E' la parte conclusiva del magnifico viaggio in Patagonia di Anna. La prima parte è già stata pubblicata su questo stesso sito con il medesimo titolo.Martedì 7 febbraio 2006 – P.N. Tierra del Fuego (Ushuaia)
Oggi li tempo è peggio di ieri, come siamo stati fortunati! Il nostro aereo parte solo in serata e quindi abbiamo tutto il giorno per conoscere ancora questi posti. Il nostro programma originale prevedeva di andare con la seggiovia fino al ghiacciaio Martial e di qui fare un breve giro nella zona, ma il tempo è brutto e il ghiacciaio è avvolto nella nebbia.
In alternativa propongo a Marco di andare a percorrere quel tanto decantato sentiero lungo la costa nel parco nazionale della Terra del Fuoco: senda costera. Il primo che osa ancora venirmi a decantare la bellezza di questo sentiero si riceve una scarpa sul naso. Certo se paragonato a una passeggiata in centro sotto i portici è fantastico ma se paragonato al sentiero per il Cerro Torre o il Fitz Roy... gente questi sono panorami!
Prendiamo il solito bus, con il medesimo autista di ieri e scendiamo esattamente alla partenza del sentiero. Inizialmente passa nel bosco per poi uscire e costeggiare la costa per un lungo tratto, in tutto sono 6,5 km.
L’ambiente è particolare, soprattutto lungo la costa, ma il sentiero è uno strazio. Fango, fango e ancora fango. Ci imbrattiamo da far schifo. La giornata è grigia e questi posti hanno un che di malinconico e triste. Incontriamo qualche persona ma non sono molti coloro che si sono avventurati su questo sentiero. Oltrepassiamo anche un campeggio, non ci sono molte tende e non stento a crederlo, con questo tempo non mi passerebbe nemmeno nell’anticamera del cervello di montare una tenda in questo bel terreno molliccio e di dormire tutta la notte raggomitolata nel mio sacco a pelo mentre la pioggia inzuppa ben bene la mia tenda e tutto quello che gli arriva a tiro.
Devo dire che quando raggiungiamo la strada asfaltata siamo veramente contenti, tutto quello camminare nel fango alla fine ci ha snervato non poco, il paesaggio è carino, ma nulla di più. Niente di così eccezionale come descrive la guida, belle vedute sul canale ma da qui a chiamarle vedute ‘mozzafiato’.
Aspettiamo il bus per il ritorno lungo la strada, la caffetteria non è lontana ma questo sistema funziona così. Quando vedi arrivare il bus lo fermi e se c’è posto ti fa salire, gli fai vedere il tuo bel bigliettino di andata e ritorno e il gioco è fatto.
Tornati in città ci comperiamo una bella fetta di crostata per merenda, facciamo qualche passo in centro e lungo la baia per poi andare a recuperare le nostre valigie e con un auto remises (10$) raggiungiamo velocemente il piccolo aeroporto di Ushuaia.
Al check-in ci informano di un ritardo di due ore sull’orario di partenza e ci forniscono un biglietto per andare ad usufruire di uno spuntino in attesa del volo, non come a Torino che abbiamo aspettato più di due ore un volo e non ci hanno nemmeno offerto una caramellina nonostante fosse ora di cena!
Il volo è piuttosto perturbato, i forti venti sballottano per benino il velivolo e anche la fase di atterraggio è piuttosto dondolante, fortuna che io scendo a Trelew e non devo proseguire come altri fino a Buenos Aires. Quasi tutti gli aerei che attraversano il paese da nord a sud e viceversa, partendo o arrivando nella capitale prevedono una fermata intermedia con scambio di passeggeri. Chi prosegue non scende.
Che dire dell’aeroporto di Trelew? Altro esempio di aeroporto microscopico, c’è un vento fortissimo ma caldo, molto caldo. Un altro bello sbalzo di temperatura! E’ mezzanotte ed è tutto chiuso, le uniche anime in aeroporto sono i viaggiatori da e per questo volo e coloro che, per qualche motivo, devono ricevere i nuovi arrivati.
Visto che siamo due ore in ritardo, io resto ad aspettare i bagagli mentre Marco va a sbrigare le pratiche con il tizio dell’Avis che chissà da quanto è li che ci aspetta. Ovviamente niente ufficio in aeroporto, le modalità sono le stesse, sono venuti a portarci direttamente l’auto in aeroporto. L’auto è un po’ più grossa della precedente ma non si può dire messa meglio. Il tipo ci fa uno strano discorso sul fatto che possiamo, se vogliamo, cambiarla il giorno dopo. Non ne capiamo il senso e poi non vogliamo perdere un’altra mattinata per recuperare un’altra macchina, se questa funziona va bene lo stesso.
Ci spiega velocemente la strada per raggiungere il nostro hotel e ci avviamo. Si trova in centro a Trelew, sarà perché è quasi l’una ma in centro non c’è anima viva. Troviamo abbastanza facilmente il nostro hotel, parcheggiamo ed entriamo. Il tizio casca dalle nuvole, a lui non risulta nessuna prenotazione, gli mostro le mie mail scambiate con il suo collega e lui tutto candido mi dice che il collega molto probabilmente non ha segnato nulla sul loro registro. Bei pasticcioni… comunque ha una stanza libera anche se non è come quella che avevamo chiesto noi. Vista l’ora e visto tutto il resto decidiamo di prendere la stanza anche se, dopo posti come la casa del Grillo, questa camera è proprio squallida e malandata.
Pernottamento: Cheltum Hotel – Avda. H. Yrigoyen 1385 – trelew – tel (02965)431066 – www.cheltumhotel.com.ar - 78$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Mercoledì 8 febbraio 2006 – Punta Tombo
Mi svegliano le voci della gente in corridoio, sono circa le sei. La stanza ha una piccola finestrella che abbiamo aperto per il troppo caldo e cosa ci vedo sbucare? Una testolina di un gattone nero che guarda dentro alla stanza.
La colazione è di gran lunga superiore allo stile trasandato dell’albergo. Guardando meglio il suo salone, l’ingresso, la receptions, non sarebbe malaccio ma come tutte le cose in Argentina ha avuto qualche anno di splendore e poi lo hanno lasciato andare. Mi da l’impressione che questo sia un po’ lo stile, come direbbe un mio vicino di casa ‘nessuna ambizione’, lasciano che le cose vengano segnate dal tempo senza fare nulla per mantenere lo splendore iniziale.
Partiamo subito dopo colazione alla volta di Punta Tombo per la visita della famosa colonia di pinguini di Magellano che conta più di mezzo milione di pinguini nidificanti in questa zona. Punta Tombo si trova a 110 km da Trelew che si è auto-battezzata capitale dei pinguini. Se non si era ancora capito ogni città è capitale di qualcosa!
La nostra cartina segnala una strada che collega quella asfaltata, la RN 3 (ruta national) alla RP 1 (ruta provincial) quella sterrata, che ci avrebbe ridotto il percorso da fare su sterrato. Dico ci avrebbe perché nonostante la cartina segni questa bella strada di fatto non esiste ancora, è ancora in fase di costruzione. Così con tanta rabbia e con l’ennesima prova che le cartine sono un po’ troppo approssimative dobbiamo percorrere tutta la strada indietro fino al bivio per Rawson per prendere la RP 1, questa lunga strada sterrata.
