 per accompagnarci nella nostra avventura.
La carovana riparte e a noi non resta che aspettare le tre, orario previsto per l’escursione organizzata dalla Pousada alle dune con altri clienti che nel frattempo si sono palesati: il nostro primo vero ingresso ai Lençois Maranhenses.
Le foto e i depliant non ci hanno preparato allo spettacolo che si spalanca davanti ai nostri occhi quando finiamo di scalare il muro di sabbia alla cui base l’autista della pousada ha parcheggiato: dapprima è il bianco abbagliante della sabbia che contrasta con l’azzurro intenso del cielo senza nuvole, poi frammenti di cielo distribuiti nel candore delle dune attirano lo sguardo e l’insieme si ricompone nell’immagine di questo magnifico spettacolo di dune immacolate inframmezzate da piscine azzurre e verdi dalle forme sinuose, spazzate a tratti da refoli di sabbia impalpabile. E tutto questo si amplia mano a mano che risaliamo la duna più alta fino a riempire l’intero orizzonte.
Passiamo le ore successive a fare bagni immersi in una sorta di stupore per il luogo in cui ci troviamo. Fortunatamente siamo anche in pochi a goderci lo spettacolo e il vento disperde le voci di quanti osano alzare il tono e urlare. A me questo luogo ispira muta ammirazione quasi il silenzio significasse rispetto per un capolavoro.
Accoccolati su una duna osserviamo come i riflessi nel biancore della sabbia cambino con l’avvicinarsi del tramonto e quando siamo al culmine delle tonalità arancioni, è ora di rientrare rapidamente in pousada: l’aria diventa subito fresca e il vento si fa fastidioso.
Scopriamo con grande piacere che il nostro autista Marsilio è già tornato e che passerà la notte qui invece di raggiungerci domattina. Non ci resta che condividere la doccia con una simpatica ranocchia che nel frattempo ci ha informato di essere la vera proprietaria del bagno, gustarci una discreta cena e ritirarci in camera a goderci i preoccupanti sobbalzi e l’assordante cacofonia del vetusto condizionatore che ogni quindici minuti, mezz’ora, si riavvia, causandoci non pochi spaventi, anche perché piazzato direttamente sopra la testa di Ivo.
17/8/2008
Non proprio riposati, ci presentiamo di prima mattina a colazione ben contenti di trovare Marsilio già pronto per la partenza, ma stupiti dalla presenza di una moto caricata e saldamente reggiata sul cassone posteriore. Scopriamo l’arcano solo più tardi in paese, dove ci fermiamo a comprare acqua e qualche biscotto per affrontare la traversata, quando ci viene presentata la nostra guida, Walter, detto Bisiquinho. Nessuno ci aveva infatti spiegato che per la traversata del Lençois è necessaria una guida del luogo che dia le indicazioni necessarie per trovare la giusta direzione e anche per affrontare in maniera corretta la risalita delle dune, che in certi casi raggiungono gradi di pendenza considerevoli.
Partiamo così per la nostra avventura tra dune, laghetti, con varie soste per ammirare qualche bacino dalla forma particolare o qualche tonalità d’acqua speciale; ci sono anche tre o quattro soste forzate quando il fuoristrada si rifiuta di superare alcune dune e la guida deve scendere per studiare percorsi alternativi o per guidare meglio Marsilio nella manovra. Non mancano poi frequenti stop per scattare foto a mucche e capre al pascolo, anche in pieno nulla, e a una quantità di uccelli che insospettabilmente nidificano nel deserto, sotto terra. A una sosta, addirittura, un uccellino bianco ci svolazza attorno minaccioso, facendo delle picchiate al nostro indirizzo e tanti strepiti: la guida ci spiega che ci deve essere il suo nido lì vicino, con i piccoli, e quindi cerca di tenerci alla larga. Capisco perciò che attraversare il deserto con mezzi meccanici così pesanti può essere parecchio devastante per questo ambiente che solo all’apparenza è un deserto. Molto meglio la scelta fatta da tre francesi - con guida - di affrontare la traversata a piedi: quanto meno, più eco-compatibile, ma sicuramente non affronterei questa prova, soprattutto quando vedo la faccia stravolta di una ragazza che prontamente ci chiede un passaggio fino all’oasi. Sì, perché scopriamo che è questa la nostra prima destinazione: l’oasi di Queimada dos Britos, luogo in cui abita la nostra guida, insieme a una comunità di circa 60 persone.
