Un indimenticabile "passage to India"!

Esperienza di viaggio ma anche di vita nel Paese più affascinante

Ho sempre sentito l’attrazione per l’India, ma non avevo mai deciso di prendere e partire per visitarla senza una minima organizzazione. Ero già stata a Goa in passato, perché il padre adottivo di un mio amico tedesco è indiano, ed ero andata al suo secondo matrimonio, a Goa.
Il 2001, invece, è stato l’inizio di un nuovo modo di vedere la vita per me; mio padre ha conosciuto in un ristorante, per caso, un signore indiano, un capitano di navi da crociera, che gli ha proposto di farmi ospitare per quanto volessi, a casa sua in India, a Gurgaon, nello stato di Haryana, a pochi km. da Delhi. Quindi, presa da questo atto imprevisto di generosità del signore indiano, e incuriosita da tutti i racconti e libri che avevo letto, ho preso uno scassato aereo dell’Aeroflot, compagnia russa, e via Mosca sono arrivata con la mia amica Barbara, compagna di studi universitari, a Delhi.A Delhi sono venuti a prendermi la moglie dell’indiano, le sue figlie e un amico di famiglia. Ho subito notato la differenza che c’era tra loro, una casta molto alta, e la povera gente fuori dall’aeroporto. La sensazione, comunque, non è stata delle più shockanti, visto che bene o male ero già atterrata a Bombay anni prima, e sapevo a che cosa andavo incontro là fuori.
Questa famiglia, che vede il padre soltanto sei mesi l’anno, sta in uno dei quartieri residenziali attorno a Delhi, Gurgaon, nello stato di Haryana. Le figlie studiano in un college inglese, e diciamo, si vede molto che sono state a contatto con diverse popolazioni e che hanno girato il “mondo”, soprattutto a causa del lavoro del padre. Una cosa, però, parlando del più e del meno, l’ho subito notata. Il legame con la religione, che viene vista come una parte del proprio essere, e non quindi una scelta come da noi in occidente, e purtroppo, il forte legame alla casta di appartenenza…
Mi spiegava infatti la figlia maggiore, quando io le ho chiesto se avesse il ragazzo, che non potrà mai stare con un ragazzo che le piace al college, perché di caste diverse. Che tristezza ho pensato io, ma queste ragazze la vivono in maniera meno tragica di come la vivremmo noi: tutto è relativo a come uno si rapporta con gli eventi della vita; mi hanno detto che ciò che rende felice un hindu, la loro religione, non sono i soldi, ma la felicità interiore.
All’inizio pensavo che dicessero così solo perché erano di una casta più alta, poi, invece, andando avanti nel mio viaggio, e conoscendo gente di tutte le estrazioni sociali, mi sono accorta che è una regola che vale per tutti.
Si appartiene ad una casta per nascita e gli appartenenti ad una casta cercano di mantenere la loro purezza evitando di essere contaminati dagli altri. Generalmente le caste sono legate ad attività o a professioni anche se non sempre è possibile identificarle in base ad un puro criterio economico.
All'origine le caste erano suddivise in quattro gruppi: i sacerdoti (bramini), i guerrieri, i commercianti ed i contadini. Nel tempo si sono sviluppate altre centinaia di suddivisioni creando quindi una piramide alla cui base stanno i cosidetti "intoccabili" o "paria", addetti alle mansioni più umili ed impure.
Anche se le caste sono state dichiarate illegali nella Costituzione, oggi esse esistono ancora tant'è che spesso i partiti politici fanno leva sugli interessi di casta per ottenere consensi.
Le etnie principali possono essere suddivise in due, anche se ci sono numerosissime sfumature determinate dalla loro fusione: quella ariana (alta statura e pelle chiara) e quella dravidica (bassa statura e pelle scura). Al nord prevalgono le derivazioni ariane mentre al sud quelle dravidiche. I miei amici sono “ariani”, se così posso definirli.
Ma veniamo al mio viaggio. La prima giornata si è svolta nei dintorni di Gurgaon, e ho fatto amicizia con i loro vicini di casa e le varie mucche e maialini che si aggiravano attorno alla loro villetta.
Ho pensato che loro, davvero, non se la passano proprio male là, anche se il loro mondo non è la “vera India”, che avrei avuto modo di vedere coi miei occhi più avanti. La sera, con l’amico di famiglia, siamo andati a rendere omaggio a Shiva, la divinità preferita delle figlie della signora. Come dicevo prima, un hindu vive la religione come una parte di sé.
L'induismo non ha un fondatore o un profeta come le altre religioni. L'induismo è un modo di vivere o meglio ancora una filosofia di vita. Il fulcro del pensiero induista è basato sul concetto di "karma" e "dharma".
Il Karma indica il susseguirsi delle azioni in vita che, se saranno buone, incarnazione dopo incarnazione condurranno al congiungimento con l'Essere Supremo. Il Dharma indica il dovere, la virtù, le leggi che regolano la società, le caste, i rapporti di ogni individuo con gli altri.
La religione induista possiede un’iconografia religiosa molto vasta, rappresentata da una serie di dei adorati dai fedeli. Gli dei, i cui nomi si incontrano più frequentemente visitando i templi e le sculture religiose, sono:
Trimurti
E' l'insieme di Brahma il creatore, Vishnu il preservatore e Shiva il distruttore. Sono i tre aspetti dell'Essere Supremo.
Brahma
E' il creatore della Trimurti ed è rappresentato seduto sul loto. Possiede quattro teste e quattro braccia e tiene i simboli del culto. Il suo veicolo (animale preferito) è il cigno.
Vishnu
E' il preservatore della Trimurti. I suoi simboli sono la conchiglia e il loto. Il suo veicolo è Garuda, mezzo uomo e mezzo aquila. Caratteristica di Vishnu sono le sue 10 incarnazioni fra cui il pesce, il cinghiale, la tartaruga, l'uomo leone ed il bramino nano.
Shiva
E' il distruttore della Trimurti, ma può assumere anche altri aspetti. Veste una pelle di tigre con capelli lunghi raccolti sul capo. Il suo simbolo è il "lingam", il fallo stilizzato, mentre il suo veicolo è il toro "Nandi".
