Venezuela, l'essenza del Sudamerica - Parte III

La Sierra Nevada e la costa occidentale

Dedicato a:
- chi nella vita è pieno di sicurezze;
- chi è abituato a dare tutto per scontato;
- chi fa i programmi di viaggio convinto di rispettarli.

A chi ha letto la prima e seconda parte del resoconto di questo viaggio in Venezuela non è il caso di ripetere la sezione relativa a programmazione, logistica e notizie pratiche sul Paese, già trattate all’inizio della relazione; i nuovi lettori sono quindi invitati a leggere le due precedenti puntate per poi riagganciarsi al diario nel momento del decollo del monomotore Cessna dalla pista sterrata dell’aeroporto di Canaima con destinazione Ciudad Bolìvar.Martedì 2 aprile 2002
Il volo, della durata di poco più di un’ora, ci riserva nella parte iniziale le ultime vedute dall’alto sui tepuis e sulla Gran Sabana per fare poi decisamente rotta a nord; sorvoliamo l’Embalse de Guri, vasto invaso artificiale ottenuto imbrigliando le acque del Rio Caronì che alimenta la seconda centrale idroelettrica più grande del mondo, fino ad atterrare a Ciudad Bolìvar alle 13,15.
La priorità assoluta è risolvere il problema del trasferimento a Mèrida, distante da qui la sciocchezza di 1250 chilometri (come dire tagliare il Venezuela da est a ovest per buona parte della sua larghezza), per cui si impone di recarsi immediatamente all’autostazione: la raggiungiamo in taxi in pochi minuti e ci imbattiamo con piacere in una struttura ordinata, pulita e finalmente funzionale, ben diversa dalla folcloristica confusione e dalla inaffidabilità del terminal di San Felix (vedi parte seconda). Come supponevamo, non esistono relazioni dirette con Mèrida, ma sono necessari due cambi a Valencia e a Barinas, per un viaggio che ci terrà in ballo per poco meno di 24 ore: per il momento, acquistiamo a 13.000 VEB cadauno tre biglietti per il servicio ejecutivo notturno della “Expresos Los Llanos” diretto a Valencia, 718 chilometri in direzione ovest-nord-ovest. L’agenzia accetta anche di custodirci i bagagli, così torniamo soddisfatti dal tassista che ci ha aspettato: sono le 14 e concordiamo un servizio di tre ore per 25.000 VEB totali (l’equivalente di circa 9 € a testa) per fare un giro dei luoghi più rilevanti della città, dopodiché completeremo a piedi la visita del centro storico.
Ricordo che attualmente (ma il cambio è molto instabile) un Bolìvar (abbreviato VEB) corrisponde circa a 2 vecchie lire: in altre parole, togliendo da un prezzo in VEB le tre cifre finali, si ottiene più o meno l’equivalenza in Euro.
Il nome di Ciudad Bolìvar glorifica ovviamente Simòn Bolìvar, che nel 1817 pose qui il proprio quartier generale dal quale partirono le operazioni decisive della guerra per l’indipendenza. La città fu fondata nel 1764 con il nome di Santo Tomàs de la Guayana de Angostura (poi semplicemente Angostura), in quanto porto fluviale situato in una strettoia del Rio Orinoco (in spagnolo angosto sta appunto per “stretto”). Il centro è costituito dall’originario nucleo collinare e mantiene tuttora un’accogliente atmosfera coloniale, grazie anche al buon stato di conservazione degli edifici dell’epoca. Ancora più che in altre città è vivo il ricordo di Simòn: oltre al consueto monumento e a parecchi murales, ci sono diverse case, oggi classificate siti storici, nelle quali El Libertadòr visse, tenne riunioni, pronunciò discorsi o emanò delibere. Tra le più significative, visitiamo il Museo Casa de San Isidro, un’elegante dimora coloniale immersa in un parco verdeggiante, nella quale Bolìvar soggiornò per un mese prima del Congresso che nel 1819 diede vita alla Gran Colombia, una repubblica unificata tra Venezuela, Ecuador e Colombia, peraltro sciolta undici anni più tardi.
Il tassista ci conduce dapprima al Puente de Angostura, ultimato nel 1967 per congiungere su una lunghezza di 1678 metri le rive dell’Orinoco: si tratta dell’unico ponte lungo l’intero corso del fiume, che con i suoi 2150 km. è il settimo al mondo per lunghezza.
Centro della vita cittadina è il Paseo Orinoco, animato viale sulla riva destra caratterizzato da una sfilata di edifici con portici; fulcro dell’animazione è un promontorio sul quale sorge il Mirador Angostura, che offre belle vedute sul fiume. È anche il punto nel quale si può riscontrare con maggiore evidenza la variazione del livello dell’acqua che, mentre a marzo può scendere anche di una quindicina di metri, ad agosto arriva spesso a lambire la pavimentazione del belvedere: è anche l’unico momento dell’anno in cui compare la sapoara (o zapoara), uno squisito pesce d’acqua dolce che si spinge nella zona per deporre le uova, tanto che per alcuni giorni le rive sono tutto un brulicare di pescatori che gettano le reti per catturare questa ambita preda, nonché occasione per una sagra popolare.
Congedato il tassista, gironzoliamo per la città alta, che ha per punto focale la piacevole Plaza Bolìvar ed è caratterizzata da una struttura urbanistica a saliscendi, con stradine ripide sulle quali si affacciano edifici tinteggiati vivacemente con bei poggioli fioriti e finestre dalle grate in ferro battuto. Tutto il Paseo Orinoco e le stradine laterali sono costellati di localini caratteristici dove cenare, ma, visto che il caldo soffocante non accenna a diminuire, cediamo alle lusinghe dell’aria condizionata di una pizzeria inglobata in una moderna galleria commerciale: qui c’è ben poca atmosfera tipica, ma la pizza è decisamente buona, anche perché l’individuo seduto al tavolo accanto al nostro non tarda a rivelarsi quale napoletano trapiantatosi qui da diversi anni oltre che padrone del locale.
Si è fatta l’ora di tornare al terminal dei bus, che raggiungiamo in taxi. L’automezzo che disimpegna il servizio per Valencia offre un accettabile conforto, anche se il livello della climatizzazione e della musica di bordo è, come al solito, elevato. Partiamo in orario alle 21 per fare una sosta di un quarto d’ora, l’unica prima del tragitto notturno, in località El Tigre, anonima località a 120 chilometri dalla partenza che ha qualche importanza giusto perché situata su un crocevia di coincidenza con altre corriere. Il tempo per un gelato e rieccoci a bordo: l’impianto stereo è stato per fortuna spento, a differenza dell’aria condizionata, che a quanto pare non può essere regolata, tanto che, se voglio riuscire a mettere insieme qualche spicciolo di sonno, devo infilarmi la giacca a vento con tanto di cappuccio calcato sulla testa. E posso assicurare che non sono un tipo freddoloso!