Dopo una decina di minuti infatti le dune cominciano a diradarsi e fa la sua comparsa una bassa vegetazione e quella che si potrebbe definire una pista, che ci conduce in breve davanti alla casa di Walter, dove facciamo la conoscenza di sua moglie e suo figlio, un bellissimo neonato profondamente addormentato. La casa consiste in realtà di una staccionata che delimita un’ampia zona al cui interno ci sono alcune tettoie, rispettivamente la “sala” - con un certo numero di amache - e la “cucina” con un tavolo e un frigo alimentato da un piccolo generatore; una casupola che contiene un letto matrimoniale e un armadio; un alto pennone a cui è stata attaccata un’antenna, in modo da poter ricevere il segnale gsm e permettere l’uso del cellulare. Un lato della casa è interamente affacciato su una grande laguna dove viene presa l’acqua per innaffiare l’orto, cioè alcune zolle di terra appoggiate su un banchetto di legno, dove i nostri ospiti riescono a far crescere qualche piantina e qualche verdura. Insomma, nell’insieme, un ingegnoso sistema di sopravvivenza nell’oasi in mezzo al nulla.
Mentre visitiamo la casa e ci vengono spiegati i segreti di questo genere di vita, scopriamo che il fratello di Marsilio è proprietario di una barca, guarda caso, e prendiamo accordi perché ci venga a prendere l’indomani a Atins per poter fare la classica risalita del fiume, con le varie soste previste da tutte le agenzie. E così, senza grossi sbattimenti, anche questa ennesima giornata del viaggio è organizzata.
Al momento di congedarci dall’oasi, durante un controllo di routine al mezzo, Marsilio scopre che abbiamo perso il tappo dell’olio. Già mi vedo a rientrare a piedi a Santo Amaro ma il nostro versatile autista non si lascia impressionare da questo contrattempo e si dà da fare per metterci una pezza, anzi un nuovo tappo. Prima ne intaglia uno in una boa (!) che gli fornisce Walter, ma il materiale si sgretola facilmente e non sembra opportuno riempire il motore di residui vari. Cerca allora di fare la stessa cosa con un pezzo di legno: con molta pazienza e parecchie rischiose manovre di machete, ne ricava uno di suo gusto. Lo blocca al suo posto con una serie di cordini e dichiara che siamo pronti a partire. Beh, se lo dice lui!
Salutata la francese che giace esanime su un’amaca, ci rimettiamo in pista: è l’ora del bagno. La nostra guida sceglie un laghetto molto bello: parcheggiamo su una duna meno friabile e gradevolmente accarezzata da una brezza fresca, e mentre loro si dedicano a ulteriori controlli del pick-up e del tappo che miracolosamente tiene, noi scendiamo a un laghetto ampio, azzurrino, dalla superficie lievemente increspata: evidentemente la guida sa dove si riesce a respirare un po’ dell’aria dell’oceano e dove invece si soffoca.
Il laghetto ha un lato senza insenature ed entrando in acqua qui, l’impressione di essere al mare è perfetta: c’è anche una sorta di moto ondoso che completa l’effetto. Potrei stare delle ore a mollo, in questi laghetti azzurro cielo. Il sole, che nelle prime ore del viaggio aveva giocato a nascondino tra le nubi, ora splende perfetto sopra di noi. Il vento allontana da noi eventuali rumori e ci culla in un’atmosfera ovattata e idilliaca. Questo è il Lençois che speravo di vivere dal primo momento in cui ho visto le foto sul catalogo della BIT.
E purtroppo ci tocca lasciare questo piccolo scampolo di paradiso nel mezzo del deserto più bagnato del mondo.
