Scozia e Inghilterra: inizio estate nelle regioni di confine

Un magnifico viaggio ai margini delle più scontate rotte turistiche, dove una natura incontaminata regna sovrana

Viaggio effettuato nel mese di giugno luglio di diversi anni, ultimo nel 2012.
L’itinerario che ci porterà a scoprire le bellezze della zona di confine a nord est tra Scozia e Inghilterra non può che cominciare, per gli appassionati di natura, dalle isole Farne.
Non a caso consiglio di dedicare i primi giorni a questa fantastica esperienza dal punto di vista naturalistico. Nel periodo che va da maggio a fine luglio, le isole Lindisfarne sono letteralmente invase da uccelli marini che qui trascorrono il periodo della nidificazione.
Le cifre sono impressionanti: oltre 70.000 pulcinella di mare, quasi 100.000 Urie, 5000 sterne di specie diverse, 8000 Kittiwakes, ed altri uccelli come gazze marine, gabbiani, cormorani, marangoni, pivieri, ededroni, ostricai…
Un simile ben di Dio non può che attirare appassionati birdwatchers e fotografi, ed infatti il 90% dei passeggeri delle barche che portano i visitatori nelle uniche due isole dove si può sbarcare appartengono proprio a questa categoria.
Dal porto del piccolo villaggio di Seahouses partono due o tre compagnie che accompagnano gli appassionati alle isole. Si possono prendere escursioni di mezza giornata, con o senza sbarco, ma l’escursione più gettonata (da me sempre preferita) è l’escursione per l’intera giornata che prevede partenza alle 9.30, sbarco nelle due isole di Staple e Inner Farne e rientro verso le 16.30.
Purtroppo le escursioni sono legate alle condizioni del mare, quindi prudenza vuole che si programmino sempre all’inizio della vacanza, in modo tale da avere un polmone che permetta di dedicarsi ad altre attività se il mare non permette l’escursione.
Le barche sono decisamente essenziali e nulla hanno a che vedere con certi battelli per turisti che si vedono in giro per il mondo. Sono praticamente dei pescherecci trasformati in barche per il trasporto turisti.PRIMO E SECONDO GIORNO: INNER FARNE E STAPLE ISLAND (INGHILTERRA)
Si parte alle 9.30: il tratto di mare che separa l’isola di Staple dalla terraferma può essere coperto in circa 20 minuti: dato che l’isola apre ai visitatori alle 10.30 i visitatori vengono portati prima ad osservare le foche grigie o foche atlantiche: ve ne è una colonia di circa 4.000 esemplari nelle isole, e si possono facilmente avvistare nelle isole più esterne. Un altro giretto intorno a Staple, per vederla dal mare, e finalmente si sbarca: ci si ferma due ore che, benché l’isola sia minuscola, volano: le specie più presenti in questa isola sono le Urie e i pulcinella di mare. Le urie si possono considerare gli uccelli più vicini ai pinguini dell’emisfero sud. Fisicamente somigliano molto ai pinguini, ma la differenza fondamentale è che le Urie volano a differenza dei loro “colleghi” del polo sud.
Trascorrono praticamente tutto l’anno in mare, escluso il periodo dell’accoppiamento e della cova che dura appunto un paio di mesi nel periodo di inizio estate. L’uovo è piuttosto grosso, di forma a pera, probabilmente per evitare che rotoli, visto che questo uccello non fa il nido ma depone l’uovo direttamente sulla roccia delle isole dove trascorre questo periodo. Per difendersi meglio dagli attacchi dei gabbiani, che ne predano le uova e i piccoli, le Urie formano appunto, ove possibile, delle colonie compatte che si richiudono strettamente quando i gabbiani piombano sul gruppo in cerca dei piccoli indifesi: purtroppo la strategia è spesso inefficace vista la rapidità dei gabbiani e la goffaggine delle Urie!
Capita infatti di assistere a diverse predazioni da parte dei gabbiani, uno spettacolo sempre triste, benché faccia parte del naturale ciclo della natura. Assieme alle Urie ci sono anche parecchi Pulcinella di mare, cormorani e gazze marine. Gazze marine e Cormorani condividono lo stesso ambiente delle Urie. Le gazze non fanno alcun nido, come le Urie, mentre invece i Cormorani si costruiscono un nido con quel che trovano: rami secchi, foglie, penne, terra, a volte anche buste di plastica! I pulcinella sono invece defilati, occupano più l’interno dell’isola che le scogliere esterne, perché il loro nido è un buco scavato nella terra. Dunque non nidificano laddove c’è solo roccia, ma hanno bisogno di un po’ di terreno per scavare una specie di tana.
