I COLORI DI LANZAROTE

Exploring the Unique Palette of Lanzarote’s Landscape

Adoro Lanzarote, la considero l’isola più bella delle Canarie: i suoi panorami, la sua terra nera, il suo cielo azzurro, il clima caldo e lo splendido mare sono per me fonte di continua ammirazione.
La moltitudine di colori che offre l’isola è opera congiunta della natura e dell’uomo che, grazie a un perfetto connubio tra lava, acqua, cielo, arte e architettura, dona personalità a questa terra, rendendola gradevole e apprezzata per ogni angolo esposto.
Le lave nere terminano nel mare azzurro e danno vita al verde delle alte palme e al rosso dei cespugli di gerani mentre il cielo azzurro incombe sul bianco delle case e sul rosso dei tetti. I fiori di cactus esplodono nel loro giallo, confondendosi col grigio delle strade e col manto chiaro dei poveri cammelli, unici mezzi viventi per le escursioni tra i deserti vulcanici.
Già, i vulcani: perché, a differenza delle altre isole, Lanzarote nelle viscere vive ancora. Al Timanfaya, infatti, ce n’è testimonianza tra improvvisati geyser e forni naturali, mentre le viti nascono e crescono col calore sottostante, rendendo l’isola piena dei colori del vino.
E’ splendida Lanzarote e, seppur la sua anima sia scalfita dalla vita del “divertimentificio” classico di alcuni luoghi di mare, basta uscirne di poco per trovar pace e tranquillità, e le luci dei locali e delle discoteche diventano un altro pot-pourri di colori da aggiungere agli altri.
Chi la visita per la prima volta, difficilmente la dimentica e noterà che, rispetto alle altre isole, la vita è più tranquilla e rilassata: non per questo è molto amata da chi cerca il relax.

Ho visitato l’isola per la prima volta nel 2012 ma, essendo stato un viaggio in solitaria e fatto più per “ricaricare le batterie”, l’avevo visitata poco e male: giusto un giro a Playa Blanca e ad Arrecife, poi totale riposo a Puerto del Carmen e negli immediati dintorni.
Ora, invece, in compagnia, mi sono dedicato alla visita più approfondita, effettuata giusto in un periodo di otto giorni (domenica/domenica).

1° giorno

Partiamo da Milano/Orio nel nebbioso e umido primo pomeriggio e giungiamo (anticipatamente di una ventina di minuti) a Lanzarote accolti da un vento caldo e uno splendido sole.
Ritirato il bagaglio da stiva, ci fiondiamo alla CICAR che, nel giro di dieci minuti, ci consegna la chiave della Opel corsa noleggiata direttamente dall’Italia: le auto a noleggio sono posteggiate quasi tutte nel silos di fronte l’uscita, ognuna con un box di riferimento.
Imboccata la strada per Puerto del Carmen, nel giro di venti minuti arriviamo agli Apartamentos Las Palmeras, siti nel pieno della cittadina: li ho prenotati tramite Booking e si presentano come piccole unità composte di un salone con angolo cottura (fornito di forno, stoviglie e microonde), un bagno ampio e una camera da letto.
Prendiamo possesso della casetta, disfiamo le valige, facciamo una doccia rigenerante e usciamo subito per raggiungere la vicinissima Avenida de las Playas, il lungomare che divide l’agglomerato dalle sue spiagge: sul lato interno è un susseguirsi di locali, ristoranti, bar e negozi di vario genere mentre l’esterno permette l’accesso alle sottostanti spiagge, da raggiungere attraversando piccoli giardini ben curati.
Una passeggiata d’orientamento, un giro di rifornimento al vicino supermercato, la cena e la successiva nuova passeggiata tra locali gremiti di turisti stranieri e in piena attività concludono questa giornata.