Ogni tanto qualche armadillo ci attraversa la strada ma sono troppo veloci per riuscire ad immortalarli con la macchina fotografica. Così arriviamo alla pinguineria che è già mattina inoltrata. Paghiamo i biglietti (20$) e prendiamo due panini per il pranzo e poi via verso i pinguini. I pinguini di Magellano sono alti, gli adulti s’intende, circa 45 cm e pensano intorno ai 4-5 kg. Nidificano in questa area e costruiscono il proprio nido sulla terra ferma anche fino a 800 metri dalla costa. L’area è stata istituita riserva naturale nel 1979 per preservare i pinguini, la fauna e anche la flora presente in questa zona. Questa di punta Tombo è comunque la più grande colonia continentale di pinguini di Magellano.
Mamma mia… già prima di raggiungere il parcheggio abbiamo un accenno di quello che sarà questa visita. Pinguini che passeggiano tranquillamente lungo la strada incuranti della gente e delle auto. Premetto che stravedo letteralmente per questi adorabili animaletti è anche se non è la prima volta che ho l’occasione di vederli nel loro ambiente naturale questo per me è sempre un grande momento.
Sono proprio dappertutto. Ovunque ti giri ne vedi spuntare uno. Trotterellano tranquillamente tra le auto e i bus nel parcheggio, verso la spiaggia, in mezzo ad un branco di guanachi che pascola tranquillamente. Mi diverto un sacco a vederli tutti allineati sulla spiagga in attesa delle onde per fare il bagnetto, qualche giovane è al suo primo impatto con il mare e il dilemma mi tuffo non mi tuffo è al centro dei suoi pensieri m poi arriva un onda enorme et voilà tutti in mare!
Per evitare che la gente vada ovunque è stato tracciato una sorta di percorso o zona in cui si può gironzolare. I pinguini sono tantissimi. E’ uno spasso girare tra di loro, fermarsi a guardarli, fotografarli, osservarli. Sono buffi con il loro camminare ciondolante. Mi inchino alla loro altezza e ci osserviamo un po’ più da vicino. Bisogna fare attenzione perché hanno la tendenza a beccare ma se uno non li infastidisce loro non sono affatto turbati da tutta questa gente e se ti avvicini ad osservali si fermano un attimo ad osservarti e poi incuranti riprendono a pulirsi le piume.
Come dice la guida è meglio trovarsi in questa zona quando non ci sono le folle dei turisti che arrivano in bus. Ad un certo punto sono arrivati qualcosa come 8 pullman di quelli modello gran turismo della Costa crociere e anche se numericamente erano ancora superiori i pinguini, il caos ed il rumore prodotto da tutte queste persone superava ampiamente quello prodotto da tutti questi pinguini.
Non avendo noi nessuna fretta e impegni di nessun genere, ce ne stiamo tranquilli e beati ad osservare i pinguini, facciamo pranzo, ci rilassiamo e intanto le comitive se ne vanno. Sembra di rinascere, poche persone sparse lungo il percorso.
A metà del pomeriggio, anche se a malincuore salutiamo i nostri nuovi amici e riprendiamo la nostra strada.
Consultiamo velocemente la cartina e decidiamo di fare tappa a Gaiman. Gaiman si trova 17 km ad ovest di Trelew lungo la RN25. Si tratta di un piccolo paese di origine gallese. Il nome Gaiman non è di origine gallese ma dato dagli indigeni che passavano l’inverno in queste zone prima dell’arrivo dei gallesi e significa qualcosa come ‘punta di freccia o di pietra’. I gallesi arrivarono più tardi e si insediarono in queste terre. La città vanta quindi una lunga tradizione gallese e lo testimoniano le case da tè presenti in città.
Scegliamo l’hotel Unelem. Il posto è stato di recente rinnovato ed è molto carino. La nostra camera è molto spaziosa. Prima di cena facciamo due passi per il paese. Pochissima gente in giro. C’è un internet cafè con anche dei telefoni, così ne approfittiamo per telefonare a casa e fare gli auguri di compleanno alla mamma di Marco. In questa zona il mio telefonino non prende ma è comunque molto più economico usare questi telefoni che pagare il roaming del cellulare. In ogni caso per ora ha carpito il segnale solo a Ushuaia (a dover di cronaca serve comunque un telefono tri-band).
Ceniamo nel ristorante dell’hotel dove un cameriere molto attempato di serve la cena con tutti i crismi del galateo. Non so perché ma mi ricorda un vecchio maggiordomo inglese. Stile e formalismo impeccabile, peccato per la stanghetta degli occhiali aggiustata con il nastro adesivo che fa perdere un po’ di stile.
Mangiamo degli ottimi cannelloni e un bell'assaggio di dolci, visto che noi eravamo molto indecisi su quale dessert scegliere, lui, gentilmente ci ha proposto un bel misto di dolci ivi inclusa la torta di Gaiman per eccellenza, ovviamente fatti dalla sua signora che è la cuoca dell’hotel. Ci tengono sempre a farti sapere quando le cose le fanno con le loro manine.
La tradizione gallese di questo paese e quindi il rito del tè la fanno da padroni e anche in questo hotel noto che ci sono tante teiere tutte dotate di un copri teiera fatto all’uncinetto. Le trovo divertenti anche se un po’ pacchiane. Mi sembrano comunque cose di altri tempi. Fortuna che non c’è mia mamma, altrimenti avrebbe copiato l’idea e tutta la famiglia sarebbe stata dotata di ‘abito’ per teiera all’uncinetto!
Pernottamento: Hotel Restaurant Unelem – Avda. E. Tello y 9 de Julio – Gaiman – Tel. (02965) 491663 – 98$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Giovedì 9 febbraio 2006 – El Bolson
Dopo una buona colazione con pane burro e marmellata e una bella fettina di dolce fatto in casa partiamo alla volta delle Ande. La strada che ci separa dalle montagne è molta così ci mettiamo subito in macchina, fortunatamente è asfaltata. Non ci sono molti posti tappa da fare e a detta della cartina la strada, la RN25, attraversa una landa piuttosto desolata. Equipaggiati di tutto il necessario e con il pieno alla macchina partiamo per la nostra strada.
Che dire del percorso… ampi spazi aperti. Di molto caratteristici sono i passaggi della strada nei pressi della valle de las Ruinas dove la strada costeggia in parte il fiume che presenta, sulle sue rive una vegetazione verde e rigogliosa per poi arrivare nella valle Paso de Los Indios dove la strada passa tra alte conformazioni rocciose di un rosso particolare.
Il traffico è pressoché inesistente, ogni tanto si incontra qualche macchina, si vede qualche estancia in lontananza ma per il resto è tutto desolato.
L’autoradio della macchina non riceve nessuna stazione, ogni tanto ci fermiamo per sgranchirci un po’ le gambe. Sulla strada ci sono leprotti appiattiti e tantissimi rapaci che, appollaiati sui pali dei recinti aspettano la loro preda. Durante una sosta, non abbiamo fatto a tempo a scendere dalla macchina che tre avvoltoio stavano volando in cerchio sulle nostre teste. E calma ragazzi… non è ancora ora di fare merenda con i nostri resti!
Ad un certo punto lasciamo la RN 25 per proseguire sulla NR62 dove poi incontreremo e proseguiremo sulla famosa RN40, la strada della Patagonia che in questa zona fortunatamente è asfaltata.
Il primo incontro con un po’ di gente lo facciamo alla stazione di servizio di Tecka. Un bel via vai di gente anche perché non ce ne sono altre quindi…
I km percorsi e da percorrere sono così tanti che quasi come un miraggio si scruta sempre l’orizzonte per vedere le montagne spuntare.