Il nostro itinerario prevede una sosta nella seconda oasi, quella di Baixa Grande, dove una famigliola vive delle proprie attività agricole e di allevamento, e dove eventuali turisti possono trovare ricovero in una enorme capanna attrezzata per alloggiare su amache gruppi anche considerevoli. Ci si arriva guadando il fiume che attraversa il deserto del Lençois, altro controsenso a cui ormai non facciamo più caso. Le acque sono verdastre e piene di alghe e si capisce subito che non c’entrano coi nostri amati laghetti azzurrini.
In questa seconda oasi, le condizioni di vita sono decisamente più difficili ed estreme: non vi è nulla delle “comodità” della casa della nostra guida, ma gli abitanti hanno uno sguardo sereno e sono evidentemente contenti della nostra visita, e soprattutto di poter scambiare quattro parole con i nostri accompagnatori.
Dopo aver fotografato per 20 minuti circa la serafica convivenza di un cane, una capra, due scrofe e un imprecisato numero di galline e pulcini, ripartiamo. In questa ultima tranche di deserto che si spinge fino all’oceano, fanno la loro comparsa alcune “segnaletiche”: un bastone con uno scarpone infilzato in cima, rami comparsi dal nulla, pezzi di legno colorati. Forse chi alloggia a Atins può usufruire di qualche escursione fino a qui e, senza guida, gli autisti hanno bisogno di un certo numero di indicazioni per raggiungere le oasi. Per noi invece è più semplice: dalla cima di alcune dune, cominciamo a vedere il verde dell’oceano e questo ci segnala la direzione da tenere. Anche l’aria è cambiata: più umida, più spessa, smossa da folate di vento più corpose.
Ed infatti, con nostro sommo dispiacere, il Lençois finisce e cede il passo a una profonda e soprattutto lunghissima spiaggia, deserta e battuta dal vento. Piccoli rivoli di acqua segnalano i punti in cui i laghetti dei Lençois lentamente riversano in mare il loro contenuto, ragion per cui di qui a qualche mese, saranno quasi completamente vuoti, in attesa di una nuova stagione delle piogge.
Ed è qui che salutiamo la nostra guida e che capiamo il perché della moto legata sul cassone: non per arrotondare il compenso dell’autista con qualche traffico aggiuntivo, ma per permettere a Walter di tornare a casa. Raggiunto l’oceano, il suo compito si è esaurito, visto che Atins è alla fine della spiaggia e non si corre il rischio di perdersi.
L’autista ci avvisa che a breve ci farà una sorpresa. Percorriamo velocemente la chilometrica spiaggia, intervallata regolarmente dalla comparsa di grandi capanne drappeggiate di vecchie reti stese: l’autista ci spiega che sono posti in cui i pescatori si fermano a riposare tra un’uscita in mare e l’altra.
Ogni tanto la sabbia lascia spazio a qualche zona rocciosa, e questo ci costringe a piccole deviazioni, e finalmente arriviamo alla nostra “sorpresa”: si tratta di un punto in cui, complice una leggera pendenza, i rivoli d’acqua che arrivano dal Lençois si concentrano in un torrentello più ampio e vivace che nei pressi della spiaggia ha scavato una sorta di cascatella. Niente di esagerato: un salto di poco più di un metro, che però ci permette di farci un doccia con vibromassaggio… e peeling, a giudicare dalla quantità di sabbia contenuta dall’acqua che ci si riversa addosso. E’ una bella sensazione, comunque, tonificante e divertente, un ultimo omaggio del Lençois a questi due viaggiatori a zonzo nel suo regno. Sinceramente mi intristisce lasciare questo posto: uno dei luoghi più affascinanti della mia esperienza di viaggiatrice.
La spiaggia comincia a testimoniare qualche presenza umana più evidente: il mare crea delle lagune interne in cui barche dai colori vivaci che spezzano la monotonia di cielo e sabbia, se ne stanno riverse nelle pozze della bassa marea e costituiscono i soggetti ideali per qualche foto pittoresca. Qua e là, qualche ramo contorto, piallato da sabbia e moto ondoso, e sbiancato dal sole impietoso, crea quadri di perfette nature morte. Il gioco delle acque ha scavato in vari punti alcuni mini Grand Canyon, riproduzioni perfette anche nel colore ocra intenso.In questo paesaggio unico, chiedo a Marsilio di lasciarmi fare ampi tratti a piedi, affascinata da ogni inquadratura e curiosa di osservare più attentamente ogni scorcio possibile.