2° giorno

Oggi dedichiamo la mattinata ad un salutare tuffo in mare seguito da una esposizione (non troppo lunga) al sole.
Le spiagge di Puerto del Carmen sono sia libere che attrezzate: per due lettini e un ombrellone spendiamo appena 12€ in totale, trastullandoci così tutta la mattinata tra onde, sole, creme e pettegolezzi sui bagnanti.
Per non ustionarci, ritorniamo all’appartamento per poi, nel pomeriggio, partire alla breve visita di Puerto del Carmen.
Nato prettamente come centro turistico, la lunga distesa di hotel, appartamenti e centri commerciali ne fanno la meta più frequentata soprattutto dai vacanzieri del nord Europa (è più facile sentir parlare inglese o tedesco che spagnolo), attirati in inverno dalla mitezza del clima.
Ci dirigiamo subito verso la zona del porto seguendo il lungomare in direzione sud, passando davanti all’elegante C.C. Los Fariones e girando poi a sinistra in calle Alegranza, per finire alla piccola spiaggia di Playa Chica.
Da qui parte un percorso pedonale che lambisce i sottostanti scogli, sistemati a terrazze digradanti verso il mare e abbelliti da fiori e piante grasse tipiche di queste zone: la luce solare volta al tramonto, il blu del mare e la leggera brezza che soffia rendono dolce e piacevole il panorama e la passeggiata.
Giungiamo al porto (prettamente turistico) e alla piccola chiesa di Nostra Signora di Lourdes e poi ritorniamo indietro per Calle Roque Nublo, che ci riporta sulla via principale (Calle Juan Carlos I) e davanti al C.C. Biosfera, uno dei più grandi della città.
Riscendiamo per calle Guardilama e poi per calle Timanfaya fino a riprendere l’avenida del lungomare, dove trascorriamo tra musica pop, partite del campionato inglese e numeri del bingo (sì, qualche locale attira la clientela così) tutta la serata.

3° giorno

Partiamo nella mattinata per la prima gita all’isola, decidendo di visitare tre dei tanti siti d’interesse artistico, architettonico nonché naturalistico che l’isola offre.
La macchina va veloce lungo le scorrevoli strade fino a Guatiza, il villaggio in cui sorgono i Jardìn de Cactus, un bellissimo giardino voluto dall’architetto-artista César Manrique e composto di fiori e piante tipiche delle zone desertiche e tropicali.
Fatto il biglietto, accediamo al giardino, che si presenta nella forma tonda e scura come la bocca di un vulcano. All'interno sono sistemate in vari percorsi molte piante grasse e alberi provenienti dalle zone aride e dai deserti di tutte le parti del mondo, frammezzate da opere dell’artista (molto carine sono la fontana, il padiglione dello shopping e le toilette) e da un tipico mulino dell’isola, costruzione ormai scomparsa.
Scattiamo foto e riprese video a volontà, complici la magnifica giornata, la buona luce e le tante belle prospettive che il giardino offre, e ce ne usciamo dopo circa un’oretta e mezza sazi e satolli per la bella visita.
Riprendiamo la strada fino a raggiungere, in circa un quarto d’ora, le Cuevas de los Verdes, il secondo sito che abbiamo intenzione di visitare.
Timbrato il biglietto, procediamo all’ingresso e ci mettiamo in attesa che la guida riunisca il numero giusto di persone (credo sia cinquanta) per far partire la visita, cadenzata all’incirca ogni quindici minuti: infatti, poco dopo, scendiamo nelle grotte preceduti dalla stessa guida che ci avvisa di star in fila, fare attenzione alla testa e non uscire dalla strada segnata.
Le Cuevas (grotte) che visitiamo non sono altro che cunicoli scavati dalla lava eruttata dal vicino vulcano Corona in secoli e secoli di attività: a ogni colata, lo strato superiore si raffreddava subito ma quello inferiore continuava a scorrere. Quando l’eruzione terminava e la lava smetteva di fluire, il percorso inferiore si svuotava e nasceva così una grotta: le cavità, infatti, sono sovrapposte l’una sull’altra e scendono fino a una profondità di 40 m.
Passati tra antri e cunicoli, arriviamo alla parte più profonda, composta di un anfiteatro dove si organizzano eventi in cui si suona anche musica, ma la parte più bella è un’enorme grotta di cui, però, ci chiedono di tenere il segreto sulla sua particolarità.
Alla fine, dopo una quarantina di minuti, emergiamo dalle profondità della terra ben contenti della visita interessante fatta. A questo punto, vista la breve vicinanza, andiamo ai Jameos de l’Agua, l’ultimo sito da visitare: poca fila all’ingresso e, dopo aver timbrato il biglietto, scendiamo per una piccola scala e ci troviamo nel primo jameos.
Anche questo posto è stato voluto e modificato da César Manrique, in cui ha riprodotto una serie di paesaggi lussureggianti tropicali. Da premettere che un jameos non è altro che una pozza creatasi dallo sprofondamento del tetto di una galleria scavata dalla lava: quelle in prossimità del mare si sono riempite d’acqua; altre, invece, hanno visto crescere al proprio interno dei piccoli microambienti naturali.
Manrique, nella sua costante opera di abbellimento dell’isola, ne ha fatto dei giardini lussureggianti, senza intaccare profondamente la bellezza naturale e rispettandone la flora e la fauna.
Il primo jameos che visitiamo è il piccolo, in cui ha sede una caffetteria che affaccia su un lago coperto interno in cui vivono dei piccoli granchi bianchi, autoctoni e ferocemente preservati.
Una breve passeggiata borda il lago e conduce al secondo jameos, quello grande: qui, tra palme, cactus, gerani, bougainville, fiori e piante tropicali con una bellissima piscina dall’acqua trasparente, è riprodotto un angolo di un’isola dei mari caldi. Dietro la piscina, nascosto da una porta, c’è il terzo jameos, il redondo (rotondo), sede di uno spettacolare auditorium.
La visita del luogo la effettuiamo in poco meno di un’ora e, alla fine, ci fermiamo alla locale caffetteria per un veloce spuntino e un po’ di riposo.
Ripartiti, decidiamo di proseguire per il nord alla visita di alcune spiagge: facciamo sosta prima alla Caleta del Mojon Blanco e poi, definitivamente, al Caletòn Blanco, una spiaggia mista a scogli che si apre su un piccolo golfo racchiuso, le cui acque azzurre e trasparenti sono la delizia e gioia dei bagnanti.
Assaporata una mezz’ora di piedi in ammollo e di sole, decidiamo di rientrare e, nel giro di meno un’ora, siamo in arrivo a Puerto del Carmen.
Doccia, riposo, cena e poi ci immergiamo nella vibrante vita notturna.