Mercoledì 3 aprile 2002
Alle sette del mattino entriamo nel terminal di Valencia, un po’ intontiti per la notte insonne all’addiaccio.
Ci troviamo nella capitale dello stato di Carabobo, dopo avere attraversato nel corso della notte, senza peraltro averne visto niente, anche quelli di Anzoàtegui e Guàrico. L’autostazione ha dimensioni adeguate a quelle della città, che è la terza del Venezuela dopo Caracas e Maracaibo, e si presenta discretamente organizzata; l’edificio mostra anche qualche concessione all’estetica, con le torrette a tetto piramidale erette ai quattro angoli. Appuriamo subito che la prima corsa per Barinas parte alle otto, così investiamo immediatamente 24.000 VEB in tre biglietti al botteghino della “Expresos Barinas”. Abbiamo giusto il tempo per darci una sommaria rinfrescata e consumare la colazione (sempre gli ormai immancabili pesantissimi pastelitos) a un tavolino dei tanti chioschetti del terminal, dopodiché ci imbarchiamo sull’autocorriera per sorbirci altri 357 chilometri in direzione sud-ovest: il tempo previsto per coprirli è di circa cinque ore e mezzo / sei.
La prima parte del tragitto si svolge attraverso cittadine e paesini alquanto anonimi e le scene di vita quotidiana che sfilano al di là dei finestrini sono più o meno analoghe a quanto già visto a Tucupita e a Santa Elèna de Uairèn: case piuttosto modeste, qualche sparuto orticello, veicoli malandati, strade in disordine lungo le quali però i ritmi tranquilli e i visi sereni sembrano confermare quanto la gente di questo Paese sia maestra nell’arte del vivere alla giornata. Forse è perché conoscono da sempre solo questo tipo di vita, o piuttosto sarà rassegnazione, chissà!
Dopo avere toccato brevemente lo stato di Cojedes ed essere entrati in quello di Portuguesa, il paesaggio cambia sensibilmente: siamo ormai ai margini del territorio denominato Los Llanos, che occupa circa un terzo del Venezuela interessandone cinque stati, vale a dire le pianure, appezzamenti di terreno a perdita d’occhio votati all’agricoltura e all’allevamento del bestiame sui quali sorgono qui e là gli hatos, cioè le fattorie dei grandi proprietari terrieri. Lungo la strada si scorgono infatti di tanto in tanto cancelli e interminabili steccati che delimitano le immense tenute.
Sulle autocorriere venezuelane non si rischia proprio di morire di fame: alle fermate, più o meno ufficiali, è un continuo salire e scendere di ragazzini che vendono panini, arepas, bibite, gelati e tostones, le squisite banane fritte di cui ho parlato nella prima parte. Un paio di spuntini li facciamo volentieri, quindi non abbiamo esigenze di nutrimento quando arriviamo, poco prima delle tredici, nel terminal di Barinas.
La città è la capitale dello stato omonimo e sembra davvero che non visitandola ci perdiamo ben poco; si aggiunga che a quest’ora fa un caldo feroce e che l’autostazione denota un caos che ha poco da invidiare a quello di San Felix, per cui è comprensibile che ci immergiamo subito nella consueta lotteria per individuare un mezzo che ci porti alla svelta via da qui.
Dopo un sondaggio presso le varie Compagnie di trasporto, prende corpo l’eventualità di aspettare diverse ore la prima partenza per Mèrida, ma anche in questo marasma è attiva una filiale del C.A.C.V.B. (Consorzio Angeli Custodi del Viaggiatore Bisognoso): c’è pronto un por puestos da quattordici posti (una specie di fornace con le forme di un pullmino Dodge rosso di annata) che aspetta tre persone per essere riempito e poter partire per Mèrida, così ci accaparriamo il passaggio senza indugi sborsando 11.000 VEB a testa. Pur tenendo conto che i servizi di questi consorzi di vettori sono un po’ più cari, la cifra può sembrare elevata per un tragitto di “soli” 165 chilometri, ma comprenderemo presto che è ben giustificata, a cominciare dal fatto che la durata del viaggio è di quattro ore e mezza contro le sei delle autocorriere, senza parlare delle problematiche del tracciato.
Alle 14,30 l’autista parte come una palla da schioppo e per una cinquantina di chilometri del tutto pianeggianti tiene un’andatura di tutto rispetto. Poi ha inizio un percorso a tornanti dapprima ampi e in seguito sempre più tortuosi che tagliano ripidi pendii facendo guadagnare costantemente quota; la strada è senza dubbio un’opera ardita, ma pur sempre venezuelana e percorsa da venezuelani, il che vuol dire protezione sul lato a valle inesistente, manutenzione sommaria, incroci da brividi in curve cieche con altri automezzi che suonano il clacson sempre dopo essersi sfiorati e continui scongiuri da parte nostra (toccando tutto il toccabile) che i cartelli “Bienvenidos en la tierra de los condores” non significhino che potremmo prendere il volo anche noi!
In realtà siamo ormai a ridosso delle Ande, per la precisione in quella Sierra Nevada che ne è l’estremità settentrionale: la calura di Barinas sembra un ricordo lontano, anzi a un certo punto il giaccone di pile ci vuole tutto. Scolliniamo in un altopiano brullo spazzato da banchi di nebbia, ormai nello stato di Mèrida, ai 4007 metri del Paso El Aguila (il punto più alto della rete stradale venezuelana) e cominciamo la lunga discesa che ci porterà ai 1645 dell’omonimo capoluogo. Giunti intorno a quota 3400 verso le 17, il pullmino si ferma per una sosta di mezzora, l’unica in programma; ci troviamo a San Josè de la Sierra, una chiesetta bianca e celeste con attorno poche case tra le quali spicca il “Sierra Nevada”, un posto tappa di altri tempi che è un misto di emporio di generi alimentari, artigianato e souvenirs, bar e ristorante. Le specialità offerte su un cartello sono “Cochino frito (ne parlerò più avanti) - Cafetin - Chocolate - Chicha andina (un liquore ricavato dalla fermentazione del mais)”.
Con quest’aria frizzantina ci fa piacere un buon caffè, mentre l’autista si piazza invece a un tavolo divorando a tempo di record uno scodellone di zuppa, un tegame di spezzatino e una fetta di torta: pranzo, merenda, cena, pasto unico? La sola cosa certa è che assisto a una performance da fare invidia a un camionista.
Mentre ritorniamo al carrito ho anche il tempo per scambiare qualche parola: l’uomo acquistò questo automezzo d’occasione quattro anni fa e da allora tutti i santi giorni effettua il tragitto Mèrida-Barinas al mattino e quello inverso al pomeriggio. Faccio mentalmente un rapido conto: 14 passeggeri a 11.000 VEB ciascuno due volte al giorno equivalgono a 308.000 VEB, moltiplicato 30 fanno 9.240.000, come dire circa 18 milioni di vecchie lire al mese, 216 all’anno. Mica male in un Paese come questo: mettiamo pure in conto le tasse, qualche giornata di fermo, le spese per mantenere in efficienza il veicolo e il peso di nove ore di guida al giorno su questo po’ po’ di strade, ma credo proprio che dopo una decina d’anni di questa vita l’amico potrà ritirarsi a vivere di rendita!
La strada di montagna che percorriamo in discesa offre scenari di grande fascino e rimpiangiamo di poterli appena scorgere attaverso i finestrini; per fortuna, anche se non lo sappiamo ancora, tra due giorni saremo di nuovo qui per apprezzare con calma la bellezza selvaggia di questa regione.
Non ho ancora fatto cenno alle motivazioni che ci hanno portato in questa parte del Venezuela, di gran lunga (e a torto) meno visitata dal turismo internazionale rispetto a mete quali Canaima, Salto Angel, l’Isla de Margarita e le spiagge tropicali. Come ho già detto, ci troviamo in pratica all’inizio della Cordillera delle Ande e Mèrida è una delle città più gradevoli del Paese: dedicheremo allora il primo giorno alla sua visita (anche per acclimatarci), il secondo a un’escursione nel pàramo (cioè la fascia, simile alla tundra, al di sopra dei 3000 metri) e il terzo alla salita ai 4763 metri del Pico Espejo tramite il Teleferico: pochi lo sanno, ma si tratta dell’impianto di risalita più alto e più lungo del mondo.
Sono le 19 in punto quando scendiamo, un po’ rattrappiti, dal carrito nel terminal di Mèrida, per completezza La Ciudad de Santiago de los Caballeros de Mèrida (proprio non badavano al risparmio questi Sudamericani quando battezzavano una città…). Prendiamo un taxi per farci portare in albergo e senza troppi preamboli l’autista ci spiattella la notizia che non avremmo mai voluto sentire: “El Teleferico està cerrado por mantenimiento”. Sapevamo che era un’eventualità possibile, visto che questo impianto è soggetto a lunghi periodi di chiusura per manutenzione dovuta alla sua vetustà: purtroppo la mia indagine su Internet di qualche settimana fa che lo dava in perfetta efficienza è stata vanificata dalla realtà.
Alquanto contrariati, ci addentriamo nel centro storico. L’assetto viario della città, a somiglianza di altre città venezuelane, è fatto di un reticolato di Avenidas parallele che incrociano una sequenza di Calles, tutte contraddistinte da un numero progressivo: in realtà sulle targhe compare anche un nome, che è di solito quello di qualche generale di Simòn Bolìvar, di uno dei tanti luoghi di battaglia del Libertadòr o di un termine solenne quale Libertad, Constituciòn, Igualdad, Concordia, Independencia. Ma gli indirizzi sono sempre espressi con numeri, ad esempio quello della posada alla quale siamo diretti è Calle 24 n. 6-53: significa che è ubicata al n. 53 nei pressi dell’incrocio tra Calle 24 e Avenida 6.
La Posada Encanto Andino, suggerita dalla Lonely Planet, ha la classica tipologia di queste abitazioni, cioè grandi case coloniali delle quali i proprietari affittano alcune camere: in questo caso sono cinque e prospettano su un piacevole patio interno. Siamo gli unici ospiti, così la señora, visto che la stanza a tre letti è piuttosto piccola, ce ne mette a disposizione due senza incremento di prezzo: il tutto ci costerà un totale di 75 dollari per tre pernottamenti, come dire 9 € a testa al giorno.
Per la cena abbiamo intenzione di trattarci bene dopo la sfacchinata di un viaggio di 22 ore e seguiamo la raccomandazione della padrona di casa. In effetti “La Abadia” offre una cucina accurata con un tocco di originalità, in ambiente tranquillo grazie alla suddivisione in varie salette da pranzo arredate ciascuna in maniera differente: il ristorante-pub è ricavato dalla riconversione di una vecchia abbazia, mantenendo il più possibile l’architettura originaria su più livelli con spesse pareti imbiancate e mattoni a vista. Nei fine settimana il locale è anche piano-bar; infine, il che non guasta, i clienti possono accedere a tre postazioni Internet. La cena ci costa in totale 36.800 VEB (circa 12 € a testa), decisamente ben spesi.

