Malaysia e Borneo in libertà

Tanti spunti per godere al meglio un Paese incantevole

Il volo intercontinentale fila via velocemente, grazie anche a Singapore Airlines che si conferma una delle migliori compagnie aeree in quanto a puntualità e servizi di bordo. Atterriamo all’alba, ma grazie a qualche pisolo schiacciato in aereo non sentiamo il jet lag e ci fiondiamo in hotel con l’intenzione di lasciare i bagagli, rinfrescarci e cominciare subito il tour della città.
L’albergo (Emerald Hotel Fragrance, prenotato con Asiaroom) si conferma comodissimo da raggiungere e mi compiaccio che le mie ricerche abbiano dato buoni frutti: si trova infatti a 10 minuti scarsi di cammino dalla stazione della metropolitana Kallang Road, a poche fermate dal centro. In più anche la qualità della stanza si rileva superiore alle aspettative: avevo infatti letto giudizi pessimi su un hotel della stessa categoria proposto da Asiaroom a Kuala Lumpur e quindi temevo analoghe brutte sorprese, invece i 21 euri spesi per la stanza si rivelano un ottimo affare.
La prima tappa del nostro tour a Singapore è ovviamente Raffles Place, da cui in pochi minuti raggiungiamo il Riverside e la statua del Merlion (simbolo di Singapore, che significa infatti “la città del leone”). Sono circa le 10 del mattino, ma ci sono già parecchi giapponesi che fanno foto e devo un po’ farmi largo per riuscire a scattarne qualcuna in cui non ce ne sia qualcuno di mezzo! In seguito, ci dirigiamo verso Suntec City e poi a Muscat Street dove facciamo subito i primi acquisti: come resistere infatti a un pashmina di seta e cashmere che costa solo 4 euro?
Ritorniamo verso il Financial District ed entriamo al Raffles Hotel, dove parecchia gente si sta gustando il famoso cocktail Singapore Sling! Noi resistiamo alla tentazione per evitare pericolosi abbiocchi e ci dedichiamo alla visita dell’hotel, in particolare alle sue balconate esterne perché nei locali c’è un’aria condizionata mortifera.
Poi scendiamo al Riverside, per ammirare gli eleganti palazzi che si affacciano sul fiume e per dare una prima occhiata a Boat Quay e Clarke Quay, in attesa di goderceli con più calma dopo il tramonto. Qui ci sorprende un breve acquazzone, che non offre però alcun sollievo a un tasso di umidità davvero arduo da sopportare.
Ritorniamo in hotel per un piccolo sonnellino tonificante e dopo un paio d’ore siamo di nuovo in pista, con l’obiettivo di raggiungere Sentosa in tempo per lo spettacolo della fontana musicale delle 19.40. Alle 19 varchiamo l’ingresso del parco, ma purtroppo non c’è più posto e dobbiamo aspettare lo spettacolo delle 20.40. Prendiamo allora il bus navetta e ci facciamo nell’attesa un giro nel parco, anche se quasi tutte le attrazioni sono ormai chiuse e non c’è nulla che ci colpisca particolarmente.
Lo spettacolo della fontana, pure essendo più che altro un gioco di luci laser piuttosto che di zampilli d’acqua, è invece carino ma ci rimane il dubbio che la fontana della salute a Suntec City sia più affascinante.
La nostra prima cena in terra d’Asia è a un baracchino di Chinatown: con una manciata di euri mangiamo due ottimi piatti di una pietanza non ben definita (c’era anche della cervella fritta, non la mangiavo da quando ero bambino!) e poi corriamo a Clarke Quay per concludere la serata sorseggiando un Singapore Sling romanticamente affacciati sul fiume.
Ci abbandoniamo così a qualche riflessione su Singapore, che ci è sembrata una città bella e particolare in quanto piena di contrasti: non c’è infatti il traffico né il rumore assordante delle capitali asiatiche, mentre i grattacieli e i mastodontici centri commerciali stridono con i palazzi coloniali affacciati sul Riverside, così come l’ordine e la pulizia quasi maniacali (cos’altro pensare dei cartelli sulle aiuole che minacciano “attraversate a vostro rischio”?) contrastano con l’affollamento e i colori di Little India, Arab Street e Chinatown che appaiono come quartieri assolutamente estranei al contesto urbano e, pertanto, quasi artefatti.