La nostra destinazione per oggi è El Bolson. Che sia stata la capitale della civiltà hippy ancora lo si vede, sono cresciuti ma sempre hippy sono restati. E’ stata la prima città in Argentina a definirsi ‘zona denuclearizzata e comune ecologico’. Fuori da un supermercato due donne con tanto di fascetta sulla fronte e abiti stile ‘figli dei fiori’, con le loro bimbe scalze salgono su un pick-up che ha visto tempi migliori, molto migliori.
Il centro è tutto un fermento e un brulicare di persone, stanno smontando le bancarelle del mercatino, ma la città è proprio presa d’assalto dai turisti.
Facciamo una scappatina all’ufficio informazioni per vedere di trovare qualche notizia su qualche sentiero da percorrere a piedi. La tizia con cui parliamo non ha ben chiare le idee su cosa sia un sentiero ma riesce comunque a venderci una cartina con alcuni sentieri tracciati. Non eravamo abituati a tutta questa confusione e a tutta questa gente, soprattutto, El Bolson, ci sembra un posto di villeggiatura per famiglie visto che passeggini e carrozzine abbondano decisamente.
Per cena scegliamo un locale sulla via principale (Calabaza – 37$), ci incuriosisce la milanese di calabaza ma quando scopriamo che si tratta della milanese non di carne ma di zucca ripieghiamo su due bei piatti di ravioli al burro. Non sono male anche se la pasta è un po’ troppo anemica, è molto bianca, non è di certo pasta all’uovo.
Pernottiamo invece in un hotel abbastanza nuovo in periferia della città (80$ (doppia con bagno in camera – B&B).
Venerdì 10 febbraio 2006 – Rifugio Piltriquitron (El Bolson)
Nonostante alle sette siamo pronti a fare colazione le operazioni per la colazione sono moooolto lente, solita flemma sudamericana, ma noi abbiamo fretta. Il sole è già alto e qui scalda anche parecchio, e noi abbiamo da percorrere un bel sentierino a piedi e andare ancora fino a Bariloche. L’addetto alla colazione fa letteralmente venire sonno. Ho tempo a tornare in camera, preparare tutta la roba che lui non ha ancora portato il latte, forse deve ancora mungerlo.
Lasciamo l’hotel e percorriamo la strada 258 in direzione sud e imbocchiamo la non molto bella strada sterrata nei presi di Villa Turismo che, dopo 13 chilometri ci porta al parcheggio dove lasciamo l’auto per prendere il sentiero che ci condurrà al Rifugio Piltriquitron e da qui, se uno a voglia, fino al Cerro Piltriquitron. Il sentiero fortunatamente passa nel bosco perché il sole è già altro e sta già scaldando parecchio.
Arriviamo prima al bosco Tallado; si tratta di un bosco dove i tronchi sono stati intagliati per realizzare delle sculture, molto carine e originali. Da qui si prosegue ancora un po’ e si arriva al rifugio: una costruzione in legno che gode di un buon panorama. Ci sono due cani, un gatto che dorme sotto un cespuglio e due cavalli che pascolano all’ombra. I gestori, due ragazzi giovani stanno trafficando nella casa adiacente al rifugio. La tranquillità e la pace del luogo e rotta solo dalla musica trasmessa dalla radio del rifugio. Un vero peccato.
Dal rifugio si prosegue, su un ripido sentiero che costeggia uno skilift in disuso, verso il Cerro Piltriquitron. Questa zona, ad est di El Bolson è molto caratteristica della Camarca Andina. Il vento è presente solo in cresta ed è caldo. Una condizione diversa rispetto a quelle che abbiamo vissuto fino ad oggi.
Non arriviamo fino in punta del cerro perché il tempo stringe, ma pranziamo su un bel cucuzzolo che ci offre una piacevole vista sul El Bolson e le montagne di fronte, in fondo era quello che volevamo vedere, un panorama superbo.
El Bolson è la cittadina più vicino al parque nacional Lago Puelo, dista infatti 15 km dalla città. Il lago Puelo è un bel lago azzurro, noi ne possiamo vedere un pezzo dalla sommità del cucuzzolo che abbiamo scelto.
Scendendo incontriamo parecchia gente che sale verso il rifugio. Fa molto caldo, il terreno è molto secco e polveroso e mi viene in mente un libro che ho letto sulla Patagonia che si intitola ‘Polvere nelle scarpe’, di bello aveva giusto il titolo. El Bolson segna anche il confine della Patagonia e questo significa che finiscono qui i benefit economici legati a questa terra, come la benzina venduta a prezzi scontati.
Ci sono molti posti di blocco fuori dai paesi. La polizia ferma tutte le auto, di solito ti chiedono da dove provieni e dove stai andando, controllano i passaporti e ti augurano buon viaggio. Sulla guida avevo letto che avevano atteggiamenti altezzosi e autoritari, che potevano chiedere soldi. Niente di tutto questo. Sono sempre stati gentilissimi e cortesi. Una cosa curiosa e che nessuno ci ha mai chiesto i documenti dell’auto o la patente di guida.
Arriviamo a San Carlos de Bariloche sul tardo pomeriggio. Bariloche è una città molto estesa. Il primo impatto con questa città e con la sua periferia degradata, baracche, baraccopoli varie, case malandate, strade polverose e sterrate. Il centro invece è un fiorente groviglio di strade, negozi e alberghi. E’ molto caotica e affollata per cui decidiamo di andare a cercare un albergo fuori città. Oltre tutto il parcheggio in città è tutto a pagamento e non è nemmeno troppo economico visti i loro standard.
Prendiamo così la strada lungo il lago che porta al Cerro Campanario e visioniamo un po’ di grandi alberghi ma vorremmo trovare qualcosa tipo un B&B o un’hosteria, un posto senza troppa confusione. Così ci imbattiamo con l’Hosteria del Cuore. Siamo un po’ dubbiosi se entrare o meno, sembra un posto un po’ troppo caratteristico e lussuoso per il nostro portafoglio e invece ce lo possiamo permettere. La proprietaria, è una signora romana che da anni vive in Argentina. Ci mostra la nostra camera e ci racconta qualcosa sulla città. E’ strano come in questi giorni abbiamo sempre parlato con lei, dell’Italia, dell’Argentina e alla fine siamo andati via senza conoscere il suo nome. L’Hosteria è veramente adorabile, caratteristica, pulita e ben tenuta. La nostra camera è bellissima, la zona, anche se vicina alla strada principale, è molto tranquilla, ottima scelta anche questa!
Sistemata la nostra roba andiamo in città. San Carlos de Bariloche è una cittadina turistica molto prestigiosa, lo si vede dal target dei suoi ristoranti, dei suoi alberghi e dagli innumerevoli negozi. Vanta la fortuna di poter avere non solo una stagione turistica estiva piuttosto varia ma anche una stagione invernale per via delle innumerevoli piste presenti nella zona. Sebbene le sue piste di sci invernali non siano le più belle del Sud America, la mondanità di Bariloche attira moltissimi turisti che non vogliono praticare solo sci, ma rilassarsi nelle innumerevoli case da tè o ciccolaterie, attardarsi nei ristoranti e magari fare le ore piccole in una delle tante discoteche... insomma diciamolo, la Cortina d’Ampezzo argentina.
Per i turisti estivi ci sono molte alternative, dagli innumerevoli trekking per chi ama cimentarsi in questo sport, alle brevi passeggiatine alla portata di tutti, salite sui monti in seggiovia che qui chiamano aerosilla, e tanto sole e tanta acqua in riva ai laghi, tra cui il lago Nahuel Huapi che da anche il nome al parco nazionale presente nella zona. Le acque dei laghi, sebbene siano laghi alpini in estate presentano una temperatura tale per cui è possibile fare il bagno.
