Scritto da: Massimo Longaretti
I campi della pianura rifuggono ai lati della visiera, l'autostrada scorre veloce nella sua terrificante monotonia, folate di vento simulano derapate su plastiche dune d'Africa, limacciose nubi inquietano l'orizzonte tradendo l'incipiente fine delle nostre pesanti tute da pioggia previdentemente portate vista la fine della stagione calda. Ma non fa nulla, stiamo correndo verso la nave che ci condurrà al continente africano e il mio pensiero è già là, all'Africa. Arriviamo a Genova e al suo porto, mentre cerchiamo il molo della nave, giganteschi binari fanno lo sgambetto a Tiziano incominciamo bene! Nulla di grave per lui, ma la sua moto arreca al manubrio un'evidente piegatura. Raddrizziamo a braccia il manubrio e ci fermiamo a bere una birra, dove baldanzosi tedeschi con boccali da litro e formidabili super-moto da deserto ci guardano dall'alto al basso. Sembriamo dilettanti confrontati a loro e pensando alle piste che c'eravamo prefissati di fare, vedendo la loro preparazione super-tecnica viene un po' meno la nostra sicurezza. Una veloce spesa nella kasbah genovese e poi le formalità doganali e ci imbarchiamo, troviamo una nuovissima nave l'Habibb con fantastiche cabine, il mare è tranquillo e la nave offre ogni comfort. La notte vola, arriviamo prima di quanto avevamo capito, tutti si agitano, raccolgono le loro cose, è ora di scendere! Terra d'Africa, finalmente! Sbrighiamo velocemente le formalità doganali, è tardo pomeriggio quando le nostre ruote varcano l'uscita del porto, il paesaggio è desolante, la strada corre dritta verso Tunisi, tra rottami, pescatori e cespugli ricchi di plastica. A Tunisi ci fermiamo per la notte , la città sembra un po' anonima, forse perché ci sono tram e l'aspetto degli edifici è simile a quello europeo; troviamo l'albergo scarichiamo le moto e c'imbattiamo nella città e in quella che sarà la prima cena: cous cous piccante di carne d'agnello.
L'indomani rifiniamo ulteriormente il bagaglio, mettiamo in un sacco l'abbigliamento pesante e dopo un'abbondante colazione lasciamo il malloppo in un negozio di scarpe, passeremo a riprenderlo al ritorno. Direzione Dougga e le sue rovine romane. La strada scorre veloce nella periferia cittadina e tra ordinati oliveti. Le rovine sono splendide, ci aggiriamo con curiosità e ammiriamo l'insolito monumento d'epoca pre-romana che è il Mausoleo Libico-Punico eretto in memoria del re numida Ateban. Il paesaggio che circonda il sito è verdeggiante e collinoso esaltato dalla luce del tardo pomeriggio. Ripartiamo e la notte ci vedrà in quella di Le Kef; d'obbligo pernottare all'hotel De la Source con camere dagli incredibili stucchi. La cittadina e' ancora priva delle concentrazioni turistiche, forse lo sarà in futuro quando verrà ultimata la ricostruzione delle fortificazioni e delle kasbah sovrastanti: quella eretta in epoca bizantina e quella costruita poi da Mohammed Bey; e tutto diverrà in funzione del turismo da pullman. La mattina ci trova freschi e tonici, il bagno turco della sera con relativo massaggio ha l'effetto di togliere l'indolenzimento del primo giorno di moto; colazione, carichiamo le moto e si parte, direzione sud, Table de Jugurtha, montagna dalla cima piatta, un gigantesco monolite. Le sue scoscese e inespugnabili pareti rocciose ne fecero una fortezza naturale che il re di Numida, Giugurta, utilizzo' come base durante la guerra contro i Romani. Il monolite dà il meglio al tramonto, magari con la tenda in cima, accogliere la notte con fuoco e compagna dove tramonto e stelle faranno il massimo