4° giorno

Oggi una nuvolaccia grigia sosta sull’isola e, sebbene il vento caldo soffi imperioso, non ha intenzione di smuoversi. Ciò ci costringe a cambiare i piani di visita e decidiamo, allora, di recarci, per la seconda nostra escursione, a El Golfo, dove si trova una delle bellezze naturalistiche di Lanzarote: il Charco de los Clicos.
Puntata la macchina verso sud, usciamo a Yaiza, attraversiamo la piccola cittadina e imbocchiamo la strada per la località di mare, dove arriviamo poco dopo scarsa mezz’ora e dove parcheggiamo nello spiazzo adiacente all’ingresso: da qui parte una strada sterrata che porta sopra il Charco.
Davanti a noi si apre la caldera sprofondata di un antico vulcano che, riempiendosi d’acqua marina, ha generato un lago separato dal mare solo da una spiaggia nera. La particolarità è che il lago, per la presenza di un particolare batterio, è verde: ciò crea una cromatura di colori che varia tra il verde del lago, il nero della sabbia e le sfumature rosso-marrone delle rocce prospicienti. Uno spettacolo.
Compiuta la visita, riprendiamo l’auto per raggiungere Los Hervideros, che sono delle grotte laviche in cui il mare ha scavato anfratti e pertugi: essendo oggi mosso, in questo punto genera spruzzi e onde che scuotono la scogliera.
Ammirata la forza del mare contro la dura roccia, proseguiamo poi per le Salinas de Janubio, una distesa di collinette di sale separate dal mare dall’immancabile spiaggia nera.
A questo punto, con la nuvoletta grigia ancora sita stabilmente su di noi, decidiamo comunque di visitare Capo Papagayo con le sue spiagge e quindi, nel giro di un quarto d’ora, arriviamo allo sterrato che conduce al parcheggio: prima di entrare in quella che è una zona naturalistica, paghiamo un biglietto unico per auto di 3€ e poi proseguiamo a passo lento sulla strada tutta curve e polvere fino al citato parcheggio (un semplice ma largo spiazzo). Da questo parcheggio partono i sentieri che scendono verso le varie spiagge e calette e dall’alto si può notare la purezza del mare e le sfumature di azzurro che lo stesso dona.
E’ ora di pranzo e ci fermiamo per uno spuntino in uno dei tre bar/ristoranti presenti sul capo e, proprio quando gustiamo il nostro panino sulla terrazza, la nuvola grigia svanisce e la giornata si apre al sole, donando luminosità al panorama sottostante.
Scendiamo, dopo un’oretta, a Playa Blanca e lasciamo l’auto in un parcheggio sito vicino al porto, per seguire il lungomare pedonalizzato o Avenida Maritima che lambisce la riva: di fronte, nella bruma pomeridiana, si vedono le montagne di Fuerteventura.
Dopo una bella passeggiata seguita da un po’ di sole preso su una panchina in pieno relax e da un giro per i negozi, rientriamo a Puerto del Carmen giusto per approfittare della piscina, facendo un salutare bagno.
La serata la trascorriamo nei locali del lungomare dopo la consueta passeggiata.

