Gli infiniti Perù - 2. L’idolo torna a casa

Un’espierienza memorabile, fra viaggio e archeologia

Dopo la presentazione dell'aspetto umano del Perù (vedi prima parte, dal titolo "Gli infiniti Perù - 1. La gente"), ha inizio il resoconto vero e proprio del viaggio. Anziché la consueta relazione giorno per giorno che caratterizza di norma i miei diari, ho ritenuto più adatta, visto le molteplici e spesso contrastanti facce che il Paese andino presenta, adottare un formula diversa: una serie di singoli "quadri" riferiti ad aree ben circoscritte, credo più "leggeri" e meglio fruibili dal lettore, ciascuno nella propria individualità. Ciò non toglie che, a racconto ultimato, si potrà ricostruire tramite le date il resoconto nella sua interezza.Lunedì 18 giugno 2007, tardo pomeriggio
Eccoci a Trujillo. Siamo giunti nella terza città del Perù dopo una tappa lunghissima che ci ha portato dai 3091 metri di Huaraz a uno scollinamento a quota 4000 fino a scendere praticamente a livello del mare.
Giornata tutt’altro che banale, come invece si poteva pensare per una tappa prevalentemente di trasferimento: paesaggi sempre grandiosi, con l’impegno ammirato e ininterrotto degli occhi che quasi fa dimenticare la scomodità di una strada in massima parte sterrata, polverosa, spesso sconnessa, non di rado a filo di dirupi da brivido.
Soprattutto, abbiamo nella memoria recente le tre memorabili giornate trascorse tra gli spettacolari scenari della Cordillera Blanca, della Cordillera Negra, della catena dello Huascaràn, ancora più godute grazie al supporto di Descio, un po’ guida turistica, un po’ profondo conoscitore delle antiche civiltà del suo Paese, un po’ appassionato studioso di spiritualità, un po’ curandero… insomma, un vero personaggio. Non lo dimenticheremo mai.
“Difficilmente, nel prosieguo del viaggio, troveremo un'altra guida che ci faccia compenetrare con altrettanta intensità le multiformi realtà peruviane che incontreremo”: così ci diciamo mentre effettuiamo un primo giro esplorativo della città, che ci piace subito.
“Buonasera, sono Yolanda - così suona una telefonata che ci raggiunge all'Hotel Conquistadores poco prima di cena - nei prossimi giorni sarò la vostra guida per Trujillo e dintorni. Ci vediamo domattina alle nove nell'atrio dell'albergo”.
L’impressione è ottima: poteva limitarsi a lasciare un messaggio alla reception o ad avvisare uno di noi, invece si è premurata di chiamare tutte e tre le nostre stanze comunicando anche il suo numero di cellulare.

Martedì 19 giugno 2007, mattino
Puntuale, Yolanda si presenta con un sorriso smagliante e un italiano quasi perfetto, risultato, come ci racconterà, del matrimonio con un nostro connazionale, napoletano per la precisione.
Meno di mezzora di auto divide Trujillo dallo straordinario sito archeologico della Huaca del Sol e Huaca de la Luna, tempo che Yolanda occupa dettagliando il programma di oggi e di domani. Se siamo d’accordo - ci comunica - c’è la possibilità di una modifica, dato che le previste rovine di Tùcume rivestono un interesse relativo, specie dopo avere visto le meraviglie che caratterizzeranno la mattinata odierna.
Spesso dietro variazioni di questo tipo si nasconde la visita di un mercatino o fabbrica o manifattura o laboratorio di artigianato, con immancabile percentuale sugli acquisti per la guida. Non è questo caso: sarà invece il preludio a un’esperienza davvero unica che marcherà un viaggio già prodigo di soddisfazioni.
Le cose stanno così: Yolanda ha in corso una collaborazione con la sovrintendenza archeologica della regione, in particolare con lo Staff di Règulo Franco Jordàn, scopritore e responsabile di El Brujo - Huaca Cao Viejo, un complesso di scavi ancora poco noto al di fuori dell’ambito nazionale. Tra i tanti reperti trovati nel sito, c’è un idolo in legno risalente a circa 1700 anni fa, del quale è stato appena ultimato il lavoro di restauro nel Museo di Chan Chan; si tratterebbe ora di riportarlo sul luogo di ritrovamento, dove è destinato a un posto di rilievo nel costruendo museo: visto che domani ci recheremo proprio da Trujillo a El Brujo, saremmo disposti a “dargli un passaggio” sul nostro pullmino, magari stringendoci un po’ per fargli posto?