Ed infine, alle 4, eccoci in prossimità di Atins: il programma non scritto di oggi prevede una sosta ristoratrice in uno dei ristoranti del posto, citati anche dalla Lonely Planet, per gustare i famosi gamberi. L’autista sceglie quello di suo gradimento, il Canto do Lençois, di fianco al più famoso Luzia, e ci fermiamo a ordinare questo pranzo tardivo.
Mentre la padrona si mette all’opera, c’è ancora il tempo per un salto nel Lençois, che qui si è fatto nuovamente vicinissimo. Marsilio ci invita a fare un nuovo bagno ma siamo più propensi a sederci meditabondi in cima a un’alta duna e guardarci in giro. Il sole ha già cominciato a colorare di arancio la sabbia e le zone ombreggiate tendono all’azzurro. All’improvviso poi, dopo due giorni di silenzio, il telefonino si rianima e mi impegno a rispondere a quanti avevano cercato di contattarci in queste giornate di silenzio radio forzato.
I gamberi sono piccoli ma gustosi e sicuramente i migliori di tutto il viaggio: hanno anche il vantaggio di venir cotti aperti a metà, perciò oltre ad insaporirsi di più, si sgusciano anche facilmente. Ero poco convinta dell’utilità di questa sosta pranzo a metà pomeriggio ma ho dovuto ricredermi. Non si può dire che questa regione si evidenzi per la buona cucina e soprattutto per la varietà delle pietanze, quindi a posteriori posso affermare che il Canto do Lençois è un ristorante da provare.
Ripartiamo alla volta di Atins soddisfatti se non proprio sazi, per evitare di rovinarci l’appetito per la cena. Incastrata tra mare e Lençois, questa zona sabbiosa è intervallata da piccoli stralci di pascolo, dove numerose mucche scheletriche brucano la rara sterpaglia.
Non ci siamo dati pena per l’alloggio: la LP dà notizia di un paio di posti potabili e Marsilio ci ha assicurato che non avremo problemi. Peccato che il Rancho, un posto veramente bello e confortevole a un chilometro circa dal paese, sia pieno e ci dobbiamo accontentare della seconda scelta. Se non avessimo visto i bungalow in muratura, gli spazi comuni e la piscina del Rancho, il Filho do Viento sarebbe anche accettabile, anzi oserei dire pittoresco. Ma dopo un attimo di disillusione, ci adattiamo alle capanne tradizionali senza zanzariere, accendiamo un paio di zampironi per delimitare il nostro spazio di sopravvivenza e usciamo per fare due passi sulla bella spiaggia attigua dove ci ammiriamo uno splendido tramonto, tra ragazzi che giocano a calcio e bambini che lanciano i loro aquiloni nel rosso della sera. Sono momenti molto suggestivi che ricorderò.
Come ricorderò la nostra sorpresa quando, dopo aver fatto una doccia e esserci preparati per la cena, scopriamo che malgrado una grande cucina, il Filho do Viento non organizza i pasti per i clienti e, evento del tutto inaspettato, siamo capitati ad Atins proprio nel giorno di chiusura settimanale di tutti i pochi luoghi di ristoro. Ci uniamo a due francesi nella ricerca di qualcosa da mangiare, arrancando nelle strade buie e tremendamente sabbiose del villaggio, e mentre loro diventano sempre più nervosi, a noi la situazione sa di irreale e cominciamo a ridere. In una sorta di spaccio/ristorante, aspettiamo per 15 minuti che il vecchio proprietario termini una lunga telefonata, poi, essendo fallito il tentativo dei francesi di comunicare con l’anziano in inglese, metto a disposizione le mie capacità linguistiche maturate nel corso di queste settimane brasiliane e mi intrattengo a lungo con questo simpatico personaggio che mi racconta vita, morte e miracoli della figlia, la cuoca del ristorante, che proprio oggi è andata a trovare un parente in una cittadina vicina. Il tipo ha voglia di conversare a quanto pare e non ci molla, arrivando ad invitarci a cena per l’indomani: una provvidenziale telefonata in arrivo ci salva dalla sua logorrea e possiamo così ritornare alla pousada, dove imponiamo al guardiano notturno di aprirci la cucina per vedere se riusciamo a organizzarci noi una sorta di cena. I francesi si accaparrano alcune uova e pomodori e preparano una frittata. Io non ho voglia di spadellare e forte del pranzo tardivo, costringo Ivo ad accontentarsi di una enorme papaia e coca-cola.
