Costa Est in agosto?
Esistono scelte migliori, caldo umido e affollamento sono davvero pesanti: in città, rendono faticosi gli spostamenti e riducono le giornate a un lento trascinarsi da un’aria condizionata all’altra. Va meglio, ovviamente, dove la natura prende il sopravvento sull’asfalto e soprattutto man mano ci si sposta a nord, verso il Canada.
Il nostro viaggio di quest’anno era per certi aspetti un ritorno, dopo ben 16 anni dalla nostra prima visita di New York e degli Stati del New England. C’erano da soddisfare l’entusiasmo di chi allora non c’era ancora, cioè di Matilde che sognava di i grattacieli di NY e i musei di Washington, e la nostra voglia di ritrovarci negli States, di vedere di più e di sentirci di nuovo immersi nella magia del Maine. E poi la “avventura” di passare il confine via terra per approdare in Canada, per scoprire le gemme nascoste di quel New Brunswick dove pochi vanno, tanto che il suo soprannome è “ The Driving Through Province”, che sta a significare un posto che i più si limitano ad attraversare per raggiungere la vicina e celebrata Prince Edward Island.Prima tappa New York, dove ci siamo fermati 4 giorni.
In treno ci siamo spostati a Washington, per una visita di due giornate; quindi in aereo siamo risaliti a Boston da dove, con auto a noleggio, abbiamo proseguito lungo la costa del Maine e sconfinato in Canada, dove abbiamo seguito la Bay of Fundy fino a Hopewell Rocks, “Cima Coppi” del nostro viaggio.
Ritorno più rapido, con sosta finale a Salem e a Boston per il rito della partita di baseball.Dividerei il nostro itinerario in due parti ben distinte: una prima dedicata alla visita delle città e una seconda a contatto con la Natura e il mare del Maine e del New Brunswick.
Questa è la prima parte, che riguarda la capitale amministrativa, Washington, e la capitale “morale”, New York
NEW YORK
Non starò certo a raccontare di New York, l’hanno già fatto talmente in tanti, o quanto meno non mi dilungherò sulle esperienze che accomunano tutti.
Al di là di quelle, c’è una New York che ognuno sente “propria” e io cercherò di portare il mio contributo muovendomi in questo ambito, sperando di poter fornire qualche informazione utile.
La mia prima impressione è di come sia difficile in agosto scoprire una New York “propria”. Non saremo ai livelli del Natale a Londra o del Capodanno a Parigi, ma l’affollamento di turisti è pesante e spesso fastidioso; lo si riscontra ovviamente nei principali poli di attrazione della città, come possono essere i maggiori grattacieli, o i musei che offrono un poco di refrigerio dal caldo afoso, o semplicemente i marciapiedi di Times Square, gremiti da fiumane di persone che camminano naso all’insù.
Gli italiani, manco a dirlo, sono numerosissimi in agosto e, ovviamente, particolarmente presenti man mano ci si avvicina alla 5th avenue, che affollano in preda allo shopping compulsivo delle marche più diffuse: la felpa da Abercrombie, la cover all’Apple Store, il regalino da Fao Schwarz, il ciondolo di Tiffany, la gonna di Zara e la borsa di Louis Vitton, il peluche alla Warner Bros e la maglietta degli Yankees da City Sports, e così via.
Non voglio fare il radical-chic, ma per farmi capire riporto la scena a cui abbiamo assistito in aeroporto: una coppia di ragazzi al termine della vacanza, con lui che ricordava a lei gli acquisti fatti (ovviamente felpa di Abercrombie, maglietta di Hollister, ecc.), in un lungo elenco in cui gli acquisti altro non erano che gli “obiettivi” raggiunti. Neanche Bush sulla portaerei… Io cerco altro. Certamente non disdegno gli acquisti, ma non li considero l’obiettivo del viaggio.
Stavolta è ufficiale: non ci faremo fregare dalla grande città, non arriveremo alla sera distrutti dalle interminabili camminate, ma sapremo dosare sapientemente le nostre ore, non è la prima volta che veniamo a NY, quindi meglio vedere meno, ma piuttosto godersi i particolari, le sensazioni.