Giovedì 4 aprile 2002
Eccoci dunque a Mèrida, ristorati da un bel sonno in camere silenziose e piacevolmente fresche. A pochi passi dalla Posada, che è una delle tante (tutte di buon conforto, a quanto assicura la Lonely Planet) concentrate nel centro storico, c’è un chioschetto dove facciamo colazione con due fette di un dolce finalmente dignitoso, che è poi la copia esatta della classica focaccia casalinga della mamma.
La città, considerata una delle più sicure del Venezuela, non offre, oltre a qualche edificio di epoca coloniale, particolari attrattive architettoniche ma è pervasa da un’atmosfera cosmopolita e vivace: è infatti un centro culturale di prim’ordine grazie alla presenza della Universidad de los Andes (U.L.A.), la più importante del Paese dopo quella di Caracas. La presenza di 35.000 studenti (circa il 15% della popolazione) contribuisce a renderla animata a tutte le ore e ne fa una delle mete più economiche del turismo giovanile. Infine, il magnifico ambiente naturale dal quale è circondata favorisce la attività all’aria aperta: escursionismo, arrampicata, birdwatching, equitazione, mountain bike, rafting, facilitate da parecchie organizzazioni sorte negli ultimi anni.
Buona parte della mattinata è dedicata alla visita del mercato coperto: quando siamo all’estero non ce ne perdiamo uno, e tanto meglio se poco turistici come questo. Come si può immaginare, non mancano gli aspetti bizzarri: un banco che vende frutta tropicale e chitarre, una rivendita di stoccafisso dove spicca una bilancia a pesi (chissà quanto precisa…) ricavata da una corazza di tartaruga, un bugigattolo che espone un caotico assortimento di erbe medicamentose tra cui spicca un miracoloso “sanalotodo”.
Ci ritroviamo con un sacchetto ciascuno pieno di oggetti che vanno dall’utile (un “sombrero de campesino” solo simile a quello di palma moriche acquistato a Puerto Ordaz e dimenticato con molti rimpianti sul taxi di Ciudad Bolìvar, nonché un orologio da 3.000 VEB in sostituzione di quello non sopravvissuto alla navigazione sul Delta Orinoco) all’“inutile ma curioso” (oggettini in legno e terracotta, una maglietta con lo stemma dell’U.L.A., un pacchetto di “cafè de la Sierra Nevada” e analoghe cianfrusaglie da quattro soldi per gli amici, ammesso che rimangano tali dopo averle ricevute…).
Si è fatta in breve l’ora di pranzo, per il quale rimaniamo all’interno del mercato scegliendo la soluzione più in sintonia con l’ambiente: si tratta del “Fogòn Andino”, animatissimo ristorantino che propone un menù semplice ma con portate gustose e abbondanti: per 8.300 VEB totali ci gustiamo tre porzioni di pabellòn criollo, il tipico spezzatino di manzo con riso e verdure, accompagnate da tre birre. I tavoli sono occupati in prevalenza da personale del mercato, una referenza dovunque infallibile.
Saltata giocoforza la gita sul Teleferico, è necessario rimodulare il nostro programma. L’esigenza primaria è sapere qualcosa di preciso sui servizi di autocorriere per Coro, bella cittadina coloniale in prossimità della costa e nostra meta dopo avere lasciato Mèrida: conseguentemente alla soluzione prescelta, vedremo di organizzare le attività di domani.
Raggiungiamo in taxi il terminal, ben strutturato con una razionale suddivisione dei servizi;
nella galleria commerciale c’è anche un’agenzia di turismo, la Taty Bomplandt Tours, e ne approfittiamo per richiedere un po’ di materiale illustrativo. In breve, veniamo praticamente “adottati” da Anita, cordiale ed efficientissima signora che, oltre a darci validi suggerimenti sulle attrattive dei dintorni, ci racconta mille cose palesando una competenza profonda su ogni aspetto di Mèrida e del Venezuela. Mi sento di raccomandare a chiunque venga in città questa splendida persona: Anita, che merita di essere conosciuta anche per il puro piacere di una chiacchierata, è disponibile per qualunque necessità e lei stessa afferma scherzosamente che bisognerebbe affiancare all’insegna dell’agenzia quella della Croce Rossa.
Ci dirigiamo infine al botteghino per acquistare il biglietto di viaggio per dopodomani: sarà necessario recarsi prima a Maracaibo (472 km. in sette ore) e di là augurarsi che ci sia una ragionevole coincidenza per Coro (quattro ore per i rimanenti 260 km.). La Compagnia alla quale ci affidiamo, al prezzo di 7.500 VEB a testa, è la “Expresos Coromoto”: fa sorridere che tutte esibiscano la pretenziosa definizione di Expresos per servizi che su certe strade possono essere tutt’altro che espressi. Inoltre questo vettore ha fama di possedere il parco automezzi più obsoleto del Venezuela: ci è già toccato di peggio, d’altra parte la partenza delle 8,45 è l’unica che faccia sperare di risolvere il trasferimento in giornata evitando un pernottamento intermedio in quella giungla di installazioni petrolifere che è Maracaibo.
Tramite autobus (150 VEB per la corsa) ci rechiamo al piazzale del Teleferico, dove dobbiamo accontentarci di fotografare il grosso tabellone che decanta i dati tecnici dell’impianto; osservando i cavi della funivia desolatamente fermi, ci sentiamo un po’ come nella favola della volpe e dell’uva. Ma siamo venuti qui anche su indicazione di Anita: c’è infatti il chioschetto di una piccola agenzia che coordina le escursioni in taxi nei dintorni (Tel. 0274-2521524). Concordiamo per domani il tour denominato “Paseo al Paramo”, tra tutti il più esauriente: avremo a disposizione l’automezzo dalle 8 alle 18 e il tassista ci condurrà fino al Paso El Aguila effettuando tutte le fermate che richiederemo, inoltre aggiungendo 3.000 VEB ai 12.000 a testa previsti ci spingeremo fino al pittoresco villaggio andino di Jajì.
Con l’occasione scopriamo l’esistenza di un nuovo mestiere. Dal momento che il telefono dell’agenzia è funzionante solo in ricezione (cose sudamericane!), l’impiegata, per contattare il tassista, deve recarsi a una cabina pubblica sul marciapedi opposto: qui è piazzato un individuo che concede l’uso di una scheda per un modico sovrapprezzo, come dire che quest’uomo (di nuovo cose sudamericane!) si guadagna da vivere facendo il noleggiatore di carte telefoniche!
Concludiamo il pomeriggio passeggiando piacevolmente nel centro storico di Mèrida, in particolare lungo i portici che circondano la Plaza Bolìvar (se eravate in pensiero, tranquilli, c’è anche qui…) e le animate stradine intorno all’Università. Per la cena, trovando chiuso per turno il ristorante “Lino” suggeritoci dalla nostra padrona di casa, ci orientiamo su “El Caney”: per un pasto senza infamia e senza lode spendiamo in totale 22.700 VEB, decisamente meno rispetto a ieri sera, ma è anche vero che “La Abadia” era tutta un’altra cosa!