Alle 12.50 circa ci reimbarchiamo per spostarci verso un’altra isola, leggermente più grande che si chiama Inner farne. Alle 13.30, infatti, Staple chiude ai visitatori e contemporaneamente apre invece Inner farne, che resterà aperta alle visite fino alle 16.30/ 17.00. Solo su queste due isole si può sbarcare, e l’apertura ai visitatori è limitata a sole tre ore al giorno per ciascuna isola, proprio per non stressare eccessivamente gli uccelli nidificanti. Tutte le Lindisfarne sono di proprietà della National Trust, una organizzazione no profit che viene finanziata dalle iscrizioni dei numerosi soci e dalle numerosi donazioni. Con i fondi raccolti il National Trust acquista giardini, isole, castelli, monumenti e ne cura la manutenzione grazie anche all’opera di numerosi volontari. In queste due isole aperte al pubblico ci sono parecchi rangers, tutti volontari: sono studenti universitari, generalmente studenti di biologia, che seguono i cicli di riproduzione di questi animali, oltre a sorvegliare che nessuno li disturbi eccessivamente. L’ingresso alle isole costa 6 sterline e trenta, ma i soci del National trust (anche io lo sono) entrano gratuitamente mostrando la tessera. Il passaggio in barca invece va pagato da tutti e costa 30 sterline. Anche ad Inner Island ci si ferma poco più di due ore. Inner Island è il paradiso delle sterne, che nidificano nell’erba che le frequenti piogge fanno crescere rigogliosa.
Le sterne qui nidificano dappertutto, anche lungo il sentiero, e per difendere il loro nido non esitano ad attaccare noi umani: dunque è decisamente consigliato portare un cappello o un berretto, perché i loro becchi aguzzi, con i quali picchiettano in testa, potrebbero fare molto male! Purtroppo non è il loro solo metodo di difesa. Spesso fanno piovere i loro escrementi in testa, proprio per cercare di far desistere gli umani invasori! Dunque è senza dubbio una buona idea portare con se, oltre al berretto o cappello che aiuta anche in questo senso, delle salviette rinfrescanti!
Al di là di questo aspetto poco simpatico, la Sterna codalunga, che è quella qui maggiormente diffusa, è un uccello straordinario non solo per la sua bellezza, ma anche per il suo caratterino.
E’ tra gli uccelli che compiono le più lunghe migrazioni, visto che le ritroviamo qui in giugno-luglio, ma vanno a svernare dall’altra parte del globo: in Sudafrica e Antartico. Secondo recenti studi è stato calcolato che nei circa 30 anni di vita, la sterna percorre qualcosa come 2.500.000 chilometri, ovvero sei volte il viaggio terra - luna!
Singolare il fatto che, benché anche qui siano presenti i gabbiani, non se ne vede uno cercare di predare i piccoli che vengono spesso lasciati soli e indifesi. Le sterne sono fortemente territoriali, oltre che litigiose e coraggiose, e gli intrusi vengono scacciati dal territorio anche dalle altre sterne.
I gabbiani girano dunque alla larga da questo uccellino 5 volte più piccolo di loro ma tutt’altro che indifeso!
Siamo qui nel pieno periodo di schiusa delle uova ed è un vero piacere osservare i genitori (indistinguibili nel sesso) fare la spola con i pesciolini in bocca per nutrire i pulli.
Anche qui sono comunque presenti molte altre specie, primi fra tutti i pulcinella di mare, ma non mancano le Urie e i chiassosi Kittiwakes.
Tutti sono intenti a nutrire i piccoli, che cominciano a nascere alla fine di maggio: i più spettacolari da vedere sono senza dubbio i pulcinella di mare, che pescano anche fino ad una decina di pesci che tengono con enorme abilità, aiutandosi con la lingua, stretti nel becco. All’arrivo a terra, devono precipitarsi all’interno del nido per evitare che i gabbiani li assalgano per rubare loro i pesciolini!
La visita a queste isole è estremamente appagante e io consiglio di dedicare almeno due giorni agli appassionati. In realtà molti appassionati non si stancherebbero mai di andarci e io ne sono un esempio vivente: nei quattro viaggi che ho finora fatto da queste parti, sono oltre 20 le giornate trascorse in queste isole!