Certo, come no? Ci siamo detti e ripetuti frasi del genere mille volte, ma il risultato è lo stesso di tutte le volte: i chilometri percorsi sono tanti ogni giorno, sarà il caldo, ma la sera ci trasciniamo a quattro zampe, anche in questo caso sconfitti dalla voglia irrefrenabile di vedere il più possibile.
Torno alle mie giornate newyorkesi per dare qualche consiglio, o meglio travel tips, che fa un po’ più figo.
Direi che un buon modo per approcciare la Grande Mela è imbarcarsi sul traghetto che dal South Terminal porta a Staten Island e ritorno; dà la possibilità di godere di magnifici panorami della punta di Manhattan, del New Jersey e della statua della Libertà, godendosi l’aria fresca del mare e senza particolare affollamento. In più, è gratuito.
Risalendo di un poco la penisola, ho ritrovato con piacere il World Financial Center, che immaginavo con angoscia sfregiato dalle esplosioni dell’11 settembre.
Praticamente impossibile, invece, visitare Ground Zero ad agosto. A parte il caldo asfissiante, ci sono code per qualsiasi cosa: per fare il biglietto devi tornare al centro informazioni e affrontare la lunga coda sul marciapiede, biglietti in mano devi tornare all’entrata e rimetterti in una nuova coda… Sinceramente troppo, non è certo per mancanza di rispetto alle vittime o di curiosità per il sito in costruzione che decidiamo di rimandare la visita alla prossima volta.
Scelta dei musei da visitare. Il concetto è: abbiamo 4/5 giorni, non uccidiamoci di musei, scegliamone un paio, visto che poi ne vedremo anche a Washington.
Le scelte non si rivelano le più felici, almeno per i nostri gusti. Il primo museo, il Natural History Museum, è un po’ una delusione, ma in questo caso più per colpa nostra. E’ una tappa obbligata per Matilde, che vuole rivedere ambienti e personaggi del film “Una notte al museo”, ma effettivamente nel museo si ritrova ben poco delle scene del film; in secondo luogo, è stra-pieno di gente, soprattutto nelle sale dei celebri diorami (peraltro meravigliosi e sorprendentemente veritieri, con quel tocco di vecchio che li rende ancora più affascinanti).
Comunque, si tratta di un museo eccezionale per qualità e quantità del materiale esposto; io preferisco il suo gemello “antagonista” di Londra, ma questo newyorkese andrebbe rivisto in un altro momento dell’anno.
La seconda scelta è il Guggenheim, non ne ho mai visto uno e sono tradizionalmente diffidente verso la pittura contemporanea, quindi vale la pena provarci.
Anche in questo caso grande affollamento, ho trovato bellissimo l’edificio ma meno entusiasmanti le collezioni, ma era un mio limite di partenza, non superato.
Fantastica, invece, la messa domenicale ad Harlem, nella Canaan Baptist Church of Christ (116th street).
La chiesa è più piccola e meno frequentata della vicina First Corinthian Baptist Church. Ciò nonostante, conviene arrivare con largo anticipo: un’interminabile fila di turisti di ogni parte del mondo si allunga sul marciapiede e i simpatici addetti all’organizzazione sono inflessibili nello stabilire fino a che punto della fila si sarà ammessi a entrare, mentre i restanti sono invitati a provare in un’altra chiesa nella via adiacente. Il tempo trascorre osservando i fedeli che entrano in chiesa nelle tipiche tenute domenicali, vestiti sgargianti con cappellini improbabili per le donne, completi “eleganti” di ogni foggia e colore per gli uomini.
La funzione è un tripudio di canti gospel, partecipatissime testimonianze e sermone dell’affascinante pastore (un po’ lungo a dire il vero…). Veramente un bel ricordo, con la sensazione di aver partecipato a qualcosa di vero, certamente non a uno spettacolo.
Oltre ad arrivare presto, il secondo consiglio è di uscire prima, soprattutto se si intende perfezionare l’esperienza ad Harlem con il pranzo in uno dei tipici ristoranti con cucina afro-americana, come Amy Ruth’s che ci era stato indicato (116th street, più o meno di fronte alla chiesa), perché alla fine della Messa arriva parecchia gente e si fatica a trovare posto, a parte l’immancabile coda che si crea fuori dal locale.