dell'effetto. E' vicinissimo al confine algerino, per raggiungere la cima si attraversa il paese Kalaat Senan e alla sua estremità parte la strada sterrata che conduce alla base e ai gradini per la cima. Appena imbocchiamo la pista bambini vocianti c'inseguono, la pista accresce la sua difficoltà e Marco e Tiziano preferiscono fermarsi ed affrontare i bambini vogliosi di chadeaux, io proseguo fino alla base e poi in cima, curioso di vedere il paesaggio dall'alto e cosa nasconde la cima. La moto sembra volare sull'infinità di pietre sparse sulla pista, quando una bellissima volpe spaventata sbuca all'improvviso regalandomi la bellezza della sua libertà. Svetto ora sulla pianura, punteggiata qua e là da altre "escrescenze" rocciose, finalmente niente edifici, grattacieli, macchine in colonna, clacson; qua, ora, solo spazio, e che spazio! Il pastore poco più sotto, nobile e affacciato alla libertà dello spazio che lo circonda colpisce la mia attenzione, guarda il suo gregge, libero, che pascola l'arida terra ,la volpe attende i suoi agnelli e quando il sole concluderà la sua corsa nel cielo, gli uomini e il pastore avranno vita nelle loro case, la volpe avvicinerà il villaggio e magari anche il cibo, poi la notte, il sonno, i sogni di questi uomini che vivono ancora la vita dei loro avi e resistono nel nulla del deserto, nel nulla dello sviluppo occidentale, e quando l'incontri hanno il sorriso, qualsiasi cosa stiano facendo, che ti carezza, che ti accoglie nella loro casa per un semplice thè, dove è l'uomo che si racconta e parla.
Mi nutro, assorbo ciò che mi circonda, mi piacerebbe fermarmi qui per la notte, carne d'agnello sul fuoco, vino rosso e qualche chiacchiera con gl'indigeni e un sonno sotto le stelle coccolati dal caldo vento del deserto. Discendo velocemente e raggiungo Tiziano e Marco, se la ridono con i bambini che li hanno raggiunti, caramelle e qualche penna per loro, il nostro lasciapassare. Ancora a sud, le rovine d'Haidra.
Prendiamo per A.Senan, da qui parte la pista, corre vicinissima al confine algerino, l'inizio è facile ma poi la sabbia rallenta moltissimo le due suzuki che con molta fatica riescono a procedere. Improvvisamente mentre la pista entra nella boscaglia uomini armati mimetizzati corrono verso la pista e verso di me che precedo, in un attimo mi sono addosso, tutto è così veloce che non ho il tempo di accennare alcuna reazione, fortunatamente sono militari tunisini che sorvegliano il confine.Le solite domande accompagnano la loro curiosità, sono giovanissimi.
Salutiamo e ripartiamo rassicurati sull'esatta direzione. Più avanti, in lontananza si scorgono altre postazioni militari ma non ci fermeranno più. Raggiungiamo le rovine d'Haidra, la pista è stata divertente, la mia Gilera è stata perfetta e l'esile bagaglio ancorato sul serbatoio ha appesantito un po' l'avantreno, non richiedendo però troppo impegno fisico per controllarla. Haidra prima dei romani era un insediamento cartaginese, a testimoniarlo sono i resti delle fondamenta di un tempio affacciato all'oued Haidra, imponente e bello l'arco romano di Settimo Severo.
Donne giovani e vecchie camminano, sul capo portano forse ciò che serve per la cena, il loro vociare e ridere lo si sente anche quando corrono a lato della strada, ci salutano e ridono, passiamo, adesso siamo su asfalto, andiamo verso Thala in cerca di un posto dove dormire. Il paese è di quelli tagliati fuori dal turismo, sembra esserci un solo hotel, corridoi verde acqua lucidi, neon, sbarre alle finestre, sembra la prigione dopo la giornata di spazi infiniti.