Kali
E' detta anche "la nera" o la dea del terrore. Rappresenta la personalità distruttiva di Shiva. E' di color nero con una collana di teschi attorno al collo mentre mani e lingua sono color rosso sangue. Veniva adorata dalla setta dei "thugs", gli strangolatori che in passato infestavano le regioni centro orientali dell'India.
Parvati
E' la dolce sposa di Shiva in grado di trasformarlo, da dio distruttore, in dio pacifico.
Ganesh
E' figlio di Shiva e Parvati ed è rappresentato piccolo e panciuto e con la testa di elefante. Alla nascita la testa era umana, ma venne decapitato da Shiva in un attacco di furore. La madre Parvati allora obbligò il marito a resuscitarlo e Shiva gli mise addosso la testa del primo essere vivente che incontrò: un elefante.
Le due figlie, Susha e Shika, mi hanno introdotto alla religione hindu, in quanto una delle loro materie principali era teologia, e si sono dilettate a spiegare a me e alla mia amica Barbara anche le altre religioni che si possono trovare in India:
L'islamismo
L'islamismo di Maometto e le rivelazioni del dio Allah contenute nel Corano furono introdotte in India con l'arrivo di arabi e turchi. Nel pensiero musulmano, religione e politica sono intimamente legate fra loro.
Il buddismo
Fu nel passato, per un certo periodo, la religione dominante in India. Siddharta Gautama nacque nel 563 avanti Cristo e attraverso una vita moderata e di meditazione divenne il Buddha, cioè "l'illuminato". Il buddismo si basa su alcuni concetti chiave: il mondo è pieno di sofferenze causate dal desiderio del possesso e dall'invidia che consumano l'uomo. Chi riesce a vincere queste debolezze può raggiungere il "nirvana", lo stato paradisiaco che conduce alla liberazione ed alla presenza del Buddha
Il jainismo
E' una religione molto antica che si trova solo in India e che è simile al buddismo. Anche in questa religione il concetto base è la capacità dell'uomo di raggiungere il "nirvana" attraverso un retto comportamento in vita.
Il parsismo
Praticano questa religione i Parsi, gli ultimi seguaci di Zoroastro, predicatore di un unico Dio Supremo, che visse probabilmente attorno al VII secolo avanti Cristo. I Parsi, in India, oggi sono una piccola minoranza, ma rappresentano la comunità più ricca del paese. Per non inquinare l'acqua, il fuoco e la terra, elementi ritenuti sacri, i Parsi non sotterrano, né cremano, né affidano ai fiumi i loro morti. I cadaveri vengono esposti agli avvoltoi nelle Torri del Silenzio, templi cilindrici che sono accessibili solo alla comunità Parsi e che a Bombay sovrastano la città da una collina.
In questo viaggio, sono poi venuta a contatto con i jainisti e l’islamismo.
Il primo contatto con l’islam è stato quando siamo andate nel Rajastan. Da Gurgaon, dove abitavano i nostri amici, non siamo riuscite a prendere un autobus per arrivare a Jaipur; sembrava quasi che non si fermasse nessun autobus, dal momento che abbiamo aspettato invano per tre ore su una piattaforma che, come dicevano loro, era adibita a fermata dell’autobus. Tutti ci guardavano, soprattutto la mia amica che ha i capelli rossi corti. Alla fine ci è venuta la pazza idea di fare l’autostop, ed un sikh, che andava per business a Jaipur ci ha caricate sulla sua jeep nuova di zecca. La signora di Gurgaon, dopo un impaurito “God bless you two!” ci ha detto che non voleva avere responsabilità di questa nostra scelta, e quando l’abbiamo tranquillizzata, siamo partiti con questo “gioielliere” alla volta di Jaipur.
L’uomo era molto distaccato, ma cortese, e quindi a noi non ci è parso vero “scroccargli” questo passaggio, certo è che noi volevamo dargli almeno i soldi della benzina, ma alla fine non ha voluto.
La highway che collega i dintorni di Gurgaon (ovvero la zona dell’aeroporto di Delhi) a Jaipur è una lunga superstrada dritta, diciamo molto ben tenuta, se si pensa alle condizioni generali delle strade indiane; l’unica cosa che ci ha fatto paura è l’assoluta assenza di regole stradali. Mucche, cammelli, camion modello pakistano con un sacco di addobbi e l’immancabile segnale sul posteriore del mezzo “Horn please”... sembra infatti che l’unica regola osservata dai guidatori indiani sia quella di suonare costantemente. Arrivate a Jaipur dopo sole tre ore di auto (non oso pensare quanto ci metta un treno da Delhi!), l’uomo ci ha anche accompagnate all’ostello. Che dire, un vero gentleman!
Io e Barbara abbiamo deciso di dormire nel ben-tenuto Jaipur Inn, ma abbiamo avuto la pessima idea di dormire nella camera più “cheap” che era sotto una piccionaia, hahahaha! Ora ci rido, ma mi veniva quasi da piangere, caldissima di giorno, freddissima di notte perché non era dotata di finestra a vetri, ma di un buco nel muro. Tuttavia, abbiamo subito familiarizzato con una coppia di australiani e due ragazze canadesi, anche loro backpackers come noi, ed abbiamo deciso di andarcene un po’ in giro insieme l’indomani.
Oltre all’atmosfera da mille e una notte che ha catturato la mia attenzione, mi hanno colpita anche la massiccia presenza di militari (dovuta alla vicinanza col Pakistan) e un sacco di “furboni” che con la scusa di scambiare delle chiacchere volevano fregare me e la mia amica, nonché infastidirci un pochetto. Questo comunque, ho notato, non è il tipico comportamento dell’Indiano mussulmano, ma dell’Indiano in generale. Non è un “dar noia” malefico, solo un “fastidio bonario”. Mi sono resa conto che alla fine, poi, il mondo è sempre tutto paese: trovi persone stupende anche dove la cultura ti sembra proprio opposta alla tua e viceversa. A volte basta uno sguardo, e ti capisci al volo anche senza parlare. Sono sensazioni stupende…
Abbiamo girato tra le viuzze, visto il famoso Palazzo dei Venti (interessante solo la facciata) e il giorno dopo siamo state con i ragazzi all’Amber Fort, da cui si gode una vista bellissima sul panorama molto arido. La cosa che mi ha colpito di più è la lunga muraglia che scorre attorno alle montagne desertiche, simile a quella cinese, anche se in dimensioni molto ridotte.