TERZO GIORNO: VISITA AI CASTELLI DEI DINTORNI: HOLY ISLAND E BAMBURGH CASTLE (INGHILTERRA)
Ovviamente non tutti sono disposti a dedicare tutto il tempo a queste meraviglie della natura (e, come detto, spesso non sono raggiungibili per le condizioni del mare). Non c’è di che preoccuparsi, perché la regione offre spunti davvero per tutti i gusti!
Il gruppo delle isole Lindisfarne ha come “capitale” l’isola chiamata Holy Island, che è l’isola principale dove sorge anche uno spettacolare castello, costruito su uno sperone roccioso. In realtà Holy Island diventa un’isola solo quando c’è l’alta marea: nei periodi di bassa marea, emerge dai bassi fondali una strada asfaltata che collega l’isola alla terraferma: all’imbocco della strada, un cartello aggiornato indica il periodo in cui si può affrontare la traversata, senza rischiare di essere sorpresi dalle acque del mare.
Il castello è l’attrazione principale del luogo: nel periodo Tudor era semplicemente un forte di difesa ed avvistamento ed è stato trasformato in dimora solo all’inizio di questo secolo. Gli arredi sono dunque non certamente quelli originali, ma risalgono all’inizio del 900.
Per arrivarci bisogna parcheggiare l’auto al grande parcheggio all’ingresso del villaggio (4 sterline per tutta la giornata) e percorrere a piedi la strada che porta al villaggio prima, ed esce poi per raggiungere il castello, isolato alla punta estrema dell’isola.
Prima di vistarlo, è però doveroso soffermarsi agli interessanti resti del Monastero, fondato da Sant’Aidano, un monaco Irlandese, intorno al sesto secolo. Il Monastero non ebbe gran fortuna, perché era esposto alle continue razzie dei normanni prima e dei Vichinghi poi. Uno dei primi abati fu san Cutberto, che segnò con la sua personalità la storia della regione. Ancora oggi è uno dei Santi più venerati d’Inghilterra, è patrono dei marinai, e la cattedrale di Durham è a lui dedicata. Il monastero fu definitivamente soppresso da Enrico VIII ed ora ne rimangono le suggestive rovine incorniciate da un curatissimo prato inglese.
Di fronte, la chiesa di San Mary è interessante perché presenta al suo interno una interessantissima scultura lignea, con figure in grandezza naturali, chiamata “the journey”: raffigura sei monaci che portano in spalla la bara di San Cutberto, per sottrarla alle razzie dei vichinghi della regione. La Salma fu infatti portata via dai monaci ed errò praticamente per tutto il territorio per ben due secoli, fino a trovare degna sepoltura nella cattedrale di Durham, al sicuro da eventuali incursioni, furti e distruzioni di malintenzionati provenienti dal mare.
Il castello è invece costruito nel punto più alto e panoramico dell’isola. Ben conservato, ed abitato fino agli anni 50, è stato donato dal proprietario al National Trust, che ne cura la conservazione.
Ci si arriva con una bella passeggiata di un paio di chilometri tra i prati. Si possono visitare diverse sale addobbate con mobili della fine del XIX secolo e dal terrazzo sul tetto si gode di uno stupendo panorama sul mare e la costa!
Pranziamo molto tardi al Pilgrim cafè, facilmente individuabile sulla strada tra il castello e il monastero e abbiamo modo di gustare, per 15 sterline a testa, un’ottima zuppa ed insalata di pesce.
Per poter gestire meglio la visita di Holy Island occorre evidentemente prima consultare i bollettini locali delle maree: noi l’abbiamo visitata in un giorno in cui l’alta marea andava più o meno dalle 9.00 alle 15.00, dunque per le 15.00 circa siamo stati liberi di tornare indietro ( e ovviamente siamo arrivati per le 9.00 del mattino!).
Di ritorno verso il nostro bed & breakfast, ci fermiamo a visitare un altro castello dei dintorni, ancora più interessante per storia e monumentalità: il gigantesco castello di Bamburgh, lungo la costa, nell’omonimo paesino.
Il castello è stato a lungo la dimora del signore del Northumberland. Costruito nell’ XI secolo da Enrico II, sul luogo di una precedente fortezza del sesto secolo, è stato per diversi secoli il punto di riferimento del potere locale. Ammirandolo, dal parcheggio ai suoi piedi, non meraviglia certamente che lo sia stato: le sue mura possenti incutono timore anche in tempi di pace, figurarsi in tempi di guerra!