5° giorno

Oggi abbandoniamo le spiagge per recarci sul vulcano principale dell’isola, inserito nel Parco Nazionale che porta il suo nome: Timanfaya.
Percorriamo la stessa strada di ieri fino a dopo Yaiza, poi usciamo e seguiamo le indicazioni fino all’ingresso del parco: la lunga fila di auto ci comunica che c’è da fare qui il biglietto per l’accesso ma basta che restiamo comodamente in auto che sono gli addetti a venire da noi a elargire il biglietto, che è personale.
La seconda fila la facciamo per attendere l’ingresso al parcheggio ma, per fortuna, anche quest’attesa non è lunga e troviamo presto un posto per fermare l’auto nel non tanto grande piazzale.
Comunque siamo sulla cima dell’Islote de Hilario, il punto da dove partono le escursioni per la zona vulcanica e dove si trovano il ristorante e il negozio di souvenir.
Presso il ristorante del Diablo c’è la possibilità di vedere un forno con una griglia enorme piena di carne, polli e leccornie varie che sono cotti utilizzando il calore proveniente dalla sottostante buca mentre, appena fuori, le guide mostrano come si generano i geyser gettando secchi d’acqua in apposite buche scavate. Per finire, altra testimonianza di come il vulcano sottostante sia ancora in attività, le guide fanno bruciare fasci di rami e foglie secche in un’altra buca scavata nelle vicinanze.
Davanti al negozio di souvenir c’è la fila per salire sugli autobus che partono per l’escursione alla zona vulcanica, fatta tassativamente tramite questo mezzo: prendiamo posto sull’autobus e partiamo per il giro tra bocche vulcaniche, baratri, colate magmatiche solidificate, pomici, ceneri e lapilli secolari nonché spettacolari panorami sull’immensa distesa lavica sottostante. La durata del giro è di circa quaranta minuti, con spiegazione in Inglese e Spagnolo.
Al ritorno, siamo lasciati al punto di partenza e, data che è ora di pranzo, proviamo il pollo cotto al vapor vulcanico che, ovviamente, è servito nel ristorante: una coscia con verdure, pane, delle tapas e una bottiglia d’acqua viene a costarci sui 20€.
Satolli, possiamo lasciare questo interessante e bellissimo posto e rivolgere le attenzioni al prossimo sito, l’adiacente Parco dei Vulcani: per raggiungere questo posto, bisogna tornare sulla strada principale, proseguire per Tinajo e, poco dopo il centro dei visitatori ma poco prima di entrare nel villaggio di Mancha Blanca, girare a gomito sulla sinistra imboccando immediatamente lo sterrato che porta a un parcheggio molto piccolo, in cui lasciare l’auto.
Fatto ciò, un sentiero parte per quella che è la visita alla Montaña Piccola e alla Montaña Blanca, che crediamo fattibile a tutti, ma ci accorgiamo che lo è principalmente per gli escursionisti (i pochi che incontriamo sono, infatti, attrezzati con scarponi e bastoni, a differenza mia che ho dei comuni sandali!) però piano piano, camminando tra massi enormi di lava (detti malpais) e distese di ceneri millenarie, arriviamo dopo mezz’ora alla prima caldera.
Il crollo di una parete permette l’accesso all’interno ed è molto emozionante camminare su quello che era la bocca infuocata di un vulcano attivo per secoli e che ora è un placido prato battuto da una violenta corrente d’aria. Desistiamo dal raggiungere la Montaña Blanca, che va scalata, e ritorniamo al parcheggio, riprendendo la strada di casa.
Ne approfittiamo scendendo lungo la via che attraversa la zona vinicola di Lanzarote, fatta da distese di terra lavica su cui crescono, protette dai socos (muretti circolari), le vigne da cui si traggono alcuni vini locali.
Nella serata, visto il bel tempo, ne approfittiamo per fare un giro a Costa Teguise, paesino che troviamo più artificiale di Puerto e, francamente, anche un pochino più noioso: ormai siamo abituati alla movida nordeuropea.