Anche il paesaggio mi ha conquistata; ora a distanza di due anni, il paesaggio a cui posso paragonare questo di Jaipur è quello che spesso abbiamo visto in tv dell’Afghanistan, molto arido e abbastanza montagnoso.
La nostra successiva meta è stata Varanasi. Abbiamo deciso di continuare a farci del male, per modo di dire, e viaggiare in terza classe da Jaipur a Varanasi, per ben 27 ore di treno.
Il treno indiano è davvero un’esperienza indimenticabile, quella è uno spaccato di vita della vera India. E’ sul treno che riesci a cogliere gli sguardi della popolazione, la loro vita di tutti i giorni ed è attraverso il treno che compi quello che Forster chiamava “A Passage to India”. Sul treno, in terza classe, ti trovi a dover dividere quasi tutto con i tuoi compagni di viaggio, dalla frutta secca, alla musica incessante di musicisti vaganti nei corridoi, al contatto notturno con la polizia che fa controlli anti-terrorismo dovuti alla questione del Kashmir.
Alle fermate delle stazioni, tastiamo personalmente le indegne condizioni di viaggio alle quali sono costretti i passeggeri della terza classe. Visti da lontano, quei vagoni sembrano carichi di bestiame. Avvicinandoli, l'aria si fa irrespirabile. I finestrini hanno sbarre di ferro al posto dei vetri e la confusione e il chiasso al loro interno si possono solo immaginare. La pioggia, l'elevato tasso d'umidità e il caldo soffocante fanno il resto. Non credo di esagerare se affermo che mi è sembrato di vedere un documentario sui deportati della seconda guerra mondiale. Quando, ad una stazione, la nostra carrozza si ferma proprio in corrispondenza di un altro vagone di terza classe di un altro treno, non abbiamo neppure il coraggio di guardare le tristi facce delle donne e dei bambini, accalcati l'uno sull'altro... ma un momento, facciamo anche io e Barbara parte di questo viaggio…
I campi sono spesso allagati per causa del monsone e rallentano ulteriormente il flemmatico avanzare del treno. Distese di banani si alternano a pianure verdi brillanti; grossi e disordinati centri urbani si intervallano a piccoli e desolati villaggi di campagna. Da questi ultimi, frotte di bambini, in maggioranza scalzi e nudi, di corsa, si precipitano a salutare il passaggio del treno, correndovi dietro fin quando resistono.
Tra i campi, facendo attenzione, si riescono a scorgere in mezzo al verde i colori sgargianti, al confronto fosforescenti, di rossi, blu, gialli e tanti altri dei sari delle donne indiane intente al loro lavoro di raccolta. Di tanto in tanto si materializza una scena di altri tempi di uomini che portano l'aratro trainato da una coppia di buoi. Sovente il treno sembra fermarsi in mezzo alla campagna, ma in realtà basta sporgersi da uno dei due lati per accorgersi della presenza di una minuscola e sperduta stazione, senza neppure la banchina. La gente ne approfitta per scendere dal treno.
Tutte queste scene le vediamo restando comodamente seduti sulle scale del treno. Avete letto bene. E' un po' come essere in un safari fotografico dove non sono gli animali, ma la vita quotidiana dell'India e il suo paesaggio ad essere immortalati. Nel frattempo, sopraggiunge la sera e quindi anche l'ora della cena, che dividiamo anche con i vicini di “cuccetta”, se si può chiamare così questa panca di legno.
Il treno non arriva mai puntuale. In realtà bisogna mettere in conto, ad essere ottimisti, almeno due ore di ritardo che il treno inevitabilmente accumula durante il lento procedere e il lungo tragitto. Quanti riescono ad arrivare a Varanasi dopo ventisette ore e rotte di viaggio, così com'è capitato a noi, all'invidiabile media di trentacinque chilometri l'ora, devono considerarsi ben fortunati.
Finalmente, dopo 27 ore di treno, siamo arrivate a Varanasi, Uttar Pradesh, periodo del Kumbh Mela: per questo avevamo deciso di andare nella zona di Varanasi, proprio per vedere “questa sorta di giubileo degli Hindu”, il cui culmine si celebra a Allahabad.
Il Kumbh Mela è la più grande festa dell’induismo. Dura fino a tre mesi e include tutte le cerimonie e le celebrazioni del periodo primaverile. E’ una sorta di "concilio ecumenico" durante il quale gli asceti e i rappresentanti delle varie scuole filosofiche si riuniscono per discutere le tendenze di una religione priva di un unico capo e di un’ortodossia comune a tutte le sette. Per i milioni di pellegrini che vi affluiscono, è soprattutto l’occasione di vedere con i propri occhi i grandi maestri e gli anacoreti abitualmente nascosti nei loro eremi.
Kumbh Mela vuol dire Festa del Vaso o della Brocca. Il nome trae origine da un racconto mitologico alla cui base si trova il concetto di equilibrio degli opposti, simboleggiati dalle forze delle tenebre e da quelle della luce. I Deva, o divinità minori benefiche, disturbarono un eremita in meditazione e furono colpiti dalla sua maledizione. Avendo così perso le forze, chiesero aiuto a Vishnu, il dio preservatore, che ordinò loro di unirsi agli Asura, le divinità minori malefiche, per mescolare l’Oceano Primordiale dal quale avrebbero ottenuto l’amrit, il nettare dell’immortalità che avrebbe ridato loro i poteri sovrannaturali.
Seguendo le direttive del Preservatore, gettarono nell’Oceano di Latte tutte le erbe esistenti e usarono la mitica montagna Mandara come mescolatore, il serpente Vasuki come corda e lo stesso Vishnu, nel suo aspetto di tartaruga, come perno. Durante il mescolamento presero forma i Nava Ratna, i Nove Gioielli donati dagli dèi. Per ultimo apparve il medico celeste Danwantari che portava in mano l’amrit kumbh, la brocca dell’immortalità.
