Christomannos, pioniere del turismo dolomitico

Il padre della grande Strada delle Dolomiti

Ho soggiornato per la prima volta in Val di Fassa nel 1994: piuttosto tardi per un ligure che girava le Dolomiti da quindici anni, per di più tenendo conto che in questa valle proprio un idioma di mare come il genovese è probabilmente (per lo meno in stagione turistica) la quarta lingua più diffusa dopo l’italiano, il tedesco e il ladino.
Dopo dodici anni di frequentazione del Gruppo di Brenta, mi ero deciso, a partire dal 1990, ad una conoscenza sistematica di tutte le valli dolomitiche, dedicando una decina di giorni ogni estate all’approfondimento dei vari aspetti, compatibilmente con l’esigenza di distribuire i giorni di ferie (sempre troppo pochi!) tra montagna, mare, viaggi in Italia e all’estero.
Eccomi quindi giunto a metà di un pomeriggio di fine agosto in un accogliente albergo di Pozza di Fassa. Una doccia, una rapida sistemazione del bagaglio, e subito un giro in paese per una prima presa di contatto. Come al solito, ne ritornai carico di opuscoli dell’Ufficio Turistico, guide e carte escursionistiche.
Quando visito una vallata alpina per la prima volta preferisco essere solo, in modo di impostarne la conoscenza sui miei ritmi: messa a punto di itinerari, tempi di marcia, scelta dei luoghi di sosta. Mi piace poi tornare successivamente e condividere scenari ed esperienze con gli amici. Così mi sistemai su una panchina del parco dell’Hotel cominciando a individuare le corrispondenze tra i nomi scritti sulla mappa della Kompass e la cerchia delle montagne all’intorno.
Il giorno dopo, zaino in spalla, eccomi in pochi minuti sul magnifico pianoro di Ciampedie a quota 1998, “sparato su” dalla funivia che in pochi minuti sale dai 1382 metri di Vigo di Fassa. Da qui, dopo un tratto di bosco, si attraversa un vasto circo glaciale contornato dalle cime dei Mugoni, delle Cigolade e di Vaèl. Vale proprio la pena una sosta nel mezzo di questo grandioso anfiteatro: nel silenzio che avvolge il luogo, non si tarderà ad essere circondati dai fischi delle curiosissime marmotte che popolano il pianoro. Meno di due ore di marcia portano al Rifugio Roda di Vaèl, ai piedi dell’omonima cima.
A breve distanza, lungo il sentiero che porta ai Rifugi Paolina e Aleardo Fronza alle Coronelle, un tornante è occupato da un’aquila in bronzo sulla sommità di un masso, in ricordo, come si legge su una targa, di Theodor Christomannos, benemerito dello sviluppo turistico della Val di Fassa.
La mia inguaribile curiosità di viaggiatore mi spinse immediatamente a indagare per sapere qualcosa di più: chi era quell’individuo? Quale importanza aveva avuto per meritare un monumento? E che cosa c’entrava un cognome greco con le valli dolomitiche?