Prendiamo l’ultima metropolitana della giornata e crolliamo a letto: dopo 8 ore di sonno profondo il fuso orario è già smaltito e abbiamo ancora il tempo per qualche conveniente acquisto a Little India, prima di avviarci verso la stazione di Bugis dove prendiamo il bus per Johor Baru.
Il tragitto in sé dura poco, ma tra cambi di bus e burocrazie doganali ci impieghiamo 2 ore per varcare il confine (dove cambiamo solo qualche decina di euro, per non farci spennare da tassi di cambio da capestro!). Qui c’è un tassista che ci propone la corsa all’aereoporto al prezzo di 30 RM, sostenendo che dal terminal Larkin di Johor Baru non c’è servizio di bus. Ma io mi fido delle mie fonti e attendo il bus per Larkin, da dove infatti ne prendiamo un altro che in poco tempo e con una spesa irrisoria ci porta all’aereostazione.
Il volo Airasia per Kota Kinabalu parte con 3 ore di ritardo e sbarchiamo quindi in Borneo appena in tempo per raggiungere in taxi l’hotel Daya (prenotato via mail dall’Italia: prezzo 95 RM con colazione) e andare a nanna.
Il giorno successivo ci incamminiamo verso il molo, che dista 10 minuti dal nostro albergo (altra ottima scelta strategica di cui mi vanto con la mia ragazza!): alla reception ci iscriviamo nella lista di persone che vogliono andare a Manukan e Sapi e ci diamo anche da fare per convincere qualcuno a scegliere le nostre stesse destinazioni, dato che non si parte finchè non si raggiunge un quorum minimo di partecipanti. Manukan è un po’ affollata, ma ovviamente nulla a che vedere con le spiagge di Rimini e dintorni. Sapi è invece davvero deserta: ci sono solo una coppia di riminesi (ma guarda un po’ che caso!) e alcuni ragazzini malesi molto divertiti dalla nostra presenza, ma l’isola è un po’ trasandata e non ci fa una grande impressione.
Molto meglio, invece, Manutik e Sulug che visiteremo il giorno successivo (non prima di esserci nuovamente impegnati nelle pubbliche relazioni mattutine per trovare altre persone e poter riempire la barca): soprattutto la seconda si affaccia su un mare dai colori intensi, dove si fa un discreto snorkeling e si trascorre una piacevole giornata.
E’ ferragosto e decidiamo di trattarci bene mangiando aragosta al ristorante Sea View di Kota Kinabalu: il conto è un po’ salato (per i canoni malesi, si intende) e il POS non prende la mia Visa (chissà perché?), ma abbiamo mangiato ottimo pesce seduti a un tavolo all’aperto con vista mare. Raffinatezze ben diverse dalla sera precedente, quando abbiamo cenato ai baracchini del mercato “Filippino” sul lungomare della città: piatti di carta e sgabelli modello asilo, ma vuoi mettere la libidine di pulire e mangiare un pesce con le mani (le posate? Un optional!) in compagnia dei malesiani?
Siamo al terzo giorno nel Borneo ed è ora di spostarci nell’interno, con destinazione Poring Hot Springs: le raggiungiamo comodamente, viaggiando in minivan per circa 3 ore fino a Ranau e poi con una breve corsa in taxi. Sono circa le 14 e abbiamo il tempo di ammirare la Butterfly Farm, salire sul Canopy Walkway e percorrere un sentiero di trekking di circa mezz'ora che porta alle belle cascate Kipungitt.
Prima del tramonto, un bagno nelle acque gelide della piscina e una pucciatina nei rinomati “tubes”: vasche di acqua che sgorga da due rubinetti e che spacciano come sulfurea, ma che a me pare avere le stesse caratteristiche di quella con cui riempio la vasca di casa mia, che tra l’altro è sicuramente più pulita. Morale: di immergersi lì dentro non se ne parla e ci limitiamo a un breve pediluvio, preludio a una cena prelibata ed economica a base di noodles nel ristorante del Quartier Generale.
La mattina successiva vorremmo dedicarla all’Orchid Farm, pur sapendo che non dobbiamo aspettarci chissà cosa perché il periodo non pare quello più indicato per la fioritura. Ce lo conferma il fatto che la struttura è addirittura chiusa e una breve visita concessaci dal guardiano compiacente ci conferma che non ci saremmo persi nulla.