6° giorno

Ennesima giornata di escursione, dedicata oggi alle opere di César Manrique. Partiamo, quindi, per Taniché, il villaggio che ospita la Fondazione César Manrique: la sede è nella casa che fu abitata dallo stesso, la quale è costruita su un’antica colata lavica. Al suo interno ospita una serie di ambienti particolari, costruiti su bolle di lava, nonché dipinti, bozze e collezioni appartenute all’artista-architetto. Il giardino prospiciente l’ingresso è sistemato con piante grasse in geometriche figure e opere di Manrique trovano sede tutto lungo il percorso d’accesso al fabbricato.
Al primo piano (che, in effetti, è quello in cui si entra), si possono apprezzare le ampie vetrate che danno all’ambiente una luce brillante e sono esposti qui quasi buona parte dei dipinti e dei disegni di sua proprietà; scendendo una scala a chiocciola, si entra in un secondo ambiente totalmente diverso, le cui pareti sono le lave solidificatesi e gli arredi sono coloritamente inseriti in questa serie di salotti naturali uniti da tunnel illuminati.
Alla fine, come punto di riposo, uno splendido giardino interrato (simile a uno jameos) e adorno di palme, piante, fiori e una cascata-fontana, corona questo bellissimo posto.
Il giardino esterno, invece, sempre ricco di piante e fontane, è ulteriormente decorato da uno splendido murale, che riprende in forma stilizzata alcuni luoghi tipici di Lanzarote.
Terminata la visita (tra le più belle in assoluto), prendiamo subito la strada per San Bartolomé e ci rechiamo al Monumento al Campesino, opera che Manrique ha voluto in onore dei contadini locali.
La bianca scultura si staglia appena vicino alla strada di scorrimento che porta a Playa Famara ed è affiancata dalla ricostruzione di un tipico villaggio canario: la chiesetta e il bar locale; la plaza con vari negozi e, nascosto da una cupola, un ristorante costruito di sotto alla strada, sfruttando uno jameos che funge da ingresso.
Da qui, poi, prendiamo la direzione per Teguise e, in breve, parcheggiamo nei pressi del centro storico di questa deliziosa cittadina: tramite le piccole strade pedonali, arriviamo a Plaza de la Constitucìon, fulcro del Casco Historico de Teguise, sui cui sorgono la Chiesa di Nostra Signora di Guadalupe, la Casa-Museo Palazzo Spinola, e una serie di palazzi nobiliari.
Attraversiamo strade e stradine seguendo un percorso che passa davanti al palazzo Torrés e il Convento di San Domenico ma, quasi alla fine, purtroppo non vedo un gradino e… mi taglio profondamente la punta dell’alluce!
Il sangue esce a copioni ma riesco a tamponare la ferita ma cerchiamo una farmacia che però è chiusa (la siesta spagnola: riapre alle 16) ma, per fortuna, scopro che lì vicino c’è un centro de salud (una sorta di pronto soccorso) in cui mi reco per risolvere il problema e ne esco dopo una mezz’ora con l’alluce tutto bendato.
L’imprevisto ci scombussola un po’ i piani ma riprendiamo comunque la strada per Harìa, fermandoci a pranzare presso il mirador che da’ sul malpaso omonimo: la vista è bellissima e spazia tutta sul lato nord-est dell’isola.
Ritorniamo in auto e arriviamo, tra tornanti e paesi silenziosi, al Mirador del Rio, sito su un’altura a nord di Ye: si tratta di un altro dei luoghi creati da César Manrique ed è un mirador da cui si può ammirare la costa nord-ovest e le isole di La Graçiosa, Montaña Clara e Alegranza.
Il mare sottostante è semplicemente stupendo nelle sue sfumature di azzurro e blu mentre la playa del Risco e le Salinas del Rio sono praticamente deserte, poiché l’unico modo per raggiungerle è via mare o con una camminata di molte ore da percorrere tramite una strada sterrata che parte da Famara.
Sprechiamo foto e video per immortalare qualunque angolo possibile e andiamo via da qui dopo più di un’ora, impiegando lo stesso tempo per rientrare a Puerto del Carmen ma scegliendo la via per Arrieta, più lineare e senza curve o pendii.
Consueto riposino, cena e poi giro per la zona del porto, altrettanto vivace come quella del lungomare.