Di proprietà della famiglia Armstrong, che tutt’ora vive in un’ala del complesso, il castello è anche ora interessantissimo. Un’ala è adibita a museo dell’aviazione, dato che uno dei primi Armstrong era inventore ed ingegnere meccanico. Tra i reperti anche alcuni interessanti resti di veivoli precipitati in zona durante la seconda guerra mondiale. Anche gli interni del maniero non sono da meno in fatto di interesse: si trovano mobili antichi, armature, ceramiche. Un castello che vale davvero la pena visitare anche all’interno, oltre che ammirare all’esterno!

QUARTO GIORNO: WARKWORTH - DUNSTAMBURGH (INGHILTERRA)
Se non fosse per la strada asfaltata che lo taglia in due, il paesino di Warkworth sembrerebbe davvero che si fosse fermato nel tempo. Le case in stile anglosassone lasciano ben poche concessioni alle modernità e credo che togliendo insegne fili elettrici ed antenne, si potrebbe tranquillamente girare un film ambientato nel secolo scorso. Noi ci siamo arrivati per visitare il castello che, benché diroccato, non fa pentire il visitatore di una eventuale deviazione per la visita.
La costruzione si trova su di uno sperone roccioso che domina il fiume sottostante: entrando nel cortile salta subito all’occhio un torrione interno con una decorazione in pietra che ritrae un leone, il simbolo dell’Inghilterra: doveva apparire quasi come un monito ad eventuali visitatori scozzesi: il castello era indiscutibilmente Inglese!
Gli interni non sono particolarmente interessanti; il castello colpisce per la sua complessità, più che per le sale interne: non meraviglia comunque sapere che proprio qui sono state girate alcune scene del film Elisabeth. Lo visitiamo in un paio d’ore e ritorniamo verso il paesino.
Il tempo di ammirare il ponte seicentesco che fino agli anni 50 è stata l’unica via di accesso al paesino e di gustarci un rapido spuntino in un locale della deliziosa cittadina e ci avviamo verso la nostra prossima meta, un altro castello, quello di Dunstanburgh.
Anche questo è il classico maniero da film sul medioevo: il fatto stesso che non ci si possa arrivare in auto ma occorra fare una passeggiata di un paio di chilometri lungo la spettacolare costa, contribuisce a far correre la fantasia e immaginare che da un momento all’altro possa spuntare un gruppo di cavalieri con armatura. A differenza di Warkworth, qui non serve neppure eliminare mentalmente fili elettrici o antenne, perché non c’è nulla di tutto ciò!
Quando era al suo massimo splendore, purtroppo per un periodo piuttosto breve, questo era uno dei più imponenti castelli a difesa della frontiera Anglo/Scozzese. La sua storia e gloria fu però piuttosto breve, perché fu costruito all’inizio del 1300 e poco più di due secoli dopo era già in rovina. Considerata la furia degli elementi che lo circondano (anche noi siamo arrivati in una giornata molto ventosa, anche se serena) non possiamo che fare mentalmente i complimenti a chi lo ha costruito 8 secoli fa: è davvero un miracolo che dopo quasi 5 secoli di abbandono le mura principali siano ancora in piedi! La struttura è tipica di un castello costruito per scopi difensivi: grandi torrioni ai lati di un muro concentrico che doveva difendere delle truppe asserragliate all’interno. Danneggiato gravemente durante la guerra delle due rose, fu lasciato al suo destino quando le guerre successive spostarono le linee difensive in altre zone. Ora però delizia i visitatori con le sue linee aggressive e possenti.
Proseguiamo la passeggiata lungo la costa, avvistando niente altro che gabbiani, ededroni e sterne e ritorniamo verso le 18.00 al nostro bed & breakfast a Seahouses.
Seahouses è un paesino che offre molte sistemazioni: c’è un piccolo hotel, ma soprattutto diversi bed & breakfast e un paio di pubs che offrono anche camere. In particolare noi ceneremo spesso al Links pub, che offre piatti unici enormi al costo di 12/15 sterline.

QUINTO GIORNO I CASTELLI DELLE BATTAGLIE MEDIOEVALI (INGHILTERRA)
Un’altra suggestiva escursione per chi pone le basi di fronte alle isole Lindisfarne, è quella che porta a Etal - Ford e Norham. Un altro circuito di castelli che ricorda l’epoca tempestosa delle guerre tra Scozzesi e Inglesi. Etal e Ford sono ora villaggi talmente piccoli che sono riuniti praticamente insieme in una sola tenuta agricola! Il paesaggio è bucolico e riesce davvero difficile immaginare che da queste parti fu combattuta la più feroce battaglia tra Inglese i Scozzesi, la battaglia di Flodden. Il piccolo museo del castello trecentesco di Etal ne ripercorre le tappe. La battaglia fu combattuta nel 1513 ed il castello cadde nelle mani degli Scozzesi poco prima.