Raggiungiamo il nostro bungalow in tempo per scoprire perché la pousada si chiama Filho do Viento: ci addormentiamo infatti frustati acusticamente dal sibilo del vento che si infila tra la parte in muratura e il tetto, insieme a zanzare e altri insetti di cui preferisco ignorare la presenza.
18/8/2008
Non posso neanche dire di aver dormito male nella capanna ventosa e con lo stomaco presto vuoto. Ma ovviamente alle 7 siamo già pronti con lo zaino in spalla per raggiungere luoghi più consoni. Dopo una scarsa colazione e senza neanche l’ausilio di un po’ di frutta fresca da noi esaurita la sera prima, ci mettiamo in paziente attesa del nostro barcaiolo, fino a quando lo staff dell’hotel carica i nostri bagagli, e quelli di altri clienti, su una carriola e veniamo condotti alla spiaggia. Tiro un sospiro di sollievo quando arriva Macachinho, il fratello di Marsilio. Con loro, infatti, è tutto basato sulla fiducia e nel caso di problemi, ci ritroveremmo in mezzo al nulla senza possibilità di contattarli. I nostri timori non passano quando Macachinho provvede al breve trasferimento fino a Caburè e ci molla sulla spiaggia con la promessa di tornare con un generico “a più tardi”. Evidentemente ha altri impegni e cerca di gestirli entrambi.
Il punto di riferimento è un bar ristorante sulla spiaggia che si affaccia sul fiume, in pratica dirimpetto a Atins. La conformazione di questo luogo non è di facile descrizione: quando il fiume Prejuiças arriva all’oceano, non vi si getta direttamente, ma per un lungo tratto “piega” e scorre parallelamente alla spiaggia, creando una lunghissima ma profonda lingua di sabbia. Così a Caburè, dove le case (alloggi e ristoranti) si allineano vicino al fiume, alle spalle si ha una profonda porzione di spiaggia oceanica, battuta dal vento e fortemente influenzata dalle maree. Raggiungere il mare non è impresa da poco: si tratta di attraversare più di 500 metri di dune, con una sabbia molto meno compatta di quella del Lençois. Volendo andare ad esplorare, risolviamo il problema affittando un quad per un’ora alla non modica cifra di 100 Rs. Ivo ha così la possibilità di sfogare la sua passione per le due (o anche tre) ruote. Raggiungiamo la spiaggia e corriamo nelle pozze lasciate dalla marea: ci spingiamo fino alla fine della lingua di sabbia, dove il Prejuiças, finalmente, mischia le sue acque con quelle del mare, e ritorniamo indietro dalla parte del fiume. Scattiamo foto, ci godiamo il panorama e l’aria che stempera un po’ il caldo torrido che poco per volta ha preso il posto della frescura mattutina.
Corriamo un po’ anche nella direzione opposta, verso est, idealmente verso Parnaiba, Jericoacoara e Fortaleza: chi affitta un fuoristrada per tutta la traversata della regione, è proprio da qui che passa, evitando la scomodità delle dune e delle strade impervie dell’entroterra.
Torniamo alla base e ci sistemiamo di fronte al ristorante, su una bella striscia di sabbia intatta, domandandoci quando (e se) Macachinho si ripresenterà (coi nostri bagagli, peraltro, e con la crema solare di cui sotto questo sole sento assolutamente il bisogno!).
Dopo più di un’ora di attesa, decidiamo di cercar rifugio al ristorante: il sole qui è impietoso e le dune di sabbia non permettono al vento dell’oceano di raggiungerci. Fa veramente un caldo infernale. Nel frattempo Caburè si sta riempiendo di turisti in visita giornaliera da Barreirinhas, essendo questa la tappa finale della gita classica sul fiume.