Naturalmente aderiamo con entusiasmo: in certa misura, si tratta di avere un contatto quanto mai diretto con un pezzetto della storia del Perù, uno di quegli episodi da raccontare, con una punta di orgoglio, agli amici!
La mattinata trascorre nel complesso archeologico della Huaca del Sol e della Luna, situato a una decina di chilometri da Trujillo, uno dei siti più importanti della cultura Moche (o Mochica), fiorente fra il 100 a.C. e il 750 d.C.
Chiariamo subito che il termine “huaca” definisce - oltre che un luogo dotato di potere magico - un complesso a struttura piramidale su più livelli sovrapposti, che può richiamare le “mastaba” a gradoni dell’antico Egitto che costituirono la prima, e più rudimentale, forma di piramide. Le successive dinastie Moche edificavano, di solito, una piattaforma sovrapposta a quelle sottostanti.
La scoperta del sito è relativamente recente, risalendo al 1987, quando il ritrovamento della ricchissima tomba del Signore di Sipàn diede il via a una vasta campagna di scavi in tutta la regione. Per quanto riguarda la Huaca del Sol, purtroppo si arrivò tardi, dopo che nel corso del XVII secolo i tombaroli (huaqueros) avevano depredato l’enorme edificio. Ciò che rimane oggi (non visitabile) è circa un terzo dell’originale: si reputa che, con le dimensioni di metri 345x160 su un’altezza di 30, sia il maggiore manufatto in “adobe” (mattoni di argilla mista a paglia essiccati al sole) mai eretto al mondo, con l’impiego di circa 140 milioni di mattoni.
Assai più ben conservata è la Huaca della Luna, un’area di metri 290x210 che è al centro di un progetto archeologico volto a portare alla luce il più possibile di quanto ancora giace nel sottosuolo. Insieme con la Huaca del Sol, costituiva un’area urbana della civiltà Moche composta di differenti corpi con funzione residenziale, amministrativa e religiosa.
La Huaca della Luna consta di tre piattaforme e quattro “piazze” circondate da mura in adobe. Come in un sistema di scatole sovrapposte via via sempre più grandi, e seguendo una sorta di calendario cerimoniale, una nuova elevazione si sovrapponeva a quella immediatamente inferiore sotto forma di piattaforma ogni volta più ampia e più alta.
La visita avviene lungo un percorso nel quale sono attivi diversi cantieri di scavo. Ogni spazio del tempio era deputato a rituali ben precisi, quali gli atti di culto, purificazione o le offerte alle divinità, né mancavano i sacrifici umani, come testimoniato dal reperimento di numerosi scheletri di giovani fra i 14 e i 35 anni.
Il primo dei due siti più significativi è l’altare principale con l’area del sacrificio, ma la massima espressione dell’arte decorativa Moche si può ammirare nella policroma facciata nord del tempio. Su una larghezza di 75 metri e un’altezza di 22 si sviluppa un’enigmatica iconografia su sette fasce sovrapposte: dal basso verso l’alto si susseguono una parata di guerrieri vittoriosi, un corteo di offerenti, un ragno che impugna una testa umana, una creatura acquatica che rappresenta un cacciatore di leoni marini, un essere mitologico metà felino e metà rettile, un serpente che simboleggia l’acqua del fiume (e di conseguenza la fertilità) e, sulla fascia più alta, il Dio delle Montagne - a cui la Huaca della Luna è consacrata - che brandisce in una mano un coltello e nell’altra una testa umana mozzata.
La facciata non è purtroppo avvicinabile a meno di una ventina di metri per i restauri tuttora in corso e la delicatezza dei decori, ma ciò non sminuisce la sensazione di trovarsi al cospetto di una realizzazione straordinaria.
Meno di mezzora ci divide dal ritorno a Trujillo, dove si impone, a ideale completamento di quanto visto “sul campo”, la visita del Museo de Arqueologìa, Antropologìa e Historia: ubicato nella Casa Risco, un bell’edificio coloniale del XVIII secolo, è costituito da sette sale che ospitano reperti delle varie culture susseguitesi sulla costa settentrionale del Perù, quali la Moche, la Chimù, la Cupinisque, la Chavìn.
Prolunghiamo piacevolmente la visita della città, che si conferma molto attraente e vivace: strade ordinate sulle quali si affacciano belle dimore coloniali dai muri a tinte pastello, balconi in legno finemente intagliati, cortili eleganti, raffinate finestre in ferro battuto. Fra le molte, sono di particolare pregio Casa Urquiaga, con testimonianze del soggiorno di Simon Bolìvar nel 1820, e il fastoso Palacio Iturregui, del quale è consentito l’accesso solo al primo cortile in quanto sede dell’esclusivo Club Central.