Eccitati dall’ambiente, abbiamo provato piatti assolutamente “afro”, come il mio pollo caramellato al miele; ecco, io resterei su piatti altrettanto tipici ma più tranquilli, come il pollo fritto che tra l’altro si presenta con un gran bell’aspetto.
Altrettanto eccitante il concerto del venerdì mattina in Central Park.
D’estate, di norma il venerdì mattina, per il programma Good Morning America trasmesso dalla ABC Television, si tiene un breve concerto in una piccola arena in Central Park, zona Terrace Drive, con musicisti di un certo spessore.
Noi abbiamo visto gli One Republic, gruppo americano che, confesso, non sapevo esistessero, ma di cui siamo ovviamente diventati accaniti fans.
Il concerto si tiene più o meno alle 8,30, ma consigliano di arrivare con largo anticipo. E’ bellissimo seguire la follia americana per la trasmissione in diretta, con la gente che esegue gli ordini puntualmente dati dal conduttore-capo popolo, urlando e innalzando i cartelli su cui ognuno ha scritto un proprio pensiero nella speranza di essere inquadrato (il materiale per i cartelli è fornito all’entrata, manco a dirlo…). Anche noi, ovviamente, abbiamo il nostro cartello e lo esibiamo con orgoglio.
Davvero un’esperienza divertente, consiglio a chi si trovi a NYC d’estate di dare un’occhiata ai siti che riportano gli eventi n Central Park.
Dilemma insoluto, soprattutto da quando purtroppo non ci sono più le Twin Towers, è da quale grattacielo ammirare il panorama di New York: i tradizionalisti sostengono che l’Empire State Building resti impareggiabile, mentre chi vuole fare l’alternativo consiglia la “Top of the Rock”, cioè la cima del Rockefeller Center, così da poter godere dello skyline Empire incluso.
Non saprei che dire, a costo di essere ripetitivo dico che a 16 anni di distanza dalla prima visita la mia sensazione immediata è stato il fastidio per la lunga coda e per i prezzi elevati.
Stavolta siamo saliti sul Rockefeller, che ci mancava, ma forse alla fine preferisco l’Empire, sicuramente più affascinante.
Sedici anni prima il luogo “interessante” per eccellenza era il Pier 17, da poco ristrutturato, una sorta di isola a ridosso della Manhattan finanziaria, fatta di ciottolati, assi di legno e barche a vela.
Oggi il Pier 17 mantiene indubbiamente una buona dose di fascino e l’area turistica si è allargata nella prospiciente Fulton st., dove si trovano lo Yankees Shop e uno dei punti vendita Abercrombie.
Ma la Manhattan più viva e più trendy si è spostata dall’altra parte della penisola, nel Meatpacking District, dove nei caseggiati ristrutturati che circondano la suggestiva passeggiata dell’High Line si trovano le novità in fatto di locali e negozi.
Peccato che, per quanto ci riguarda, l’High Line era tanto affollata da sembrare una festa patronale e le vie del Meatpacking e di Chelsea tanto torride che ci si incollavano le scarpe all’asfalto…
Veniamo al nostro shopping newyorkese.
Un modo intelligente e divertente di dedicarsi allo shopping è seguire le indicazioni del libro “Guida dello stilista a NY” di Sibella Court, che ci è stato regalato prima della partenza. E’ una raccolta di indirizzi con brevi spiegazioni dei singoli negozi, elencati in gran numero ma per lo meno divisi per categoria.
Per seguire adeguatamente i consigli dell’autrice bisognerebbe avere parecchio tempo a disposizione; meglio individuare quelli che interessano suddividendoli per zona o per itinerario, anche se richiede un preventivo e certosino lavoro.
Comunque, consiglio l’utilizzo anche parziale di questo libro, io trovo che dia una chiave di lettura della città interessante e fuori dagli usuali canoni turistici.
Quelli che si credono più intelligenti, però, escono dalla città e vanno a fare spese all’outlet.
Quelli che in più ritengono di avere acquisito una buona familiarità con gli States non vanno certo al frequentato Woodbury Outlet, ma convogliano al meno noto Jersey Garden, sito nel New Jersey in prossimità dell’aeroporto di Newark.
Manco a dirlo, noi siamo ovviamente tra questi ultimi...