Noi siamo qui per fare trekking così andiamo alla sede del CAI locale per avere qualche informazioni sui sentieri e poi ci diamo anche noi allo shopping in attesa che arrivi l’ora di cena. Questa sera siamo intenzionati a mangiare la trota patagonica così scegliamo un locale (La parilla de Julian) che ha questo piatto nel suo menù e proseguiamo la serata visitando uno dei tanti negozi di cioccolato presenti in città. Mamma mia che negozio, da far crepare d’invidia le migliori cioccolaterie in Italia!
Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar - 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Sabato 11 febbraio 2006 – Rifugio Lopez (S.C. di Bariloche)
Sveglia presto, colazione e poi via verso la nostra meta della giornata, il rifugio Lopez. Dal centro di S. C. de Bariloche si costeggia verso ovest il Lago Nahuel Huapi, poco oltre la teleferica per il Cerro Campanario si svolta e si attraversa il Lago Moreno che poi si costeggia. Nei pressi di una netta curva verso destra appare l’indicazione verso sinistra per il Rifugio Lopez che però trascuriamo per parcheggiare poche centinaia di metri a destra nei pressi del rio Lopez dove parte il sentiero (pannello indicatore in legno). Lasciamo quindi la macchina, tutta da sola.
Il sentiero, quasi sempre nel bosco, sale ripidissimo costeggiando l’incassato corso d’acqua fino a raggiungere la pista (sterrata) di servizio del rifugio che termina a 15-20 minuti di percorso dal rifugio. Ogni tanto il sentiero esce dal folto del bosco e offre panorami mozzafiato sul lago Moreno e sulle montagne intorno.
La giornata è molto calda e non c’è nemmeno un filettino di vento fresco che ci sarebbe stato proprio bene. In certi punti il sentiero è proprio assolato e mi sembra quasi di sciogliere al sole. Il terreno è molto sabbioso e camminando si solleva un bel polverone.
Ad un certo punto il sentiero incontra una pista forestale, come detto, e si prosegue su questa per un pezzetto per poi tornare su un sentiero che conduce al rifuglio. Siamo quasi arrivati al rifugio che veniamo superati da un mezzo 4x4 con a bordo alcune persone. Se uno non ha voglia di camminare può pagare questo servizio offerto dal rifugio che ti scorazza fino alla fine dei questa strada in fuoristrada, così da fare a piedi ne rimane proprio poco. Beh… visto che fino ad esso abbiamo mantenuto la prima posizione assoluta e ci dà parecchio fastidio che questi scendano qua tutti belli riposati e se ne arrivino per prima su al rifugio acceleriamo il passo. Non dobbiamo nemmeno accelerare molto perché la mia velocità da lumaca morta, come la chiama Marco, è molto al di sopra della velocità delle tre persone che sono arrivate. Così arriviamo al rifugio per primi. Mi sistemo su un bel sasso di fronte al rifugio mentre Marco decide di proseguire per raggiungere la vetta del Cerro Lopez.
Piano piano iniziano ad arrivare anche altre persone, alcune visibilmente stanche per aver percorso l’intero sentiero altre invece, nonostante siano stanche e stravolte si capisce chiaramente che hanno usufruito del passaggio in fuoristrada. Personalmente mi danno sempre un po’ fastidio queste cose, perché alla fine non è chi ne ha bisogno ad usufruirne ma i pigracci e i pigracci per quel che mi riguarda possono anche starsene a casa.
Un gruppetto di tre persone tra cui una bimbetta di circa 6 anni si incamminano anche loro in direzione del Cerro Lopez. Marco scendendo li incontra e io con il binocolo ho modo di osservarli trafficare in mezzo a rocce e neve. Dopo aver ben bene rischiato di scivolare e tentennato sul da farsi riprendono la strada della discesa, ma è mai possibile che la gente debba sempre cacciarsi in certe situazioni. Se una cosa la sai fare la fai ma se non la sai fare non ci porti una bimbetta con il rischio che oltre a farti male tu se ne faccia anche lei! Gli incoscienti ci sono ovunque!
Nel pomeriggio rientriamo e dopo una bella doccia e sistemati all’Hosteria del Cuore andiamo in città. Devo andare a cambiare il cinturino del mio orologio che si è rotto. Marco è molto divertito perché vuole proprio vedere come faccio a farmi capire dall’orologiaio. Trovo un negozietto in un vicolo piccolo piccolo pieno zeppo di orologi, anche a cucù. Dentro una coppia di anziani serve i clienti. Alla facciaccia di Marco riesco a farmi capire bene e la signora inizia a tirare fuori scatole e scatole di cinturini per trovare quello della misura del mio orologio. Trovata la misura io ne scelgo uno bordeaux, lo prende e con fare dispiaciuto mi fa presente che quello li, rispetto agli altri che mi mostrava, costava un po’ di più. Le chiedo il prezzo e lei, sempre con fare dispiaciuto, mi dice che costa 8 pesos. Aggiudicato! Se penso che l’ultima volta che l’ho cambiato in Italia ne ho spesi 10 di euro, ci sarebbe da prenderne qualcuno di scorta!
Per cena volevamo andare a mangiare la parrilla, ma visto che qui il fuso orario per la cena non è sincronizzato con il nostro ripieghiamo su un ristorante che fa pasta e pizza (Como pizza e pasta – 31$). Ovviamente ci siamo solo noi. Ci scegliamo un bel tavolo davanti alla vetrata e ordiniamo la nostra pizza. Non riusciamo a capire un ingrediente della pizza che vorremmo scegliere. La cameriera tenta invano di farcelo capire, sul nostro vocabolario tascabile non lo troviamo; alla fine va in cucina e ce lo porta a vedere: basilico. Ah, ora capiamo perché continuava ad insistere con il pomodoro e la salsa.
Sono da poco passate le otto, in tutto il resto del nostro viaggio non abbiamo avuto problemi di sorta con questo orario, i locali a quest’ora brulicavano di persone, qui quelli già aperti sono deserti.
Quando siamo entrati nel locali c’era un sottofondo musicale inglese ma dopo poco ecco qua la voce della Pausini, non è che mi esalti molto ma ci siamo ascoltati tutto l’album mentre cenavamo. Siamo quasi alla fine del dolce quando la proprietaria viene a farci vedere la luna che sta sorgendo dalle acque del lago Nahuel Huapi e in tutto il suo splendore riflette la luce sulle acque del lago. Un bello spettacolo. Lasciamo comunque il locale che è ancora deserto. Boh, ma questi a che ora fanno cena!? In compenso le vie del centro sono affollate di turisti e piene di vita.
Più tardi, mentre torniamo in albergo, passiamo davanti al locale dove abbiamo cenato, è pieno di gente. Guardo l’orologio e sono le 11 passate, ma gli pare l’ora di cenare!
Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar - 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Domenica 12 febbraio 2006 - lago Schmoll, lago Tonchek e rifugio Frey (S.C. de Bariloche)
Facciamo colazione con calma intanto il giro che vogliamo fare questa mattina è subordinato all’apertura delle seggiovie. Così poco prima delle 10 siamo in coda davanti alla biglietteria delle funivie di Villa Cathedral, dobbiamo anche compilare un apposito registro dove sono da registrarsi tutti coloro che intendono percorrere questi sentieri.