Venerdì 5 aprile 2002
Puntualissimo, il taxi ci preleva alle 8 davanti alla Posada. L’itinerario, di cui l’andata è ovviamente tutta in salita, ricalca esattamente, in senso inverso, quello effettuato due giorni fa con il por puestos da Barinas; la differenza è che questo autista è molto meno invasato nella guida e che possiamo fare tutte le soste che vogliamo per apprezzare e fotografare i bellissimi panorami che ci scorrono intorno.
Imbocchiamo la Transandina in direzione est-nord-est, toccando in successione i paesi di Tabay, Cacute e Mucurubà, nei cui pressi si trova la Hacienda Esacagüey, un vecchio podere sapientemante restaurato e riconvertito in agriturismo di lusso.
Prendendo quota, il paesaggio si fa via via più brullo e grandioso offrendo vedute sempre più estese sulle vette che circondano Mèrida, note come Las Cinco Aguilas Blancas, tutte superiori ai 4700 metri. Un carattere tipico di questo territorio ormai andino è dato dalle piante di frailejòn (il significato è qualcosa di simile ad “alti frati”), inconfondibili per le foglie vellutate strette e lunghe che richiamano le piante grasse, di cui i pendii sono disseminati.
Dopo una cinquantina di chilometri si giunge al pueblo di Mucuchìes, dove facciamo una breve sosta; il paese consiste in due file di case basse sui lati della strada e di una bella piazzetta sulla quale prospetta la suggestiva parrocchiale di San Benito, di un bianco abbagliante con bordi e decorazioni azzurre. Salendo di qualche tornante, tocchiamo San Rafael de Mucuchìes, villaggetto noto per una originale cappella a tre arcate costruita in pietre grezze una ventina d’anni fa: l’opera è di Juan Felix Sanchez, curioso personaggio venerato come un santo da queste popolazioni e sepolto nella cappella stessa dopo la morte avvenuta nel 1997 all’età di 97 anni.
Superata ormai quota 3000, incontriamo l’insediamento di Apartaderos, che si distingue per la presenza di una posada e di alcuni edifici in un incongruo ma gradevole stile tirolese, e tocchiamo poi il già noto abitato di San Josè de la Sierra; ci era rimasta la curiosità di provare il cochino frito esposto l’altro ieri sul menù, così concordiamo con il tassista di fare sosta qui per il pranzo sulla via del ritorno.
Non rimane ora che l’ultimo strappo di 600 metri per raggiungere il giro di boa della nostra escursione, vale a dire i 4007 metri del Paso El Aguila. Vi giungiamo in uno scenario da girone dantesco, con una fitta nebbia che riduce la visibilità a poche decine di metri. Sperando in una schiarita, sostiamo un po’ nel rifugio dopo avere fatto l’immancabile foto ricordo davanti al cippo che contrassegna il valico, sul cui basamento una mano ignota ha scritto “Chavez=hambre” (Chavez=fame): di motti di questo tenore ce ne sono in giro parecchi, il che ci fa pensare che questo presidente non sia troppo benvoluto dalla gente.
Usciti dal rifugio, dobbiamo accontentarci di qualche squarcio nella nebbia e solo dopo avere disceso un paio di tornanti torna il sereno che ci consente di apprezzare il vasto panorama verso la vallata dalla quale siamo saliti.
L’itinerario prevede ora la deviazione verso la Laguna di Mucubajì, uno specchio d’acqua a quota 3540 dalle acque quasi nere nel cuore di una zona molto frequentata dai naturalisti per la grande varietà di specie avicole; purtroppo è calata una nebbia ancora più densa, così l’unico volatile che riusciamo a vedere è quello dipinto sul pittoresco cartello “proteje las aves” (proteggi gli uccelli) della Inparques, l’organizzazione dei Parchi Nazionali.
Si è fatta giusto l’ora di pranzo e con essa il momento di assaggiare il cochino frito, che non è altro che carne di maiale tagliata a pezzetti e fritta in olio bollente, servita poi con arepas di grano di montagna e contorni vari. Ma oggi non è previsto nel menù del ristorante di San Josè de la Sierra, così riprendiamo la discesa verso Mèrida in cerca di un’altra possibilità.
Finiamo, verso le 14, nei pressi di Los Aleros, un’attrazione turistica (pure troppo) poco prima di Tabay consistente nella ricostruzione di un villaggio andino degli anni Cinquanta: è quindi ovvio che il vicino “Restaurante Turistico” sia anch’esso turistico (pure troppo), con qualche aspetto un po’ sopra le righe quali i camerieri con sombrero alla Pancho Villa, il pistolone alla cintura e la cartucciera a tracolla. L’insieme ha però una sua originalità, con un bel pergolato fiorito, scaffali carichi di vecchie radio e un’intera parete tappezzata di pagine ingiallite di quotidiani d’epoca; e poi, sempre meglio qui che avventurarsi nel locale sull’altro lato della strada sormontato da un lungo striscione che proclama “Il Bucco - la mejor cocina italiana a los mejores precios”. Nella Sierra Nevada, figurarsi!
Eccoci così davanti a tre abbondanti porzioni di cochino frito. Il tipo di cottura rende la carne piacevolmente croccante e saporita, ma è anche vero che trattandosi di maiale, per di più abbastanza grasso, risulta piuttosto indigesto per stomaci che non siano quelli degli abitanti delle alte quote.
Rientrati in città, dirigiamo lungo la strada verso est che in una quarantina di chilometri porta a Jajì; il percorso in salita è tortuoso ma molto panoramico, in un contesto di boschi, ruscelli e cascatelle. Jajì è un pueblo coloniale lodevolmente restaurato negli anni Sessanta che è diventato meta molto gradita del turismo nazionale ma poco nota a quello estero. Il cuore del villaggio è la scenografica Plaza (indovinate?) Bolìvar, originale per la sua forte pendenza: ai suoi lati si affacciano casette bianche dai tetti di tegole e le finestre con grate in legno, che ospitano per lo più laboratori artigianali e negozietti di souvenirs o prodotti tipici quali miele, formaggi e salumi della Sierra. La visita di Jajì, viste le piccole dimensioni, richiede poco tempo ma riserva scorci molto fotogenici grazie alle stradine acciottolate, ai vicoli a saliscendi, ai passaggi ad arco e al bel colpo d’occhio della chiesa incorniciata dagli alberi della piazza.
Sono ormai le 18 quando rientriamo a Mèrida: il tempo di una doccia, di preparare i bagagli per gli ultimi 732 chilometri in corriera che ci aspettano domani ed ecco che arriva l’ora di cena. Senonché siamo ancora un po’ appesantiti per il cochino frito di oggi, così, visto che di fame è difficile morire, ci sembra saggio limitarci a un gelato; siamo anche spinti dalla curiosità di riscontrare un altro record, oltre quello del Teleferico, che questa città detiene, con tanto di ufficializzazione da parte del Guinness. Parlo della Heladeria Coromoto, che vanta il primato mondiale del maggior numero di gusti offerti, nientemeno che 750, anche se ne sono disponibili a rotazione “solo” un centinaio al giorno. Non siamo curiosi al punto di farci attirare da sapori quali aglio, trota, pollo e spaghetti, tonno, cotenna di maiale (dopo il cochino, poi…), pabellòn criollo o gamberetto: rimaniamo nell’ambito dei canonici crema e cioccolato, anche se il voto non va molto al di sopra di un sei di stima.

