Canarie: La Palma e La Gomera, isole alternative

Il lato sorprendente dell’arcipelago dell’Atlantico, lontano dal turismo di routine

Anche nel sito di Ci Sono Stato, come in altri indirizzi web che si occupano di viaggi, i racconti e diari di viaggi sulle Canarie sono davvero tanti. Tuttavia, la quasi totalità di questi diari si occupa delle isole più famose e turistiche: Gran Canaria, Fuerteventura, Tenerife e, in misura minore, la splendida Lanzarote. Ma ci sono altre tre isole in questo meraviglioso arcipelago, che fanno a completare l’appello di questi sette colli incastonati nel mezzo dell’oceano atlantico: sono La Palma, La Gomera e El Hierro. Trascurate dal grosso dei turisti, soprattutto le ultime due, non meritano davvero l’oblìo a loro riservato. Ma, come spesso succede, la scarsa attenzione a loro riservata dal turismo di massa, può diventare una opportunità per i viaggiatori più interessati alle bellezze del luogo che alla movida o ai grandi resort.
Questo diario descrive il mio ultimo viaggio alle Canarie (ovviamente ultimo in ordine di tempo!) che ha toccato due di queste tre perle meno conosciute: La Palma e La Gomera.
Siamo arrivati con un volo Iberia a Tenerife: qui abbiamo trascorso qualche giorno dedicato al trekking e alla visita del Teide che tanto ci aveva affascinato in un nostro precedente viaggio. Trascuro volutamente questi primi giorni, perché si è trattato di una visita parziale dell’isola, dato che ci eravamo già stati e la cronaca non darebbe una idea completa di ciò che c’è da vedere a Tenerife: ci sono molti altri diari on line dai quali prendere informazioni su questa isola.
Parlerò invece più diffusamente delle altre due protagoniste del viaggio!23 aprile 2008
Il nostro viaggio comincia dall’isola di Gomera, chiamata l’ isola Colombina visto che, più di ogni altra dell’arcipelago, fu frequentata da Cristoforo Colombo: in occasione del suo viaggio più famoso, quello che lo portò a scoprire il continente americano, il porto di san Sebastian de la Gomera fu proprio l’ultimo lembo di terra conosciuta che il navigatore genovese vide prima di affrontare l’ignoto: era il 6 settembre 1492, 36 giorni prima della data fatidica, forse la più conosciuta nella storia dell’umanità! A dire il vero, il porto di San Sebastian a quei tempi non era certamente un rassicurante trampolino di lancio verso terre sconosciute. La cittadina era stata fondata solo 4 anni prima, sul nucleo di un villaggio precedente, dopo una sanguinosa repressione della rivolta degli abitanti del luogo, ad opera di un crudele e cinico governatore spagnolo. Il posto doveva presentarsi come una manciata di casupole raccolte attorno ad una piccola baia ed ad una torre di difesa appena costruita.
C’è da dire che non fu un caso che gli Spagnoli spedissero in quei luoghi dei governatori sanguinari e senza scrupoli: erano infatti esasperati dal fatto che, benché l’occupazione vera e propria delle isole avesse avuto inizio nei primi anni del 1400, a distanza di quasi un secolo i pochissimi abitanti del luogo, che vivevano praticamente all’età della pietra, visto che neppure conoscevano la scrittura e l’arte della navigazione, resistessero ancora all’occupazione del potente esercito spagnolo, armati solo di lance e fionde. La cosa si spiega con la perfetta conoscenza della natura impervia del luogo dei locali, ma doveva sicuramente mandare su tutte le furie i re di Spagna.
Per la cronaca, la resistenza dei Guanci, così erano chiamati gli abitanti delle Canarie, fu totalmente piegata solo 4 anni dopo il passaggio di Colombo, nel 1496, quando si arresero gli ultimi ribelli di La Palma prima e di Tenerife subito dopo. A La Gomera erano invece appena stati sottomessi.
Proviamo ad immaginare come deve essere stato allora il luogo, mentre visitiamo la casa de la Aguada chiamata anche casa della dogana. Ai tempi di Colombo era una delle poche case in pietra e si trovava di fronte al porto; ora, a seguito di ripetuti interventi sul molo, è a circa 100 metri dal mare. Ha ospitato in tempi diversi la dogana e la residenza del governatore del luogo, ora ospita invece un museo dedicato ai viaggi di Colombo. Al centro del cortile interno un pozzo con un cartello che ci informa che proprio da quel pozzo Colombo avrebbe attinto l’acqua per il suo viaggio, usandola anche per battezzare il nuovo mondo. Probabile, ma è anche possibile che qui la storia si mescoli alla leggenda…
San Sebastian presenta più di ogni altra città delle Canarie segni del passaggio di Colombo: vi si trova anche la casa dove abitò non solo in occasione del suo viaggio più famoso ma anche in altre occasioni, visto che sembra che qui trovo l’amore, non si sa quanto corrisposto, in Beatriz De Bobadilla, la vedova del precedente governatore dell’isola. Colombo tornò a La Gomera altre due volte dopo la scoperta dell’America, ma quando scoprì che lei si era risposata, non vi mise più piede.
Le numerose guide parlano romanticamente d’amore tra Colombo e Beatriz de Bobadilla, ma non possiamo far a meno di sorridere pensando che anche a Porto Santo, vicino a Madeira, sembra che avesse trovato l’amore, stando alle cronache locali, e in chissà quante altre isole... Amori da marinaio? Resteremo con il nostro dubbio, non potendo verificare!
Anche la Iglesia de La Virgin de la Asuncion, la più carina del paese, è legata a Colombo: proprio qui si recò a pregare con il suo equipaggio prima di salpare verso il nuovo mondo. La cappella originale, infatti, esisteva già da una quarantina d’anni. Distrutta in seguito da un incendio, fu ricostruita in stile leggermente diverso, quindi l’interno che visitiamo noi non è esattamente quello visto da Colombo prima di partire. Peccato, ci stuzzicava l’idea di vedere la stessa scena ammirata dai suoi occhi prima di partire!
La visita al minuscolo paese di San Sabastian si esaurisce in mezza giornata, quindi proseguiamo verso l’interno dell’isola, che si preannuncia come la parte più interessante. Girare l’isola è facile e non c’è certamente il pericolo di perdersi, visto che è di forma pressoché circolare ed è larga al massimo 21 chilometri.
La prima cosa che notiamo è che la foschia che abbiamo incontrato al nostro arrivo non si alza, anzi si infittisce, man mano che ci addentriamo nell’isola: scopriremo più tardi che siamo arrivati a La Gomera assieme alla “calima” un fenomeno meteorologico piuttosto frequente da queste parti. La calima, quando arriva, resta sull’isola in genere per tre giorni, e anche questa volta non farà eccezione: ci farà infatti compagnia per tutto il periodo della visita, limitandoci sì qualche veduta generale, ma fornendoci anche spunti per delle foto tutte particolari, con il sole offuscato dalla coltre grigia, che sembra quasi fumo.