In quest’area ci sono tantissimi impianti di risalita, ma ad eccezione di quello che stiamo per prendere noi, gli altri sono aperti solo nella stagione invernale. Si tratta, infatti, di un complesso sciistico molto frequentato in inverno data anche la sua ravvicinata distanza a Bariloche (20 km).
Prendiamo prima una cabinovia e poi una seggiovia che ci lascia poco sotto il Rifugio Lynch (costo cabinovia e seggiovia 24$ (solo andata).
Prima di percorrere il sentiero che abbiamo scelto è importanza recarsi presso il locale ufficio del CAI per verificare l’innevamento e lo stato del sentiero. Effettivamente è un bel sentiero ma con la neve potrebbe diventare un tantino impegnativo e non alla portata di tutti.
Il sentiero è spettacolare, offre delle viste spettacolari sui valloni e sulle montagne. Inizialmente procede in direzione sud-ovest prima attraversando le brulle creste di queste montagne che fanno parte della catena del Cerro Cathedral. Le viste sulla sottostante valle dell’Arroyo Rucaco sono molto belle. In lontananza si possono ammirare i ghiacciai del monte Tronador che andremo a vedere domani. Il sentiero si tiene sempre leggermente al di sotto della cresta, passando sotto all’imponente Cerro Cathedral. Passa in mezzo a pietraie e talvolta occorre usare entrambe le mani per spostarsi visto che il sentiero è per così dire scavato nella roccia. Comunque è uno dei più bei sentieri che abbiamo percorso in Argentina.
Arriviamo sul colle della Roca Inclinada da dove comincia la discesa e da dove vediamo per la prima volta l’immenso vallone da cui dovremo discendere. Attraversiamo un leggero nevaio per scendere al bellissimo lago Schmoll, contornato dalle rocce e dalle montagne. Un breve sosta con annesso bagno dei piedini nelle acque del lago. Per essere un lago alpino la sua acqua non è per niente fredda, è perfino piacevole stare a mollo con l’acqua fino alle caviglie, ci sono addirittura delle persone in costume che nuotano nelle sue acque.
Riprendiamo la discesa passando dinnanzi al lago Tonchek per arrivare al rifugio Frey. La vista del Torre Piramidal che domina il vallone è stupenda. Ci sono parecchie tende lungo il lago e parecchia gente che si rilassa con un bagno nel lago, oltre ad a qualche paperotto che si gode il sole. Posto veramente strepitoso!
Dal Rifugio Frey al parcheggio dove abbiamo lasciato la macchina ci separano 12 km. Mi viene male a pensarci, è tutto il giorno che cammino e non ho ancora finito. Così visto che non è nemmeno tanto presto ci incamminiamo lungo il sentiero di discesa. Il sentiero consente la vista di un altro vallone, poi si addentra nel bosco per poi attraversare una zona, a mezza costa, da cui si può ammirare il lago Gutierez. Molto strana come vegetazione, questa zona, sembrano canne di bambù. Il sentiero dal Rifugio fino alla macchina è stato proprio lungo.Sono più che convinta che chi ha disegnato questo sentiero ce l’aveva con i trekker. E’ un continuo sali scendi e non arrivi mai.
Arriviamo alla nostra macchina che sono da poco passate le 19 per cui questa sera possiamo andare a mangiare la parrilla tranquillamente, non dovremmo avere problemi con l’orario di apertura dei ristoranti.
Più tardi lasciamo l’hosteria del Cuore non prima di aver chiacchierato un po’ con il marito della proprietaria, un argentino che parla un italiano perfetto. Così entriamo nel ristorante (La Parrilla de Julian) che sono passate da un pezzo le nove. Nel locale ci sono solo pochi tavoli occupati, ci accomodiamo e ordiniamo la parrilla. E’ un po’ meno coreografica rispetto a quella di Ushuaia, ma lo chef è lo stesso davanti alla sua griglia che seleziona i pezzi da cuocere secondo i menù ordinati dal cliente. Noi abbiamo scelto una parrilla solo a base di carne, la loro ricetta ‘completa’ prevede anche le interiora e vari altri pezzettini che non mi ispirano affatto. Man mano che i diversi tipi di carne che compongono il piatto sono pronti il cuoco ce li porta direttamente al tavolo e li sistema su un tagliere di legno. Inizia ad uscirci già dalle orecchie quando finalmente ci annuncia che quello è l’ultimo pezzo. E con sollievo che tentiamo di finire anche quest’ultimo pezzo quanto il cuoco se ne arriva con un pezzetto nuovo dicendoci che c’era ancora questo. Ci chiede se vogliamo fare il bis di qualche pezzo ma siamo più che sazi. Ma nonostante questo… zot… che ci rifila un altro pezzetto. Usciamo dal ristorante con la pancia letteralmente in mano… abbiamo mangiato troppo. Facciamo due passi per la città e lungo le rive del lago per vedere di smaltire tutta questa mangiata.
Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar - 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Lunedì 13 febbraio 2006 – Monte Tronador (S.C. di Bariloche)
A colazione Marco mi racconta che ha sognato tutta la notte il cuoco di ieri sera che continuava a portagli carne da mangiare... un incubo. Mi confessa che per un po’ non vuol sentir parlare di carne, qualsiasi cosa ma non carne. Ah ah ah ha…
Oggi andiamo a visitare una zona del parque nacional Nahuel Huapi: la zona che circonda il monte Tronador dove alla base di questo imponente monte (m 3554) si erge il Ventisquero negro, ossia il ghiacciaio nero. L’ingresso al parco costa 12$.
In auto oltrepassiamo passa la zona di Pampa Linda, dove c’è una casetta del parco e proseguiamo fino alla fine della strada per arrivare così all’area alla base del monte Tronador (m 3554). Per arrivare qui si percorrere una lunga strada sterrata che per un bel pezzo fiancheggia il lago Mascardi. Questa strada è a corsia unica pertanto sono stabili degli orari in cui si può salire e degli orari in cui si può scendere, questo perché la strada in alcuni punti è proprio stretta.
Un lago di origine glaciale scaturisce dal Ventisquero negro, nelle sue acque nere ci vedono piccoli iceberg galleggiare. Come dice il nome è proprio un ghiacciaio nero, le sue acque sono decisamente scure.
Arrivati a destinazione lasciamo l’auto nei pressi del rifugio e ci incamminiamo verso un sentiero che abbiamo trovato descritto non so dove visto che tornata a casa non sono più riuscita a recuperare i riferimenti di questo percorso. Dobbiamo attraversare il fiume e il letto dello stesso si è molto ampliato e spostato tant'è che l’inizio del sentiero è sommerso dall'acqua, per riuscire a passare siamo costretti a fare gli equilibristi su ampi tronchi caduti. Il sentiero sale, quindi alla destra orografica del fiume, e sale abbastanza ripidamente; di tanto in tanto ci sono enormi tronchi da scavalcare o raggirare. Il panorama che si gode dalla sommità è molto bello ma nulla di chè. Si vede il ghiacciaio e la cascata presente in fondo al vallone.
A differenza di altri posti qui ci sono un sacco di mosche fastidiosissime, così riprendiamo la strada della discesa e andiamo a mangiare sulle panchine nei pressi del rifugio all’ombra degli alberi.
Nel pomeriggio riprendiamo la strada del ritorno facendo qualche sosta qua e la per qualche bella foto della zona e per osservare con calma il paesaggio.