Vishnu prese il recipiente e lo donò ai deboli Deva. Gli Asura, vedendo sfumare il loro sogno di supremazia, cercarono di rubare la bevanda ai rivali. Durante la battaglia, che durò 12 giorni celesti corrispondenti a 12 anni terrestri, caddero quattro gocce di amrit sulla Terra. In quei luoghi sorsero Prayaga (l’odierna Allahabad), Haridwar, Nasik e Ujjain, le città sante che tuttora ospitano a turno il Maha Kumbh Mela, la grande festa che ha luogo ogni 12 anni, e l’Ardh e Hina Kumbh Mela, la mezza e piccola festa celebrate ogni 6 e 3 anni.
La leggenda racconta che la brocca non si ruppe grazie all’intervento del Sole e di Giove, che la riconsegnarono ai Deva restituendo loro le forze. Questo spiega perché la data di inizio, la durata e i giorni propizi della celebrazione vengono stabiliti dagli astrologi in base alla posizione del luminare (che impiega 12 mesi ad attraversare i 12 segni dello zodiaco) e del pianeta (che rimane circa 12 mesi in ogni segno).
Bisogna essere pazzi, fedeli o curiosi per immergersi in quell’oceano di pellegrini, animali, santi e faccendieri che inonda l’India per la celebrazione del Kumbh Mela. Lo spirituale e il grottesco si incrociano come la folla nelle stradine del bazar. In vendita sono i paradossi e le contraddizioni che il Paese del Caos lascia convivere da secoli. Le città che ospitano a turni triennali la festa sono Haridwar, Allahabad (l’antica Prayag), Nasik e Ujjain. Almeno settanta degli ottocento milioni di fedeli induisti si son recati quest’anno ad Allahabad, una delle città più sacre dell’India settentrionale. A questa sorta di Concilio ecumenico, che è durato 42 giorni a partire dall’8 gennaio 2001, hanno preso parte i maestri e gli anacoreti di 66 scuole (sampradaya) raggruppate in 12 congregazioni ascetiche (akhara).
Osservando i loro differenti tipi di vestiario, si capisce che i pellegrini provengono da ogni parte dell’India: hanno l’aria un po’ sperduta di chi si trova in terra straniera. Non tutti, infatti, parlano la lingua del nord e spesso comunicano in inglese o, alla peggio, a gesti. L’imposizione dello hindi come lingua nazionale, voluta da Indira Gandhi, non ha dato buoni risultati. In fondo, si tratta di un idioma parlato soltanto nel minuscolo stato di Delhi e in quello dell’Uttar Pradesh, al di fuori dei quali esistono ben 13 lingue ufficiali e oltre 400 dialetti riconosciuti. Per capirsi, non rimane altro che parlare l’inglese degli ex-colonialisti.
Questa marea di persone si riversa in una cittadina che abitualmente conta 860.000 abitanti, rendendo necessaria la costruzione di enormi tendopoli lungo le rive dei fiumi sacri. In un’area appartata di questi accampamenti risiedono i maestri e i santi induisti. Le loro tende sono ordinate come in un campo militare, suddivise per corporazioni (akhara) e, soprattutto, separate in due settori: quello degli Shaiva e quello dei Vaishnava. Questo perché, nell’antichità, le corporazioni di asceti erano un vero e proprio esercito organizzato a difesa dell’induismo, come dimostrano ancora oggi i simboli che le contraddistinguono: tridenti, spade, alabarde, lance, ecc. Come dire, la violenza per proteggere la non violenza. Inoltre, bisogna tener presente che non si trattava solamente di allontanare il pericolo costituito dalle invasioni o dalla nascita di nuove fedi, ma anche di rivalità all’interno dell’induismo stesso. La più forte e mai sopita rimane ancora quella tra gli Shaiva, devoti del dio Shiva chiamato anche il Distruttore o il Terribile, e i Vaishnava, fedeli di Vishnu detto il Preservatore dell’ordine.
La supremazia di un gruppo sull’altro è stata sempre messa in discussione e l’ordine di priorità nello svolgimento delle Shahi Sawari, le processioni delle varie corporazioni che hanno luogo durante i Kumbh Mela, ha causato cruente battaglie tra le due fazioni. Ad esempio, lo scontro per decidere quale akhara dovesse aprire la processione del Mela di Haridwar nel 1807 costò la vita a circa 1.800 asceti. La gravità di questi incidenti indusse il governo britannico a imporre una regolamentazione, tuttora in vigore, per determinare l’ordine di precedenza nelle abluzioni e nelle processioni, stabilendo così dei "turni" fissi per ogni Mela. Ciò nonostante, i contrasti tra le due principali correnti non si sono ancora attenuati. Sembrerebbe quasi la rappresentazione terrena della lotta narrata nella leggenda del Kumbh Mela: le tenebre contro la luce e viceversa, ma nessuna potrebbe esistere senza l’altra.
L’aspetto più affascinante della festa è il caos che tutto avvolge e miscela. La città santa diventa un tappeto umano, vastissimo e in movimento perpetuo. I fedeli recano offerte ai tapasin, mistici che tentano di ottenere la liberazione compiendo dure pratiche ascetiche come giacere su un letto di chiodi, rimanere in piedi 24 ore al giorno o tenere sempre un braccio alzato per periodi lunghi fino ai 12 anni che intercorrono tra una grande festa e l’altra. Le bancarelle espongono immagini sacre, collane, libri, cibi prelibati, mentre gli ambulanti vendono ciò che hanno: anche le sei zampe di due mucche nate siamesi sono un miracolo che vale un’offerta.
Negli accampamenti che sorgono nei pressi della Triveni, la confluenza del Gange e dello Yamuna con il mitico fiume sotterraneo Saraswati, i profumi delle cucine si mischiano a quelli degli incensi che bruciano durante una cerimonia all’aperto. C’è un clima di felicità tra i partecipanti alla festa, a volte l’unica di un’intera vita. C’è posto e tempo per tutti. In alcuni giorni particolari ogni attività si arresta e i pellegrini si affrettano verso il fiume sacro: stanno sfilando i Naga, gli uomini serpente così chiamati perché vivono nudi e cambiano simbolicamente pelle ogni giorno quando si cospargono il corpo di cenere dopo le abluzioni. Il semplice vederli, il darshan, è considerato una benedizione liberatrice.