Raggiungiamo il luogo che abbiamo scelto per pernottare, l’hotel villa de Hermigua: definirlo un hotel è certamente un eufemismo. Quando arriviamo al minuscolo paesino di Hermigua abbiamo una certa difficoltà a trovarlo, perché in realtà è un bed & breakfast, oltretutto non presenziato. Prendiamo nota del numero di telefono affisso al campanello e chiamiamo. Ci risponde una signora che parla solo Spagnolo, e che ci fa capire che arriverà entro pochi minuti.
Dopo una breve attesa la signora arriva e ci accompagna alle nostre camere: il luogo si rivela davvero delizioso, con una splendida terrazza in comune sull’attico, che regala una vista a 300 gradi sulla vallata circostante. Alle nostre spalle, invece, una collina ricoperta di verde. Le camere sono abbastanza semplici, non particolarmente grandi, ma il posto vale senza dubbio i 60 Euro chiesti per la doppia. Ceniamo al ristorantino Las Chacaras, dove assaggiamo il coniglio locale che si rivela davvero buono anche se il locale non ha nulla di particolare….

24 aprile
Dopo la capitale, tocca all’isola: cominciamo dall’estremo opposto, verso la valle del Rey che è giustamente considerata una delle valli più belle delle Canarie. Vi si accede passando dal Parque Nacional del Garajonay, al centro dell’isola e cominciando lentamente a scendere verso il mare. La spettacolarità della valle sta proprio nella possibilità che viene data al visitatore di gustarsi le verdi terrazze coltivate. Ci sono alcuni mirador che permettono di fermarsi e assaporare la vista sui bananeti, numerosissimi, e sulle altre coltivazioni. Le banane sono una caratteristica comune sia di La Gomera che di La Palma. Sono ovunque, e soprattutto La Gomera basa buona parte della sua economia sulla esportazione delle banane. Le banane Canarie sono leggermente più piccole di quelle che importiamo noi in Italia. Particolare curioso, non vengono esportate in Europa, perchè da noi esiste un regolamento che parla della lunghezza minima della banane, regolamento che risale al 1994 e che preclude la via dell’Italia alle banane Canarie! Sono ammesse le bananine piccole, ma solo se proveniente da un Paese extraeuropeo!
Tuttavia non ci sono solo i bananeti ma anche molti vigneti, tutti delimitati da muretti a secco che dividono probabilmente le varie proprietà e che costituiscono però da lontano un interessante motivo decorativo.
La strada termina laddove la valle incontra il mare. Ci sono alcune minuscole spiagge e altrettanto minuscoli villaggi, che ospitano però parecchi bed & breakfast: ci fermiamo in un piccolo bar rimodernato da poco, con una ariosa terrazza che si affaccia sul mare. Staremmo qui per delle ore, da quanto è tranquillo il posto!
Torniamo invece dopo una mezz’oretta verso il centro dell’isola, verso il parco nazionale. La Gomera è praticamente un cono vulcanico circolare ma, essendo una delle isole più vecchie dal punto di vista geologico, non vi è più nessuna attività da molto tempo. Così, la cima di questo vulcano è occupata da secoli da una fitta foresta, dove vi è una varietà di oltre 400 specie di piante, tra cui abbandonano anche le piante grasse, che sono secondo me le più spettacolari. Qui la calima di cui parlavo prima è più fitta che da altre parti, soprattutto oggi. Ci fermiamo molto spesso, perché dietro ogni curva c’è uno spunto per sedersi ad osservare lo spettacolo, o magari un invitante sentierino che ci invita a percorrerlo. Resistiamo però alla tentazione di addentrarci troppo, dei bei trekking ci aspettano comunque all’isola di La Palma. Tuttavia sono tanti i sentieri che corrono lungo i crinali, offrendo spesso viste panoramiche a 360 gradi.
Dopo aver girato per le strade interne intorno al parco, decidiamo di fermarci per visitare un piccolo museo etnologico appena aperto al pubblico.
Sono le 4 del pomeriggio, e restiamo alquanto sorpresi quando, nel cercare di entrare nel locale, vediamo il custode che sta uscendo e chiudendo la porta di ingresso a chiave. Ma come, protestiamo, l’orario di chiusura è alle 18.00! Il custode ci dice che è così, ma sta chiudendo per accorrere nella zona di Hermigua, dove c’è un violento incendio in corso? Hermigua? Ma è dove abbiamo il nostro alloggio! Corriamo anche noi all’ auto, trafelati, immaginando chissà quale sconquasso, e dando già per persi i bagagli lasciati nelle nostre camere. Man mano che ci avviciniamo, ci rendiamo conto che non è tutta calima quella che ci circonda, ma anche fumo! Lo sentiamo entrare penetrante nelle narici e la preoccupazione cresce. Finalmente, girata l’ennesima curva, ecco apparire il fuoco. Sta bruciando il bosco proprio sopra al paese, sull’unico lato che non da verso la valle. Hermigua è avvolta dal fumo e alcune casupole che sembrano abbandonate, nella parte alta del Paese, sono già minacciate dalle fiamme. Benché ci siano i mezzi dei pompieri, sembra che non ci sia molto da fare, perché nessuna strada porta verso il fronte delle fiamme. Non facciamo in tempo a fare questa considerazione, che sentiamo sopra di noi il rombo di un motore: è un Canadair di colore giallo, che sta puntando dritto verso il fronte del fuoco. Lo vediamo scaricare il suo serbatoio d’acqua poco oltre il crinale, segno che da quella parte il fuoco è ancora più pericoloso. Procediamo lentamente nella strada stretta del Paese, pieno di gente, e arriviamo al nostro alloggio. Dall’ ampia terrazza all’ultimo piano osserviamo il fronte del fuoco: non c’è pericolo immediato, perché sarà ad almeno 4/500 metri di distanza e il vento è pressoché inesistente (d’altra parte, altrimenti non ci sarebbe la calima!!). Tuttavia la vista del fuoco non è certamente rassicurante. Mentre decidiamo il da farsi notiamo giù sulla strada l’arrivo anche di alcuni volontari organizzati, muniti di badili, piccozze ricetrasmittenti e strumenti vari : sembrano intenzionati a dirigersi verso il fuoco, probabilmente per cercare di formare una cintura di sicurezza tra l’incendio e le case del Paese.
Si sta avvicinando la sera e noi dobbiamo prendere una decisione: fermarci lì per passare la notte o cambiare alloggio? Il fuoco è ancora a distanza di sicurezza, ma la nostra casa è una delle prime del villaggio, cosa che non ci farebbe certamente dormire tranquilli. Il nostro amico (siamo in tre, io, mia moglie e un amico di vecchia data) tira addirittura fuori la scusa che gli abiti potrebbero puzzare di fumo…. È certamente la cosa meno importante, ma lascia trasparire la sua ansia e la voglia di mettere più spazio tra la nostra notte e la minaccia del fuoco. Alla fine decidiamo di andarcene, perdendo purtroppo la cifra delle prossime due notti pagate anticipatamente. In realtà la cosa che mi dispiace di più è lasciare quella meravigliosa terrazza con vista sulla valle… ma, considerando ciò che sta accadendo, in quel momento la terrazza ci offre una vista paradisiaca da una parte e infernale dall’altra! Raccogliamo dunque a malincuore i nostri bagagli e ce ne andiamo senza purtroppo poter salutare nessuno perché la signora che ci ha aperto non è in circolazione. Lasciamo le chiavi in camera e tiriamo la porta dietro di noi. Peccato.