Lo scontro è famoso per due motivi: fu quello che impegnò il maggior numero di uomini delle due parti e fu l’ultima battaglia durante la quale cadde un re delle isole britanniche: fu la sorte toccata a James IV, re degli scozzesi che usci sconfitto dalla battaglia.
I motivi della sconfitta degli Scozzesi fu più o meno sempre lo stesso di precedenti battaglie: mentre i soldati Inglesi erano un vero e proprio esercito organizzato, gli Scozzesi erano sempre molto più indisciplinati in battaglia. L’esercito era frammentato in diversi clan e riusciva difficile coordinarlo in azioni di guerra. I numeri di morti lasciati sul campo parlano da soli: benché i due eserciti si equivalessero in numero di soldati, con una prevalenza di scozzesi (sembra 35.000 contro 25.000) secondo alcune versioni i morti da parte scozzese furono oltre 15.000, contro 1.500 Inglesi!
L’enorme differenza non si spiega solo con la diversa organizzazione ma anche con il fatto che gli Inglesi adottavano le prime armi di artiglieria e contrapponevano comunque un gran numero di arcieri contro soldati scozzesi armati principalmente di picche, poco adatte al terreno di battaglia collinoso e scivoloso. La battaglia di Flooden è anche ricordata per essere stata praticamente l’ultima grande battaglia medioevale in terra britannica.
Il castello di Etal, che secondo le cronache storiche fu l’ultima dimora di Giacomo IV prima della sua morte in battaglia, è ora ben lontano dai clamori dell’epoca. Restano le mura, l’imponente gate di ingresso ed un torrione principale, con il tetto crollato. La visita prende poco tempo, mentre è bello soffermarsi nel piccolo museo che descrive l’epica battaglia.
Strettamente legato dal punto di vista storico è anche il vicino castello di Norham, indubbiamente in condizioni migliori, pure se abbandonato. Anche questo fu preso da Giacomo IV, ma mentre il castello di Etal fu risparmiato, quello di Norham fu gravemente danneggiato.
Ci si arriva con un breve tragitto in auto, passando attraverso piccoli villaggi immersi nel verde, su strade secondarie. Il castello si trova ovviamente in un punto rialzato, a dominio di un fiume, lontano dal centro abitato, cosa che lo rende suggestivo come molti castelli di questa zona. Il fatto che nella sua storia “attiva” durata circa 5 secoli, subì ben 13 assedi la dice lunga sulla turbolenza di questa regione nella prima metà del secondo millennio. Quando fu conquistato dagli Scozzesi subì danni gravissimi e fu solo parzialmente restaurato dagli Inglesi. Circa 100 anni più tardi la regina Elisabetta decise di non spender più denaro per quel castello nato solo per difendere il confine Inglese dalla minaccia degli scozzesi e così il luogo cadde in rovina. Fortunatamente la solidità della costruzione ha fatto sì che, nonostante 5 secoli di abbandono, anche questo complesso sia ancora in condizioni abbastanza buone, tali da meritare una visita.
In ogni caso è assolutamente godibile la gita tra le campagne che circondano questi luoghi, lontanissime dai frastuoni delle grande città. Se uno pensa alla campagna inglese, immagina proprio posti come questo!

SESTO GIORNO: LA ZONA DEI BORDERS (SCOZIA)
La parola dice tutto: terra di confine, una regione all’estremo sud della Scozia che corre lungo quello che per anni è stato il precario confine tra i due Paesi, continuamente spostato e solo oggi stabile. Non è un caso che in questa zona si trovino monumenti quasi esclusivamente in rovina, ma è proprio questo che ne accresce il fascino storico. Il pezzo forte è certamente la Melrose abbey, una delle più famose e visitate abbazie di Scozia. Quello che più salta agli occhi, quando ci si arriva attraversando la verde campagna scozzese, è l’isolamento e il contrasto tra le pietre di arenaria rossa e il verde circostante, tipica veduta di molti angoli della Gran Bretagna, visto che era d’uso costruire grandiose cattedrali in luoghi isolati o comunque nelle vicinanze di piccolissimi villaggi.