La Plaza de Armas, più che una piazza, dà la sensazione di uno splendido salotto: la pavimentazione pulita e lustra al limite del lezioso, l’imponente Monumento a la Libertad che ne domina il centro, la caratteristica cattedrale gialla con due campanili simmetrici, la sfilata di preziosi palazzi coloniali che occupano i quattro lati fanno di questo spazio un autentico gioiello urbanistico.
Uno spuntino nell’animatissimo mercato coperto di Trujillo, ed eccoci in partenza per un altro luogo di immensa suggestione: Chan Chan, realizzazione del periodo del massimo fulgore (circa 800 d.C.) del regno di Chimù (o Chimor).
Il sito era vastissimo (non meno di 28 kmq.), ospitando 200.000 abitanti suddivisi in un centro amministrativo, un’area abitata da commercianti e artigiani, oltre a una decina di complessi di cui ciascuno era residenza di un re e del proprio sèguito.
E’ opportuno iniziare la visita dal Museo, per avere uno sguardo complessivo di una regione della quale solo una piccola parte è venuta alla luce: particolarmente istruttivi sono alcuni plastici dettagliati che rendono l’idea della vastità di Chan Chan, considerata la più grande città precolombiana d’America e la più grande al mondo eretta con mattoni di fango.
Il solo complesso attualmente aperto alla visita è la Ciudadela Tschudi, dal nome dell’archeologo svizzero che qui intraprese gli scavi nel 1890. Varcato un muro difensivo spesso quattro metri, ci si trova nel cortile cerimoniale, le cui mura interne sono decorate da disegni geometrici in buona parte restaurati: lungo l’intero perimetro sono raffigurate lontre stilizzate sormontate da linee che simboleggiano delle onde. Passando al muro esterno, i fregi rappresentano file sovrapposte di pesci e uccelli acquatici, mentre la complicata sezione definita sala delle udienze presenta muretti traforati in forma di infinite losanghe che simboleggiano reti da pesca: tutti questi motivi fanno ben comprendere quanto il mare costituisse per i Chimu una fonte primaria di sostentamento.
Dopo un secondo, più piccolo, cortile cerimoniale, si incontra una depressione rettangolare che aveva funzione di rifornimento idrico, e dopo questa una serie di cellette, destinate ad abitazione dei soldati o forse depositi di approvvigionamenti.
L’ultimo settore che si visita è la cosiddetta sala delle assemblee (oggi scoperta, come tutti gli ambienti del sito di Tschudi), caratterizzata da un’eccellente acustica.

Rientriamo in Trujillo poco dopo le 17, il che ci consente il piacere di girare per un paio d’ore “perdendoci” fra strade, negozietti, bancarelle, angoli caratteristici di questa bella città. Giunta l’ora di cena, ci orientiamo, come ieri sera, su “El Mochica” in Calle Bolìvar, che si conferma meritevole di raccomandazione: non a caso, è citato in tutte e tre le guide in nostro possesso, Lonely Planet, Routard e TCI. Il ceviche (pesce crudo fatto marinare nel limone), il fritto di mare, il filetto di corvina in salsa di gamberi sono abbondanti e squisiti. Includendo i contorni, il “pan con ajo” (tipo la nostra bruschetta) le bevande (vino cileno e birra), spendiamo intorno ai 35 soles a testa (circa 8 euro).

Mercoledì 20 giugno 2007
E’ la grande giornata: l’idolo sta per tornare a casa e saremo noi a portarcelo!
Puntualissima, Yolanda è ad attenderci alle 8 nell’atrio dell’albergo. Tutta la logistica del “trasporto eccezionale” è stata messa a punto, con in più la possibilità, nel frattempo, di una puntata in una località decisamente singolare.
Si tratta di Huanchaco, un villaggio di pescatori a una dozzina di km. a nord di Trujillo non ancora fagocitato dal grosso turismo: in particolare, è il solo luogo (insieme con il lago Titicaca) in cui sopravviva la costruzione e l’utilizzo dei cosiddetti “caballitos de totora”, imbarcazioni fatte di un tipo di giunco (la totora appunto, o tifa palustre) sulle quali i pescatori prendono il mare a cavalcioni. E’ un luogo in cui si indovinano ritmi tranquilli d’altri tempi, che fa venire voglia di fermarsi per qualche giorno senza fare assolutamente nulla, se non sedersi a guardare il mare, chiacchierare con la gente, mangiare del buon pesce alla griglia e dimenticare il resto del mondo.