Mangiamo la specialità del posto: i soliti camarones, i gamberi, ma assolutamente non paragonabili a quelli di ieri. Oltretutto con il caldo che fa, siamo costretti ad interrompere spesso il pasto con indispensabili docce: non vediamo l’ora di andarcene da questa fornace!
Ed ecco che, dopo tante preghiere, e qualche accidente, il nostro barcaiolo ricompare, tranquillo e rilassato, a chiederci se Caburè ci piace. Gli lasciamo giusto il tempo di bere una coca prima di ingiungergli di portarci via subito da qui! E’ la una e comincio a soffrire di allucinazioni. Sono convinta che il colpo di calore questa volta non me lo risparmierà nessuno.
Appena saliti in barca, è tutta un’altra storia: la brezza riporta la temperatura corporea sotto al livello di guardia e il cervello ricomincia a funzionare correttamente. Peccato che il sollievo duri poco, visto che la prima sosta del tour previsto sia a pochi minuti di distanza da Caburè. Si tratta del Faro di Mandacarù. Attraversiamo il paesino alla volta del faro strisciando letteralmente lungo le case mendicando ombra e ci arrampichiamo con fatica sui 160 scalini dei 35m della torre. Ma almeno, una volta in cima, troviamo la solita brezza marina che ci salva la vita.
Brochure e descrizioni in rete parlano del “Farol de Mandacarù” come del posto ideale per osservare il Lençois dall’alto: dall’alto di un volo di fantasia, probabilmente, visto che il Lençois si “intuisce” in distanza, ma la vista è solo sul fiume, sull’oceano e sulla spiaggia che li separa. Una vista superba, comunque, che permette di capire finalmente l’effettiva conformazione del luogo. Macachinho si lancia in una lunga disquisizione sui luoghi che osserviamo e chissà su cos’altro, sopravvalutando le nostre cognizioni linguistiche. Non capiamo nulla però è molto simpatico, e lasciamo a malincuore il faro.
Ricomincia la lenta navigazione: il fiume piega a destra e si lascia alle spalle l’oceano. La sabbia cambia colore, qua e là sorge qualche piccola capanna di giunchi e osserviamo scene di vita quotidiana. Non ci vuole molto a raggiungere Vassouras, ovvero l’accesso al Piccolo Lençois, che si estende a est del fiume. Appena scesi dalla barca, raggiungiamo una lunga capanna con tavoli e panche che si rivela un pigro bar, dove ci viene assegnata una guida, un ragazzo giovane che si incarica di tenerci d’occhio.
Poi, la guida e altri dello, diciamo, staff, si avvicinano a un boschetto adiacente e cercano di attirare l’attenzione di alcune scimmie che lì abitano, ma vista l’ora della siesta, non veniamo minimamente calcolati dai piccoli abitanti. Pazienza.
La prova successiva consiste nello scalare una duna gigantesca, coadiuvati da una fune lì collocata per illudersi che non sia poi così difficile, ma la sudata testimonia il contrario. Fortuna che subito dopo iniziano i nostri amati laghetti, dove ci buttiamo immediatamente: uno verdino, un altro azzurrino… insomma, più o meno la stessa trafila che ormai ci è familiare, anche se lo stupore per questa sorta di anomalia della natura ancora non ci ha abbandonato. La guida si arrampica su un’ulteriore duna e lo seguiamo per osservare meglio il panorama: l’unica differenza che si ravvisa nel Piccolo Lençois è che la sabbia qui ha un colore leggermente diverso, più tendente all’ocra e quindi meno bianco del Grande Lençois. Anche qui, avendo affrontato il giro al contrario dei gitanti di Barreirinhas, ci ritroviamo immersi in un totale isolamento. La guida è silenziosa e non turba la pace del luogo. E poi, dopo il caldo patito a Caburé, un bel bagno prolungato ci voleva proprio.