La Cattedrale è famosa per le sue decorazioni scolpite nella pietra ma anche perché qui venne conservato per un certo periodo il cuore di Robert the Bruce, uno degli eroi più celebri e amati della storia Scozzese. La costruzione attuale mostra come doveva essere la cattedrale nel 15° secolo: in realtà fu costruita 4 secoli prima, ma i ripetuti passaggi distruttivi degli inglesi ne comportarono diverse ricostruzioni e modifiche.
Passeggiare tra gli archi in stile gotico, immersi nella silenziosa campagna è un piacere assoluto. Non occorre molta fantasia per immaginare lo splendore di questa abbazia cistercense nei tempi della massima gloria. Consiglio di salire anche sulla torre antistante il piccolo cimitero per poterne godere la vista a 360 gradi. Un luogo che non deve prevedere una visita frettolosa, ma una sosta prolungata per godere di questo angolo di pace.
Non lontano da Melrose, la torre di Smailholm costituisce una ulteriore possibilità di coniugare storia e natura. La torre non è neppure raggiungibile in automobile, da quanto è isolata in mezzo alla campagna: occorre parcheggiare in uno spiazzo sterrato e camminare circa 200 metri per vederla apparire in tutta la sua maestosità: costruita su un piccolo sperone roccioso nel bel mezzo della brughiera (a differenza di Melrose, qui non ci sono alberi), la torre riusciva certamente nel suo intento, che era quello di incutere timore agli eventuali nemici. Ora è immersa in un paesaggio bucolico, dove le mucche al pascolo fanno da cornice a quello che è un paesaggio da cartolina illustrata. Un posto ideale (se non piove) per farsi un bel picnic!
Attorno alla torre, i resti di un muro testimoniano come la costruzione desse riparo anche alla popolazione locale, dato che anche in tempi di pace la zona era afflitta da fenomeni di banditismo ricorrenti. Questa zona è stata per secoli la più pericolosa del Regno Unito per viverci.
Ora solo la torre è in buone condizioni e se ne può visitare l’interno, arredato con pochi mobili spartani: le stanze sono in più piani e l’ultimo ospita una esibizione permanente di figure in costume che illustrano la vita dell’epoca. Costruita nel 1450 da una famiglia ricca del luogo, per due secoli ebbe una vita intensa e travagliata, subendo diversi attacchi e scorrerie. La pacificazione tra Inglesi e Scozzesi, due secoli più tardi, ne fece perdere l’importanza strategica, ma rimase comunque abitata per molto tempo, cosa che ne favorì la ottima conservazione: i turisti ne possono godere i risultati apprezzandone l’interessante visita.
Consumato il nostro picnic ci dirigiamo verso la Dryburgh abbey, l’abbazia che contende alla Melrose Abbey la palma di costruzione religiosa più famosa dei borders. Ancora più isolata della precedente, la Dryburgh era, ai tempi della sua costruzione, circondata dall’omonimo villaggio che fu spazzato via durante uno dei tanti scontri tra Inglesi e Scozzesi. Di conseguenza ora solo prati e alberi la circondano, oltre al fiume Tweed, forse il fiume che più di ogni altro, in Scozia, segnò le vicissitudini e fu teatro di cruente battaglie tra i due stati confinanti: insomma, una sorta di Piave Scozzese! Il perimetro di visita è più ampio di quello di Melrose e la visita “ruba” almeno un paio d’ore.
Soddisfatti per la proficua giornata, chiudiamo il nostro breve cerchio all’interno della zona dei borders nella caratteristica cittadina di Jedburgh, molto frequentata da turisti locali, famosa per i suoi stretti vicoli e per la sua abbazia priva del tetto (per la verità non è una novità da queste parti!), per poi rientrare alla nostra base. Consiglio tuttavia, per chi facesse una vacanza itinerante, di scegliersi un alloggio in zona, per poter poi essere più vicino ai monumenti visitati il giorno successivo: la distanza di Seahouses è tutt’altro che proibitiva, ma ovviamente un alloggio in zona sarebbe più comodo.