Ci dedichiamo allora all’abbronzatura, in attesa del taxi prenotato il giorno precedente che ci riporterà a Ranau in tempo per prendere il pullman per Sandakan delle 14.
Sul pullman discutiamo sulle Poring Hot Springs e concludiamo che è una tappa che si poteva tranquillamente saltare, anche in ragione dei costi di permanenza nella struttura (150 RM per una stanza senza bagno e 15 RM a testa di ingresso). Però si trova proprio a metà strada tra Kota Kinabalu e Sandakan e quindi tutto sommato si è rivelato una sorta di piacevole stop over.
Lungo il tragitto facciamo conoscenza con una coppia di ragazzi di Lodi e Piacenza, con i quali decidiamo di cenare insieme al ristorante Trigger Hill di Sandakan di cui avevo letto buone referenze su Internet. Si trova in cima alla collina che sovrasta la città, a circa un quarto d’ora di taxi. A un prezzo fisso di 18 RM (bevande escluse) offre un buffet di pesce “all you can eat” che ogni commensale mette a cuocere in una casseruola al proprio tavolo. Dopo qualche difficoltà iniziale (risolta grazie alla cortesissima e paziente assistenza di un cameriere), riusciamo anche noi ad organizzarci al meglio per riempirci lo stomaco e trascorriamo una piacevole serata godendoci una piacevole brezza che sale dal mare e stabilendo un programma comune per il giorno successivo, che intendiamo dedicare a un’escursione sulle Turtle Islands.
Nutrivo qualche perplessità sulla possibilità di raggiungere queste isole in autonomia, avendo ottenuto informazioni contrastanti dalle quali era emerso il rischio che l’unica possibilità per visitarle fosse quella di comprare in agenzia viaggi un pacchetto con pernottamento incluso. Invece al porto troviamo subito chi è disposto a condurci sulle isole e si tratta solo di patteggiare sul prezzo: io preferirei andare a Lankayan perché su internet ho letto meraviglie di quest’isola, ma è piuttosto lontana (quasi 2 ore di barca) e i nostri due nuovi amici non hanno molta voglia di sobbarcarsi un viaggio così lungo. Optiamo allora per Selingan (costo del trasporto: 300 RM), che dista un’ora abbondante da Sandakan e si rivela assolutamente degna di una visita.
L’isola è parecchio trascurata e ha spiagge bruttine nel punto in cui si può fare snorkeling, ma offre un piccolo scorcio in cui il mare è splendido e l’acqua favolosa. Inspiegabilmente tutta la gente è concentrata negli altri punti dell’isola (che si gira a piedi in 20 minuti circa) e così ce la godiamo tutto il giorno in totale tranquillità.
Ritorniamo felici a Sandakan, attraversando un tratto di mare letteralmente infestato da bottiglie di plastica e spazzatura assortita: uno spettacolo che stride tristemente con quello offerto da un bellissimo sole che sta tramontando all’orizzonte, ma perfettamente in sintonia con la sporchissima città di Sandakan.
Caratterizzata da un lungomare totalmente occupato da un mercato lercio e puzzolente, è infatti una città desolante che offre ben poco al turista: nessun ufficio cambio e un solo ristorante (l’Imperial View, proprio sopra il molo), dove peraltro ceniamo molto bene e a prezzi contenuti. Stranamente, invece, l’offerta di sistemazioni alberghiere è molto varia e il nostro hotel (Seafront) prenotato via internet si rivela ottimo per qualità e prezzo (69 RM senza colazione).
E’ arrivata finalmente l’ora di prepararci per il famigerato tour sul fiume Kinabatangan e il nostro entusiasmo contagia i nostri amici, che decidono di unirsi a noi e mi chiedono di telefonare ad Uncle Tan per chiedere se c’è posto anche per loro. La risposta è positiva e così prenotiamo il taxi e ci diamo appuntamento per l’indomani mattina: dovremo essere a Sepilok entro le 10, in tempo per assistere alla pappatoria degli oranghi all’omonimo centro di riabilitazione.