Torniamo a cena nel medesimo ristorante dove abbiamo preso la pizza due sere fa. Ovviamente ci siamo di nuovo solo noi due e questa volta ci fanno ascoltare l’album di Ramazzotti. Quando siamo entrati la musica era diversa ma poco dopo, voilà un po’ di musica nostrana. Apprezziamo il loro gesto. Questa sera ordiniamo la pasta, Marco delle penne io dei ravioli. Buonissimi, non hanno nulla da invidiare a quelli di casa nostra. In ogni caso il cuoco viene a salutarci quando paghiamo il conto e vuole sapere com’era la sua pasta, e ci regalano anche qualche cartolina della zona.
Peccato che domani ce ne andiamo, avevamo trovato dei nuovi amici.
Pernottamento: Hosteria del Cuore – Avda. Bustillo 4788 – S.C. de Bariloche – Tel (09244) 443566 – del cuore@bariloche.com.ar - 100$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Martedì 14 febbraio 2006 - Esquel
Oggi è san Valentino e nemmeno ci avevamo pensato. Quando si è in vacanza il calendario non ha importanza. Da fare e da vedere nella zona ce ne sarebbe ancora tanto, si potrebbe percorrere la strada dei sette laghi fino alla città di San Martin de los Andes ma il tempo a nostra disposizione comincia a scarseggiare e quindi bisogna prendere la via del ritorno.
E’ doveroso, prima di lasciare la città, fare un’ultima visita al carino centro di Bariloche con i suoi edifici in legno e in pietra. Ci sono alcuni cani San Bernardo sparpagliati per la piazza, non a caso ma da furbi proprietari che consentono di fare qualche suggestivo scatto con i cani sullo sfondo della piazza in cambio, ovviamente, di soldi.
Ci fermiamo per il pranzo a El Bolson e per valutare se fermarci ancora un giorno, vorremmo percorrere ancora un sentiero da queste parti, ma dopo essere stati al locale ufficio del CAI che ci informa che da anni nessuno traccia più il sentiero che avevamo scelto riprendiamo l’auto e ci dirigiamo verso Esquel. C’erano altre possibilità e altri sentieri, ma cominciamo a sentire il peso della stanchezza di questo viaggio per cui vorremmo percorrere un sentiero non troppo lungo, non abbiamo più voglia di fare scarpinate da 20 km ma nemmeno passeggiatine di un’oretta. Ma la via di mezzo sembra non esserci. In questi ultimi giorni ha fatto anche tanto caldo, la gentile proprietaria dell’Hosteria del Cuore ci aveva detto che quest’anno era un annata particolarmente calda e noi stiamo incominciando a sentire nostalgia del nostro freddo invernale.
Ci spostiamo così ad Esquel, cittadina che è stata fondata agli inizi del XX secolo ed è ora il principale centro commerciale e mercato di bestiame della regione del Chubut. Di fatto è un posto tranquillo che può essere usato come base per visitare il non lontano parco nazionale Los Alerces. Una curiosità, il nome della città deriva da un termine indigeno che significa ‘palude’ o ‘luogo di cardi’ Quest’ultimo nome lo trovo piuttosto divertente!
Per pernottare troviamo una struttura simile ad un motel, così prenotiamo una camera qui, poi andiamo in centro al paese a fare un giro. Non è che sia un granchè. Ci sono dei viali alberati con degli enormi alerci. Passiamo all’ufficio informazioni per vedere quelle che sono le possibilità della zona. Arrivando abbiamo adocchiato una montagna che sovrasta la città con una croce in punta, chiediamo notizie all’ufficio informazioni. Beh…non capiamo bene le ragioni ma questa signora ci fa intendere che anche se esiste una strada che ci va fino in punta e che da lassù si gode una bella vista non pubblicizzano il posto così la gente non ci va.
Tentiamo invano di trovare la strada che sale a questo monte ma girare tra le vie dissestate della parte più trasandata di Esquel non è facile. Le strade sono brutte, la gente è per strada, bimbi e cani che tagliano improvvisamente la strada, cianfrusaglie e rottami sparsi qua e là. Dopo un po’ di tentativi lasciamo stare, se non vogliono che ci andiamo non ci andiamo, ma che modo strano di fare!
Esquel è anche la stazione di partenza del famoso treno Tonquita, che non sono riuscita a vedere. La strada costeggia la ferrovia ma non mi è mai capitato di incontrare il treno in movimento. La Tonquita è un treno a vapore che viaggiava alla fantastica velocità dei 30 all’ora portando i passeggeri da Esquel a El Maiten. Oggi lo si può prendere come attrazione turistica sempre ad Esquel per arrivare a Nahuel Pan e fare ritorno in bus. C’è comunque ancora un servizio passeggero tra Esquel ed El Maiten che ci impiega la bellezza di nove ore.
La scelta del tipo di camera si è rilevata vincente e il posto è piuttosto tranquillo. La nostra macchina è polverosa da far schifo così approfittiamo di questo enorme cortile per dare una ripulitine ai vetri e spazzolare i nostri scarponi, sono talmente polverosi che non si riesce a capire qual era il loro colore originale. Ad un certo punto vediamo la proprietaria del motel venirci incontro e visto che tra una cosa e l’altra abbiamo fatto un bel pasticcetto nel cortile con l’acqua temiamo che stia venendo a farci il tombino, così io me la filo e lascio Marco li fuori ad affrontare le ire della signora. Ma lei è venuta semplicemente per indicarci una gomma attaccata ad un rubinetto che se volevamo potevamo usare per lavare la macchina. Ci mancherebbe, non laviamo nemmeno le nostre di auto a casa figurati quelle a noleggio.
Per cena andiamo in una pizzeria (Don Pipo – 18,50$) in centro, anche qui ci sono problemi di fuso orario così alle 8 siamo i soli a cenare nel locale ma non ho nessuna voglia di aspettare. Dopo cena passeggiamo per il paese dove i negozi sono ancora aperti, l’orario di chiusura segna le 22. Non è malaccio quest’idea di chiudere più tardi consente di fare shopping anche dopo cena. Mi chiedo se è un’abitudine riservata ai luoghi turistici o è un’abitudine dell’Argentina. In ogni caso non sono tutti aperti, molto probabilmente ognuno fa, giustamente, come gli pare.
Pernottamento: Hostal la Hoya – Av. Ameghino y Libertat – Esquel – tel (02945) 451697 – 110$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Mercoledì 15 febbraio 2006 – Puerto Madryn
Saliamo in macchina consapevoli del lungo viaggio che ci aspetta, ovviamente non essendo trascorso molto tempo da quando siamo passati di qui grosse novità non ce ne sono, avremmo potuto rientrare a Buenos Aires con un volo da Bariloche ma non siamo riusciti a far quadrare le date e l’itinerario.
Arriviamo a Puerto Madryn nel pomeriggio. Si tratta di una città sulla costa presa d’assalto dai turisti durante questo periodo dell’anno. Le sue vie principali brulicano di ristoranti, negozi e locali. La spiaggia è piena di persone, c’è il vento ma in questa zona è caldo.
Puerto Madryn ha comunque una posizione favorevole situata in una insenatura del Golfo Nuevo. Fu fondata da coloni gallesi nel 1886, si vede che non a tutti era piaciuta Gaiman. Ah ah! .Puerto Madryn è il secondo porto del paese per quanto riguarda la pesca ed è anche sede della prima fonderia di alluminio Argentina. Gli stabilimenti ci sono e si vedono bene, non sono di certo a basso impatto ambientale.
Scegliamo un albergo su una via laterale non lontano dal centro dotato di parcheggio perché a Puerto Madryn il parcheggio è tutto a pagamento, e non solo in prossimità del centro.