Torniamo alla base per un drink, un po’ di relax all’ombra e poi Macachinho ci richiama all’ordine e si riparte. Secondo i miei calcoli, le tappe odierne sono finite. Il fiume cambia volto e la sabbia delle sponde lascia il posto a fitti boschi di manghi e in generale a una lussureggiante vegetazione che nasce dall’acqua e dopo essersi innalzata per parecchi metri, si piega di nuovo verso il fiume con pesanti fronde che tornano a sfiorare la corrente. Il fiume diventa molto largo e Macachinho manovra con perizia tra agglomerati di vegetazione e frasche, si infila in un canale secondario e approda in una piccola radura: ci informa che ci porta a visitare casa sua. Evidentemente non aveva avvertito nessuno perché ci sembrano tutti perplessi per il nostro arrivo ma pur con una certa ritrosia, ci danno il benvenuto e ci portano al laboratorio per la lavorazione della manioca che gestiscono dietro casa. Osserviamo tutte le fasi e cerchiamo di capire il motivo di tanto lavoro, ma in realtà un po’ ci sfugge. Con tutti i pasti, in questa zona di Brasile, ci viene servita una ciotolina di manioca ma ancora non ne ho capito bene il gusto: a Ivo piace, a me non molto.
Salutiamo e ripartiamo alla volta del nostro hotel, che ormai non è più molto distante: passiamo di fianco al centro cittadino, di cui mi colpisce un campo da calcio di sabbia… in pendenza, visto che è adagiato su una duna.
Approdiamo al nostro hotel, il Beira Rio, e ci viene assegnata la camera prenotata dal nostro autoeletto tour operator, Marsilio. Scopriremo poi che ha anche spuntato uno sconto per noi!
La camera è semplice ma carina, e si affaccia sul fiume: ragion per cui, appena presone possesso, parte una partita di caccia grossa che comporterà lo sterminio di 27 zanzare.
Cena in un ristorante a breve distanza, ovviamente su un pontile sul fiume, e nanna. E’ stata una giornata ricca e faticosa. E vedremo domani cosa sarà riuscito ad organizzare il nostro tour operator.
19/8/2008
A colazione veniamo informati che il programma del mattino consiste nell’atteso sorvolo del Lençois: avevo visto in rete qualche immagine e mi era venuto il desiderio di provare, anche se sinceramente non amo volare.
La società si occupa del transfer all’aeroporto e ti riaccompagnano anche in hotel. L’aeroplanino è di una piccolezza inquietante ma cerco di distrarmi cominciando subito a fotografare. Come al solito non siamo fortunatissimi: il tempo è incerto e qualche nuvola messa strategicamente rovina un po’ la nitidezza dei colori. Ma se le foto non rendono perfettamente l’idea, le sensazioni che si provano sono comunque forti. Si sorvola inizialmente il fiume, seguendo tappa per tappa il percorso di ieri. Soprattutto mi sembra quasi di riconoscere la nostra guida sulla duna di Vassouras, e poi possiamo ammirare in tutto il suo splendore la zona di Caburè, con il sovrapporsi di fiume, spiaggia e oceano. Si compie poi un’ampia inversione per raggiungere il Lençois e ammirare i tanti laghetti: è impressionante vedere dall’alto quello che è stata la nostra realtà negli ultimi giorni, e riconoscere i singoli luoghi visitati. Questo modo di volare dà proprio idea del “gusto” del volo e dimentico presto i miei timori. Per dirla tutta, è un’esperienza che dura troppo poco. Ho la consolazione di pagarla “solo” 160 Rs e non 250, come mi era stato chiesto dall’Italia. Mi sono resa conto già da un po’ che qui hanno tutti l’abitudine di gonfiare le tariffe.
Ritorniamo alla base entusiasti per questa ulteriore esperienza che il Brasile ci ha permesso di vivere. Troviamo in hotel un messaggio di Marsilio: ci aveva promesso di cercare tra i suoi amici autisti qualcuno che rientrasse a Fortaleza vuoto, in modo da strappare un prezzo di favore fino a Parnaiba o oltre. Purtroppo domani non c’è nessuno che faccia questa tratta, ma promette di cercare ancora. Inoltre ci avverte che ci ha “prenotato” per una delle due gite giornaliere al Lençois organizzate dalle agenzie di Barreirinhas. Nell’attesa, facciamo un giretto in paese, giusto per scoprire che non si può prelevare contante né cambiare: fortuna che abbiamo delle buone scorte.