La visita al centro si rivela all’altezza delle nostre aspettative: un gruppo di oranghi si sta già esibendo in acrobazie su una liana a poca distanza dalla piazzuola adibita al pubblico e sembrano quasi divertiti all’idea che tutta quella gente sia arrivata lì apposta per loro. A un certo punto gli addetti portano alcuni cesti di banane e assistiamo alla loro colazione, che si svolge in rigoroso rispetto delle gerarchie: prima mangiano i più grandi e robusti e solo in seguito sarà concesso ai più piccoli di accedere alla mensa.
Tornando all’ingresso, scorgiamo un gruppo di macachi che sbucano dalla vegetazione e ci accompagnano incuriositi lungo il tragitto, per nulla spaventati dai flashes delle nostre macchine fotografiche. Al termine della visione di un interessante filmato (in cui viene spiegato come si svolge la vita degli oranghi all’interno del centro e le finalità che si propone), attendiamo il pullmino di Uncle Tan che deve condurci al Quartier Generale.
Prima di partire per il campo, c’è il tempo per il pranzo e per scambiare due chiacchiere con i reduci del tour che ci danno il cambio: ci descrivono quello che ci aspetta, nel bene e nel male, consigliandoci di equipaggiarci in maniera adeguata per fronteggiare la gran quantità di fango che troveremo nella giungla. A quanto pare le nostre scarpe da trekking non sono sufficientemenete adeguate e ci indirizzano a un vicino store per acquistare per ben 4 RM (!) le “Adidas Kampung”, scarpette di gomma che comunque è anche possibile noleggiare al campo. Il suggerimento si rivelerà prezioso, ma incompleto: il mio consiglio è infatti di acquistare direttamente un bel paio di stivali, certamente più adatti delle Adidas Kampung al fango della giungla. Anche questi si possono noleggiare al campo, ma sono tutti sudici, bagnati e a volte anche bucati e quindi vale sicuramente la pena investire 10 RM per il loro acquisto al medesimo store di cui sopra e poi lasciarli in beneficenza al campo.
Un po’ allarmati da questi racconti, ci dirigiamo in minibus al punto di attracco delle barche di Uncle Tan e, come da programma, il tragitto sul fiume si rivela di per sé stesso un primo assaggio della “wildlife nature”: ogni tanto, infatti, il nostro Caronte accosta vicino alla riva e ci mostra coccodrilli, scimmie, varani e uccelli di varie specie.
Arriviamo al campo dopo un’ora circa: un paio d’ore di relax per sistemarci nei nostri “chalet” e prendere confidenza con i “comfort” del campo, un’ottima e abbondante cena e poi si parte per il primo “boat tour” notturno. Le imbarcazioni da circa 10 posti navigano nel silenzio e nell’oscurità e per i primi minuti non si vede un bel nulla, ad eccezione di un bellissimo cielo stellato. Poi ad un certo punto “Caronte” scuote la torcia per far segno al timoniere di accostare a riva: una civetta fa capolino da un albero con i suoi occhioni fosforescenti e ci dà il benvenuto sul fiume. Da lì in poi è una serie ininterrotta di avvistamenti, alcune volte assolutamente incredibili per la capacità degli occhi di noi occidentali: Caronte riesce a scorgere persino un pitone perfettamente mimetizzato su un ramo e si conquista tutta la mia ammirazione, anche perché mi rendo conto che i timonieri delle altre barche non hanno l’occhio così sopraffino e per questo anche nei successivi tour faremo sempre in modo di prender posto sulla sua barca.
La giornata seguente prevede ben due “boat tour” (all’alba e al tramonto) e due “jungle trekking” al mattino e alla sera dopo cena. I tour sul fiume si rivelano tutti molto interessanti, mentre quello nella giungla in pieno giorno è assai meno divertente e foriero di avvistamenti (ad eccezione di qualche ragno e di millepiedi che odorano di sciroppo di mandorla!). Avendo poi visto in che condizioni tornavano i partecipanti al jungle trekking notturno (letteralmente infangati dalla testa ai piedi), decidiamo di rinunciarci e di optare per un altro tour in barca serale.