Una decina di minuti di strada ed eccoci, alle nove in punto, sul piazzale del Museo di Chan Chan. Già sono presenti Règulo Franco Jordàn con vari collaboratori, autorità dell'ambiente archeologico, rappresentanti degli organi d'informazione.
Il "protagonista" della giornata è adagiato su una tavola, protetto da strati di gommapiuma; purtroppo è a faccia in giù e ne vedremo sempre soltanto il retro, ragione per cui fra le foto da noi scattate ho inserito un'immagine tratta da un opuscolo, bruttina ma comunque esplicativa. Si tratta di un idolo Mochica alto m. 2,48 e largo 0,81 ricavato da un tronco di lùcuma, un albero da frutto della zona andina dal legno molto resistente. Anche dal retro, per fortuna, si può ammirare la parte più bella, due teste di felini - considerati sacri alla Luna - che si fronteggiano sopra il capo della divinità.
Caricarlo sul pullmino si rivela operazione delicata e laboriosa, visto che si opera dallo sportello posteriore: lo spazio destinato ad ospitarlo, la fila dei poggiatesta dei sedili, è giusto quello necessario con un margine di pochi centimetri fra l'idolo e il soffitto del veicolo. Finiamo per dare una mano un po' tutti, sia a sollevarlo e assicurarlo, sia a "curarlo" amorevolmente per la durata del viaggio: copriamo il percorso di una sessantina di chilometri in circa un'ora e mezzo, vista la guida circospetta che l'autista deve comprensibilmente adottare su strade di certo non impeccabili.
Il complesso archeologico di El Brujo - Huaca Cao Viejo è ubicato su una deviazione sterrata dalla Carretera Panamericana: toccato il villaggio di Santa Magdalena de Cao (km.18), vi si giunge dopo altri 5, in un ambiente di piantagioni di canna da zucchero ormai in vista del mare.
Arrivati in loco, l'idolo viene scaricato e avviato a un capannone, dove sarà sottoposto alle ultime cure in attesa dell'allestimento del Museo. Non lo vedremo più: peccato, ci stavamo affezionando e lo sentivamo un po' nostro…
Il sito di El Brujo, attualmente protetto al riparo di un grosso tendone, è ancora in parte avvolto nel mistero e oggetto di studi. Si trattava probabilmente di un centro di potere magico, in cui operavano stregoni (appunto brujos) potenti nella magia nera che venivano qui per caricarsi di energia, dalla struttura piramidale come le Huacas del Sol e della Luna visitate ieri. Della civiltà che si sviluppò in questa zona si sa che risale a circa 5000 anni fa, addirittura precedente a quella, già antichissima, dei Moche.
Il primo spazio a cui si accede è la cosiddetta Plaza Ceremonial, al cui angolo sinistro sorge il Recinto Ceremonial: sulle sue pareti furono incisi i fregi di un complicato calendario cerimoniale. Sulla facciata della piramide principale si osservano i rilievi policromi meglio conservati: su due livelli sovrapposti sono raffigurati rispettivamente un corteo di prigionieri nudi di profilo legati per il collo e uno schieramento di persone danzanti volte di fronte che si tengono per mano. Sulla terza piattaforma spicca la figura nota come "El Decapitador", essere fantastico mezzo ragno e mezzo uomo, così chiamato perché tiene in una mano un coltello e nell'altra una testa mozzata: secondo gli archeologi, si tratterebbe di Aiapaec, il Dio della Montagna, dispensatore della pioggia e quindi venerato dagli agricoltori per l'irrigazione dei campi coltivati.
L'area è aperta alla visita solo in parte, però noi siamo visitatori "speciali" e ci viene concesso di accedere all'intero sito nonché fotografare liberamente, cosa di norma vietata.
Ma Règulo ci ha riservato una sorpresa esclusiva, grazie anche alla mediazione di Yolanda che è amica dell'archeologa che si occupa della custodia e dello studio del reperto: si tratta della cosiddetta "Señora de Cao", la mummia di una governante della cultura Mochica risalente al IV sec. d.C. e trovata nel 2004 durante gli scavi di Cao Viejo.
Entriamo nella camera climatizzata in cui sono conservati i reperti con una certa emozione: ne abbiamo ben donde, visto che solo poche persone al mondo li hanno finora visti, sta a dire gli archeologi e l'equipe del National Geographic che nell'agosto 2006 pubblicò un servizio nell'edizione in lingua spagnola della rivista.