Ora dobbiamo trovare un altro alloggio: non ci vuole molto, non siamo in alta stagione.
Ci spostiamo nella valle del Rey, che ci era piaciuta molto come posizione e troviamo un piccolo hotel, l’hotel Concha, che non offre certamente la vista del nostro precedente alloggio: ma, considerato che dobbiamo passare tutto il giorno fuori, non ci lamentiamo di certo.
E’ comunque un ottimo posto per trovare dei buoni ristorantini e ne approfittiamo la sera stessa.

25 aprile
Dedichiamo gran parte della giornata al parco nazionale di Garajonay, un meraviglioso bosco che fu dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1981. La foresta si trova nel punto più alto dell’isola, a poco meno di 1500 metri, ed è caratterizzata da un clima sempre umido, dovuto al fatto che le cime sono esposte all’incontro tra i freddi venti dell’atlantico con l’aria più tiepida che sale dalla costa. Il risultato è una bruma quasi costante che crea una atmosfera quasi da foresta preistorica.
L’albero più presente è l’alloro delle Canarie, da qui la denominazione della foresta “ laurisilva”, ma esistono molte altre specie autoctone. Un’altra caratteristiche che ha contribuita all’elezione di questo posto magico a Patrimonio dell’umanità, è il fatto che l’ultima glaciazione non ha toccato le isole Canarie, e proprio per questo è considerata una delle foreste più antiche della terra, certamente la più antica d’Europa. Una buona parte delle piante e degli insetti che si trovano in questa foresta non sono presenti in nessuna altra parte del mondo, unici superstiti appunto dell’ultima glaciazione. Camminare nella foresta è una sensazione unica, si ha la sensazione di essere sospesi nel tempo e nello spazio. Non sembra davvero di trovarsi in una minuscola isoletta dispersa nell’immensità dell’oceano, ma in una terra sconfinata coperta di vegetazione primordiale…. La sensazione è che da un momento all’altra possa apparire un enorme animale preistorico!
Ci siamo attrezzati per il pranzo a picnic e ci allontaniamo con rammarico solo nel pomeriggio, rientrando nella “civiltà”. In realtà proseguiamo la giornata percorrendo le strade interne che, se non fosse per il fondo asfaltato delle strade e per le rare case, non ci ricorderebbero per nulla la civiltà!
Il nord dell’isola è solcato da profondi canyon, i barrancos, ricoperti di vegetazione. A seconda dell’esposizione e delle precipitazioni, che possono variare in maniera rilevante da zona a zona, prevalgono i cespugli verdi o le piante grasse, che a volte sono così fitte da formare una vera e propria piccola foresta: non siamo davvero abituati a vedere le piante grasse così fitte, sembra quasi un controsenso, vista la penuria d’acqua….
Eppure, molto spesso, appena valichiamo una cima e ci troviamo sull’altro versante del colle, il paesaggio cambia radicalmente e ritroviamo ampie piantagioni di banane. Durante il nostro giro panoramico, incontriamo anche un camion pieno di banane che si sta fermando a scaricare in un magazzino. Ci fermiamo a scattare qualche foto degli operai che agganciano i caschi di banane a delle carrucole mobili: gli addetti ci regalano qualche banana: anzi, è quasi un casco intero e ci basterà anche per i giorni seguenti!
Sulla strada del ritorno decidiamo di fermarci in un ristorantino a caso, che si rivela davvero ottimo: mangiamo pesce per una decina di Euro a testa e, visto che siamo seduti all’esterno, sentiamo provenire da lontano della musica. Chiediamo al cameriere, il quale ci informa che nel paese poco lontano è in corso di svolgimento la festa di san Marco. Decidiamo ovviamente di andare a dare un’occhiata: arriviamo però un po’ tardi (benché non siano neppure le dieci) ma facciamo in tempo a vedere l’ interno della chiesa addobbata a festa intorno alla statua di San Marco e un po’ di gente intorno al chioschetto della piazza principale che indugia ancora un po’ bevendo qualcosa. Decidiamo quindi di tornare, ma poco lontano dalla piazza, la nostra attenzione viene attratta da un bambino di non più di 5 anni vestito con l’abitino tradizionale dell’isola. E’ all’interno di un bar e ne approfittiamo per sederci a bere qualcosa. Non tardiamo molto a scoprire che è il figlio dei proprietari: è talmente orgoglioso del suo vestito che comincia a girarci intorno quando vede che siamo armati di macchina fotografica: ovviamente a noi non pare vero fotografarlo e l’accordo è presto fatto: il piccolo si presta impettito a farsi ritrarre, tra il divertimento dei presenti (in testa gli orgogliosi genitori), e il nostro.
Ogni scatto del flash è seguito da una sonora risata, ed il bimbo ci incita con un “ancora, ancora!” ad ogni scatto. Ci facciamo dare l’indirizzo dai genitori per spedire alcune foto e torniamo soddisfatti alla base.

26 aprile
Dalla valle del Rey partono delle escursioni in barca che danno la possibilità di vedere dal mare le coste rocciose dell’isola per raggiungere, all’estremo nord, la scogliera nota con il nome di “Los Organos”: approfittiamo della prima escursione del mattino, anche se le nostre speranze di riuscire a navigare senza la presenza della calima sono subito disattese: i locali ci avevano detto che di solito permane tre giorni nell’isola e così è!
La navigazione è lungo la costa nord e permette di ammirare piccole spiagge e scogliere praticamente irraggiungibili via terra. Si notano facilmente colate laviche pietrificate, di colore diverso dal resto della roccia, probabilmente perché più recenti, che tradiscono la chiara origine vulcanica dell’isola. In realtà la parola recente non deve trarre in inganno perché La Gomera con i suoi 12 milioni di anni è tra le isole più vecchie dell’intero arcipelago e non registra attività vulcanica da milioni di anni: tuttavia i segni della sua origine sono ancora evidenti. Il culmine dell’escursione è rappresentata dalla formazione rocciosa di Los Organos: il nome lascia trasparire la natura della formazione, che ha davvero similitudini in tante altre parte del mondo. Sono delle colonne basaltiche, che per la loro conformazione ricordano molto le canne dell’organo. La spettacolarità di queste di La Gomera, sta soprattutto nel fatto che sono a picco sull’oceano, e creano un singolare contrasto tra il grigio della roccia e il blu del mare. Inoltre sono particolarmente estese, un fronte di almeno un centinaio di metri con la parte più spettacolare proprio in punta al piccolo promontorio.