Ma è quello al tramonto che ci regala una sorpresa inaspettata, seppur da tutti sognata: lungo il breve tragitto nella foresta che separa il campo dal punto di attracco delle imbarcazioni, il nostro Caronte scorge infatti un orango appollaiato su un albero a poca distanza dal suolo. L’emozione di tutto il gruppo è palpabile, testimoniata dal silenzio che si crea spontaneamente nel giro di pochi attimi per consentirci di appostarci alle pendici dell’albero e scattare interi rullini di foto senza disturbarlo.
L’incontro con l’orango sarà il principale e più animato argomento di conversazione durante una cena pantagruelica a base di enromi gamberoni di fiume appena pescati: c’è un piacevole clima cameratesco, per nulla scalfito dalle differenze linguistiche dei partecipanti al campo. Mi alzo da tavola e guardo verso il fiume, scorgendo colonie di macachi che già pregustano gli avanzi della nostra cena.
Il giorno successivo si torna nella civiltà, non prima di aver consumato un ultimo gustoso pasto al quartiere generale di Uncle Tan. E’ un T.O che mi sento assolutamente da consigliare: costi minimi (280 RM per 2 notti, tutto incluso) e personale giovane, simpatico e molto esperto in fatto di vita nella giungla. Prima di partire per la Malesia ero quasi propenso a optare per altri T.O. che offrivano sistemazioni meno spartane rispetto al campo di Uncle Tan, ma sono convinto che difficilmente mi sarei trovato altrettanto bene.
Salutiamo il gruppo e, in particolare, la coppia di Lodi e Piacenza con cui abbiamo trascorso gli ultimi 4 giorni di vacanza e ci facciamo portare all’aereoporto di Sandakan, dove ci attende l’aereo per Kuala Lumpur. Il mio obiettivo (forse un po’ troppo velleitario) era di prendere il volo delle 17.10 e raggiungere la capitale malese giusto in tempo per l’ultimo bus notturno diretto a Kota Baru o a Kuala Besut, teoricamente previsto per le 22/22.30. Ma tutti i miei sogni svaniscono appena entrati nel terminal, dato che al bancone di Air Asia un cartello avverte che il volo tarderà di oltre due ore. Memore dell’analogo ritardo sul volo che ci aveva portato a Kota Kinabalu, non la prendo molto bene soprattutto perché devo reimpostare l’itinerario dei giorni a venire: dopo estenuanti trattative e una miserrima richiesta di 10 RM da parte dell’ufficio di Air Asia, otteniamo di posticipare di un giorno il volo che da Kota Baru dovrà poi riportarci a Kuala Lumpur. In questo modo recupereremo il giorno di mare perduto, perdendoci però con mio grande rammarico le celebrazioni del Merdeka Day nella capitale in programma a fine mese.
Abbiamo parecchie ore di attesa davanti a noi e l’inospitale aereoporto di Sandakan non è esattamente il posto ideale per dimenticare i disagi causati dall’inefficienza di Air Asia: pochissimi negozi, bagni chiusi e/o fatiscenti (del tutto inadeguati a chi vorrebbe lavarsi un po’ dopo aver trascorso due giorni nella giungla fangosa senza mai farsi una doccia!), nemmeno l’ombra di un ufficio cambio nè tantomeno di un bus per tornare eventualmente in città.
Decolliamo infine con quasi tre ore di ritardo e giungiamo a Kuala Lumpur alle 23 circa: fortunatamente almeno il servizio navetta di Air Asia è puntuale (costo 9 RM) e così dopo circa un'ora siamo alla stazione centrale e poco dopo la mezzanotte il taxi ci lascia in Bukit Bintang in cerca di un hotel. Provo subito al Bintang Warisan (segnalato nelle mie ricerche su internet), dove per 115 RM ci propongono una stanza appena decente che peraltro accettiamo subito, sopraffatti dalla stanchezza.
L’indomani mattina ci precipitiamo per prima cosa al Terminal Putra per prenotare il pullman notturno per Kuala Besut (30 RM) e poi ci dedichiamo al tour della città, muovendoci sempre con il comodo metro leggero LRT (molto conveniente il SEPADU, abbonamento giornaliero valido su tutti i bus e le linee della LRT: costo 7 RM) e privilegiando le zone comprese tra Merdeka, Mashjd India e Chinatown dove ci produciamo in un’infinità di acquisti.
Conscio delle difficoltà che incontreremo alle Perhentians nel cambiare i soldi, faccio scorta di contanti e mi accorgo che gli uffici cambio nel quartiere indiano sono molto più convenienti.