Lo sfarzo degli ornamenti e degli abiti che accompagnavano il corredo funerario denunciano con evidenza il ruolo di potere della donna: avvolta in 14 strati di drappi e abiti, era ricoperta da 18 collari di oro, argento, quarzo, lapislazzuli, turchese, oltre a 30 ornamenti per le narici, diademi e corone di rame dorato. Tutto questo è adesso sotto i nostri occhi!
La Señora era una donna fra i 20 e i 25 anni, alta 1,45 con sul corpo tatuaggi di serpenti e ragni che potrebbero indicare la fertilità ma anche doti di indovina. L'ottimo stato di conservazione del cadavere, che vediamo in una teca attraverso una lastra trasparente, è dovuto al solfato di mercurio con cui fu cosparso, una sostanza velenosa per i batteri che avrebbero potuto deteriorarlo.
Concludiamo questa fantastica esperienza intorno alle 13: lasciamo a malincuore il sito, ma abbiamo da percorrere poco meno di 200 km. da qui a Lambayeque per effettuare con la dovuta attenzione un'altra visita imperdibile.
Nel 1987 l'archeologo peruviano Walter Alva, insospettito da una grande quantità di oggetti di eccezionale pregio immessi sul mercato dai tombaroli, intraprese una campagna di scavi del sito di Sipàn, una trentina di km. a sud-est di Chiclayo: fu il preludio a quella che è considerata la più importante scoperta archeologica avvenuta in Perù negli ultimi cinquant'anni, vale a dire tre tombe, definite del Señor de Sipàn, del Viejo Señor e del Sacerdote, in perfetto stato di conservazione, con preziosissimi corredi funerari trovati intatti.
Il tutto è esposto nel Museo de las Tumbas Reales de Sipàn di Lambayeque creato appositamente ed aperto nel novembre 2002. L'edificio, dalla struttura avveniristica, è un magnifico esempio di museo moderno, per allestimento, suddivisione degli spazi, illuminazione, valorizzazione dei reperti. Su tre piani, oltre alla perfetta ricostruzione delle tre tombe e plastici dell'antica Sipàn, sono esposti oggetti di inestimabile valore e bellezza che è difficile descrivere: ceramiche zoomorfe e antropomorfe, paramenti, suppellettili, scettri minuziosamente cesellati, monili, collari, maschere, ornamenti per il capo, le orecchie, il petto, il mento, le spalle, le cosce, dalla raffinata lavorazione in oro e argento, spesso con incastonate pietre preziose.
E' rigorosamente vietato fotografare, ma per fortuna è disponibile il catalogo con le foto non solo degli oggetti esposti ma anche di altri provenienti da collezioni private: una pubblicazione splendida di qualità adeguata all'esposizione, per la quale vale la pena di investire una trentina di euro.
Lasciamo il museo ben oltre l'orario di chiusura (evidentemente i custodi sanno quanto sia difficile staccarsi da tali meraviglie) e non resta che raggiungere Chiclayo, la cosiddetta "città dell'amicizia", nella quale è previsto il pernottamento nell'omonimo hotel, l'ultimo della nostra permanenza nel nord del Perù.
Per la cena, stasera trionfo di carni varie alla brace: su suggerimento di Yolanda, che aggreghiamo a noi, ci orientiamo su "Marakas, Carnes y Parrillas", locale popolare e accogliente nel quale ci rimpinziamo a crepapelle spendendo l'equivalente di 7 euro a testa.

Giovedì 21 giugno 2007
Il nostro volo per Lima e Cusco è previsto alle 10,30, cosicché, nell'attesa, Yolanda ci ha organizzato un breve tour nella maggiore (se non l'unica) attrattiva di Chiclayo, per il resto città moderna sviluppatasi rapidamente e di limitato interesse per il turista.
Si tratta del Mercato Modelo che, se per gli altri settori può assomigliare a tanti altri, merita invece una visita della sezione delle erbe: le bancarelle sono stipate delle cose più strane, quali erbe fresche e secche, frutti bizzarri, ossa e altre parti di animali, scatole, buste di polverine, fiale o boccette di rimedi per ogni malanno, in un simpatica accozzaglia di colori, odori, suoni, personaggi pittoreschi che spiegano e vendono i preparati più incredibili. Nel genere, è considerato il più fornito dell'America Latina ed è meta di brujos e curanderos che vi affluiscono da tutto il Perù.
Effettuati gli immancabili acquisti (più che altro per curiosità), non rimane che recarsi in aeroporto. A metà pomeriggio poseremo i piedi sul suolo di "El Qosqo", meglio nota come Cusco: un altro (probabilmente il più noto e celebrato) degli "infiniti Perù"!

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