Nato a Vienna nel 1854 da una famiglia di origine ellenica, Theodor Christomannos si laureò in giurisprudenza e nel 1883 si trasferì a Merano; prese atto gradualmente di quella che era la vita delle popolazioni delle valli dolomitiche e non tardò ad avere l’intuizione per la quale oggi può essere definito un precursore dei tempi, un ambientalista “ante litteram”. La scommessa di Christomannos, ora avversata dalle sonnolente autorità locali ora appoggiata negli ambienti ministeriali viennesi, era in poche parole questa: il futuro, vale a dire il passaggio dall’esistenza di sacrificio e stenti dei valligiani al benessere portato dallo sviluppo turistico, stava nella valorizzazione di quei territori soprattutto concretizzando il progetto di una strada agevole che unisse una valle all’altra, lungo la quale muoversi a piedi, a cavallo, in carrozza o con le neonate corriere postali e automobili. Solo così i viaggiatori avrebbero potuto raggiungere con relativa facilità le località che cominciavano a richiamare forestieri per la bellezza degli scenari, per l’ambiente salubre, per la risonanza delle imprese alpinistiche dei vari Innerkofler, Zsigmondy, Ball, Grohmann e per la presenza dei primi prestigiosi alberghi e stabilimenti alpini che cominciavano a sorgere sui passi e nei paesi.
Il concetto di “valorizzazione”, inteso da Christomannos nel suo significato più puro, è poi andato assumendo negli ultimi decenni una valenza diametralmente opposta, tanto da essere oggi un termine da valutare con sospetto: troppe volte abbiamo visto, in nome della valorizzazione, sbancare terreni per far posto a colate di cemento, tracciare strade in barba ai delicati equilibri idrogeologici, sbucciare fette di bosco per dare luogo a nuove piste da discesa, violentare vallette appartate con discutibili impianti di risalita.
Ma questo il buon greco non poteva immaginarlo. Grazie soprattutto alla sua lungimiranza e alla sua tenacia, nel 1907 la “Grande Strada delle Dolomiti” era cosa fatta. In fasi successive la rete viaria fu estesa a tutte le valli laterali ma nel percorso principale è giunta sostanzialmente immutata ai nostri giorni.
Nel 1909 lo stesso Christomannos pubblicò una delle prime opere a carattere divulgativo sull’ambiente alpino, dal titolo appunto “La strada delle Dolomiti – Bolzano, Cortina, Dobbiaco”. Rileggerla oggi, a distanza di quasi un secolo, può essere particolarmente istruttivo, oltre che vivamente consigliabile, per la freschezza dell’esposizione, l’amore per queste valli che emerge da ogni riga, i dettagli tecnici di un’opera ingegneristica all’epoca grandiosa, la caratterizzazione dei vari ambienti toccati lungo il percorso e la testimonianza della vita quotidiana delle popolazioni.
Si può leggere ad esempio:
“…Chi frequenta quelle valli estese e deliziose e quei valichi ricchi di erbe e fiori, non si sente per nulla oppresso né angosciato dalle enormi e maestose giogaie che lo circondano; anzi nel suo cuore si rallegra alla vista del paesaggio incantevole…”.
Notiamo quanto stesse cambiando l’approccio con la montagna: considerazioni di ordine estetico andavano prendendo il posto della connotazione repulsiva che identificava i monti come ambiente ostile, regno di animali feroci, streghe e spiriti malvagi.
Troviamo poi descrizioni come queste:
“…Deliziosi, candidi paesetti e pittoreschi gruppi di case adornano le larghe e gioconde valli, tra antichi e variopinti affreschi sulle case e i costumi delle donne, che si recano alla fontana portando sulle spalle grandi secchi di rame
i silenzi solenni delle notti alpestri, lo scroscio delle cascate, il mugghiare dei torrenti, lo scampanio festoso delle mandrie intrecciano una musica armoniosa che riecheggia nell’animo simile a una grandiosa sinfonia divina…”.
Un’esposizione che sicuramente incantò e invogliò alla visita chissà quanti viaggiatori, ma anche una dichiarazione d’amore per le valli dolomitiche.
Non mancano, e ci fanno sorridere, i consigli pratici per gli audaci al volante delle prime automobili:
“…Si potrebbe anche percorrere in un sol giorno tutto il tratto Bolzano - Dobbiaco per Cortina (km.176), ma poiché la bellezza del paesaggio sconsiglia la corsa vertiginosa, si raccomanda di dividere il viaggio in parecchi giorni…”
Pensate un po’: 176 chilometri in un giorno erano considerati una corsa vertiginosa! E dire che noi oggi, quando ci rechiamo in una località di soggiorno, cerchiamo di volta in volta l’uscita autostradale più comoda e le statali più scorrevoli per arrivare alla svelta!
E allora facciamoci un bel regalo: la prossima volta che andiamo nelle Dolomiti, vogliamo dedicare un’intera giornata a percorrere per intero questa meravigliosa strada e a gridare a squarciagola che al mondo non c’è niente di simile?
Val d’Ega, Passo di Costalunga, Val di Fassa, Passo Sella, Passo Pordoi, Passo Gardena, Passo Falzarego, Passo Giau, Cortina, Passo Tre Croci, Misurina, Dobbiaco: teatri di gesta di uomini in guerra e imprese di uomini sui pedali, una sequenza ininterrotta per riempire mille album di immagini della natura al suo meglio.
Grazie, Christomannos! Se fossimo contemporanei saremmo probabilmente amiconi, estimatori entrambi di quello slow travel che non mi stancherò mai di decantare e raccomandare a tutti.

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