Sabato 6 aprile 2002
La tappa odierna di questo nostro viaggio in Venezuela che sta volgendo al temine ci riserverà gli ennesimi cambiamenti di paesaggio, sia quelli che scorgeremo dai finestrini dell’autocorriera sia quello della regione alla quale faremo capo in serata.
Partiti dal terminal di Mèrida, anche se in linea d’aria la nostra meta di Coro è in direzione nord-nord-est, il pullman della “Expresos Coromoto” (vecchiotto ma per fortuna poco affollato) segue un itinerario che ci porta verso sud-ovest per poi descrivere un ampio arco in senso antiorario e raddrizzare la rotta.
Perdiamo gradualmente quota (non dimentichiamo che siamo partiti da quota 1645), attraversando una zona scarsamente popolata per poi immetterci in una superstrada di recente apertura: grazie a diverse gallerie, il tempo di percorrenza del tratto di 100 chilometri che portano a El Vigìa è stato ridotto di parecchio. Circa altri 150 senza storia ed eccoci passare nello stato di Trujillo, che lasciamo poi per entrare in quello di Zulia.
Verso le 13 facciamo sosta in località Chissadove, giusto il tempo per uno spuntino con un paio di ottime arepas e una birra; siamo ormai in prossimità del Lago di Maracaibo, il più esteso dell’America Meridionale, che di lì a poco intravediamo sulla sinistra della carrozzabile. Il paesaggio originario è stato completamente stravolto da quando, agli inizi degli anni Venti, ebbe inizio l’estrazione del petrolio, di cui la regione è letteralmente inzuppata. Ne sono testimonianza le pompe e le torri di trivellazione che sfilano in continuazione ai lati della strada, ormai la caratteristica più peculiare del territorio.
Il lago, che ha più o meno forma di rombo, ha il suo punto più stretto all’estremità nord, dove va a mescolarsi con le acque del Golfo de Venezuela. Proprio a scavalcare questa strettoia è stato costruito tra il 1959 e il 1963 il Puente Rafael Urdaneta, il ponte in calcestruzzo più lungo del mondo con i suoi 8679 metri, che consente l’accesso alla città di Maracaibo, capitale dello stato di Zulia e seconda del Venezuela con i suoi 1.300.000 abitanti.
Entriamo nel terminal, immerso nel consueto caos di persone e mezzi di trasporto al quale ci siamo ormai abituati, alle 16 di un pomeriggio a dir poco torrido che ci fa subito rimpiangere il fresco della Sierra. Non abbiamo nemmeno il tempo di guardarci intorno alla ricerca di una coincidenza che faccia al caso nostro, che scorgiamo una corriera già in moto pronta a partire per Coro: è un colpo di fortuna nel quale non osavamo sperare e che ci consentirà di evitare un pernottamento a Maracaibo, che, da quel poco che abbiamo visto, è ormai una foresta di grattacieli ben poco attraente per il turista e tutt’altro che sicura. L’automezzo, del quale non conosciamo nemmeno la Compagnia, è un pullmino da 24 posti occupati per poco più della metà e ci offre per 6.000 VEB a testa un viaggio confortevole, anche perché la climatizzazione è (finalmente!) tarata a dovere.
A bordo c’è anche una non richiesta animazione: se ne incarica un imbonitore piazzato al centro del corridoio che tenta di coinvolgere i passeggeri in una specie di concorso a quiz con la promessa di ricchi premi, spalleggiato da un compare in fondo al pullman che si affretta a rispondere alla prima domanda vincendo una catenina. L’individuo ci prova anche con noi offrendoci anelli, collanine e orologi più che sospetti, ma evidentemente non sa che nei carruggi di Genova trucchetti di questo tipo erano già vecchi quando negli anni Ottanta attraversavo tutti i giorni il Centro Storico per recarmi in ufficio. I due figuri scendono con le pive nel sacco alla prima fermata, ma già pronti a incastrare qualche gonzo sulla prossima autocorriera.
Non ci è cascato nemmeno un giovane seduto di fianco a noi che coglie l’occasione, con la comunicativa tipica di questa gente, per attaccare discorso. Luìs, figlio di un proprietario terriero che commercia in carne bovina, è uno studente in agraria di buona cultura con idee molto chiare sulla situazione del suo Paese e sui progetti per il proprio futuro; sta tornando a casa, una cittadina a metà del percorso, dopo avere passato la giornata con la fidanzata che risiede a Maracaibo. Prima di scendere, mi propone di scambiarci gli orologi: mi spiega che un reciproco regalo è un rituale di amicizia in uso da queste parti, ma non me la sento di rifilargli la patacca in plastica da 3.000 VEB comperata al mercato di Mèrida e lo convinco che possiamo limitarci a scambiarci gli indirizzi nel caso che un giorno, chissà…
Intanto, mentre si è ormai fatto buio, siamo entrati nello Stato di Falcòn, che è anche quello in cui concluderemo la nostra esperienza venezuelana.
Posiamo i nostri piedi sul suolo di Coro, per la precisione Santa Ana de Coro, intorno alle 20 e scopriamo subito che, benché ci troviamo non lontano dalla costa, fa parecchio caldo anche qui. La guida Lonely Planet raccomanda la Posada El Gallo quale soluzione confortevole ed economica, quindi non ci meraviglia che le sue otto stanze siano tutte occupate; ripieghiamo sull’anonimo Hotel Zamora, nella calle omonima, dove una grossa camera tripla ci costa 22.000 VEB. Il movimento di ragazze dal fare ammiccante nei corridoi e nella reception ci fa capire che siamo finiti in uno dei tanti “Alberghi dell’amore” di cui il Venezuela è disseminato, ma qui è una situazione di assoluta normalità che non ci scompone più di tanto. Anzi, proprio il suggerimento per la cena di una di queste giovani si rivela vincente: “La Barra del Jacal” si rivela un ottimo ristorante-pizzeria dal buon rapporto prezzo-qualità, con in più i tavoli su una terrazza gradevolmente ventilata. Per un buon menù di carne e pesce spendiamo un totale di 31.000 VEB.