I fiumi, che in India hanno sempre carattere femminile, sono il centro della vita sociale e religiosa. In essi i credenti purificano i corpi e le anime, gli allevatori lavano gli animali, le donne puliscono la biancheria, gli addetti alle cremazioni gettano le ceneri dei defunti. Al fiume vengono affidati i cadaveri degli asceti e dei bambini che, essendo considerati senza macchia, non abbisognano della purificazione del fuoco. Tutto va al fiume e proviene da esso: l’acqua per bere, quella per irrigare i campi e per officiare le cerimonie. Il corso d’acqua più amato è il Gange, Madre Ganga, lungo il quale sono state costruite le città di Haridwar, Allahabad, Benares, tutte sulla sponda opposta a quella del sole nascente per rassicurarsi ogni mattina!
Ma se la sola cittadina di Haridwar, la più vicina alla sorgente, ha due industrie farmaceutiche e una centrale elettrica (oltre a un pessimo sistema fognario) che producono circa 18 milioni di litri d’acqua inquinata al giorno, sarà veramente sacro e potabile quel fiume? E qui ci ritroviamo alla lotta tra gli opposti: se è sacro, è potabile e, se non è potabile, come potrebbe essere sacro? I fedeli continuano a berne l’acqua e a portarla ai parenti malati che non sono potuti giungere fin lì, mentre il governo ha stanziato ingenti finanziamenti per un progetto di disinquinamento chiamato Ganga Action Plan. Ne è nata un’interminabile contesa a colpi di analisi di laboratorio e indignazione religiosa, ma il momento centrale della festa rimane sempre lo Shai Snan: l'abluzione ‘imperiale’ compiuta dai santi dell’induismo.
Ragioni sociali e religiose si intrecciano spesso anche nell’ambito mistico. I Naga e gli altri asceti costituivano fino a poco tempo fa una specie di popolo nomade che, come tale, doveva essere controllato dal potere centrale. A questo proposito, Indira Gandhi fece varare una legge speciale che, da allora, impone a ogni anacoreta o monaco l’obbligo di possedere una carta di identità, chiamata mortsha (un foglio dattiloscritto paradossalmente in inglese e munito di fotografia), che certifica la veridicità del titolo religioso e autorizza l’interessato a ricevere offerte dai fedeli e a viaggiare gratis sui mezzi di trasporto pubblici. Durante il Maha Kumbh Mela, ogni mistico deve versare una percentuale delle offerte (debitamente registrate su un blocchetto di ricevute) nelle casse della propria corporazione, ottenendo così il "rinnovo" del mortsha per altri dodici anni. I più abbienti devono anche offrire un bandara, ossia un banchetto per il proprio maestro e per gli appartenenti alla confraternita.
Come vivono gli indiani queste contraddizioni? Si direbbe con un’accettazione priva di sensi di colpa. Un guru di Benares, tale Laxman Chaitanyaji Maharaj, ha rilasciato questa dichiarazione a un giornalista del Navbharat Times che lo stava intervistando mentre contava l’ammontare dei vaglia postali spediti dai suoi discepoli: "Il lusso? Che c’è di strano? Lo stato in cui mi trovo l’ho raggiunto tramite penitenze e duro lavoro. Sono un laureato, sa?". Il bene e il male sono un’illusione della mente e vanno trascesi; il giorno e la notte sono apparenze create dal cervello perché esiste soltanto la giornata.....e forse neppure quella.
Varanasi e Allahabad, un’orgia di profumi, suoni, colori, sensazioni, quello che avevo sempre immaginato sull’India, l’ho trovato qua. Ciò che mi ha affascinata di più è la gente comune, sui ghats a Varanasi, e il loro rapporto con tutto ciò che li circonda, un vero panteismo.
Dopo questi giorni stupendi, trascorsi tra la folla dei ghats e i milioni di persone incontrate a Allahbad, ci avventuriamo a Khajuraho.
Dovevamo prendere il treno fino a Jhansi e poi continuare con il bus, ma il nostro treno era un giorno e mezzo di ritardo, quindi abbiamo optato per un bus da Varanasi. Per la strada abbiamo visto una miriade di incidenti stradali, dovuti sia alle condizioni delle strade che agli autisti spericolati.
Khajuraho ce lo aspettavamo meno turistico, ha molti hotels e servizi. Abbiamo deciso di esplorare la cittadina a piedi ed in bicicletta, con la paura di venire messe sotto dalle macchine spericolate. Il complesso archeologico più importante si trova sulla strada principale del paese, vicino al lago. E’ il famoso templecomplex che raffigura il Kamasutra. E’ davvero incredibile il lavoro di scultura che è stato fatto per raffigurare queste piccole statuine in ogni sorta di posizione in modo così dettagliato. I templi in tutto sono undici.
Oltre ad aver visitato questo complesso archeologico siamo anche andate nella cittadina di Orcha, fondata nel XVI sec. dal Rajput Bundela Rudra Pratap che scelse questo lembo di terra lungo il fiume Betwa come sede della sua capitale. Il complesso fortificato, ancora oggi ben conservato, è composto da palazzi dove si notano i canoni architettonici Bundela, tra questi: Jehangir Mahal, Raj Mahal, i templi Ram Raja, Chturbhuj e Laxminarayan.
Tornate a Varanasi ci siamo subito dirette alla stazione per prenotare un treno per Delhi; dopo l’estenuante attesa nella saletta prenotazioni per stranieri, ci siamo dirette verso la solita pensioncina e abbiamo fatto una bella gita sul Gange, tanto per riprenderci dal puzzo e dal caldo soffocante della stazione.
L’indomani siamo tornate tra la calca tutte belle felici di prendere il nostro trenino che ci avrebbe portato dai nostri amici a Delhi per altri 5-6 giorni, ma ci siamo accorte che il treno era in ritardo di ben… tre giorni! Siamo tornate alla pensioncina tutte scoraggiate e il marito della padrona ci ha detto di conoscere una “società di taxi” a lunga percorrenza, che con poco più delle ex ventimila lire, ci avrebbe portate a Delhi, partendo la sera alle 9.30 saremmo giunte a destinazione alle 13-14. Ed era, a detta sua e dell’agenzia, una macchina che usano “i politici”, ovvero il modello “Ambassador”. Il nome ci suonava buono, quindi abbiamo detto “Why not?!”.