Non discuto che questo outlet sia interessante e abbia buoni prezzi, che oltre a tutto diventano ancora più convenienti se si considera che il New Jersey è più o meno tax free.
Ciò nonostante, non lo consiglio per niente.
Comincio con il dire che la nostra impressione è che, se paragonato agli altri outlets visitati qua e là negli Usa, questo si avvicini ad un concetto “italiano” dell’outlet, vale a dire, ahimè, merce in vendita di qualità inferiore o “vecchia” al di là del concetto stesso di outlet.
Ma, soprattutto, credo possa essere interessante per chi, ad esempio, si fa una vacanza di una settimana senza spostarsi da NY, altrimenti non vale la pena di arrivare fino lì; il nostro “viaggio” è stato: metropolitana da Gran Central a Penn Station, treno New Jersey Pass (non è scontato individuarlo senza fatica nella ressa ed è pure molto caro), treno navetta che congiunge i terminal di Newark, infine pullman che porta i clienti avanti e indietro dal terminal all’outlet. Durata del “viaggio” non meno di un’ora e mezza (one way) comprese le diverse attese, secondo me eccessiva.
Visto che sono partito parlando della “mia” New York, mi va di ricordare gli aspetti della città che ho particolarmente gradito.
Partirei da un classico, vale a dire Brooklyn.
Brooklyn attraversa un momento di particolare euforia, è oggetto di ristrutturazioni e ospita molti eventi, soprattutto sulla promenade lungo l’Hudson; insomma, va alla grande e merita senza ombra di dubbio una visita di almeno mezza giornata (limitandosi alla parte che guarda Manhattan, visto che il quartiere è enorme).
Innanzitutto, assolutamente da raggiungere percorrendo a piedi il celeberrimo ponte; è una passeggiata splendida, per niente impegnativa, da cui si godono grandi panorami e, perché no, anche una brezza decisamente gradevole.
Di là dal ponte ci sono parecchie attrazioni, ma vale comunque la pena anche solo percorrere il lungo fiume e fermarsi nei giardini del Brooklyn Bridge Park.
Noi trascorriamo una piacevole serata seduti su dei gradoni in pietra sulla riva, mangiandoci una pizza e gustando l’impareggiabile spettacolo del tramonto su Manhattan, che si fa man mano una selva di luci con l’arrivo del buio.
Molto suggestiva Washington Square, nel cuore di Manhattan, dove si incontrano gli individui e le situazioni più diversi: neri che giocano a scacchi, il ciak di un film (penso fosse Glee), gruppetti che cantano, cinesi che trasportano sulle spalle quantità incredibili di materiale, fino alle persone che cercano un po’ di refrigerio seduta sui bordi della grande fontana circolare.
Consiglio una sosta alla Magnolia Bakery per gustare le tanto famose quanto dolci cup-cakes. Ci sono tre punti vendita in città, noi siamo stati a quello sulla 6th, vicino al Rockefeller Center.
Il consiglio sarà magari banale, ma ho apprezzato sia l’atmosfera che le cup-cakes.
Non disdegnerei una visitina a Grand Central Terminal. Che si passi per prendere un treno o per scendere nella metropolitana, vale certamente un’occhiata l’immenso atrio centrale, che osserva con maestosa eleganza l’imponente e variegata folla che lo attraversa.
Ricollegandomi a Gran Central, una menzione particolare va alla temperatura che si trova d’estate in metropolitana. Mai sentito niente del genere, neanche sotto il sole di San Juan alle due di pomeriggio: non appena si scendono i primi gradini, si entra in una sorta di camera d’aria bollente e umida che vaporizza le residue energie fisiche. Poi arriva il treno, per fortuna le attese sono sempre brevi, e dal bagno turco si passa alla camera di ghiaccio…
Praticamente un intero ciclo estetico per pochi dollari…
Una conclusione è dovuta: ci sono città dove si può andare sempre al di là delle condizioni meteo, e un facile esempio è Londra; NY non fa parte di questa fortunata categoria, non che sia impossibile andare in ogni periodo dell’anno, ma luglio e agosto e, a quanto mi dicono, dicembre e gennaio, li sconsiglierei.
WASHINGTON
Che fascino la capitale!