Domenica 7 aprile 2002
Cominciamo la giornata con una buona colazione in una pasticceria nei pressi dell’Hotel, dopodiché ci mettiamo subito in attività.
Oggi abbiamo in programma la visita di Coro; ci rimarrà poi da riempire altri due giorni, per la qual cosa cercheremo di individuare una località sulla costa nella quale riposarci con un breve soggiorno balneare. In questo viaggio abbiamo sperimentato il fiume, gli altopiani, la montagna e ci manca solo il mare per renderlo perfetto.
Ma la prima pratica da definire è il trasferimento a Caracas, da dove fra tre giorni partirà il nostro volo per Parigi: scartiamo l’eventualità dell’autocorriera per evitare di entrare nel traffico della capitale, così ci decidiamo per un volo nazionale. Tramite taxi, poco dopo le otto siamo già all’aeroporto; il sole picchia già forte e in più mi sono accorto di avere dimenticato il sombrero de campesino (è il secondo cappello che perdo in questo viaggio) sul pullman Maracaibo-Coro.
Presso il banco della Avior fissiamo immediatamente tre posti sul volo per Caracas delle 12 del 10 aprile al prezzo di 54.540 VEB a testa; approfittiamo per confermare anche il volo internazionale (è una cosa che non sempre faccio ma che è invece raccomandabile), al che provvede subito con una fax alla Air France la referente della Compagnia aerea, Francys Arancibe. Vista la sua cortesia ed efficienza, chiediamo informazioni sulla ricettività alberghiera del tratto costiero a est della città: ci mette così in contatto telefonico con un suo conoscente che gestisce una posada sul mare presso Tocopero, una sessantina di chilometri a est di Coro, con il quale concordiamo tre giorni di mezza pensione; in più, verrà subito a prelevarci con il suo pullmino per una visita guidata della città e dei dintorni. Il pacchetto ci costerà in tutto un centinaio di dollari a testa.
Sono le dieci e trenta quando arriva l’automezzo, dal quale scende una persona che non sembra proprio di queste parti: molto alto, biondo come una pannocchia, Dierk Dietman è infatti un tedesco sulla quarantina che si è trasferito qui una decina d’anni fa, sposando una venezuelana con la quale conduce la posada sul mare Granja El Ojito.
Intanto si è fatto un caldo feroce e non ci dispiace muoverci per la città, quasi deserta in questa giornata di domenica, con il furgone Mercedes climatizzato di Dierk. Coro, uno dei primi insediamenti del continente, è in effetti una città molto gradevole, con pieno merito inserita nel 1993 nella lista del “Patrimonio dell’Umanità” dell’Unesco. Il periodo del massimo splendore, grazie ai fitti scambi commerciali con le prospicienti isole delle Antille Olandesi, risale al sec. XVIII, quando vennero costruiti i begli edifici, per fortuna ottimamente conservati e restaurati, concentrati nel quadrilatero tra la Calle Zamora e le Plazas Sucre, Bolìvar e San Clemente. Degne di nota sono la Casa de las Ventanas de Hierro (casa dalle finestre di ferro), dal bel portale a stucchi e inferriate in ferro battuto; la Casa de los Arcaya, tipica per i balconi con copertura a tegole, che oggi ospita una ricostruzione fedele degli ambienti e degli arredi dell’epoca coloniale; il Museo Diocesano, una delle più belle collezioni di oggetti d’arte sacra e profana del Venezuela, in particolare alcune stupende statue in legno dipinto; la Cattedrale, la più antica del Paese, costruita nel XVI secolo in una struttura massiccia più simile a una fortezza, tant’è vero che fu più volte impiegata come opera difensiva contro le scorrerie dei pirati.
Dopo uno spuntino con un paio di empanadas in un chioschetto che, a dispetto alle dimensioni microscopiche, esibisce sulle pareti numerose foto e dediche di avventori illustri, lasciamo Coro per visitare un’attrazione subito a nord del centro, i Mèdanos: si tratta di un piccolo parco nazionale costituito da dune prodotte dall’accumulo di sabbia ad opera del vento che con il tempo ha creato un istmo lungo trenta chilometri e largo cinque unendo alla terraferma la Penìnsula de Paraguanà che una volta era un’isola. Scendiamo dall’auto giusto il tempo per fare qualche foto a questo insospettato angolo di deserto, visto che il vento è davvero battente; non a caso nella lingua degli Indios il termine coro sta appunto per vento, che è anche il responsabile del curioso scenario dei fili di recinzione ai quali sono impigliati una quantità inverosimile di cartacce e sacchetti di plastica. Sostiamo brevemente anche a uno slargo dove sorge una cappelletta dedicata a “Las animas de Guasare”, in ricordo di un gruppo di persone che a fine Ottocento si persero tra le dune senza che se ne trovasse più traccia: il fervore popolare non tardò a farne un luogo di pellegrinaggio.
Dirigiamo poi a La Vela de Coro, in pratica il porto della città a dodici chilometri da essa; la spiaggia è costituita di sabbia rossiccia sempre smossa dal vento così come le barche dei pescatori, ma l’interesse della località è principalmente storico. Infatti fu qui che il 3 agosto 1806 il generale bolivariano Francisco de Miranda piantò per la prima volta il tricolore giallo, blu e rosso del Venezuela: quella bandiera “pare” (le virgolette sono d’obbligo, ma è comunque molto vecchia) che sia quella esposta in una teca di cristallo sotto la statua di Miranda prospiciente il molo.
Arriviamo infine alla Granja El Ojito intorno alle 16. La posada è un bel complesso a un solo piano composto di due nuclei separati, uno costituito dalle abitazioni di Dierk e del personale al cui esterno prospetta la tettoia in legno che copre la zona pranzo, l’altro dalle camere per gli ospiti, ciascuna con veranda coperta dotata di tavoli e amache; tra i due settori la piscina, il tutto in un piacevole contesto di bouganvillee e piante tropicali. La spiaggia è a una cinquantina di metri e la si raggiunge attraversando un folto palmeto popolato di granchiolini rossi che al nostro passaggio scappano con la loro bizzarra andatura laterale verso le tane insabbiate. Siamo circa a metà di uno spiaggione di cinque chilometri spazzato da onde lunghissime: il risultato è che l’acqua, anche se pulita, è sempre torbida per via della sabbia smossa. Il bagno è comunque graditissimo.
Ci dedichiamo poi all’attività del fare assolutamente niente di più impegnativo che il centellinare l’acqua di una noce di cocco appena spaccata e dondolarsi nelle amache fino all’ora di cena, che si concretizza in una bella grigliata di pesce accompagnata da patate al forno.

Lunedì 8 / Martedì 9 aprile 2002
La Posada Granja El Ojito offre senz’altro buoni servizi e un soggiorno rilassante a chi, come noi, si trovi in zona al termine di un viaggio itinerante che ci ha arricchito di tante esperienze, pur se talvolta impegnativo. D’altra parte, a chi si muova dall’Italia per passare una vacanza in una località dei Tropici desideroso del puro piacere del mare, devo dire che può trovare mille soluzioni migliori.
Passiamo la mattinata percorrendo la battigia della spiaggia in direzione ovest fino a una barriera di scogli dalle forme curiose e il tardo pomeriggio sul tratto verso est che ha termine con un gruppo di palafitte sul mare ai piedi di un’altra posada: una salutare camminata sulla sabbia di una decina di chilometri. Intervalliamo questa attività oziando sulle amache o facendo qualche tuffo in piscina; di tanto in tanto diamo un’occhiata alla TV, che sta cominciando a dare notizie dei disordini in atto nel Paese, che hanno avuto inizio a Mèrida proprio un paio di giorni dopo che abbiamo lasciato quella città.
Sta di fatto però che evidentemente non siamo abituati alla vacanza di relax assoluto: anche se sembra una contraddizione, si può dire scherzosamente che “facciamo fatica a riposarci”. Con il senno di poi, avremmo potuto utilizzare almeno una di queste giornate finali ad esempio allungando il soggiorno a Canaima, pernottando a Ciudad Bolìvar o effettuando un’escursione a piedi nella Sierra Nevada; ma va comunque bene così e festeggiamo l’ultima sera facendoci cucinare un’enorme aragosta che Dierk aveva acquistato subito prima di prelevarci all’aeroporto di Coro.