Mi sembra un po’ di essere tornata bambina quando con i miei si andava al mare per le vacanze estive. Ci sono tante famiglie con i bambini che affollano il lungo mare o lungo oceano, chissà come si chiama. Ci sono dei parchi giochi e uno di quei materassi elastici che piacciono tanto ai pargoletti. La spiaggia è affollata, il mare, per via del vento, è un tantino mosso, ma Puerto Madryin ha proprio l’aria della cittadina di mare presa d’assalto dai vacanzieri da spiaggia. Un classico paese turistico di mare, come ce ne sono tanti da noi.
La città comunque è grande sulla via lungo il mare ci sono certe case e certe ville di un lusso impressionante, per non parlare di certi alberghi.
Tra le altre cose fatte oggi abbiamo anche comperato del mate. Siamo andati al supermercato dove, un’intera corsia era dedicata a quest’erba, quale scegliere? Aromatizzate, normali, ce n’era per tutti i gusti e tutte le forme: sfuso e in bustina. Insomma che scelgo io che l’ho assaggiato giusto una volta e ora ne volevo un po’ da portare a casa da distribuire agli amici e parenti. Una scelta casuale non mi pare buona, quello con la carta più colorata nemmeno… la scelta va per le lunghe e Marco si impazientisce; ad un certo punto una signora arriva, ne arraffa tre confezioni di un tipo e le mette nel carrello! Benissimo… operiamo la stessa scelta, se ne prende tre pacchi tanto schifoso non dovrà essere. Detto fatto.
E’ chiamato Mate l'infusione che si prepara con le foglie di quest’erba Mate, originaria del Sud America. Il procedimento è simile a quello del comune tè: l’erba Mate viene essiccata, tagliata e sminuzzata. Gli Argentini e coloro che vogliono rispettare la tradizione, come il nostro amico Luca devono questa infusione calda utilizzando una cannuccia di metallo denominata bombilla. L’erba viene messa in un piccolo recipiente chiamato mate e sopra ci viene versata l’acqua calda.
Questa tradizione in uso presso gli indios è stata appresa e fatta propria dai colonizzatori spagnoli e portoghesi. In seguito fu adottata come bibita tradizionale dei gaucho in molte aree del Sud America, quali Argentina, Paraguay, Uruguay e lungo tutta la cordigliera delle Ande.
In Argentina bere il mate è un rito quotidiano ed è molto comune vedere in giro gente con il mate che succhiano dalla bombilla. Un po’ una mania dico io, ma di quelle manie che non danno fastidio a nessuno e mantengono vivo il folclore e le tradizioni di un popolo.
Personalmente non mi esalta, un po’ amaretto per i miei gusti. Io però non ho provato la versione più folcloristica della cosa ma quella che loro definiscono ‘Mate cocido’, ossia funziona esattamente come il te, si fa l’infuso nella tazza con la bustina.
E dopo queste belle notizie sul mate torniamo a Puerto Madryn.
L’aria, per via del vento, è fresca così ci illudiamo di non dover soffrire di caldo sta notte Il nostro hotel non è dotato di aria condizionata e a dirla tutta non mi piace dormire con l’aria condizionata accesa ma la nostra camera, nonostante la finestra spalancata resta comunque piuttosto calda.
Pernottamento: hotel Carrera – marcos A. Zar 844 – Tel 802965) 450759 – www.hotelcarrera.com.ar - 120$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Giovedì 16 febbraio 2006 – Peninsula Valdes
Dopo una bella colazione ci mettiamo in macchina in direzione della peninsula Valdes. Posto stra descritto dalle guide. E’ famoso per il suo paesaggio e per le colonie di leoni ed elefanti marini che stazionano sulle sue coste e soprattutto, per le balene franche australi. Ma questa è un’altra storia perché le balene stazionano in queste acque nel mese di novembre per cui… o qualcuna si è sbagliata a leggere il calendario oppure noi non le vedremo. Oltre a questi animali si possono incontrare guanachi, nandù, altri uccelli marini e non raramente anche le orche.
La Peninsula Valdes sostengono sia una delle più belle riserve faunistiche dell’America del sud… esagerati…. Gran parte della superficie di questa riserva è proprietà di estancias che ci allevano le pecore, infatti oltre alla fauna sopra citata ci sono anche tante pecore!
L’ingresso alla penisola costa 35$. Poco dopo il gate c’è un centro informativo dove si possono reperire un po’ di informazioni sulla penisola, sulla fauna locale e dov’è conservato anche uno scheletro di balena. Oggettino leggermente ingombrante. C’è anche una torre dalla cui sommità si vede l’immensa distesa di questa penisola. Che dire? Il paesaggio è desolato, arido e secco e i colori sono tutte tonalità di giallo e marrone, che c’avranno poi da mangiare ste povere pecore, vedessero i verdi prati dei nostri alpeggi creperebbero di invidia.
Per prima cosa facciamo un salto a Puerto Piramides. Mi ricorda un paesetto di pescatori. Non c’è molta vita in giro, forse il grosso dei turisti staziona in paese in novembre, quando ci sono anche tutte le escursioni in barca per avvistare le balene. Infatti le gite in mare per l’avvistamento delle balene partono tutte dal molo di questo paesino.
La nostra prima tappa è punta Piramides vicino al paese. Qui c’è una colonia di leoni marini. Se ne stanno tutti beatamente a sonnecchiare al sole. Un maschio solitario fa un po’ di scena ma nessuno lo considera. Alcuni piccoli tentano di giocare con le loro mamme che stanche dormono al sole.
Ci spostiamo poi verso punta Delgada dove c’è un faro, ma è in una zona privata, è stato costruito un hotel per cui non si può entrare se non si usufruisce dell’hotel o del ristorante. C’è anche un'area pubblica ma in questo momento è chiusa a causa di smottamenti sul terreno.
Tappa successiva Punta Cantor. La strada costeggia la costa e il paesaggio è un po’ più vario. Il vento è molto forte se non si fa attenzione si porta via la portiera della nostra povera macchina. Qui possiamo ammirare nuovamente gli adorabili pinguini di Magellano. Non ce ne sono tanti come a Punta Tombo ma un numero sufficiente per profumare l’aria. Ovviamente perdiamo un sacco di tempo dietro ai pinguini. Sempre in quest’area ci sono anche gli elefanti marini. Imponenti. Sono stesi al sole e sembrano enormi. Non si vedono da vicino ma da un promontorio che sovrasta la spiaggia. Peccato. C’è anche una guardia della riserva e una piccola casupola con i dettagli degli avvistamenti. L’altro ieri era stata vista un’orca, oggi un bel niente. Scrutiamo un po’ il mare con il binocolo ma non siamo così fortunati.
Ultima tappa della giornata Punta Norte. E qui troviamo solo dei leoni marini. Potrebbero esserci anche degli elefanti ma oggi non si sono visti.
Per la cena scegliamo il ristorante di un hotel (Hotel Yanco Vale – 25$). A servire ai tavoli c’è anche un bambino di circa otto-dieci anni, un po’ rotondino ma molto volenteroso. Si affanna a destra e a sinistra a pulire tavoli, portare piatti, prendere ordinazioni. E’ uno spettacolo vederlo trafficare tant’è che prima di andare via gli lasciamo anche un po’ di mancia, in fondo se l’è meritata tutta.
Pernottamento: hotel Carrera – marcos A. Zar 844 – Tel 802965) 450759 – www.hotelcarrera.com.ar - 120$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Venerdì 17 febbraio 2006 – Puerto Madryn
Ormai la vacanza sta per finire... ci siamo presi una giornata di tregua per riposarci. Avremo potuto fare tante cose ma un giorno di relax a bighellonare in giro senza fretta ci vuole proprio.