SETTIMO GIORNO: FLOORS CASTLE E HERMITAGE CASTLE (SCOZIA)
Non lontano dalle abbazie e castelli visitati il giorno precedente, il grandioso Floors castle è stilisticamente completamente diverso dai suggestivi castelli medioevali che si trovano da queste parti. Costruito all’inizio del 18° secolo, quando i castelli avevano perso ormai la loro funzione prettamente difensiva, lo scopo era quello di farne una grandiosa dimora di una ricca e potente famiglia del luogo, quella di William Adam. Il costruttore riuscì perfettamente nell’intento, tanto da lasciare ai visitatori odierni un interessante castello circondato da meravigliosi giardini. Certo, qui non si respira l’atmosfera magica e intensa delle battaglie dei tempi passati, raccontati dalle mura in rovina dei monumenti medioevali, ma il posto costituisce un interessante diversivo ai monumenti più comuni da queste parti.
Il castello è visitabile pagando un biglietto di 8 sterline per il castello e i giardini o solo 4 sterline per i giardini. Consiglio ovviamente, per chi ha qualche ora di tempo, di visitarli entrambi.
Benché sia criticabile qualche scelta smaccatamente turistica, tipo la presenza di un ristorante, gli interni sono senza dubbio interessanti se non altro per i ricchi arredi: c’è una notevole collezione di arazzi fiamminghi che occupano più stanze, che vale la pena vedere.
Nel mese della nostra visita, giugno, ovviamente il giardino dà il meglio di se! Una lunga passeggiata negli ampissimi spazi antistanti il castello danno modo di apprezzare da lontano la massiccia costruzione e da vicino le curatissime aiuole fiorite.
Una breve sosta per il pranzo nella piacevole cittadina di Kelso e partenza per la visita all’Hermitage Castle.
Anche questo è uno di quei castelli che per storia, posizione e caratteristiche fanno correre la fantasia!
La struttura è decisamente inquietante: già la strada per arrivarci, che corre per parecchi chilometri nel mezzo di una brughiera dove non si scorge anima viva, contribuisce a renderne la visione, quando appare dal nulla, estremamente suggestiva. Trascurato dalla massa dei turisti proprio perché è lontano da tutto, in realtà vale la visita anche per la bellezza del paesaggio circostante. Storicamente importantissimo, il castello accolse anche Maria Stuart, regina di Scozia, in visita al proprietario ferito. Qui venne richiuso in una fossa e lasciato morire di fame tale sir Ramsay e si dice che il castello sia infestato dal suo fantasma. La storia racconta che riuscì a rimanere in vita parecchi giorni, mangiando chicchi di grano che cadevano dal sovrastante granaio. L'aspetto sinistro il castello ce l'ha di sicuramente: di fantasmi noi non ne abbiamo né visti né sentiti, ma non ci è venuta certamente la voglia di trovarci in quel luogo di notte!

OTTAVO GIORNO: BASS ROCK (SCOZIA)
Si chiude come abbiamo iniziato, con la natura fortissimamente protagonista. Arrivare a visitare Bass Rock non è certamente un gioco da ragazzi. Di proprietà della corona, questa piccola isola che ospita una delle più grandi e famose colonie di sule bassane (il nome in italiano deriva proprio da questa isola), è visitabile solo prenotando il tour con parecchio anticipo, almeno tre mesi.
Le prenotazioni sono gestite dallo Scottish Seabird centre (www.seabird.org) e bisogna appunto contattarlo parecchio tempo prima e pagare in anticipo la visita, oltre 100 sterline. Somma che verrà interamente rimborsata in caso di annullamento della visita.
Da parecchi anni si porta avanti una politica fortemente conservatrice che prevede solo una ventina di visite nel corso dell’intera estate. Ogni escursione prevede la presenza di sole 11 persone e se si aggiunge il fatto che se un tour viene annullato per maltempo o cattive condizioni del mare, non viene recuperato, non è difficile immaginare come sia una sorta di privilegio mettere piede in questa isola unica nel suo genere.
Dunque una volta effettuata la prenotazione, bisogna solo affidarsi alla fortuna. Il sottoscritto di fortuna ne ha avuta tanta, visto che nel corso degli anni sono riuscito ad effettuare tre visite su tre, ma il dato non deve trarre in inganno, perché in media solo il 60/70% delle escursioni vengono confermate.
Si parte generalmente al mattino (ma, a seconda delle maree, potrebbe essere anche il pomeriggio), e dopo un’oretta di navigazione su un normalissimo peschereccio, neppure modificato, si circumnaviga l’imponente isola facilmente visibile anche dalla costa per la sua mole e quindi si attracca ad un molo piccolo e non particolarmente riparato: questo spiega perché molte uscite vengono annullate. Da qui, un impervio sentiero, stretto, scivoloso e decisamente lurido per il guano di gabbiani e sule, si inerpica fino alla sommità dell’isola, dalla forma simile ad un parallelepipedo. La salita è piuttosto difficile anche se breve e vanno certamente usate calzature adeguate: niente sandali e niente scarpe da ginnastica, ma robuste (e lavabili!) scarpe da trekking. Il gruppo è accompagnato da un ranger che si occupa, poco prima di arrivare alla vetta, di “cacciare” alcune delle sule da un perimetro di circa 30 metri per 30, dove sarà fissata la nostra base.