Mercoledì 10 aprile 2002
Ore 9: bagagli fatti da un pezzo, ci culliamo nelle amache sotto il patio della posada Granja El Ojito, contemplando la forte pioggia che da ore e ore scuote il palmeto e il mare antistanti. Siamo in anticipo di circa un mese sulla stagione delle piogge, ma sulla costa caraibica quando gli elementi si scatenano non è quasi mai uno scherzo...
Sì, lo so, questo è già stato scritto nella Premessa di questa relazione e a quella vi rimando: avevo ben avvisato che si trattava di un resoconto con inizio dalle fasi conclusive. Per il “gran finale” tornate allora a quella Prima Parte, ma state attenti perché potreste ricominciare la lettura da capo e così via all’infinito, quasi come in uno dei paradossali racconti di Borges (scusandomi infinitamente per l’indegno paragone con il grande scrittore argentino). Al prossimo viaggio!

21 commenti in “Venezuela, l’essenza del Sudamerica – Parte III
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    Proviron 25 mg
    19/04/2013 14:54

    hi! , mi piace la tua scrittura molto così tanto! percentuale ci teniamo in contatto in più circa il tuo post su AOL ? Ho bisogno di uno specialista in questo campo per risolvere il mio problema . Forse che sei tu ! Guardando avanti per scrutare voi . ;) ;)

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    scorte girl
    29/03/2013 21:17

    Sac poubelle la jupe, c?est un peu fort! Ok, la photo ne lui rend pas justice, je me suis qu?elle ne rendait pas bien pas en photo, mais sachant que c??tait la marque ?call me ponie?, je savais bien que la qualit? ?tait au rendez-vous. J?ai une jupe en cuir, mais dans une coupe diff?rente, faites attention vous qui voulez investir dans ce v?tement, ? choisir une coupe flatteuse comme celle que tu portes St?phanie, parce que la mienne ne me flatte pas du tout, elle marque tous mes d?fauts, du coup, je ne la porte pas. Par contre, j?ai une jupe noire coupe patineuse, je la porte ? ta fa?on, taille haute, c?est hyper seyant avec plein de tops, j?adore! C?est gr?ce ? toi St?phanie, que je porte mes jupes de cette fa?on, quand la coupe le permet, donc, merci!

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    paris turu
    13/03/2013 13:06

    Ecolojetas!! no ecologistes.

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    buy testosterone
    23/01/2013 01:57

    La mejor información esencial es esto, que tiene tratar de hacer muy bien acerca de que el cuerpo de las personas sin hogar y de su mano. Estoy tan entusiasmado acerca de eso, después de leer este artículos útiles escrito sus opiniones y también que es tan atractivo para hacer algo por aquellos

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    Leandro
    14/01/2008 22:54

    Ciao Teo, bella domanda! Probabilmente hai letto il commento di Francesca dell'11/12/2006 in cui parla di vie in roccia. Credo improbabile che legga questo commento e ti possa rispondere, però mai dire mai... Non abbiamo la sua mail, in questo spazio non ne resta traccia. Il consiglio che posso darti io è rivolgerti alla Libreria del Viaggiatore di Sondrio, la più fornita d'Italia per guide e mappe: il sito dovrebbe essere vel.it, ma lo trovi con qualunque motore di ricerca. Oppure in loco contattando l'ufficio turistico di Merida, il cui recapito si trova di certo in guide quali la Lonely Planet. Saluti!

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    Teo
    14/01/2008 18:54

    Chi può dirmi dove trovare la guida d'arrampicata su merida?

  7. Avatar commento
    ilhfasdyu salp
    08/07/2007 23:56

    lgcsnamq nwygo pjzd lvapxuhz rhwk kpdzn zust

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    Leandro
    11/12/2006 16:55

    Questo sito ospita ogni tipologia di viaggi in tutte le parti del mondo. Gli autori che mandano i resoconti sono oltre 300, ciascuno con predilezioni, modi di scrivere, preferenze, gusti, esigenze differenti. Quello che a un individuo può sembrare superfluo può essere gradito a un altro, e viceversa. Credo che sia la vera ricchezza di Ci Sono Stato, il modo migliore di intendere Internet come luogo in cui tutte le voci hanno pari valore e dignità. Sarà un detto trito e ritrito ma è proprio vero che "Il mondo è bello perché è vario". Ciao!

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    francesca
    11/12/2006 16:41

    Ciao a voi,mi ha fatto piacere che abbiate risposto! Hai ragione,non ho letto la prima e seconda parte del vostro viaggio(ho scoperto pochi giorni fa questo sito internet e mi e' subito sembrato interessante.Ho gia' letto vari resoconti di viaggi pero' ho una forma di allergia verso i racconti troppo lunghi e dettagliati! A me non piace sapere troppo,certo che le "dritte" fanno comodo ma e' bello pure scoprire.. Come quelli fighi che si comperano il satellitare e non sanno leggere una cartina geografica. Scusa ma trovo un po' superflue le descrizioni troppo dettagliate,tipo quello che abbiamo ordinato,quanto abbiamo pagato..va bene un po' di volte ma non e' questo che a me incuriosce leggendo.Ma non mi riferisco al vostro viaggio in particolare,ma nei resoconti in generale che in questi pochi giorni ho letto. Parlando di Venezuela,rapporto "amore odio",mannaggia che rabbia ci fa (a me e al mio compagno)assistere al degrado di questo Paese.. Parlando d'altro,a chi ama l'alpinismo,Merida offre la Sierra Nevada,potete comperare una guida (Scritta dal mio compagno) " Sierra Nevada",in cui ci sono 4 supertrekking di vari giorni per il Paramo e 101 vie di scalata in roccia. Se siete dei veri alpinisti e sapete usare friends,dadi,corde..la guida fa per voi. Se vi interessa l'argomento vi indichero' dove poter comprare la guida! Tralatro unica in Venezuela.. Buona arepa e cachapa a tutti! Ciao a tutti i "mochileri" (mochila ovvero zaino)

  10. Avatar commento
    Leandro
    09/12/2006 22:00

    Cara Francesca, grazie per l'attenzione, ma permettimi alcune (amichevoli) considerazioni. 1. Dici che il nostro è stato un viaggio superficiale: ti sei accorta che questa è la terza parte di un viaggio di tre settimane? Io non ho certo preteso di dare un quadro autorevole del Venezuela, ho narrato quello che ho potuto fare nel tempo che avevamo a disposizione, né più né meno. 2. Tu parli di "capatine" di pochi giorni: vero, ma quante persone che lavorano possono permettersi di fare viaggi di più di tre settimane? 3. Dici che per mangiare e dormire si può spendere molto meno. Va bene, e allora? Io non ho voluto scrivere una guida di viaggio. Il nostro sito si chiama Ci Sono Stato proprio perché le esperienze narrate sono quelle che il viaggiatore ha vissuto, non altre. E quella frase "quanto mangiate!", boh... non riesco a capire che cosa c'entri, o forse non ho sufficiente senso dell'ironia. 4. Dici anche: "Quello che mi colpisce è che parlate poco della natura e più dei ristorantini tipici". Qual è il problema? Io viaggio e riferisco informazioni di viaggio: tra queste c'è anche l'indicazione di posti un cui ho mangiato o dormito. La natura? Leggendo la prima e seconda parte del resoconto (se nel titolo si legge Parte III, si può sospettare che ne esistano nel sito due precedenti...), vedrai che ho trattato ampiamente il Delta dell'Orinoco e la Gran Sabana, dove la natura trionfa. 5. In un punto del tuo commento dici (uso le parole tue) "viaggiare significa... ecc.": non credi che ciascuno possa scegliere liberamente la maniera che gli è più consona e che il modo "perfetto" non esista? 6. In un altro punto consigli di fare e vedere questo e quell'altro: è vero, c'è un'infinità di cose da vedere in un Paese grande come il Venezuela. Ci sarebbe piaciuto girare Los Llanos, magari anche fare una settimana di trekking nel Paramo, percorrere tutta la costa orientale con il Parco di Mochima, Cumanà, la Cueva del Guàcharo, o esplorare il territorio Amazonas, oppure la costa occidentale con la penisola di Paraguanà, Puerto Cabello, i Parchi Henri Pittier e Morrocoy, e perché no anche un po' di relax balneare a Los Roques (sarò superficiale però un po' mi ero preparato, vedi?); magari standoci sei mesi come te ci saremmo riusciti, noi in tre settimane no. Ciao!