Assolutamente unica: un misto di grandi spazi del Nuovo Mondo, grandeur francese, un pizzico di vecchia America, di esagerazioni tutte statunitensi e di emozioni forti, provate al cospetto dei diversi memoriali o, perché negarlo, ammirando la Casa Bianca mille volte vista in tv.
Le dimensioni ridotte, poi, rendono la città più facilmente “avvicinabile” ed eliminano la sensazione “formica disorientata” che talvolta riservano le grandi metropoli.
Arriviamo a Washington in treno e il primo impatto è con gli spettacolari saloni della Union Station; appena fuori dalla stazione, un uomo sta suonando con la tromba l’inno dell’Unione, o “John Brown’s Body” o come cavolo si chiama; sarà perché l’aria è un po’ più respirabile rispetto a NY; ma mi sento decisamente più entusiasta…
Il nostro hotel è a ridosso del quartiere storico di Georgetown, ma non è lontano dalle principali attrazioni della città, che con un po’ di buona volontà si possono raggiungere a piedi.
Washington è una città museale e l’insieme degli Smithsonian dislocati lungo la spianata di fronte a Capital Hill è impressionante. Noi visitiamo i più classici; cominciamo con il National Air and Space Museum, diamo un’occhiata rapida alla National Gallery of Art e ci divertiamo al National Museum of American History.
Il primo racchiude in una collezione sterminata ogni mezzo di trasporto che abbia contribuito a fare la storia dell’aviazione americana, dalla sala dedicata ai fratelli Wright alla diffusione dell’aeronautica civile, dalla Guerra Fredda alla conquista e all’esplorazione dello spazio. Il museo è enorme e molto accattivante anche se, per quanto mi riguarda, a dire il vero il mio interesse è un po’ frenato dal fatto che ho visto musei simili altrove.
Il museo della Storia Americana, invece, mi rapisce totalmente.
Ripenso ai nostri musei, che presentano una quantità di opere ineguagliabile ma che spesso si cullano stancamente sulle proprie bellezze, tanto da sembrare più autocelebrativi che in grado di trasmettere entusiasmo e curiosità.
Questo di Washington è un esempio di come si possa costruire un grande museo, interessante, spettacolare e, perché no, divertente, riunendo in un puzzle ben ordinato i più eterogenei pezzi di storia sociale, dai cimeli storici (a cominciare dalla prima bandiera, presentata in un’atmosfera da brividi), agli oggetti “cult” che hanno contribuito alla realizzazione del mito americano (automobili, vestiti, pupazzi, strumenti musicali, ecc.) alla ricostruzione di ambienti degli scorsi decenni (la metropolitana di Chicago degli anni ’50, oppure i motel, o altro ancora), fino alle case degli americani nel corso degli anni, con il boom degli elettrodomestici o la diffusione dei computer.
Esaurita la parte dei musei, cosa resta di Washington?
Innanzitutto, per restare in zona, i vari memoriali, uno più toccante dell’altro.
Ognuno ha un fascino proprio; non si può non restare ammutoliti davanti al muro nero in cui sono incisi i nomi di tutti i caduti del Vietnam, così come è impossibile non essere colpiti dall’imponenza del Lincoln Memorial.
Personalmente, però, sono rimasto affascinato dal memoriale della sempre troppo dimenticata guerra di Corea (questa guerra costà agli Usa ben 36.000 morti circa ), nel quale le statue dei marines che camminano nella boscaglia sembrano prendere vita alla luce del tramonto, e da quello dedicato a Martin Luther King, anche questo impressionante alla luce rosata del tramonto.
Da ultimo, solo dal punto di vista cronologico, davvero notevole è anche la statua-memoriale di Iwo Jima, adiacente al cimitero di Arlington, in cui i marines sono ritratti nella famosa immagine in cui piantano la bandiera sull’isola giapponese conquistata a carissimo prezzo (anche se sembra che l’immagine in questione fosse un falso…).