Rientrati alla base, ripartiamo verso altri lidi, decidendo però di passare a dare un’occhiata ad Hermigua per capire cosa sta succedendo. Arriviamo verso mezzogiorno: il fuoco c’è ancora anche se sembra diminuito di intensità e abbiamo la sensazione che le squadre di intervento si limitino a controllare che le fiamme non arrivino al Paese. L’alloggio che abbiamo lasciato è ancora a distanza di sicurezza, ma l’acre odore di fumo è dappertutto. Considerato che avevamo scelto Hermigua per stare tranquilli e che ora le strade sono invase da mezzi dei pompieri e della protezione civile, non siamo pentiti di esserci allontanati.
Visitiamo Vallehermoso, un piccolo agglomerato di case che si trova decisamente in una bella valle, circondato da coltivazioni a terrazza, simili a quelle che rendono spettacolare la Valle del Rey.
L’occasione è buona per un’altra passeggiata tra i sentieri in realtà poco segnati della zona e per visitare la graziosa chiesa di san Giovanni Battista. Ceniamo al piccolo ristorantino Agana, consigliato dalla guida della Lonely Planet, per la verità povera di indicazioni sull’isola in generale. Questo consiglio si rivela invece ottimo, mangiamo della carne gustosa per 7-8 Euro a testa.

27 aprile
Questa mattina ce la prendiamo con calma, non abbiamo fretta, visto che abbiamo ormai girato per intero la piccola isola. Partiamo nella tarda mattinata, ripercorrendo le bellissime strade interne e fermandoci spesso per qualche ultima foto e arriviamo poco dopo mezzogiorno a San Sebastian dove ci aspetta il traghetto per la Palma, in partenza nel tardo pomeriggio.
Ne approfittiamo per mangiare in una ombrosa terrazza di un ristorante locale prima, e per dedicarci ad un po’ di shopping poi. In realtà lo shopping non è il punto forte di questa isola, e cerchiamo di vedere se è possibile visitare la casa di Colombo che troviamo però di nuovo inesorabilmente chiusa! Lasciamo quindi l’auto al porto, all’ufficio della Cicar (compagnia locale efficentissima e molto economica per il rent a car, con uffici in tutte le isole) e ci imbarchiamo.
Sul molo vediamo squadre della protezione civile che stanno anch’esse per imbarcarsi: evidentemente il pericolo incendio è passato a pian piano chi è arrivato a dare una mano dalle altre isole sta tornando a casa.
La traversata da La Gomera a la Palma dura circa due ore e mezza. Partiamo alle 19.00 e arriviamo alle 21.30 a Santa Cruz de La Palma: ormai è già buio, ma fortunatamente anche il locale ufficio della Cicar si rivela rapido ed efficentissimo e noleggiare l’auto che avevamo già prenotato è una questione di dieci minuti!
Puntiamo quindi verso sud per raggiungere l’albergo che abbiamo prenotato via Internet approfittando di una offerta speciale: in realtà questa è per noi una novità, perché di solito non prenotiamo mai gli alberghi delle Canarie (anche perché siamo sempre andati al di fuori dei mesi di punta): di solito giriamo per le strutture cercando di ottenere qualche sconto in quelle che ci aggradano di più, e molto spesso ci riusciamo. In questo caso, però, arrivando tardi la sera abbiamo preferito prenotare: inizialmente pensavamo di farlo solo per la prima di notte, ma visto l’allettante offerta qualità/ prezzo, abbiamo finito per prenotare tutte e sette le notti previste qui all’hotel Teneguia della catena Princess. Uno splendido resort 4 stelle in stile vagamente coloniale, costruito in mezzo ai bananeti della punta sud dell’isola.
Raggiungerlo non è facilissimo, perché, una volta raggiunto il paesino che si trova all’estremo lembo sud dell’isola, Los canarios de Feuncaliente, occorre imboccare una stradina che scende ripida verso il mare.
Arriviamo alla fine poco dopo le 22.00 e alla reception ci chiedono gentili se abbiamo già mangiato. Alla nostra risposta negativa, ci accompagnano al ristorante, ufficialmente già chiuso, dove ci aspetta una tavola imbandita con pietanze fredde. Ottimo inizio.

28 aprile
L’albergo è davvero magnifico. Costruito con un occhio di riguardo nei confronti dell’ambiente circostante è sviluppato più in ampiezza che in altezza: consta di diverse basse costruzioni, dove sono distribuite le camere. Nel mezzo, collegati da vialetti alberati, 5 piscine che suppliscono alla mancanza di spiaggia, benché l’albergo sia praticamente sul mare.
Anche se ovviamente la costruzione di un albergo costituisce sempre una cicatrice nell’ambiente, constatiamo che perlomeno non siamo in un orrendo casermone che deturpa la costa: appare evidente lo sforzo degli architetti di cercare di rovinare il meno possibile la vista d’insieme e dobbiamo ammettere che il risultato non è malvagio: l’albergo, ben visibile dall’alto quando si scende dalla stradina in cima alla scogliera, scompare non appena si arriva in basso, per riapparire dietro un bananeto solo all’ultimissimo momento, quando si è già davanti all’ ingresso. Nessuna costruzione ha più di due piani, neppure il corpo centrale, quindi è brillantemente nascosto tra i bananeti.
Il fatto che faremo 7 notti in questa isola ci fa prendere con calma la prima giornata, anche se ci accorgeremo presto che c’è davvero molto da visitare.
Visto che la sera prima siamo andati a letto tardi ci alziamo tardi e, dopo colazione, passiamo la giornata a goderci un po’ di sole ai margini della piscina, con vista sull’oceano. C’è una brezza piacevolissima e, complice un buon libro, il tempo vola.
Nel pomeriggio, dopo una insana abbuffata a pranzo, alla quale non siamo abituati, andiamo ad esplorare i campi di lava che ci sono nei dintorni, attirati dai colori che questo fenomeno geologico regala. Un’ottima occasione per fare alcune fotografie.
La sera ci riserva un’altra mangiata pantagruelica, tanto che siamo tutti d’accordo sul fatto che sarà molto salutare da domani cambiare registro. Sarà meglio dedicarsi attivamente alla visita dell’isola!

29 aprile
La caldera del taburiente è considerata a ragione l’attrattiva principale dell’isola di La Palma. Da sempre appassionati di vulcani, la caldera ci attira come una calamita attira il metallo: abbiamo già resistito un giorno senza andarci, adesso è ora di muoverci. Facciamo colazione alle 7.00, cercando di partire al più presto possibile. Fortunatamente, nel probabile intento di tenere l’orario il più vicino possibile a quello Spagnolo, da queste parti è buio fino a tardi e l’orario non corrisponde esattamente a quello naturale del sole: la notte tarda a venire, in compenso al mattino è la luce che tarda a venire. A noi va benissimo, perché alle 7.30, quando partiamo, il sole è appena sorto e godiamo, sulla via della Caldera, di una splendida luce.