  11. Avatar commento
    Francesca
    09/12/2006 16:13

    Purtroppo il Venezuela sta attraversando un periodo oscuro ed angoscioso.La democrazia non esiste piu.La dittatura'si sta insinuando creando ansia e preoccupazione! Non vi aspettate che la gente sia allegra e spensierata.La violenza c'e',e pure tanta,la paranoia e la paura che ti rubino o ti assaltino ormai ce l'hanno tutti,turisti e venezuelani! Ma la cosa peggiore e' la mancanza di liberta'e l'accentramento delle ricchezze tipiche di uno Stato totalitario!.Viaggiatori,guardate non solo le spiaggie ed i "ristorantini tipici",ma cercate di capire come stanno andando le cose.. Un saluto a tutti i viaggiatori con lo zaino in spalla.

  12. Avatar commento
    francesca
    09/12/2006 15:48

    Ho letto il resoconto del vostro viaggio,ma mi sembra un tantino superficiale.Fare "capatine" di due giorni non ci permette di conoscere molto.Sono stata 6 mesi in Venezuela con il mio compagno venezuelano,vivendo a Merida.E il tutto non si riduce a un giro di "giostra" nel teleferico e nemmeno cercando ristoranti turistici! Ma quanto mangiate!! E scusa,ma per mangiare e dormire si puo' spendere molto meno.Quello che mi colpisce e' che parlate poco della natura e piu' dei "ristorantini tipici",viaggiare significa guardare le montagne,gli alberi,la natura,purtroppo c'e'parecchia spazzatura,l'ignoranza e' tanta .L'anarchia dei venezuelani assomiglia moltissimo a quella di noi italiani.La comunita' italiana e' seconda dopo la canaria.. dunque pregi e difetti simili! Vi consiglio treking nel paramo,perche' girare per Merida dopo un po' stanca,tanto traffico e puzza di benzina .Oppure andate in calle 24 con una guida fatevi portare nello stato di Barinas,dove los llanos sono un territorio affascinante con uccelli acquatici e spettacolari tramonti. Buon viaggio..

  13. Avatar commento
    Leandro
    29/04/2004 15:22

    Caro Miki, mi sembra che la tua valutazione sui tempi di visita sia plausibile. Ricapitolando: 2+3+5+3+3+7=23 giorni. Tieni conto però anche degli spostamenti, del tempo che si può perdere per gli orari delle corriere non sempre coincidenti o per gli accordi con gli operatori locali (Gran Sabana, Salto Angel, Roraima...). Per i prezzi, non credo che il fatto di viaggiare solo incida: userai in prevalenza mezzi locali e sarai sempre in compagnia, o di viaggiatori di autobus, piccoli voli o gruppetti messi insieme al momento dagli organizzatori in loco. Un'ultima cosa: ovviamente il viaggio è il tuo ma... sei proprio sicuro di tralasciare il Delta dell'Orinoco? Per noi quei tre giorni sono stati la parte più emozionante e "primordiale" del viaggio (vedi parte prima del mio resoconto). Continua pure a contare su di me!

  14. Avatar commento
    miki
    28/04/2004 20:04

    Ciao, a metà ottobre partirò per un viaggio di 4 settimane in Venezuela. Devo dirti che leggere il tuo magnifico diario di viaggio mi é di grande aiuto in fatto di suggerimenti e indicazioni. Ti dico il mio intinerario di viaggio, dopo l^arrivo a Caracas, 2 giorni nella zona di Coro, 3 giorni sulle Ande zona Merida, 5 giorni di canoa sul Rio Caura zona Ciudad Bolivar, 3 giorni per il Salto Angel, 3 giorni Gran Sabana zona Santa Elena de Uairen, 6 o 7 giorni per trekking sul Roirama. Infine se riesco qualche giorno al mare, decido sul posto dove. Domanda, sulla base della tua esperienza dei ritmi e delle strade venezuelane ce la posso fare? E tenendo conto che viaggio da solo, i costi possono aumentare di molto? Ti ringrazio, ciao. MIKI

  15. Avatar commento
    Leandro
    03/10/2002 07:01

    Ciao Limoaperitivo, come avrai letto da questo resoconto, noi non siamo stati sulla Isla Margarita. Per avere qualche indicazione, ti consiglio di mettere un post sul nostro Forum gratuito!

  16. Avatar commento
    limoaperitivo
    03/10/2002 07:01

    Help!Cosa mi dite:isla margarita-in agosto...mare,divertimenti e costi?grazie amici..aspetto notizie!

  17. Avatar commento
    Leandro
    03/10/2002 07:01

    Il discorso dei prezzi, cara Mariangela, è molto semplice. Se hai letto anche la prima e seconda parte del resoconto di questo mio viaggio, "Venezuela, l'essenza del Sudamerica" e "Gran Sabana, Salto Angel e Canaima", avrai notato, dalle mie ripetute citazioni, che nelle zone da noi visitate si spende pochissimo, sia per i trasporti, sia per l'alloggio e l'alimentazione. Se invece vai nelle località balneari alla moda, quali l'arcipelago de Los Roques, la Isla Margarita e la costa intorno a Puerto La Cruz, i prezzi risentono inevitabilmente del turismo internazionale del quale sono meta (anche se siamo comunque al di sotto della media europea). Se mi dici "ad agosto vado in Venezuela" è un po' poco: dammi qualche indicazione più dettagliata (pacchetto organizzato, soggiorno, viaggio itinerante) e ti saprò dire qualcosa di più.

  18. Avatar commento
    mariangela
    03/10/2002 07:01

    Vado ad agosto in Venezuela: speriamo non sia troppo costoso!

  19. Avatar commento
    Leandro
    03/10/2002 07:01

    Gracias, Magneli! Mi hablar y mi escribir Castellano no es muy bueno, pero tengo mucho gusto de tus palabras. Mi recuerdo de Venezuela, sus sitios y sus personas es vivo en mi corazòn, el mismo que en abril de 2002. Los mejores votos de mi y de mis amigos Mario y Walter por la mejor suerte de tu maravilloso Paìs!

  20. Avatar commento
    magneli
    03/10/2002 07:01

    No te puedo escribir en italiano, porque no sè, tan solo sè leerlo y te digo siento un orgullo muy grande como venezolana, de que hallas visitado mi paìs y que te expreses de èl en la forma en que lo haces, regresa cuantas veces quieras nuestras puertas siempre estaran abiertas.

  21. Avatar commento
    Mario Riccardo
    03/10/2002 07:01

    Nel leggere i tuoi resoconti mi sembra di esserci proprio stato... complimenti!

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