Avevamo programmato di dedicare qualche ora alla visita dei Lake Gardens, ma facciamo solo in tempo ad ammirare l’Orchid Garden perché poi un violentissimo acquazzone ci costringe a rimanere al coperto sotto le tettoie per più di un’ora. Si sta facendo tardi e pensiamo che solo un provvidenziale taxi può salvarci dall’empasse, ma in Malesia “mai dire mai”: scambio infatti qualche parola con una ragazza musulmana in evidente attesa di un fantomatico mezzo di trasporto e ne guadagniamo di lì a poco un passaggio addirittura su uno scuola bus! La ragazza è infatti un’insegnante di chimica di Penang ed è in vacanza con i suoi alunni nella Malesia peninsulare: nel breve tragitto che ci separa da Merdeka Square, ci troviamo così letteralmente assediati da tutti i giovani passeggeri che chiedono all’insegnante di tradurci per loro domande di vario tipo a cui rispondiamo con piacere, divertiti da tanta curiosità.
Corriamo in albergo a prendere i bagagli e torniamo al terminal Putra, dove alle 21.30 parte puntualissimo il pullman della compagnia Perama che ci condurrà a Kuala Besut. Il viaggio è tranquillo e quasi confortevole: i sedili sono infatti comodi e soprattutto l’aria condizionata è a una temperatura gradevole, ciò che fuga i nostri timori di rimanere assiderati per tutta la notte (come spesso capita in Asia sulle tratte lunghe).
Il pullman ci lascia proprio davanti a un’agenzia viaggi, che ci vende i biglietti (60 RM andata e ritorno) per il trasporto alle Perhentians e alle 7 in punto ci indirizza all’imbarcazione in attesa al molo.
Ci facciamo lasciare sulla spiaggia del Mama’s Place a Besar: durante le mie ricerche su internet ne avevo sentito parlare bene e una coppia di tedeschi incontrati nel Borneo me ne aveva confermato il giudizio assolutamente positivo. A dir la verità, la qualità degli chalet non è proprio da Grand Hotel (soprattutto il bagno lascia a desiderare) e ci ripromettiamo di cercare qualcosa di meglio nei giorni seguenti, anche perché voglio regalarmi l’ultima settimana di mare soggiornando in una stanza direttamente sul mare. I plus della struttura sono però due: un ottimo ristorante (dove ogni sera faremo colossali mangiate di pesce per 6/8 euro a testa) e la presenza di Aziz, cortesissimo boss sempre prodigo nell’organizzare escursioni di ogni tipo e nel fornire i servizi di taxi boat. Non ci lasciamo così sfuggire la gita a Redang (ottimo snorkeling soprattutto al Parco Marino, dove si avvistano senza problemi murene e barracuda) e a Lang Tengah (davvero una perla di isola: spiagge deserte, sabbia accecante e acqua cristallina), oltre che a Rawa e ad altri “snorkeling point”: da segnalare, tanto per citarne uno, quello proprio in mezzo alla baia del Mama’s dove si nuota insieme a un gruppuscolo di tartarughe giganti.
Nel frattempo ispezioniamo meglio Besar: la spiaggia migliore è quella su cui si affacciano il Perhentian Island Resort e il Coral View (a poche decine di metri dal Mama’s) e qui il mare offre possibilità di ottimo snorkeling anche a riva. Ci sono poi un paio di sentieri che permettono di attraversare l’isola a piedi (camminando per circa un'ora attraverso la giungla) e scopriamo così dalla parte opposta la bella e spaziosa Flora Bay, che ospita il lussuoso resort a 4 stelle Arwana. Veniamo colpiti dalla sua incantevole piscina, dalle gustose ciambelle preparate al momento per la merenda e, soprattutto, dai bellissimi chalet sul mare (245 RM): purtroppo sono tutti occupati sino a fine mese, a conferma che alle Perhentians non è semplice trovare alloggi di buon livello senza aver prenotato con discreto anticipo.