La caldera del Taburiente si trova esattamente al centro dell’isola: al contrario di La Gomera, La Palma è una delle isole di più recente formazione, vecchia solo meno di 2 milioni di anni. Si trova ancora al di sopra dell’attuale frattura atlantica che va spostandosi lentamente verso ovest: infatti tutte le altre isole di trovano più a est, esclusa El Hierro: insomma, è ancora “seduta” al di sopra delle camere magmatiche che ogni tanto sputano la lava verso l’ esterno. L’attività vulcanica è dunque ancora attiva e lo dimostra lo studio di un eminente vulcanologo inglese, tale MC Guire, della University college di Londra, secondo il quale tutta la parete ovest del Cumbre Vieja, il sistema vulcanico di La Palma, è divenuto molto instabile dopo le ultime eruzioni di questo secolo. Secondo i suoi studi, è possibile un crollo della parete ovest in seguito ad altre attività vulcaniche: questo crollo, dal fronte di diversi chilometri, potrebbe sollevare un’onda di tsunami alta tra i venti e i 50 metri, che potrebbe abbattersi nel giro di 8 ore sulla costa orientale degli Usa provocando la devastazione di città come New York…
Per il momento noi ci limitiamo a sperare che non succeda niente e cerchiamo di goderci lo spettacolo della natura.
La strada per arrivare alla caldera è semplicemente spettacolare. L’isola di La Palma ha un singolare record mondiale: è l’isola più scoscesa del mondo in relazione alla propria superficie. La strada sale praticamente in continuazione partendo dalla costa per arrivare, attraverso un percorso tortuoso e spettacolare, fino ad un immenso cratere di ben 8 chilometri di diametro.
Raggiunta santa Cruz de la Palma, il nastro d’asfalto sale inesorabilmente attraverso foreste di pini e ginepri delle Canarie. I ginepri, in particolar modo, crescono a volte solitari in mezzo alle colate laviche, dando luoghi a fotogenici paesaggi. A circa 1000 metri sul livello del mare, raggiunti praticamente dopo pochi chilometri, entriamo tra le nubi, per uscirne verso i 1300 metri. Una volta sbucati dal velo lattiginoso il paesaggio viene improvvisamente inondato di sole: la vista è fantastica, con in lontananza un bosco di pini che emerge dalla coltre bianche delle nuvole: sembrano sospesi nel cielo! Lo spettacolo di pini, lava e ginepri si sussegue ininterrotto fino alla cima, a circa 2000 metri di altitudine, dove la strada finisce ai margini della immensa caldera.
Singolare il fatto che la definizione di caldera sia nata proprio qui. Fu usata per la prima volta dal geologo tedesco Von Buch che per definire questo immenso cratere ritenuto di origine vulcanica, uso appunto la parola caldera che significa in spagnolo calderone. Ironia della sorte, lo usò per questo luogo inaugurando la terminologia con un clamoroso errore: la caldera infatti, pur essendo questa zona ricca di attività vulcanica, si sviluppo in queste forme per una forte azione di erosioni, non direttamente per eruzioni vulcaniche. Insomma, non è corretto definirla caldera, almeno nel senso stretto del termine!
L’azione dell’erosione è anche testimoniata da spettacolari picchi chiamati Roques, che sono tuttora fortemente esposti a crolli: ogni tanto ne collassa qualcuno, segno che il lavoro della natura prosegue inesorabile. Benché l’isola sia ancora estremamente attiva dal punto di vista vulcanico, questa zona è paradossalmente abbastanza tranquilla: l’erosione è quella che segna di più il territorio. L’azione eruttiva si è spostata più a sud.
Questo luogo segna il punto di partenza di uno dei due sentieri di trekking più spettacolari delle Canarie: noi percorriamo solo l’inizio, ma nei prossimi giorni percorreremo con enorme soddisfazione il secondo sentiero per intero. Qui ci limitiamo ad un percorso di circa 40 minuti a piedi che, con un sentiero facile facile, ci porta al Mirador Lomo de Las Chozas. Osservando le pareti impressionanti che ci circondano, non ci è difficile immaginare che in questi luoghi si siano rifugiati gli ultimi guanci, gli abitanti locali che si opponevano all’invasione degli Spagnoli. Il luogo era talmente inaccessibile (si poteva allora arrivare in cima solo passando attraverso una gola che aveva il nome evocativo di gola della paura!) che i Guanci riuscirono a resistere senza problemi agli attacchi degli Spagnoli. Solo attraverso l’inganno gli invasori ebbero la meglio, ovvero quando il capo dei Guanci scese a valle con molti dei suoi uomini, convinto che gli Spagnoli volessero intavolare un negoziato.
I dintorni del cratere sono altrettanto spettacolari: Notiamo sulle pareti rocciose delle striature di colore giallo e arancione, segno di antiche colate laviche ricche di metalli quali il ferro e lo zolfo: il risultato è una singolare linea di colore tra la roccia nera! Nei prati che circondano il cratere, invece, si possono ammirare diverse cupole che ospitano l’osservatorio astronomico più grande d’Europa e uno dei più grandi al mondo. Lontano dall’ inquinamento luminoso delle grandi città, qui le condizioni sono ideali per l’osservazione delle stelle.
Nel frattempo anche lo strato di nubi che avevamo trovato a circa mille metri di altezza si è dissolto ed ora possiamo vedere fino al mare. Scendiamo molto lentamente verso la costa solo nel tardo pomeriggio, dopo aver fatto il pieno di luce e colori! Inizialmente l’intenzione era di percorrere la strada che va verso il versante opposto, più breve, ma quella che abbiamo percorso quel mattino ci è piaciuta talmente tanto che decidiamo di rifarla: saliremo di nuovo alla caldera dall’altra parte la prossima volta. Non c’è tempo per visitare Santa Cruz, come avevamo previsto, e quindi torniamo lentamente verso il nostro resort, dove ci aspetta una doccia e un’ottima cena.

30 aprile.
Giornata dedicata alla visita della costa ovest dell’isola. Percorrere le strade di La Palma si rivela un vero piacere. L’isola ha una forma che ricorda la punta di una lancia (un cuore, per i più romantici) e noi alloggiamo proprio alla sua estremità. Numerose fermate per fotografare giardini fioriti e scorci panoramici, precedono il nostro arrivo a Puerto Naos, famosa per essere una località in via di sviluppo turistico, grazie alla sua spiaggia ornata di Palme: sarà anche in sviluppo, ma per ora è ancora risparmiata dai casermoni che si vedono in altre isole come Tenerife o Fuerteventura, complice il fatto che è comunque ancora al di fuori dei grossi flussi turistici.
Il paesino è piacevole, nonostante non offra molto, ma non ci fermiamo a lungo. A mio parere La Palma si gusta di più vagabondando per le sue strade, per gustare i giardini fioriti delle case, le collinette in fiore, gli scorci sul mare.