Superato l’ultimo tratto del sentiero si apre ai nostri occhi una vista incredibile: migliaia di uccelli occupano ogni centimetro quadrato della sommità del “panettone” formando uno schiamazzante tappeto bianco vivente. La vista lascia senza fiato e, benché il gruppo sia formato esclusivamente da fotografi, passano una buona decina di minuti prima che qualcuno cominci a catturare immagini. Lo spettacolo va prima assaporato in tutta la sua grandiosità!
Le tre ore che abbiamo a disposizione letteralmente volano. L’unico quadrato non occupato dalle sule, dove noi ci troviamo, sembra in realtà una prigione per noi umani: siamo circondati da animali che apparentemente sembrano quasi ignorarci, forte del loro numero e della loro sensazione di appartenenza al luogo. Nei secoli precedenti, le sule hanno respinto ogni tentativo di condivisione dell’isola da parte degli umani: in passato si è tentato di stabilirci una prigione, o anche semplicemente di lasciare una famiglia a vivere sull’isola: tutti tentativi vani e alcuni sinistri ruderi ne sono la testimonianza. Le 150.000 sule sono le uniche, incontrastate dominatrici di Bass Rock!
La colonia è così fitta che questi uccelli, ottimi volatori ma pessimi nell’atterraggio, vista la loro mole, spesso cadono rovinosamente sui loro simili quando arrivano dal cielo. La scena è fonte di furiose litigate e ovviamente di ottimi spunti fotografici per gli appassionati.
La caratteristica principale di questo uccello è di essere una portentosa macchina da guerra quando si tratta di andare a pesca: quando avvista i branchi di pesce, si lascia cadere in acqua ad oltre 100km. all’ora, assumendo con le ali la posizione a freccia per avere una migliore penetrazione nell’acqua. Il pesce catturato spesso muore senza neanche rendersene conto, investito dalla potenza di un treno! Proprio per questo motivo le sula hanno le ossa del cranio particolarmente robuste e una vista binoculare che le rende apparentemente strabiche. In realtà non lo sono, semplicemente possono avere una vista indipendente!
Nel nostro viaggio di ritorno sperimentiamo la loro abilità nel tuffo: la barca di pescatori che ci ha portato nell’isola ha una buona riserva di pesce da gettare in mare per attirare le sule. I primi ad arrivare sono sempre i famelici gabbiani, ma pian piano partecipano al banchetto anche le sule che lentamente rimpiazzano i gabbiani per la loro maggiore reattività: vederli tuffarsi per catturare il pesce è uno spettacolo unico! Al rientro in porto può capitare spesso di essere accompagnati da un paio di foche atlantiche, che entrano senza timore in porto, abituate all’idea che spesso riescono a prendersi qualche pesce in “omaggio” dai numerosi pescatori che rientrano nel pomeriggio da battute di pesca.
Nel pomeriggio continuiamo la nostra immersione nella natura visitando le scogliere a sud di Dunbar, da dove siamo partiti: con una bellissima passeggiata sulla scogliera, tempo permettendo, si vedono le rovine dello spettacolare Fast Castle, a picco sul mare: purtroppo è rimasto poco, ma lo spettacolo e la vista sul mare è mozzafiato! Degna chiusura di un viaggio in questa meravigliosa regione Anglo/Scozzese!

CONCLUSIONI
Questo itinerario è solo uno dei possibili itinerari della zona. Non molto lontano parte anche il famosissimo vallo di Adriano, di enorme importanza storica, che può essere percorso e visitato in tutta la sua lunghezza da est a ovest. Per poter vedere le cose principali è necessario prevedere almeno tre giorni. Non lo riporto in questo diario perché già visitato in viaggi precedenti. In generale va tenuto presente che il nord/Inghilterra sud della Scozia offre spunti al visitatore per poter trascorrere nella regione almeno due o tre settimane. Questo resoconto cita solo alcuni dei monumenti più importanti, visitati come corollario a quello che per me è stato il pezzo forte: gli uccelli nidificanti delle isole di fronte alla costa.

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