L’omino che ci si è presentato alle 9.30 con “la macchina dei politici” era alto 1.40 circa, e parlava inglese malissimo. La macchina era dietro l’angolo; svoltato l’angolo la situazione è diventata tragico-comica… dal fuori la macchina non prometteva nulla di buono, sembrava un po’ quella di Fantozzi, ma non ci siamo fatte prendere dal panico; montato anche il “nanetto-driver” in macchina, abbiamo capito subito che il viaggio non sarebbe filato liscio… modello di accensione del motore: l’omino apre il cofano, e con un cacciavite, dando delle botte su qualche tubo, riesce ad accendere la carretta e inizia il viaggio. E non si capisce bene come mai, ma decide di prendere le strade secondarie per percorrere una distanza così lunga, ovvero Varanasi-Delhi. Inizia con le sue smanie da “chai”, il tipico tè indiano, e si ferma ogni mezz’ora per un chai, in quelle piazzole adibite a camionisti, che non si capisce bene cosa facciano con duemila stracci addosso la notte su delle specie di brande, forse riescono a dormire all’addiaccio. Fatto sta che alle 10.30 di notte, nel bel mezzo del niente, scende per urinare, e ci chiude al buio sul ciglio della strada (rischiando anche che qualche camion pazzo ci venisse addosso) e scappa da qualche parte dentro quella che sembra una foresta.
Passano i minuti, le ore... e io e la mia amica, chiuse dentro dall’omino, ed impossibilitate ad aprire la porta, riusciamo a fare le contorsioniste sui sedili, cercando di dormicchiare.
Il nano-driver si ripresenta alle 6.30 e con impassibilità ci dice che era andato a dormire e che presto avrebbe avuto bisogno del suo chai.
Noi l’avremmo ucciso, ma visto che eravamo nel mezzo a niente, abbiamo proseguito. Alle 10.30 siamo arrivate a Lucknow, meta che non dovevamo toccare nel viaggio, perché lui ha detto che doveva incontrarsi con un suo amico, che alla fine non è mai venuto; anche qua stavamo per ucciderlo... ma abbiamo avuto pazienza. Alla fine erano le 14.30 e saremmo già dovute arrivare a Delhi ma eravamo ancora nei pressi di Lucknow…
Ha deciso allora di fare il furbo e di guidare spericolatissimo, alternando sorpassi da perdere tutti i capelli dallo spavento, a delle fermate assurde per prendere il suo chai. Oltretutto io e la mia amica non avevamo niente da mangiare, e per quelle strade non vi era ombra di nessuan fattispecie di negozio… ci siamo fatte coraggio, pensando che un po’ di “dieta” non ci avrebbe fatto male e abbiamo proseguito.
Arrivate alle 18.30 a 100km a sud di Delhi, abbiamo pensato che eravamo vicine, ed eravamo estremamente felici, sebbene fossimo in ritardo, affamate e stanche, ma non è finita qui: come si suol dire mai dire banzai… infatti, ci siamo “gufate” l’altra sfortuna. Il nano-driver ha sbagliato strada ed è entrato in una strada tutta sterrata poggi e buche, e ha forato… quindi ci siamo fermate, l’abbiamo aiutato a cambiare la ruota e siamo ripartire. indicando NOI la strada che doveva fare; ci siamo chieste se sapesse leggere, visto che andava nelle direzioni opposte ai cartelli che dovevamo seguire. Poi finalmente alle 22.30 siamo arrivate a Delhi est, proprio sotto la circonvallazione, e indovina che succede? Si fora un’altra ruota… questa volta le ruote di scorta erano finite e lui voleva chiuderci in macchina e farci dormire un’altra notte all’addiaccio…
Noi ci siamo così imbelvite che abbiamo deciso di non voler più sentire le sue storie e, vista la mancanza di un qualsiasi posto dove poter telefonare, siamo andate in uno “stanzino” dove riposano i camionisti, o insomma, quella gente che noi pensavamo fosse camionista, con un sacco di stracci in testa tipo turbante e due-tre coperte addosso… entrate lì, dopo aver smanacciato tre ore per farsi capire, questi hanno avuto la pietà di chiamarci un loro parente che aveva un tuk tuk e ci siamo fatte portare a Delhi Ovest in aeroporto. Non abbiamo pagato per intero il nano-driver, perchè il suo è stato davvero un comportamento scorretto a livello morale…
Nel tuk tuk abbiamo subito l’esperienza dell’“ibernazione” notturna… infatti l’aeroporto della città si trovava proprio dalla parte opposta a dove eravamo noi, c’erano 0 gradi e ci siamo dovute fare nella notte indiana, tutta la città da est ad ovest in tuk tuk. Non vi dico la gente come ci guardava ai semafori, due ragazze sole di notte in giro… il tuk tuk si è fermato due, tre volte in certe piazzole dove altri tuk tuk sostavano, e ci è balzato alla mente che forse ci sarebbe potuto succedere qualcosa di brutto, tipo stupri e robe varie, ma ci siamo volute fidare e grazie a Krishna siamo arrivate sane e salve, un po’ ibernate, all’aeroporto di Delhi. Erano le 2.30 di notte… uno squallore incredibile, ma dopo tutte le cose che avevamo visto in giro ci sembrava di essere al Ritz di Parigi. Ci siamo quindi prontamente “accampate”, e bevendoci noi, ora, un chai.
L’indomani mattina ci siamo risvegliate in mezzo alla gente della hall, e stranamente non ci era sparito niente. Abbiamo chiamato in nostri amici indiani, che sono venuti subito a prenderci. Che dolci, si erano preoccupati per noi perché non avevano più avuto nostre notizie.
Hanno deciso di portarci, quindi, ad Agra il giorno dopo e a Mathura (Vrindavan), la città dove si dice sia nato Krishna.