Ci svegliamo con calma, prepariamo la nostra roba e ce ne andiamo in giro per Puerto Madryn. Prendiamo due panini per il pranzo che andiamo a mangiarceli nella zona di El Doradillo a nord di Puerto Madryn in direzione della Peninsula Valdes. E’ una zona di spiagge che si raggiunge percorrendo la ruta 42, una strada sterrata molto larga che costeggia la costa. E’ un'area municipale protetta e c’è anche un centro, con una torre, per avvistare le balene, ma è tutto chiuso. L’accesso a questa zona è gratuito, anche durante la stagione di avvistamento delle balene.
A El Doradillo non c’è molta gente, qualche tenda accampata qua e là e qualche persona sulla spiaggia. Oggi il vento è anche molto forte, forse per questo stazionare in spiaggia non è molto piacevole. C’è l’alta marea e il mare copre in parte le spiagge.
Nel pomeriggio andiamo a vedere una riserva naturale dove c’è una colonia di leoni marini: l’area naturale di Punta Loma. Si trova poco a sud di Puerto Madryn subito dopo una zona di alte dune sabbiose. L’ingresso costa 10$, ci sono due specie di balconate che consentono la visione degli animali. Dobbiamo però aspettare la bassa marea che liberi la spiaggia dall’acqua. Con lo scendere del livello del mare i leoni marini pian piano arrivano dal mare e vanno a guadagnarsi il loro posto al sole. In mare si vedono di tanto in tanto emergere i testini degli animali, ma il più delle volte ci accorgiamo dell’arrivo di un animale quando è quasi giunto in spiaggia.
Più tardi torniamo a Trelew e ne approfittiamo per prendere possesso della nostra camera e per gironzolare per la città. La camera che ci hanno riservato stavolta è migliore della precedente, aveva ragione Marco che ha voluto dargli fiducia e confermare la prenotazione. Ovviamente anche questa ha visto tempi migliori ma per lo meno è più decorosa e decente di quella della settimana scorsa.
Trelew benché conservi alcuni edifici storici oggi è soprattutto una importante centro commerciale. Nasce nel 1886 come nodo ferroviario e deve il suo nome a una fusione e storpiatura di due parole gallesi. Se non si era capito i gallesi in questa zona l’hanno fatta da padroni.
Visitiamo la parte centrale della città quindi la Plaza Indipendencia e le sue vie laterali e la famosa av. Fontana. Raggiungiamo Plaza del Centenario e ci portiamo fino al Parco ricreativo Laguna Cacique Chiquichiano. E’ carino il parco, ci sono le panchine colorate, la banchina sul lago, ma è completamente deserto. Sembra tutto relativamente recente, non capisco se non è ancora stato usato oppure se è stato costruito ma nessuno se lo fila e allora come spesso avviene in questo paese lasciano che le cose vadano alla deriva da sole. Ci sarebbe anche una specie di chiosco ma è chiuso, se fosse mai stato aperto o meno non si capisce. Qualche seggiola sparsa qua e la ma nulla di più che faccia pensare che un giorno aprirà.
Passiamo un po’ di tempo a rilassarci su una panchina. E’ un peccato che non ci siano nessuno. E’ un bel posto ed è anche parecchio tranquillo ed è soprattutto un angolo verde in questa arida zona.
La città è vivace, siamo in pieno carnevale ed è animata da gente in maschera. Un tratto della via principale (av. Fontana) è stata chiusa per consentire i festeggiamenti. Stanno allestendo un palco e più tardi la musica a tutto volume e la gente festosa riempirà la via.
Pernottamento: Cheltum Hotel – Avda. H. Yrigoyen 1385 – trelew – tel (02965)431066 – www.cheltumhotel.com.ar - 78$ (doppia con bagno in camera – B&B)
Sabato 18 febbraio 2006 - Trelew
Mi sveglio molto presto non perché non ho sonno o per via del caldo, ma perché quella della stanza di sopra ha deciso di telefonare stando alla finestra in modo tale che tutto l’isolato possa deliziare della sua conversazione. Accidenti ai telefonini! Non so che le sia preso, fatto sta che mi tocca di ascoltare tutte le molteplici telefonate alla ricerca di una stanza d’albergo per una signorina sola (mi colpisce questo suo modo di definirsi.. signorina e poi sola, chissà che cosa vuol far intendere) che abbia il televisore e che sia disponibile subito. Ieri sera l’abbiamo sentita litigare con qualcuno, magari è il fidanzato che l’ha scaricata e ci credo, sono le 5 del mattino e questa già rompe! La fortuna ogni tanto ci assiste e la tizia finalmente trova la camera, dopo un po’ sentiamo la porta sbattere e sappiamo che si può riprendere a dormire!
Non abbiamo più molto da dormire perché comunque alle 8 dobbiamo essere in aeroporto. Lasciamo l’auto e questa volta ci tocca di pagare un extra per i chilometri che abbiamo percorso in eccesso rispetto a quelli concordati ma nulla di più rispetto a quello che avevo preventivato. Tanto per curiosità ho controllato il libretto della macchina per scoprire che era stata immatricolata meno di 12 mesi prima. Mamma mia, a guardarla da fuori non si sarebbe certo detto. Tra bolli, ammaccature e righettine varie la carrozzeria sembra molto più vecchia. Oltre tutto la portiera del lato del guidatore ha un spiffero che sembra di andare in moto. Beh, ho un po’ esagerato ma lo spiffero c’è. Forse è stata forzata o chissà.
L’aeroporto di Trelew è piccino, e visto con la luce del sole è anche più accogliente. Un negozietto di souvenir, un bar e poco più, facciamo subito il check-in e paghiamo la tassa aeroportuale nell’apposito ufficio (6,05$).
Il volo fino a Buenos Aires è tranquillo. Da qui, per raggiungere Ezeiza decidiamo di prendere un auto remisis (Remises Universo – 64$). Avremmo potuto anche prendere un bus, ce ne sono che collegano i due aeroporti, ma la differenza di costo non è molto e l’auto è più comoda.
E così inizia la trafila del check-in, delle tasse aeroportuali (55,44$), controllo passaporti, imbarco, code e attese e adios Argentina, forse un giorno torneremo!
Una nota curiosa del volo aereo è che il personale all’andata era tutto maschile mentre ora, al rientro, sono tutte donne. Brutto da dirsi ma il popolo maschile se l’è cavata meglio. Più professionale. Insomma… a qualcuna di queste care hostess qualcuno dovrebbe spiegare che è poco professionale scorazzare per i corridoi dell’aereo, in fase di discesa canticchiando ‘”che bello si scende che bello si va giù” o servire i pasti alle persone dicendo alla collega di fronte “non vedo l’ora di andare a casa per farmi una doccia perché sono tutta sudata”. E che cavoli… un po’ di professionalità, siete pur sempre delle signore!
Domenica 19 febbraio 2006
E’ così è finito il nostro viaggio. Atterriamo a Torino imbiancata dalla neve. Eravamo partiti con la neve e torniamo con la neve, dopo il caldo degli ultimi giorni ci sembra quasi un sollievo mettere guanti e sciarpa. L’evento olimpico è al clou, la città è vestita a festa e per noi, che abbiamo lasciato una Torino sonnolenta con la lenta macchina dei giochi che si stava avviando, è quasi una sorpresa ritrovarla con il suo vestito migliore, allegra, brulicante di gente, di vita e di colori e la Patagonia con i sui colori con la sua gente ci sembra nostalgicamente così lontana.