Facciamo proprio questo, percorrendo lentamente la strada che da sud sale verso nord, lungo la costa occidentale. Ci fermiamo per pranzo in un ristorantino di Tazacorte assaporando la pace e i ritmi lenti che l’isola offre. Anche qui come un po’ in tutte le isole minori delle Canarie, i prezzi dei ristoranti sono estremamente convenienti, spendiamo poco più di 10 Euro a testa per mangiare il pesce. Una delle cose più simpatiche dell’isola di La Palma è che spesso si notano lungo la strada le fermate d’autobus, costruite con una panchina e una pensilina in pietra, completamente dipinte con motivi che ricordano, il più delle volte, momenti di vita dell’isola. Sulla strada ne troviamo pure una dove è dipinto lo scorcio panoramico che si vede dietro alla fermata stessa!
Lo scorcio è impreziosito dalla presenza di una specie particolare di dracena, una affascinante pianta preistorica, che si vede non solo a La Palma ma anche in altre isole delle Canarie. Qui ce ne sono di particolarmente belle, mentre la più grande si può ammirare all’isola di Tenerife, alta oltre 20 metri e vecchia di parecchi secoli.
La Dracaena draco, da non confondere con la dracena da noi semplicemente chiamata tronchetto della felicità, è una pianta completamente diversa dal tronchetto, che raggiunge facilmente i 10/15 metri di altezza.
E’ una pianta endemica delle Canarie ed era considerata magica dagli abitanti originari delle isole, i guanci, perché tagliandone la corteccia la pianta secerne una resina di colore rosso, che viene chiamata sangue di drago. Le piante sono ora molto rare e si trovano oltre che alle Canarie solo nell’isola di Madeira e a capo Verde. Superstiti probabilmente di quella glaciazione che non ha interessato questa parte del mondo, di cui parlavo prima, non è difficile immaginare, per la sua forma decisamente strana, che sia una pianta preistorica.
Un particolare curioso sta nel fatto che man mano che cresce, la chioma si sviluppa in maniera spropositata rispetto al tronco e, per evitare di collassare per il peso, la pianta sviluppa delle radici aeree esterne al tronco, che contribuiscono a sorreggerla. Insomma, funzionano da stampelle!
Nel corso del pomeriggio percorriamo la maggior parte delle vie che corrono a nord dell’isola, forse la parte più selvaggia: la strada costeggia spesso dei precipizi e delle scarpate e la vista spazia su bananeti e boschi di pini. Risaliamo alla fine anche alla caldera de Taburiente dalla strada occidentale: l’altra è decisamente più panoramica e dunque riscendiamo nuovamente con piacere verso est, per finire la nostra giornata a Santa Cruz della Palma. Ci fermiamo però solo una mezz’ ora perché di nuovo è troppo tardi e la città merita più tempo. Visita di nuovo rinviata!

1 maggio
Oggi è il grande giorno del trekking lungo la Ruta des los Volcanes. Considerato il più bel sentiero di la Palma e certamente uno dei più spettacolari d’Europa il sentiero parte dal Rifugio Pilar, a circa 1/3 dell’isola nel senso della lunghezza, e corre lungo il crinale più alto dell’isola scendendo lentamente e incontrando lungo il percorso ben 13 bocche vulcaniche: Pico Birigoyo, Montaňa Barquita, Pico Nambroque, Hoyo Negro o vulcano San Juan (eruttato nel 1949), volcano Duraznero, las Deseadas (punto più alto del trekking 1949 metri) volcano el Charco ( ultima eruzione 1712), el Cabrito, volcano Martin (ultima eruzione 1646) Montaňa Pelada, Montaňa del Fuego, Montaňa del Pino e Caldera Los Arreboles. Come se non bastasse, questo sentiero, il GR 131, termina a Los Canarios e incontra il GR 130 che porta giù fino al mare, passando per altri due vulcani celebri, il vulcano San Antonio che ha eruttato nel 1949 e il vulcano Teneguia, il più celebre, a pochi chilometri dal nostro albergo, con la sua recentissima eruzione del 1971.
Insomma, c’è di che divertirsi! Ci facciamo accompagnare il mattino presto, alle 6.30, fin al rifugio Pilar distante una trentina di chilometri via strada dal nostro albergo. Ci accompagna il nostro compagno di viaggio, che non è interessato al trekking e aspetterà il nostro ritorno oziando in piscina.
Io e mia moglie siamo invece molto eccitati perché da tempo sognavamo di fare questo percorso tra i vulcani.
Arriviamo al rifugio poco dopo le 7.00 , si è appena fatto giorno. Sul luogo ci sono solo un paio di boscaioli che stanno pulendo l’aerea picnic: visto che oggi è il primo maggio immaginiamo che nel pomeriggio arriveranno parecchi locali. Noi non indugiamo oltre, perché non sappiamo come sarà il sentiero e vogliamo percorrerlo con una certa tranquillità: sappiamo che serve tutta la giornata se vogliamo prendercela comoda e quindi cominciamo subito la prima salita. La prima parte, stando alla cartina, è la più impegnativa e quindi siamo ben felici di percorrerla nell’aria frizzante del mattino. Attraversiamo un bosco di pini, con il sentiero tappezzato di aghi secchi che rende ovattati i rumori dei nostri passi. In giro non c’è anima viva, e la cosa ci piace molto. Il Pico Birigoyo e la Barquita ci appaiono presto, e ci fermiamo brevemente ad ammirarli anche per tirare il fiato, visto che la salita, pur non essendo particolarmente impegnativa, è continua. Mia moglie in particolare, pur essendo una ottima camminatrice ha bisogno di soste frequenti, se pur brevi. Per me è un’ottima occasione per fotografare, gli spunti non mancano di certo! Il sentiero sembra non essere particolarmente frequentato, ma è molto ben segnato, quindi il timore di perdere la strada scompare ben presto.
Camminiamo nel bosco per oltre un’ora e solo a tratti la cortina di alberi, alcuni con curiosi tronchi contorti, si apre per lasciarci spaziare lo sguardo verso ovest.
Pian piano le zone senza vegetazione aumentano, ma il verde è comunque una costante per tutta questa prima parte.
All’uscita dal bosco intravediamo più avanti la bocca minacciosa del Hoyo Negro, un nome (buco nero) che è quanto mai evocativo. La voragine sembra interrompere il sentiero che in realtà gira intorno alla bocca. Il bosco è scomparso improvvisamente e ha lasciato il posto ad un campo di lava inquietante. Leggere deviazioni portano ad altri piccoli crateri, crateri che sembrano piccoli da lontano, ma si rivelano dei mostri da vicino.
Sono quasi le 10.00, ora il sole comincia a picchiare forte. Ci siamo fermati spesso lungo la strada, ma non siamo preoccupati dal fatto che sono passate quasi tre ore, perché sappiamo che entro breve finirà il tratto più difficile.
Un altro breve tratto completamente allo scoperto ci porterà infatti fino a Las Deseadas, il punto più alto a 1949 metri. Considerato che il rifugio Pilar era già a 1600 metri, la camminata non sarebbe particolarmente difficoltosa, se non fosse per il fatto che qui, adesso, il sole picchia senza pietà. Ma la parte centrale, dall’ Hoyo Negro al vulcano San Martin, è considerata la più spettacolare!
A dire il vero a noi è piaciuta molto anche la parte boscosa, ma certamente qui la quasi totale assenza di vegetazione, ci apre delle viste fantastiche sui coni vulcanici e sui colori della lava.