Ci siamo alzati alle 4 del mattino, e con l’auto (questa volta una bella vettura giapponese nuova di zecca) dell’amico di famiglia, ci siamo diretti verso Vrindavan. Il paesaggio era stupendo, non avevo mai visto un’alba così bella, un sole così rosa. A Vrindavan si rifugiano le donne che non accettano di togliersi la vita alla morte del marito come impone la tradizione. Queste donne, dette le “vedove bianche” arrivano da ogni parte dell’India; infatti, in molte regioni, la donna che perde il marito, perde automaticamente anche ogni diritto umano. In passato si davano fuoco sullo stesso luogo dove giaceva il defunto marito. Oggi, per fortuna sempre più raramente, restano vittime di misteriosi incidenti domestici, il più delle volte provocati dai parenti del marito che non vogliono più avere a che fare con loro. Non solo intimamente le ritengono responsabili del lutto, ma temono che in qualche modo la loro stessa presenza possa recare chissà quale sciagura al resto della famiglia.
Eccole, quindi, che partono verso le varie città sante, dove possono chiedere la carità. Tra tutte le mete, Vrindavan è quella ideale, perché qui visse Krishna, Dio dell' amore infinito. E perché soprattutto vi fanno capo alcune tra le più efficienti organizzazioni religiose, quali gli Hare Krishna, in grado di sfamarle per il resto dei loro giorni in cambio di canti e preghiere nei templi pubblici e privati. Sono diventate, del tutto involontariamente, una sorta d'attrazione turistica per occidentali e indiani che visitano a centinaia di migliaia il perimetro divino di Braja, che comprende, oltre a Vrindavan, la città di Mathura e il fiume sacro Yamuna.
A Mathura abbiamo visitato i vari templi hindu e siamo stati poi tutta la mattina a parlare con degli Hare Krishna americani a Vrindavan, che, tra l’altro, avevo già visto in concerto in Italia e a New York in passato.
Il pomeriggio abbiamo raggiunto Agra, non abbiamo visitato la città, ci siamo solo passati, e devo dire che non ho avuto l’impressione di essermi persa qualcosa, se non lo smog in quantità industriali.
Ci siamo subito diretti al Taj Mahal, un grandioso mausoleo fatto erigere dall’imperatore Shan Jahan per la moglie Mumtaz, e del Forte Rosso, una delle sette meraviglie del mondo.
Il Taj Mahal di Agra è una fusione di stili islamici ed indiani; fu voluto dall'imperatore Shah Jahan, allo scopo di fungere da tomba-giardino per le spoglie mortali della moglie Mumtaz: questo mausoleo, la cui costruzione cominciò nel lontano 1632 e si protrasse per una ventina d'anni, è davvero il simbolo dello sfarzo e della ricchezza raggiunta dalla dinastia Moghul.
Si tratta di un vasto complesso che comprende un ingresso monumentale, un ampio giardino, due moschee simmetriche ai lati del mausoleo e naturalmente i cenotafi di Shah Jahan e della moglie Mumtaz.
Il mausoleo vero e proprio, a differenza di quello di Humayum, che s'innalza al centro, è posto sulla estremità del giardino, in modo che lo sguardo del visitatore venga automaticamente guidato in tale direzione. Sorge su un basamento di circa cento metri per lato e sette di altezza, completamente in marmo bianco; anche il mausoleo è in marmo direttamente estratto dalle cave in Rajasthan.
Come già precisato, ai lati del mausoleo sorgono due moschee simmetriche in arenaria rossa, mentre ai quattro angoli del basamento s'innalzano i minareti, alti circa quaranta metri, sormontati da chatri.
Il giardino è caratterizzato dalla presenza di quattro canali posti nel suo centro, che confluiscono in un'ampia cisterna di marmo e sono affiancati da splendide aiuole; intorno al giardino corrono le mura a est e ovest, le quali confluiscono in una terrazza in arenaria rossa sul lato nord.
Una curiosità da precisare è che l'intero complesso è concepito in base a raffinate simmetrie geometriche e matematiche, le quali danno unità ed armoniosità.
La seconda parte del pomeriggio siamo stati ad ammirare il Fort, ma solo al di fuori, perché non riuscivamo a trovare parcheggio. Prima di tornare a casa, ci siamo fermati per strada, in mezzo ai campi, passava una macchina ogni 10 minuti, e ci siamo messi a mangiare per terra su una stuoia, con le mani, come fanno gli indiani; c’era il chapati fatto dalla signora Sharma, e poi l’immancabile dhal e delle melanzane piccantissime che la gentile signora sapeva che io adoro.
Il penultimo giorno, io e Barbara, accompagnate alla fermata del bus locale di Gurgaon, abbiamo deciso di andare ad esplorare Delhi. Dopo tutte le città che avevamo visto, ci ha stupito la “modernità” di Delhi rispetto a tutto ciò che avevamo visto in precedenza.
La storia di New Delhi, l’attuale capitale della più grande democrazia del mondo, risale ad oltre 3000 anni fa ed è menzionata anche nel leggendario poema indiano “Mahabharata” come visione dell’antica “Indraprastha”. Per ben sette volte Delhi combattè per la propria sopravvivenza ed ogni dinastia regnante, che fosse indù, mussulmana, mogol o britannica, lasciò dietro di sé, ognuna nel proprio stile, una ricca eredità culturale ed architettonica espressa in templi e mercati, palazzi e fortezze, monumenti funebri e torri. Fu infatti da Delhi che l’ imperatore persiano Nadir Shah si portò via il magnifico Trono del Pavone e il famoso diamante Kohinoor, oggi ammirabile con i gioielli della Corona Britannica.
Gli Inglesi spostarono la loro capitale da Calcutta a Delhi nel 1911, affidandone la progettazione a due loro architetti, Edwin Lutyens e Herbert Baker.
Poche capitali possono vantare oltre 1500 monumenti storici e tanti parchi e giardini come Delhi.
I luoghi di interesse che abbiamo visitato a Old Delhi son stati:
RED FORT: costruito dall’imperatore mogol Shah Jahan nel 1638, quando spostò la capitale da Agra a Delhi. Il nome deriva dalla pietra rossa con cui fu costruito. Nel Forte si trovano la Daiwan i-Am (sala pubblica), Daiwan i-Khas (sala privata), Moti Masjid (Moschea Perla), Rang Mahal, Khas Mahal e Hamman (Bagni Reali). Nei giardini del Forte viene tenuto ogni sera uno spettacolo musicale “Son et Lumière” in lingua inglese, che in estate si tiene alle 20.30 e alle 21.30 e in inverno alle 19.30 e alle 20.30.