7° giorno

Giornata di totale relax trascorsa tra la spiaggia, la piscina, una passeggiata per fare qualche acquisto tipico da portare ad amici o parenti, e la preparazione delle valige.
Nella serata, per non cenare in casa, ci concediamo una mangiata di buon pesce da “El Golfo”, un ristorante abbastanza quotato situato verso il porto. L'ambiente, molto familiare, è proprio tipico delle locande spagnole e il personale (il locale è a gestione familiare) è davvero molto disponibile: ci offrono un assaggio di tapas e chiacchierano volentieri con noi. Ordiniamo antipasti di mare (un’insalata di gamberi e una tortillas di gamberi) seguiti da un piatto di calamari alla griglia e da uno di pesce fritto misto, con l’aggiunta di verdure e delle mitiche papas arrugadas, piatto di patate tipico di quest’isola. Il tutto è accompagnato da mezzo litro di sangria e, insieme a due creme catalane, si risolve in una spesa di 27€ ciascuno.
La passeggiata di digestione e un drink in un locale disco-bar con annessa ora piccola, completano la nostra ultima notte a Puerto del Carmen.

8° giorno

Giorno di partenza: in tarda mattinata infiliamo le valige nel bagagliaio dell’auto e lasciamo l’appartamento dirigendoci verso Arrecife, la città principale dell’isola.
Parcheggiamo, dopo un giro arzigogolato, in Plaza de el Almacén per raggiungere poi il Muelle Chico, un lungomare che da' sul vecchio porto: le palme ornano la passeggiata e il piccolo chiosco rosso è stato trasformato in ufficio turistico.
A pochi metri iniziano i due moli che arrivano al Castello di San Gabriele: il primo è quello più moderno e s’inoltra fino a circa un km dalla costa; il secondo è più antico e si chiama Puente de las Bolas.
Arriviamo tramite il ponte nuovo al Castello per le foto di rito e per ammirare il panorama, e poi ritorniamo dal ponte vecchio al molo recandoci subito alla Chiesa di San Ginés de Clermont, dove però è in corso la Santa Messa.
Decidiamo di far dopo la visita, quindi percorriamo calle Brasil fino al Charco di San Ginés, un piccolo golfo interno in cui, su un’acqua dalle mille trasparenze, si dondolano colorate barchette.
Passeggiamo un po’ lungo la passeggiata che lo cinge e rientriamo, subito dopo lo scheletro della balena, in calle Léon y Castillo, la strada principale: tutti i negozi e i centri commerciali sono chiusi, c’è un rado passeggio e l’unica interessante attrazione è la Casa Amarilla, il vecchio Comune ora adibito a spazio espositivo di mostre.
Ritorniamo alla Chiesa di San Ginés per la visita e da qui ci spostiamo di nuovo al charco sedendoci, dopo aver camminato percorso l’altro senso della passeggiata perimetrale, in un vicino bar per consumare un panino, riposarci dalle visite e goderci l’ultimo sole della vacanza.
Alle 15 ci costringiamo a recarci in aeroporto quindi recuperiamo l’auto, usciamo dal centro e in men che si dica siamo all’aerostazione. Lasciamo l’auto nel silos dove l’abbiamo trovata e portiamo le chiavi al desk Cicar, che le prende in consegna.
Saliti al piano partenze, aspettiamo una mezz’ora affinché apra l’imbarco Ryanair per Milano poi, dopo aver lasciato la valigia al -off, facciamo i controlli e ci accomodiamo in attesa del volo, che parte in perfetto orario: l’aereo sorvola velocemente l’isola ormai illuminata solo dalle luci serali, poi fuori diventa buio.
Atterrati a Bergamo, il freddo pungente e l’umidità già ci fanno piangere il clima e il posto lasciato.