Il sentiero resta fortunatamente sempre più o meno alla stessa quota, anzi scende pian piano, ma ogni piccolo strappo si rivela faticoso vista la temperatura. Verso le 12 troviamo una piccola macchia di vegetazione, luogo ideale per il nostro picnic. Fermarci a mangiare ci permette non solo di rifocillarci, ma anche di alleggerirci.
Mentre mangiamo ci sorpassano due tedeschi e tre inglesi, i soli escursionisti che incontreremo durante il giorno fino a Los Canarios. Secondo i nostri calcoli siamo poco oltre la metà del sentiero e la seconda metà che ci aspetta sarà tutta più o meno in discesa. Indugiamo ulteriormente ad assaporarci il silenzio e la pace del luogo, con vista sulla bocca chiamata El Cabrito.
Quindi ci muoviamo lungo la dolce discesa del crinale, fino a raggiungere quello che è forse il vulcano più spettacolare dell’intero percorso, il vulcano San Martin: un perfetto cono vulcanico che si innalza a sinistra del sentiero. Quello che più ci meraviglia sono le striature di colore alle pareti, rioliti di colore verde, arancio violetto… un vero spettacolo della natura. Il sentiero lo lascia sulla sinistra: vediamo che ci sono delle deviazioni che portano verso la parete ma rinunciamo a provarci, primo perché non c’è un solo albero a dare un po’ d’ombra sul sentiero (il solo picchia ancora forte), secondo perché la salita sembra essere davvero ardua: non c’è possibilità di arrivare fino in cima, visto che il cono è altissimo e occorrerebbero delle ore per arrivarci. D’altra parte avrebbe senso scalarlo solo per arrivare in cima, non sarebbe una grande soddisfazione arrivare a metà, lo spettacolo d’insieme, da dove ci troviamo, è decisamente più godibile!
Poco dopo aver lasciato la sagoma del Martin dietro di noi, si entra nuovamente nel bosco e la discesa verso Los Canarios diventa più impegnativa. Incrociamo due escursionisti che stanno facendo la strada inversa, supponiamo solo con l’intenzione di arrivare al Martin, perché non farebbero più in tempo ad arrivare al rifugio Pilar. Delle quattro bocche vulcaniche rimaste noi ne individuiamo solo tre, una la perdiamo, ma non ci disperiamo per questo. Ora cominciamo ad essere davvero stanchi e come se non bastasse io ho un piccolo incidente tecnico: mi si scolla la suola di uno scarponcino e per evitare di cadere sono costretto ad alzare in maniera teatrale la gamba destra: provo a fissarla con uno spago ma devo lasciar perdere perché se lo lego troppo stretto mi stringe il piede. Per fortuna non mi è successo al mattino o a metà percorso! Ora siamo a solo un chilometro da Los Canarios, quindi la cosa non ci preoccupa! All’inizio del paese, che è ovviamente il primo centro abitato che incrociamo dall’inizio della nostra escursione, incrociamo il cartello che indica il sentiero che abbiamo appena percorso: il rifugio Pilar, nostro punto di partenza del mattino è dato a 21 chilometri. Sono quasi le 5 del pomeriggio, l’escursione è durata quasi 10 ore.
Avevamo inizialmente pensato di percorrere gli altri 4-5 chilometri fino al nostro albergo, ma un po’ per la stanchezza, un po’ per il mio incidente tecnico, decidiamo di sederci nella fresca terrazza di un bar, e telefonare al nostro compagno di viaggio perché venga a prenderci! D’altra parte quella parte di percorso, almeno la più spettacolare che include i due vulcani della costa, possiamo tranquillamente farla il giorno dopo.

2 maggio
Siamo abbastanza in forma, nonostante la camminata del giorno prima, quindi decidiamo di terminare idealmente la nostra escursione andando a visitare i vulcani della costa, che si trovano molto vicini al nostro albergo.
Si comincia dallo spettacolare san Antonio, affacciato sul mare: dal nostro albergo risaliamo la strada quasi per intero e prima di arrivare al Paese di Los Canarios, un comodo parcheggio segna l’accesso al vulcano. Il sentiero che porta all’affaccio dell’inquietante cratere è breve. Lo spettacolo è meraviglioso, con vista sul mare a 180°. All’interno del cratere, alcuni pini delle Canarie, di colore verde argentato, fanno da contrasto con il marrone rossiccio e il grigio delle rioliti creando un effetto decisamente fotogenico. Dal San Antonio un sentiero facile di un paio d’ore porta al Teneguia, ma dato che il nostro compagno di viaggio non è un gran camminatore, decidiamo di aggirarlo e portarci nei pressi con l’auto: noi abbiamo già dato ieri, siamo pienamente soddisfatti e dunque non soffriamo troppo ad accettare la proposta. La strada che si avvicina è sterrata ma facilmente percorribile (bisogna tornare indietro e ridiscendere verso la costa) e passa attraverso rigogliosi bananeti e anche qualche vigneto. Anche queste coltivazioni risaltano, con il verde del loro fogliame, sulla sassosa terra nera di origine vulcanica.
Pure il Teneguia, il vulcano più recente dell’isola e delle Canarie, formatosi grazie all’eruzione del 1971, è uno spettacolo degno di nota, anch’esso proteso sul mare. L’eruzione di 40 anni fa provocò anche una vittima, un anziano pescatore che si avvicinò troppo alla lava e morì asfissiato.
Siamo vicini alle saline di Fuencaliente, e ne approfittiamo per visitarle. Ancora in funzione, le saline sono una interessante opportunità di visita: le pozze di raccolta del sale, strappate al campo lavico sono dei veri e propri “appezzamenti d’acqua” che assumono sfumature di colore diverse a seconda della quantità di sale e di acqua contenuti. Si possono girare liberamente e noi ne approfittiamo per fare una rilassante passeggiata.
Visto che non ci siamo allontanati più di tanto dal nostro albergo, decidiamo di godercelo un po’ e tornare, per passare il resto del pomeriggio in piscina, ad oziare come i turisti più pigri. A dire il vero, io e mia moglie sappiamo che non resisteremo a lungo, quindi prima di rientrare passiamo un’oretta ad esplorare i bananeti che si estendono tutto intorno al resort. Abbiamo modo così di vedere da vicino questa interessante pianta. Alcuni hanno ben visibile l’infiorescenza: la banana è la più grande pianta erbacea del mondo con infiorescenza. I caschi sono enormi, benché le singole banane siano molto piccole: tuttavia ci sembrano più grandi di quelle che abbiamo visto a La Gomera e la sensazione è che in queste coltivazioni intensive si producano banane anche per il mercato Europeo.
Resta il fatto che molti dei caschi sono talmente ricchi e pesanti che sono sorretti da dei pali di ferro, per non far piegare il fusto fino a terra.