Facciamo colazione e vagamente abbozziamo quella che può essere la giornata, probabilmente faremo tappa a Tozeur arrivandoci direttamente. Carichiamo le moto, benzina, e si parte. Ancora pista, imbocchiamo la p17 direzione Kasserine, dopo qualche km parte sulla destra la pista che costeggia il Jabel Bireno e si collega poi alla pista c91 che porta verso Bou Chebka sul confine algerino, ancora sabbia che si alterna a fondo duro. S'incontrano edifici solitari nel bel mezzo del nulla, sono scuole, i bambini vi giungono a piedi dai villaggi vicini; quando sono fuori sentendo il rumore delle moto corrono all'impazzata, salutano, ridendo, qualcuno accenna l'intenzione di raccogliere sassi da terra ma basta indicarli minacciosamente e desistono. È bello vedere così tante scuole in luoghi apparentemente disabitati e scoprirci tantissimi bambini, è importante che abbiano la possibilità di essere istruiti e non essere costretti a lavorare già da piccoli, e questa è una gran bella scoperta.
A Bou Chebka pranziamo, prendiamo poi per Feriana, Gafsa cittadina mineraria e poi verso Tozeur. Qualche cammello ci precede e qui si sente il deserto alle porte. L'oasi, se così possiamo chiamarla, ha l'aeroporto(!) e un guazzabuglio d'hotel da mille e una notte; è l'oasi dei turisti del tutto compreso, trovare l'originalità e la bellezza che ti conquisti è impresa difficile. Pensare all'incredibile quantità d'acqua che viene consumata da questi immensi alberghi, mi lascia solo immaginare cosa potrebbero fare se questa venisse impiegata per le coltivazioni, altro che deserto ci sarebbe.
Nella tarda mattinata partiamo senza bagagli alla volta delle oasi di montagna, riprendiamo la p3 in direzione Gafsaa e dopo una decina di km si svolta a sinistra (p16) per Chebika, la strada è completamente dritta: avvicinandoci alla catena del Jebel En Negeb, il paesaggio si fa più interessante. Arriviamo a Chebika, il villaggio nuovo, costruito un po' più in basso di quello vecchio semifranato, è anonimo. Salendo s'incontrano le rovine di quello che era una volta Chebika; venne abbandonata nel 1969 dopo ventidue giorni di pioggia torrenziale che trasformò in fango le case dai muri di terra. Più in là si scorgono le chiome delle palme cresciute ai margini della sorgente. Lasciamo le moto e ci addentriamo nell'ombra delle palme e raggiungiamo la bella sorgente; il posto è molto bello, meritano una visita l'oasi a valle, le affascinanti rovine del vecchio villaggio e un breve trekking a ridosso del Jebel che da vita alla sorgente, qui è facile trovare geodi o sassi di quarzo che una volta tagliati rivelano un interno di cristalli. La strada verso Tameghza sale tra larghi tornanti in un paesaggio desertico e straordinario.A Tameghza pranziamo, guardiamo velocemente il villaggio vecchio e scappiamo, infastiditi da una spocchiosa guida ufficiale che compare dappertutto. Arriviamo a Mides, siamo sul confine algerino, la città vecchia è in prossimità di un canyon spettacolare; incuriositi dalla sua profondità, forse una quarantina di metri, scendiamo, siamo solo noi tre, i turisti del tutto compreso si fermano ai souvenir, impressionante camminare sul letto dell'oued e anche pensare al tempo impiegato dall'acqua per scavarlo.
Rocce plastiche modellate dalla gentile informità dell'acqua.
Sulla strada per Redeyef, ma ormai è tardi per pensare alla famosa Lucertola Rossa (il treno che percorre la gola del Seldja). Decidiamo di ritornare e scopriamo l'esistenza di una strada che taglia la catena del Jebel En-Negeb verso sud, qui il paesaggio è incredibile complice il tramonto e la presenza di rocce dalla colorazione rossastra. Da non perdere questa strada, per di più asfaltata, incomprensibile l'inesistenza sulla cartina Michelin 958, comunque scendendo arriviamo sulla pista che costeggia la catena montuosa del Jebel en Negeb fino a Chebika, probabilmente la collega con Metlaoui su pista senza passare da Tozeur.
L'incipiente notte da un pizzico d'avventura in più, visto che non sappiamo ancora dove porta la pista, tratti duri e altri sabbiosi fanno lentissime le due suzuki. Rientriamo a Tozeur.