VIAGGIO

- Il volo è stato prenotato con largo anticipo quindi pagato pochissimo: 135€ a persona con un bagaglio solo da stiva. Abbiamo aggiunto poi 15€ a persona per i posti contigui quindi in totale, con Ryanair, sono stati spesi 150€.
- L’auto è stata prenotata con Cicar, autonoleggio delle isole Canarie, che fornisce buone macchine: la nostra Opel Corsa ultimo modello c’è costata circa 120€, senza alcun’altra aggiunta e con secondo guidatore incluso. L’abbiamo ritirata con quattro tacche di benzina e con altrettante l’abbiamo riconsegnata.
La benzina verde costa tra gli 0,99 e gli 1,03€: abbiamo percorso 450 km spendendo appena 25€!
- L’alloggio, come detto, è stato prenotato su Booking presso la struttura Apartamentos Las Palmeras di Puerto del Carmen, in calle Princesa Guayarmina: posto ottimo (anche se gli appartamenti sono al massimo per tre persone), a due passi dal centro e dal lungomare, con i servizi a disposizione in poche centinaia di metri.
Per un soggiorno di 8 giorni/7 notti abbiamo pagato circa 300€ in due per un appartamento come descritto nel diario.

SOGGIORNO

- Le spiagge di Lanzarote sono o libere o attrezzate con lettini e ombrelloni a prezzi accessibilissimi: le calette e le spiagge più remote si raggiungono con sentieri o solo con la barca. In molte ci sono i socos, i muretti circolari che proteggono dal vento.
- Oltre che alle meraviglie naturali, ci sono anche delle costruzioni artistico/architettonico che s’inserisco bene nel paesaggio lanzarotiano: questo lavoro di connubio tra arte, architettura e natura è stato fortemente voluto dall’architetto César Manrique, originario dell’isola.
Manrique, dopo aver lavorato e vissuto a New York, tornò definitivamente nella sua isola e si adoperò per mantenerne intatta la bellezza paesaggistica ma, contemporaneamente, adornarla di elementi architettonici e artistici che attirassero i turisti: i risultati si vedono nei tanti luoghi aperti a tal fine.
Il primo è la sua Fondazione, che ha sede nella sua casa a Tahiché: sul sito della Fondazione si possono trovare tutte le informazioni a riguardo. Il biglietto costa 8€ e posso aggiungere che è un posto molto bello e che val la pena visitare.
A seguire, ci sono i Jardìn de Cactus, una meravigliosa raccolta di piante grasse e desertiche ricreata in uno spazio che ricorda la bocca di un vulcano, e i Jameos de Agua, una serie di pozzi naturali creati dalle immense colate laviche, che sono stati abbelliti e trasformati in piccoli giardini o in fantasiosi paradisi tropicali.
Un altro bell’esempio è il Mirador del Rio, l’ampia terrazza che da’ sull’isola Graçiosa e sulla costa nord per completarsi con il Ristorante del Diablo, costruito proprio sul Timanfaya.
Per la visita a questi luoghi si può pagare ogni ingresso singolarmente (con prezzi a partire da 4€) oppure scegliere un biglietto cumulativo per tre, quattro o tutte le attrazioni: noi abbiamo scelto di visitare i Jardìn, las Cuevas e i Jameos per un prezzo totale di 21€ a persona ma si possono anche aggiungere gli altri, con un prezzo differente, basta che ci si regoli con le visite che si vogliono fare.
A parte, il Mirador c’è costato 4,75€ e il Timanfaya invece 10€.
Per questioni di tempo abbiamo saltato, purtroppo, la visita alla casa del Palmeto, sita in Harìa e facente parte sempre della Fondazione.
Tutto il resto dei luoghi d’interesse è gratuito: altra buona ragione per venire a Lanzarote e visitarla.

 

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