JAMA MASJID: la più grande moschea di Delhi, capace di contenere fino a 20.000 fedeli. Il cortile interno è circondato da colonnati e padiglioni a volta.
CHANDNI CHOWK: area vicina al Jama Masjid in cui erano originariamente concentrati i negozi di argenteria. Ancora oggi è uno dei mercati più affascinanti e frequentati.
LUOGHI DI CREMAZIONE DELLE PERSONALITA’ INDIANE
RAJ GHAT: monumento al Mahatma Gandhi
SHANTI VANA: monumento a Jawaharlal Nehru
VIJAY GHAT: monumento a Lal Bahadur Shastri
SHAKTI STHAL: monumento a Indira Gandhi
Tutti i monumenti citati si trovano sulle rive del fiume Jaruma alla congiunzione fra Old e New Delhi.
FEROZ SHAH KOTLA: è il luogo in cui sorgeva la città di Ferozabad costruita nel XIV secolo dall’imperatore Feroz Shah Tughlaq, ora in rovina. Accanto si trova un campo da cricket.
I luoghi che abbiamo visto, scorrazzando per la città nuova, sono:
CONNAUGHT PLACE: costruito nel 1931, è il più importante centro commerciale di Delhi.
INDIA GATE: si tratta di un arco maestoso, alto 42 metri, eretto in memoria dei soldati indiani morti nella Prima Guerra Mondiale. Posto ad una estremità di Rajpath, all’ingresso del viale che porta alla Residenza Presidenziale, “Rashtrapati Bhawan”, e ad altri uffici governativi, l’India Gate è particolarmente affascinante nella sua illuminazione notturna.
TEMPIO BIRLA: costruito nel 1938 è il più grande tempio indu di Delhi. E’ conosciuto anche come Tempio Lakshmi Narayan.
TEMPIO BAHAI: questo gioiello in marmo a forma di loto è stato soprannominato il Taj Mahal del XX secolo.
PALAZZO DEL PARLAMENTO: è un edificio circolare costruito nel 1927 che ospita sia la Camera del Popolo (“Lok Sabha”) che la Camera Superiore (“Rajya Sabha”). L’originale della Costituzione, scritto a mano, è custodito nella Biblioteca del Parlamento.
RASHTRAPATI BHAWAN: residenza ufficiale del Presidente Indiano ed ex residenza del Viceré dell’India. Gode di una magnifica vista del Rajpath.
TEEN MURTI HOUSE: residenza di Jawaharlal Nehru, il primo Capo del Governo dell’India indipendente, convertita in museo dopo la sua morte. Il museo raccoglie interessanti cimeli della vita e dei tempi di Nehru. Durante la stagione turistica viene tenuto alle 20 uno spettacolo “Son et Lumière” sulla sua vita e il movimento indipendentista. Il museo è aperto dalle 10 alle 17 (entrata libera). E’ chiuso il lunedì.
JANTAR MANTAR: si trova a pochi passi da Connaught Place (lungo Parliament Street). E’ un osservatorio astronomico in pietra, costruito dal Maharaja Sawai Singh di Jaipur nel 1724, su commissione dell’Imperatore mogol di Delhi, per la revisione del calendario e la correzione delle tavole astronomiche.
PURANA QILA o OLD FORT: si tratta di un complesso cinto da mura, costruito nel XVI secolo dagli imperatori Sher Shah e Humayun sul luogo della leggendaria Indraprastha, la capitale ariana del 1000 a.C.
TOMBA DI HUMAYUN: eretta alla metà del XVI secolo da Haji Begum, vedova di Humayun, il secondo imperatore mogol. E’ il primo esempio di architettura indopersiana.
TOMBA DEI LODI: tombe e moschee erette dalla Dinastia Lodi nei giardini omonimi (XV e XVI secolo).
TOMBA DI SAFDARJANG: è un mausoleo in marmo a cupola eretto nel 1735/54 da Nawab Suja-ud-Daulah per il padre. E’ l’ultimo monumento mogol eretto a Delhi prima della caduta dell’ Impero.
QUTAB MINAR: minareto in pietra alto 78 m. la cui costruzione fu iniziata dal re Qutab-ud-din Aibak nel 1199. Alla base si trova la prima moschea dell’India. Davanti ad essa si erge un famoso pilastro del V secolo.
Dopo questa estenuante giornata, ci siamo rimpinzate ad uno dei tanti bazar, mangiando i mitici samosa, belli piccanti come piacciono a me.
Che dire, mi son sentita un po’ triste al pensiero che l’indomani notte sarei risalita su quella carcassa di aereo Aeroflot per tornarmene a casa.
L’ultimo giorno lo abbiamo dedicato allo shopping, ma per fare le “meno globalizzate”, siamo andate nello sconosciuto Bazar di Gurgaon, suggeritoci dalla signora Sharma, dove ho anche comprato tre grandi scatole di “laddoos”, i miei dolcetti indiani preferiti. La leggenda di Ganesh dice che anche lui fosse “very fond of laddoos”, mi chiedo se forse ci sia una sorta di connessione tra me e questa divinità, dal momento che è anche la mia preferita.
Scherzi a parte, l’addio a questa terra e soprattutto a questa gente stupenda e piena di dignità, mi ha fatta sentire un verme per lungo tempo, e come ho detto all’inizio di questo racconto, dopo questa esperienza, ho iniziato a valutare più “il succo” delle cose, e meno l’apparenza. Ho imparato ad essere più umile, e a ricercare il vero “senso” delle cose, al di là delle apparenze. Spero di avervi fatto rivivere questo mio splendido “passage to India”.

2 commenti in “Un indimenticabile “passage to India”!
  1. Avatar commento
    deni coniglio
    13/07/2009 03:41

    hi chiara... finally i found u here... i dunno if u remember me... please contact me if u read my message.... ciao

  2. Avatar commento
    Spillo
    03/01/2005 00:02

    Belle descrizioni! Interessante anche l'esperienza umana in un paese così affasciante...

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