Rientriamo finalmente anche noi in albergo: anche se non abbiamo una gran passione per la vita di piscina, non ci dispiace passare un pomeriggio ad oziare, seguito dalla solita cena a buffet anti-dieta. In generale alle Canarie si mangia molto bene: la cucina è ovviamente simile a quella spagnola, anche se si trova qualche specialità locale. Noi abbiamo quasi sempre mangiato bene, non solo all’interno dell’albergo ma anche nei vari ristorantini dove abbiamo sostato nel corso dei nostri viaggi.

3 maggio
Finalmente il nostro compagno di viaggio, appassionato di architettura, si può sfogare! Oggi puntiamo sulla capitale, Santa Cruz de la Palma, praticamente l’unica città dell’isola (se si può definire città un centro di 20.000 abitanti!), ricca di storia e di monumenti.
L’attrattiva principale sono i numerosi balconi che si affacciano sulla via principale della città: parte integrante di edifici storici costruiti nel 1500, i balconi devono la loro rarità al fatto che nella seconda metà del XVI secolo re Felipe II, che li odiava, ordinò che venissero distrutti in tutto il regno: la nave che portava l’ordine a La Palma fortunatamente non arrivò mai e i balconi furono salvi! Resistono qui alle Canarie e in molte ex colonie spagnole del Sudamerica, dunque la loro presenza costituisce tradizionalmente un segno dello stile definito coloniale Spagnolo. L’elemento decorativo, per il fatto che sono tutti leggermente diversi, è senza ombra di dubbio davvero rimarchevole. Il lungomare della città ne è la manifestazione più importante. L’effetto è piacevolissimo anche perché i palazzi sono tutti ben restaurati. I balconi sono comunque presenti un po’ in tutto il centro storico, così come sono presenti diverse chiese dipinte esternamente di bianco, caratteristica tipica di tutto l’arcipelago. Una di essa, l’Iglesia de san Salvador, decora la bella Plaza Espana, la piazza più bella della città, centro della vita sociale della città! Oggi è sabato mattina e la piazza è molto animata: ne approfittiamo per assaporare alcune scene di vita di tutti i giorni, tra cui alcuni bambini che giocano chiassosi.
Singolare e travagliata la storia dell’Ayuntamiento, il municipio, che sta giusto di fronte: visto che la cittadina era parecchio ricca nel 1500, attirava spesso gli attacchi dei pirati (fu “visitata” anche da Francis Drake), i quali ovviamente se la prendevano sempre con il municipio, simbolo del potere politico della città. L’edificio passò dunque attraverso vari restauri e ricostruzioni, fino a trovare finalmente un po’ di pace nella seconda metà del XVI secolo, periodo in cui assunse l’aspetto attuale. Ovviamente, questa pace coincise con il decadimento politico ed economico della Città, che segnò allo stesso tempo una minore attrazione da parte dei pirati.
Anche in questa piazza la città offre una serie notevole di costruzioni in stile coloniale.
Esaurita la visita al centro della città, resta un altro interessante punto di interesse che non va assolutamente perso: è il santuario della Virgen de las Nieves, un’oasi di pace a 4-5 chilometri dal centro. Il santuario si trova in una zona rialzata, e per arrivarci si costeggia una rupe ( un barranco, come lo chiamano loro). L’ingresso alla piazzetta è angusto e la chiesa, pur molto semplice esternamente, è valorizzata dalla presenza di alberi secolari: in questa stagione ci sono i Jacaranda in fiore, e abbiamo la fortuna di ammirare le chiome completamente ricoperte di fiori di color violetto!
L’interno della chiesa contrasta con l’esterno molto semplice: lo stile non è certamente tra i miei preferiti, barocco, ma le decorazioni sono semplicemente sontuose intorno ad una statua della vergine che si dice sia la più vecchia delle Canarie.
Torniamo in centro per mangiare qualcosa e quindi lasciamo la piccola città di santa Cruz soddisfatti della visita: puntiamo di nuovo verso sud dove ci fermiamo a Mazo, famosa per l’artigianato locale. Ci fermiamo infatti alla Escuela Insular de Artesania, dove per la verità troviamo dei manufatti non particolarmente interessanti, almeno per i nostri gusti. Ne approfittiamo però per vedere la bella chiesetta, incastonata in una minuscola piazzetta con vista spettacolare sull’oceano. Anche questa somiglia alle altre, dipinta di bianco all’esterno, ma la posizione e la vista è più da albergo di lusso che da chiesa!
Ancora più a sud, poco prima de Los Canarios, troviamo il Parque ecologico de Belmaco, dove sono raccolti alcuni pietroglifi delle popolazioni originarie dell’isola. Per la verità i pietroglifi sono abbastanza enigmatici, dato che vediamo solo delle spirali, tra l’altro difficili da individuare, e qualche segno non identificato. Per la storia locale sono sicuramente importanti ma devo dire che abbiamo visto di meglio. Ci divertiamo molto di più a percorrere il sentiero e leggere i cartelli esplicativi che parlano degli alberi e della vegetazione presente. Tuttavia il parco si trova proprio lungo la strada principale, quindi vale la pena farsi una passeggiatina, visto anche il costo modesto del biglietto di ingresso.
Ancora pochi chilometri e siamo di nuovo all’estrema punta sud, dove si trova il nostro alloggio.
E’ la nostra ultima sera a La Palma, quindi indugiamo molto durante la cena nel terrazzo esterno dell’albergo. La vista sull’oceano è meravigliosa, ordiniamo una caraffa in più di sangria e quando andiamo a dormire siamo parecchio euforici!.

4 maggio
Si parte per tornare a casa. Il nostro aereo è alle 13.30 quindi abbiamo tutto il tempo di prepararci e di goderci pure la mattinata in albergo, con un ultimo tuffo in piscina… Non ci siamo goduti molto l’albergo, ma la bellezza di La Palma imponeva di muoversi per visitarla!
Il volo ci porta prima a Madrid e poi in Italia.
Si conclude così il viaggio alle Canarie che ci ha fatto chiudere il cerchio delle isole. Ora abbiamo visitato almeno una volta tutte quante le isole, bisognerà quindi ricominciare daccapo!
Non è certamente facile dire quale sia la migliore, anche perché tutte hanno prerogative diverse. Dal punto di vista paesaggistico sono tutte molto belle. La Gomera ma soprattutto El Hierro sono le meno turistiche (La Gomera viene a volte raggiunta da frettolose escursioni giornaliere dalla vicina Tenerife), Gran Canaria e Tenerife sono le più turistiche, piene di attrattive naturali. Molto turistica anche Fuerteventura che è quella che offre probabilmente più vita da spiaggia. Lanzarote è la meglio preservata dal punto di vista architettonico, ma forse è proprio La Palma ad essere la più “equilibrata” ed attraente dal punto di vista turistico: offre scorci straordinari e occasioni per escursioni memorabili, pur essendo tutto sommato ancora poco frequentata dal grosso del turismo.
Comunque sia, tutte le Canarie offrono una valida occasione per una vacanza vicina, possibile per tutto l’anno e tutto sommato neanche tanto costosa. Davvero, non c’è una sola isola che non consiglierei di visitare!

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