Alle due siamo in hotel in trepidante attesa del mezzo per l’escursione, che ritarda, tra l’altro. Pensiamo già che Marsilio ci abbia bidonato e invece, ecco: il solito insolito mezzo di trasporto capace di cavarsela sia nei guadi che nei sentieri sabbiosi. Da Barreirinhas l’accesso al Lençois è cosa più complessa rispetto a Santo Amaro. Qui infatti bisogna coprire un bel tratto di strada fino a prendere una chiatta per l’attraversamento del fiume per poi percorrere un’altra ora di pista piena di piante spinose che attentano all’integrità della mia pelle. Al ritorno si siede Ivo, nel posto esterno!
Arriviamo finalmente alla Lagoa Bonita: dal parcheggio il Lençois si presenta come un muro di sabbia da scalare. Qui infatti il pianoro di sabbia è molto più alto che a Santo Amaro. C’è una fune ma vorresti uno skilift, vista la fatica della salita. E raggiunta la cima c’è anche una seconda tranche, invisibile dalla base. Però, appena superato il muro, ecco il Lençois nel suo massimo splendore.
Il posto è infatti incantevole e lo si ammira dall’alto, come si guardasse una immensa vallata da una collina. Rispetto agli altri luoghi visitati, qui c’è una folla: almeno trenta persone. Ma dopo essersi ripresi dalla salita, tutti si inoltrano tra le dune e l’effetto folla svanisce. Si radunano quasi tutti attorno a questa splendida Lagoa Bonita, enorme, come fossero in riva al mare, e si dedicano alla vita da spiaggia. Noi invece ci mettiamo a camminare lì attorno, ammirando i paesaggi e godendoci il cambiamento dei colori man mano che il sole si sposta e si avvicina l’ora del tramonto. Colpisce in particolar mondo il gioco della sabbia e delle orme: la coltre di sabbia alterna qui i disegni creati dal vento con le sagome ben delineate delle impronte di noi turisti, creando nuovi effetti, nuove simmetrie, quasi che fossimo noi stessi autori di una parte dell’opera.
Anche perché, per fare meno fatica a camminare nella sabbia, tutti tendono a ricalcare le orme altrui, in modo da non sprofondare meno, e quindi regna un ordine artistico anche nelle tante impronte. Va da sé che le foto si sprecano.
Scatta poi anche per noi l’imperdibile operazione bagno: scegliamo una laguna un po’ isolata, con una montagnetta di sabbia da scalare al centro, dove Ivo ha una rapida regressione all’infanzia mentre io mi crogiolo a mollo, nuoticchiando attorno e godendomi i primi raggi del tramonto.
E purtroppo è già ora di lasciare questo paradiso: l’autista ci chiama a raccolta in cima alla collina d’accesso, evidentemente timoroso di perdersi qualcuno; cosa peraltro già accaduta, visto che mancano due ragazze all’appello. Ci lascia quindi a goderci lo spettacolo e parte alla loro ricerca.
Anche questo contribuisce a rendere più pittoresca la scena: le figurine in distanza che si stagliano nel rosso del sole e la lunga fila di persone che si incammina verso di noi, costituiscono un valore aggiunto alla bellezza di questo indimenticabile tramonto.
Alla nostra destra, dove il sole già non raggiunge più le dune, la sabbia si tinge di azzurro e la temperatura si abbassa percettibilmente; sull’altro lato il deserto si esalta negli arancioni del sole e ci scalda a stento con i suoi ultimi raggi. E’ il saluto che ci fa il Lençois, dopo queste splendide giornate che ci ha regalato.
Rientriamo a Barreirinhas per un’ultima veloce cena in centro a base di pizza (discreta) e di un interminabile cacofonico Forrò.
Ci aspetta una lunga giornata di trasferimenti con mezzi pubblici alla volta di Jericoacoara per qualche giornata di riposo e relax totale prima dell’inevitabile rientro. Non siamo ancora partiti ma la nostalgia di questo posto unico si fa già sentire. E allo stesso tempo ci sentiamo fortunati per aver scoperto questo posto quasi per caso, e grati per esserci potuti godere tutta la bellezza dei Lençois Maranhenses.
mia moglie è maranhense e la prrossima volta che torneremo in Brasile anche noi andremo a visitare questo splendido posto