Abbiamo la fortuna di assistere ad una manifestazione di marines proprio sulla spianata di fronte alla statua, è superfluo ricordare l’emozione e l’entusiasmo della piccola folla che vi assiste…
A proposito di Arlington, direi che è un must di Washington. Innanzitutto è facilmente raggiungibile con la metropolitana, che tra l’altro è molto più semplice (ovviamente, data la dimensione) e pulita di quella di NY. Girare tra le tombe, soprattutto per i non-americani, può non essere entusiasmante con il caldo e, Kennedy a parte, non ricordo di altri personaggi che abbiano suscitato la nostra emozione. Da non perdere la cerimonia del cambio della guardia, che si svolge di fronte alla tomba del Milite Ignoto: bella, scenografica al punto giusto e molto americana, ancora di più con gli aerei in arrivo e partenza dal vicino Reagan Airport, che fanno continuamente da sfondo tracciando una sorta di linea di continuità tra l’America passata e quella futura.
Non mi rimane che un cenno a Georgetown, il quartiere “storico”, quello più vivo e “in” della capitale, con una via principale molto attiva e numerose viuzze che partono in salita, con case in legno io in mattoni che fanno tanto old America. Noi ci andiamo solo alla sera, per cena e per fare due passi, che poi si rivelano un calvario tanto siamo stanchi; comunque l’impressione è decisamente positiva, complice anche la caipirinha dell’Old Glory All American BBQ, Georgetown mi sembra proprio un bel posto dove vivere e dove divertirsi.
Ho già voglia di starci per qualche giorno...Ci eravamo ripromessi pernottamenti all’insegna del risparmio, quindi, dove possibile, motel, motel e ancora motel.
Spesa media per una notte in motel: circa 100-110 dollari, che tradotto in euro fa qualcosa di più per gli Usa e meno per il New Brunswick.
NEW YORK, Eastgate Tower Hotel, 39th st.
Prenotato via internet dopo accuratissimi confronti e ricerche, come quasi sempre succede nelle grandi città la realtà è inferiore alle attese. Albergo sostanzialmente senza attrattive, con ambienti un po’ squallidi; camera ampia, ma grigia e buia. Per contro, personale gentile e, soprattutto, posizione molto comoda per raggiungere almeno alcune delle attrazioni della città (42th, Crysler Building e il nodo del Grand Central Terminal), visto che non si può parlare di un “centro” per NYC.
Giudizio: neutro, ci si può andare ma non lo consiglierei caldamente
WASHINGTON, Best Western Georgetown – georgetowndchotel.com
Washington si conferma capitale “atipica” e smentisce puntualmente la regola degli alberghi nelle grandi città. Pernottiamo al Best Western Georgetown, albergo piacevole e ben posizionato rispetto alla zone più turistiche, sia quella che riunisce la maggiori attrazioni delle capitale, sia la vicina Georgetown, entrambe comodamente raggiungibili a piedi. Unico neo, una colazione inferiore al livello del resto della struttura
Consigliato
KENNEBUNK PORT (ME)
Ci fermiamo in uno dei numerosi motel che si incontrano sulla strada.
Purtroppo non ne ricordo il nome. L’offerta è comunque ampia e soddisfa tutte le esigenze.
TRENTON (ME), Acadia Getaway Motel – acadiagetawaymotelandcottages.com
La zona è affollata da strutture ricettive di ogni tipo, con prezzi mediamente maggiori rispetto a quasi tutto il resto del Maine e che salgono man mano ci si avvicina a Bar Harbour.
E’ un motel classico, niente di particolare nel bene e nel male. Buona la posizione, che permette di raggiungere agevolmente sia Mt.Desert Island, in gran parte occupata dall’Acadia Nt.Park, sia la costa più a nord-est della Schoodic Peninsula.
Trenton consente di spendere un po' meno rispetto a Bar Harbour: 2 notti 203 dollari
GRAN MANAN ISLAND (NB), Surfside Motel, gmsurfsidemotel.com
Questo è l’unico motel sulla strana isola di Gran Manan. Non è granché, però ha una struttura in legno caratteristica e, soprattutto, è affacciato direttamente sulla spiaggia.
Vista l’offerta di Gran Manan e i prezzi dei b&b, consigliato.
1 notte 107 dollari (canadesi)
ST.ANDREWS (NB), Greenside Motel – greensidemotel.ca
Anche questo un motel classico, posto nell’immediata periferia di St.Andrews, se così si possono definire le vie immediatamente a ridosso dell’unica via che costituisce il nucleo “storico” della cittadina.
Curiosità: è gestito da un simpatico sud-coreano (non ne avevo mai conosciuto uno) molto rilassato che parla un divertente inglese. Per me è un sì.