Ci riproponiamo allora di cercare qualcosa a Kecil, ma a Coral Bay il Suria (molto decantato sulle guide) è sugli stessi standard del Mama’s; una coppia di italiani ci descrive meraviglie della loro stanza all’Impiani Resort nell’omonima spiaggia (190 RM), ma nel frattempo scopriamo che al Mama’s gli ospiti milanesi dello chalet n. 102 (a lungo tenuto d’occhio, perché per soli 100 RM offre una stanza spaziosa per 3 persone, un bagno discreto e la veranda proprio sulla spiaggia) stanno per andarsene e così avvertiamo Aziz che traslocheremo lì per gli ultimi 3 giorni di vacanza al mare. Superfluo citare la sua risposta, nonché nostro slogan preferito: “no probleeemaaa”.
Trascorriamo l’ultimo scorcio di vacanza facendoci portare per la seconda volta a Turtle Beach (un’incantevole spiaggetta di Besar dove non è raro nel corso della giornata scoprire di essere gli unici ospiti, insieme al guardiano delle tartarughine) e andando alla scoperta di qualche spiaggia a Kecil, che si conferma nel complesso meno attraente e pulita di Besar. Alcuni conoscenti italiani ci hanno ad esempio descritto il villaggio di Kecil come un’autentica fogna a cielo aperto e ciò rafforza la nostra convinzione di aver fatto bene a scegliere di soggiornare a Besar.
Come già accennato parlando del Borneo, purtroppo il problema della sporcizia è una piaga assai diffusa nei mari e sulle spiagge malesiane: ho avuto l’impressione che la colpa di questo scempio sia da addebitare in gran misura alla popolazione locale più che ai turisti ed è un vero peccato che il Governo non prenda provvedimenti severi per non sperperare del tutto il prezioso patrimonio di cui la natura ha fatto dono.
Nel complesso, comunque, le Perhentians si confermano un’ottima scelta per chi ama il mare e la vita balneare ed è superfluo descrivere il dispiacere che ci assale quando è tempo di prendere la barca che ci riporterà sulla terraferma. Aspettiamo pazientemente un bus che ci porti a Pasir Pteh, in cui trasbordiamo su un altro bus per raggiungere Kota Baru. Alla stazione dei bus un tassista ha la faccia tosta di avvicinarmi sostenendo che non ci sono collegamenti con l’aereoporto, proprio accanto a un gruppo di persone in attesa del bus n. 4 che porta al terminal e che compare di lì a poco, portandoci in 20 minuti scarsi in aereoporto. Incredibile a dirsi: il volo Air Asia per Kuala Lumpur è puntuale e così decolliamo come da programma alle 21.40 e riusciamo ad essere a Bukit Bintang poco oltre la mezzanotte.
Stavolta alloggiamo all’Hotel Nova in Jl Alor (prenotato dall’Italia a 145 RM con colazione), che si rivela la sistemazione più lussuosa tra quelle sperimentate in Malesia: stanza e bagno spaziosi, puliti e ben tenuti e posizione ottima (a poche centinaia di metri dalla stazione del treno leggero Bukit Bintang). Ci addormentiamo pensando con rammarico che il giorno successivo sarà l’ultimo della nostra vacanza: lo dedicheremo a una seconda visita dei Lake Gardens e, finalmente, alla visita alle torri Petronas e alla KL Tower, su cui saliamo per ammirare il panorama di una Kuala Lumpur illuminata da un sole splendente.
Chiudiamo con un pranzo a base di sushi e con una puntatina allo Star Hill, bellissimo centro commerciale situato in Bukit Bintang che alcuni conoscenti ci hanno segnalato soprattutto perché al 4° piano ospita un fantastico ristorante giapponese. Purtroppo non abbiamo il tempo di cenare lì, ma un gentilissimo cameriere ci accompagna in un tour del locale che ci lascia senza fiato: decine di banconi pieni di infinite varietà di pesce crudo, tavoli finemente apparecchiati e arredamento raffinato ne fanno un locale davvero imperdibile per chi ami la cucina giapponese.
Abbandoniamo lo Star Hill con l’acquolina in bocca e con grande rammarico ci avviamo con il treno Klia Express verso l’aereoporto: addio Malesia. Anzi, arrivederci.

Un commento in “Malaysia e Borneo in libertà
  1. Avatar commento
    jvgkp lkmexafhz
    24/08/2007 11:47

    yedmclaqv ncyu xbnp kplj pwejvlx gqpwxdi epnvhkjzl

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