1 notte 101 dollari (Can)
ALMA (NB), Fundy Highland Inn and Chalets – fundyhighlandchalets.com
Soluzione suggestiva, appena al di fuori del Fundy National Park. Si tratta di cottages in legno disseminati su un grande prato; da alcuni si gode addirittura la vista del mare, in tutti si vive una stimolante atmosfera da “fine della civiltà”.
Il proprietario è un gran chiacchierone e all’arrivo travolge gli ospiti con una spiegazione dettagliata, e molto utile, di tutte le attrazioni della zona, compresi consigli sui ristoranti, mai tanto preziosi come ad Alma.
Sicuramente consigliato
2 notti 248 dollari (can)
BOOTHBAY HARBOUR (ME), Cod Cove Inn – codcoveinn.com
Stanchi della serie di motel e bisognosi di un riposo di soddisfazione dopo il lungo viaggio in macchina, ci permettiamo di venir meno alla regola del risparmio che ci eravamo prefissati.
L’albergo è sulla strada, prima dell’arrivo a Boothbay Harbour. Ha una piscina all’aperto (il personale dice che è riscaldata, mah…) e un giardino molto piacevole che la affianca.
Le stanze sono ampie e decisamente gradevoli, per colazione senza ombra di dubbio i migliori muffins della vacanza.
Ottimo
1 notte 180 dollari
MALDEN (MA), Econolodge – econolodge.com/hotel-malden-massachusets-ma080
Ci serviva un motel comodo da raggiungere la sera tardi uscendo dalla partita, che fosse di strada per Salem da raggiungere la mattina successiva.
La posizione geograficamente perfetta è probabilmente l’unico pregio di questo motel, situato in un inutile sobborgo di Boston, con stanze scure e piuttosto puzzolenti.
Una delusione, perché mi aspettavo molto di più da un Econolodge, avendone provati altri nell’Ovest.
Di sicuro sconsigliato; tanto, chi altro mai si fermerà per dormire a Malden?
1 notte 110 dollariLa tariffa migliore per il periodo era quella offerta dalla Aer Lingus, che per di più offriva il vantaggio di volare sia su NY che su Boston.
Per raggiungere Washington da NY ho finalmente usufruito di un treno dell’Amtrak, quelli color grigio metallizzato che si vedono sempre nei film.
Il viaggio è piuttosto caro (circa 100 dollari a testa per la sola andata di circa tre ore) ma l’esperienza è assolutamente facile e positiva.
A Penn Station (altro luogo mitico la stazione nel cuore di Manhattan, “abbracciata” al Medison Square Garden) è facile orientarsi all’alba (lo è molto di meno nella altre ore della giornata, quando è invasa da fiumi di persone tra le quali sei l’unico a non sapere dove andare), così come raggiungere il binario.
In treno gli spazi dei sedili sono tipicamente americani, cioè enormi; tra l’altro, noi capitiamo senza saperlo in una “Quiet Coach”, in cui vige la regola del silenzio, quindi si dorme con facilità.
Lungo il percorso si passa da Philadelphia dove, manco a dirlo, dal finestrino si vede benissimo la scalinata di Rocky; mi avevano preavvisato ma pensavo fosse uno scherzo, per me è stata un’emozione!
Da Washington (aeroporto Ronald Reagan) a Boston abbiamo volato con Jet Blue, che ho eletto la mia compagnia aerea preferita. Puntuale, aerei moderni, personale molto cortese, bagaglio in stiva gratuito e disponibilità di un banco riservato per un rapido check-in addirittura fuori dall’aeroporto (tanto che, da bravi italiani, per un attimo abbiamo temuto che si trattasse di una truffa ben organizzata per rubare i bagagli).
Anche se si qualifica come compagnia low-coast, Jet Blue è davvero lontana dall’effetto carro-bestiame e dai disagi che ho più volte riscontrato con Ryan Air.
Nella seconda parte del viaggio ci siamo spostati con autovettura a noleggio. La compagnia ci ha gentilmente offerto un up-grade di categoria, dandoci la possibilità di scegliere una jeep: non la consiglierei se non per esigenze particolari, l’ho trovata poco confortevole e con un bagagliaio limitato, meglio una classica e confortevole intermediate americana.